TRAUMATOLOGIA

Enciclopedia Italiana (1937)

TRAUMATOLOGIA (dal gr. τραῦμα "ferita" e λόγος "studio")

Enrico Ettorre

Disciplina che s'occupa dello studio e della cura delle lesioni violente (v. lussazione; frattura; emorragia; ferita; shock).

Nel concetto di "trauma" si compendia l'idea di un'azione lesiva rapida e improvvisa, quindi unica, immediata e imprevedibile, e ciò in netto contrasto alla causa lesiva lenta della comune malattia, ove sotto l'aspetto biologico interferiscono molteplici fattori. L'unicità del fattore traumatico trova nella violenza tutto quanto gli è indispensabile per nuocere. Praticamente però, nell'ambito medico-assicurativo, il concetto di trauma non può essere inteso in tale senso astratto, dovendosi in molti casi tener conto della concausa costituzionalistica, e quindi l'eziogenesi di forme quali, per es., l'ernia, la polmonite e la tubercolosi traumatiche, non può farsi dipendere dall'unico fattore traumatico, ma da un complesso di elementi favorenti, che debbono diligentemente essere ricercati e vagliati nella valutazione dell'elemento traumatico. Nell'insegnamento universitario, la traumatologia è parte integrante della chirurgia generale e delle diverse specialità (otoiatrica, oculistica, odontoiatrica, neurologica, ecc.) per i traumi di particolari sistemi (oculare, dentario, nervoso, ecc.), ma viene anche insegnata come materia a sé o unita all'ortopedia, limitatamente alle lesioni dello scheletro e dell'apparato locomotore.

Alla cura dei traumatizzati (emorragia, ferite, fratture, lussazioni, nevrosi traumatica, shock) si riferiscono le più antiche nozioni chirurgiche a noi note, che riguardano la cura delle lesioni violente presso i popoli preistorici e i primitivi, alcuni dei quali (Arcipelago di Bismarck, Bolivia, Perù, ecc.) impiegano ancor oggi metodi molto simili a quelli in uso all'epoca della pietra, e praticano ancora la trapanazione del cranio con selci acuminate. Questo intervento, eseguito fin dalle prime età di cui abbiamo notizie, probabilmente aveva inizialmente carattere magico, ed era praticato sul morto allo scopo di procurare degli amuleti, e sul vivente per liberarlo dagli spiriti maligni; tuttavia il riscontrare cranî antichissimi trapanati, che presentano anche segni di frattura e indizî di fatti riparativi, permette di supporre che talora l'operazione sia stata eseguita con intendimenti curativi e che gli operati siano sopravvissuti all'intervento.

Presso gli Egiziani il potere soprannaturale per la cura dei traumi era attribuito al dio Toth, ma già il papiro Ebers dimostra che si avevano norme precise per la fasciatura delle ferite. Il più antico testo di traumatologia si può considerare il papiro di Edwin Smith, il quale data dal 1700 a. C. ed è la copia di un papiro del 3000 a. C.; esso contiene acute osservazioni, tra le quali basti ricordare il rilievo che i traumi della colonna, con i quali però sono confuse le deformazioni da localizzazione tubercolare, possono portare la paralisi della vescica e dell'intestino. Già a quell'epoca del resto la traumatologia, che costituiva gran parte della chirurgia, era insegnata in scuole e fin da allora s'immobilizzavano le fratture, come si rileva da qualche mummia con arti fissati mediante stecche di legno.

Gli antichi Indiani avevano già notevoli cognizioni traumatologiche e le plastiche per la riparazione delle mutilazioni del naso, a quei tempi molto frequenti perché costituivano una pena, erano eseguite dai pentolai, che se ne trasmettevano gelosamente di padre in figlio la tecnica.

Quanto agli Ebrei, scarsissimi accenni alla cura delle ferite si trovano nella Bibbia, mentre le nozioni mediche del Talmūd risentono l'influenza greca. È infatti di derivazione greca la pratica di cruentare i bordi delle ferite per favorirne la cicatrizzazione, ricordata nel Talmūd, accanto a interventi che richiedono una tecnica già progredita.

Presso i Greci la chirurgia perde il carattere magico, che aveva conservato, per quanto meno della medicina, presso gli altri popoli. Da varî passi dei poemi omerici, dedicati alla descrizione delle ferite, di cui sono ricordate ben 141 varietà facendo cenno a norme per arrestare l'emorragia, fasciare gli arti, medicare le piaghe, s'apprende che tali mansioni erano affidate ad alcuni guerrieri particolarmente pratici. Nei tempi storici le truppe greche erano accompagnate da medici, e ne fa accenno frequente Senofonte nell'Anabasi. Tuttavia per trovare un complesso di dati precisi sull'arte traumatