Trattamenti sanitari obbligatori e vaccinazioni

Il libro dell anno del diritto 2019 (2019)

Trattamenti sanitari obbligatori e vaccinazioni

Celeste Chiariello

Il tema dell’imposizione legislativa dell’obbligo vaccinale pone il legislatore dinanzi al difficile bilanciamento tra gli interessi costituzionali intrinsecamente in conflitto, posto che il diritto all’autodeterminazione e alla tutela della salute del singolo, oltreché l’ufficio della responsabilità dei genitori e dei tutori del minore, si pongono in contrasto con l’interesse collettivo alla tutela della salute pubblica. Il Governo è di recente intervenuto, mediante lo strumento della decretazione d’urgenza, introducendo una disciplina uniforme sul piano nazionale, la quale tuttavia ha suscitato un acceso dibattito mediatico oltreché giuridico. Chiamata a intervenire sulla legittimità costituzionale della nuova normativa dalla Regione Veneto, la Corte costituzionale ha colto l’occasione per fare chiarezza mediante una pronuncia sorprendentemente dettagliata.

La ricognizione

Con il termine vaccinazione si definisce il trattamento medico consistente nella somministrazione in un organismo animale di una coltura attenuata o uccisa di un agente infettivo (vaccino), idoneo a conferire una immunità attiva nei confronti di una malattia infettiva. In particolare, quando si deve prevenire l’insorgenza o la diffusione di una malattia infettiva è necessario immunizzare tutti gli appartenenti alla collettività, ivi comprese le nuove generazioni, che nascono in stato di ricettività. Invero, l’impiego di questi mezzi nella profilassi pubblica è di norma ristretto al campo di poche malattie, considerate significativamente gravi e diffusive, giacché la vaccinazione obbligatoria costituisce una misura di coercizione della libertà individuale, che deve trovare la sua giustificazione nell’esigenza di eliminare il concreto pericolo che la mancata protezione immunitaria di qualcuno possa costituire un rischio per la salute della collettività. Le singole misure preventive sono pertanto imposte per legge ed estese a tutta la popolazione (cd. vaccinazioni obbligatorie generali) ovvero a determinate categorie di soggetti o in considerazione di particolari circostanze (cd. vaccinazioni obbligatorie speciali). In Italia il primo obbligo vaccinale è stato introdotto con l. 6.6.1939, n. 891, al fine di debellare le epidemie di difterite, cui hanno fatto seguito, negli anni e sempre per far fronte a situazioni emergenziali, la l. 5.3.1963, n. 292, che ha prescritto l’obbligo del vaccino antitetanica; la l. 4.2.1966, n. 51, che ha prescritto l’obbligo del vaccino antipoliomielite; la l. 27.5.1991, n. 165, che ha prescritto l’obbligo del vaccino antiepatite B. Nel 1998 le autorità sanitarie aggiunsero poi alle quattro vaccinazioni “storiche” ulteriori cinque vaccinazioni “raccomandate”, segnatamente contro morbillo, rosolia, parotite, pertosse e Haemophilus influenzae.

Una disciplina dunque piuttosto alluvionale, che si intrecciava con la regolamentazione della medicina scolastica, la quale dapprima prevedeva l’onere in capo al direttore scolastico di impedire ai bambini non vaccinati l’accesso ai servizi scolastici e agli esami1, per poi progressivamente giungere alla possibilità, riconosciuta a talune Regioni, di disporre la sospensione sperimentale dell’obbligo vaccinale2. Se tuttavia, originariamente, tra vaccinazioni obbligatorie e vaccinazioni raccomandate non si percepiva una sostanziale differenza, in quanto entrambe le tipologie erano considerate di pari utilità sociale, a partire dagli anni Duemila la stessa scomparsa dal contesto sociale di alcune gravi malattie ha causato un progressivo clima di diffidenza verso uno strumento sanitario ritenuto – almeno da parte dell’opinione pubblica e politica – superfluo. Ciò ha comportato un graduale abbassamento della percentuale della popolazione vaccinata, cui il legislatore nazionale ha recentemente risposto con un netto revirement, reintroducendo l’originaria obbligatorietà vaccinale, con restrittive prescrizioni anche per quanto riguarda l’accessibilità dei minori agli istituti scolastici.

La focalizzazione

Il tema della vaccinazione obbligatoria non assume rilievo soltanto dal punto di vista scientifico, quale strumento di tutela preventiva della salute, cui i poteri pubblici fanno ricorso sia a livello nazionale, sia internazionale; per il giurista infatti tale materia suscita particolare interesse in termini di bilanciamento tra i più solidi principi costituzionali del nostro ordinamento. Si tratta infatti di un argomento ampio e complesso, in cui vengono potenzialmente in conflitto la normativa statale e la normativa regionale, le politiche sociosanitarie e l’autonomia individuale, la responsabilità dei genitori e i diritti del minore. Con sentenza 18.1.2018, n. 5, la Corte costituzionale, intervenendo sulla legittimità costituzionale del d.l. 7.6.2017, n. 73, ha finalmente delineato i confini del ragionevole bilanciamento tra i diversi interessi in conflitto.

Il quadro costituzionale di riferimento

Il primo parametro di riferimento del testo costituzionale che rileva in materia di trattamenti sanitari è l’art. 32 Cost., ma invero il bene salute risulta tutelato da un insieme di disposizioni di pari rango costituzionale. Innanzitutto, l’art. 32, co. 2, Cost. introduce una riserva di legge statale, che la dottrina maggioritaria riconosce quale riserva relativa e pertanto la fonte primaria deve stabilire almeno i principi e i criteri fondamentali della disciplina, successivamente integrabile da fonti subordinate3. L’obbligatorietà della vaccinazione è poi resa effettiva più che dalle norme sanzionatorie applicabili in caso di inottemperanza – oggi di natura amministrativa pecuniaria – dalla previsione che l’adempimento dell’obbligo medesimo costituisce condizione necessaria per l’esercizio di diritti e la fruizione di servizi, quale l’accesso alla scuola primaria per i minori non vaccinati. Corollario naturale dell’art. 32 Cost., è che la vaccinazione normativamente imposta abbia come scopo innanzitutto la tutela della salute del soggetto che vi si debba sottoporre. Tuttavia tale assunto si trova in insanabile contrasto con il principio di autodeterminazione di cui all’art. 13 Cost., libertà nella quale si concreta la dignità dell’uomo, conseguendone che allorquando rileva soltanto la salute del singolo, senza alcuna incidenza diretta o indiretta nella sfera giuridica di terzi, questi non può essere obbligato al trattamento sanitario. In altri termini, l’imposizione dell’obbligo vaccinale è costituzionalmente legittimo solo se finalizzato alla tutela della salute non solo del soggetto ad esso sottoposto, ma della intera collettività o comunque dei terzi potenzialmente a rischio infettivo. L’obiettivo perseguito è quello della cd. “immunità di gregge”, ossia il raggiungimento di una determinata soglia di popolazione vaccinata (il 95% secondo l’OMS), tale per cui anche la percentuale di soggetti non vaccinati beneficerebbe dell’immunità. Inoltre, la delicatezza del bilanciamento che il legislatore è chiamato a operare è ulteriormente acuita se si considera che la previsione di un trattamento sanitario obbligatorio non determina solo la contrazione del diritto alla libertà personale e all’autodeterminazione, ma lo stesso diritto alla salute, non potendosi escludere a priori che la vaccinazione imposta non provochi effetti collaterali indesiderati sul soggetto cui viene applicata. Pertanto la compatibilità con il dettato costituzionale necessita altresì della ragionevole previsione che il vaccino non incida negativamente sulla salute di chi sarebbe obbligato a sottoporvisi, dovendosi comunque considerare tollerabili eventuali conseguenze nocive di breve durata e modesta entità. Ad ogni modo, l’eventuale causazione di una menomazione grave e/o permanente è oggetto di tutela risarcitoria, cui si aggiunge la corresponsione di un’equa indennità in favore del danneggiato4.

I limiti alla discrezionalità genitoriale sui minori

Come detto, una prevenzione efficace delle malattie infettive si realizza anche mediante la normativa in materia di medicina scolastica, dovendosi tuttavia tenere in considerazione che l’interesse del minore nel nostro ordinamento è garantito dal diritto-dovere dei genitori di adottare condotte idonee a proteggere la salute dei figli5. Superata l’antica concezione secondo la quale la cd. potestà genitoriale si concretizzava in una sorta di supremazia sui figli, ai genitori oggi viene attribuito l’obbligo di crescere, istruire ed educare i figli, il cui interesse costituisce un limite funzionale alle decisioni assunte per conto di questi ultimi. Si esclude dunque la possibilità per i genitori di invocare un qualsivoglia diritto di autodeterminazione sui figli e l’ufficio della responsabilità genitoriale incontra un’ulteriore limitazione nelle previsioni legislative a tutela del bene fondamentale rappresentato dall’interesse del minore. Tra queste deve certamente ricomprendersi il d.l. n. 73/2017, come convertito con l. 31.7.2017, n. 119, in materia di vaccinazione obbligatoria sui minori, nei confronti della quale i genitori potranno opporsi soltanto in caso di accertato pericolo di salute e in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate. Diversamente opinando, ai genitori sarebbe riconosciuta la facoltà di decidere sulla vita altrui, mentre l’ordinamento sottrae loro la tutela dei diritti indisponibili, ossia di quei diritti che soddisfano, oltre all’interesse individuale del titolare, anche gli interessi collettivi6. Del resto, al fine di far rispettare l’obbligo di vaccinazione anche contro la volontà dei genitori, il nostro ordinamento ha riconosciuto la possibilità di applicare gli articoli 333 e 336 c.c., in quanto l’eventuale inadempimento integrerebbe una condotta pregiudizievole per il minore, cui il Tribunale dei minorenni è chiamato a porre rimedio mediante un provvedimento che tenga in adeguata considerazione l’interesse del minore, l’entità del pregiudizio da questo subito e l’autonomia decisionale dei genitori.

Il d.l. n. 73/2017

Come detto, la scomparsa di alcune gravi malattie data dall’efficienza delle vaccinazioni imposte e raccomandate ha comportato la paradossale conseguenza di abbassare la percezione del relativo rischio nell’opinione pubblica. Inoltre gli interventi normativi susseguitisi a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, attraverso le modifiche della riforma sanitaria di cui alla l. 23.12.1978, n. 833, hanno sancito un graduale passaggio di competenze alle Regioni, fino a che, con la riforma costituzionale del 2001, a queste ultime è stata riconosciuta la competenza legislativa concorrente in materia di sanità e istruzione. Peraltro, con la Conferenza Stato-Regioni del 2005 si era stabilito di intraprendere un percorso volto alla possibile sospensione sperimentale dell’obbligo vaccinale. Tale contesto, insieme con la proliferazione di movimenti di opinione fortemente contrari alle pratiche vaccinali, ha comportato non solo ingiustificabili differenze normative tra le singole Regioni, ma anche la tendenza a un graduale superamento dell’obbligo vaccinale. Al fine di ripristinare una disciplina uniforme su scala nazionale, nel perseguimento dell’obiettivo della “immunità di gregge”, e in considerazione delle pericolose derive antiscientifiche dell’attuale momento storico, il Governo è dunque intervenuto con d.l. n. 73/2017, Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, con il quale ha inteso rendere nuovamente effettivo l’obbligo dei genitori di sottoporre a vaccinazione i propri figli. Data la scelta singolare di ricorrere alla decretazione d’urgenza, la stessa Presidenza del Consiglio ha ritenuto di precisare che, sebbene al momento non sussista una emergenza nazionale, la nuova normativa persegue il fine di evitare che le difficoltà riscontrabili si trasformino in vere e proprie emergenze sanitarie, atteso che la mancanza di misure appropriate e la crescente diffidenza verso la profilassi pubblica hanno provocato un preoccupante abbassamento del livello nazionale di protezione. Dal punto di vista contenutistico, il d.l. n. 73/2017 ha originariamente introdotto dodici vaccinazioni obbligatorie per i minori di sedici anni, inclusi i minori stranieri non accompagnati, ridotte a dieci in sede di conversione, ossia, oltre alle quattro storicamente obbligatorie (contro difterite, tetano, poliomielite ed epatite B), quelle contro pertosse Hib, rosolia, parotite e varicella (i vaccini contro il meningococco di tipo B e C sono rimasti comunque offerti gratuitamente). Il mancato adempimento dell’obbligo da parte del genitore o tutore comporta una sanzione amministrativa pecuniaria, inizialmente ricompresa tra un minimo di euro 500 a un massimo di euro 7.500, ridotta dalla legge di conversione da un minimo di euro 100 a un massimo di euro 500. Per quanto riguarda l’accesso all’istruzione scolastica, i responsabili degli istituti sono tenuti a richiedere ai genitori o ai tutori di presentare la certificazione dell’avvenuta vaccinazione del minore ovvero del relativo differimento o esonero; in alternativa, una dichiarazione sostitutiva, cui deve far seguito la presentazione della certificazione; ovvero ancora la richiesta di vaccinazione presentata alla ASL; i dirigenti sono tenuti a segnalare l’eventuale inadempimento alla ASL. In ogni caso, la presentazione della predetta documentazione costituisce requisito necessario per l’accesso ai servizi educativi e alle scuole dell’infanzia; per tutti gli altri gradi scolastici, la mancata presentazione non impedisce la frequenza o gli esami.

I profili problematici

L’adozione del d.l. n. 73/2017 ha causato sin da subito un forte clamore mediatico, sollevando dubbi sulla sua compatibilità con la Costituzione.

La sentenza C. cost. n. 5/2018

La Corte costituzionale, investita dalla Regione Veneto di un giudizio di legittimità sollevato in via principale, si è espressa con una pronuncia quasi fin troppo completa, andando a scrutinare nel merito anche questioni che camminavano sul filo dell’inammissibilità, in quanto sconfinanti l’ambito della lesione della sfera di competenza regionale7.

Sinteticamente, la Regione Veneto ha lamentato l’insussistenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza per il ricorso alla decretazione d’urgenza, nonché la lesione della competenza regionale in materia di tutela della salute, istruzione e formazione professionale e dell’autonomia amministrativa regionale; il legislatore poi non avrebbe operato un equo bilanciamento tra i contrapposti interessi della tutela della salute collettiva e individuale con il principio di autodeterminazione in materia sanitaria. La Corte costituzionale, con sentenza n. 5/2018, chiarendo che le argomentazioni della Regione Veneto, sebbene per la gran parte incentrate sui diritti individuali, hanno comunque evidenziato le frizioni del modello adottato dal legislatore statale con la normativa regionale, sottolineando altresì i condizionamenti che subirebbe la propria autonomia, nel dichiarare l’ammissibilità delle doglianze, ne ha statuito l’infondatezza nel merito. I punti fondamentali della pronuncia della Corte possono sintetizzarsi come segue.

i) La decretazione d’urgenza: sebbene non si è attualmente in presenza di una situazione di emergenza sanitaria, i presupposti di cui all’art. 77 Cost. devono ritenersi sussistenti in ragione dell’urgenza di provvedere data dal calo della copertura vaccinale registratasi negli ultimi anni, come ampiamente documentato da report, studi e mozioni di consigli e comitati medico-scientifici. Il Governo e il Parlamento sono dunque ben legittimati a fronteggiare tale contingenza mediante il ricorso a misure straordinarie.

ii) La competenza legislativa dello Stato: nonostante la normativa introdotta intersechi talune materie di competenza regionale, sono chiaramente prevalenti i profili ascrivibili alle competenze legislative dello Stato, relative ai principi fondamentali in materia di tutela della salute, livelli essenziali di assistenza, profilassi internazionale e norme generali sull’istruzione, da garantire in condizioni di uguaglianza su tutto il territorio nazionale. La necessità dell’intervento statale si rinviene dunque «per ragioni logiche, prima che giuridiche», e le Regioni devono ritenersi a esso vincolate.

iii) Il bilanciamento dei contrapposti interessi: la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost., qualora sia diretta a migliorare o preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato e della collettività; se non incide sullo stato di salute di chi è obbligato; se è prevista una equa indennità in favore del danneggiato, a prescindere dalla tutela risarcitoria. Il bilanciamento operato dal legislatore nell’esercizio del suo potere discrezionale non può essere censurato sul piano della ragionevolezza, per aver sproporzionatamente sacrificato la libera autodeterminazione individuale, essendosi piuttosto questi limitato a riconfermare l’obbligo delle quattro vaccinazioni già previste dalla normativa statale e a innovare il titolo giuridico in nome del quale le vaccinazioni “raccomandate” erano somministrate.

Considerazioni conclusive

Come si è premurata di rilevare anche la Corte costituzionale, la cogenza degli strumenti di profilassi vaccinale introdotti con d.l. n. 73/2017 non è irragionevole «allo stato attuale delle condizioni epidemiologiche e delle conoscenze scientifiche», al mutamento delle quali la scelta operata ben può essere rivalutata e riconsiderata. In altri termini, la peculiarità di questa conclusione sta nel fatto che la Corte non fornisce – né d’altronde potrebbe fornire – una risposta valida in assoluto, in quanto la ragionevolezza del bilanciamento operato deve ritenersi fortemente ancorata al contesto attuale. Va dunque sottolineata l’importanza attribuita al dato scientifico, funzionale nel caso in esame a valutare sia la legittimità del ricorso allo strumento del decreto-legge, in quanto rappresenta il contenuto dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza, più che il diritto alla salute in quanto tale; sia a orientare la discrezionalità del legislatore ai fini di un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi.

Note

1 D.P.R., 22.12.1967, n. 1518.

2 Conferenza Stato-Regioni del 3 marzo 2005, con cui si era riconosciuta ad alcune Regioni, a determinate condizioni, la possibilità di procedere alla sospensione dell’obbligo vaccinale.

3 Panunzio, S.P., Vaccinazioni, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1994, 1 ss.

4 C. cost.,23.6.1994, n. 258 e 22.6.1990, n. 307.

5 Stradi, S., Vaccinazioni obbligatorie: interesse del minore, discrezionalità dei genitori, obblighi di legge, in Nuova giur. civ. comm., 6/2018, Milano, 917 e ss.

6 Marchese, A.Vesto, A., Vaccinazioni obbligatorie e diritto alla salute: la “profilassi imposta fra tensioni etiche e giuridiche”, in Riv.it. med. leg., 4, 2017, 1333 e ss.

7 Ciaccio, V., I vaccini obbligatori al vaglio di costituzionalità. Riflessioni a margine di Corte cost., sent. n. 5 del 2018, in Giur. cost., 1, 450 e ss.

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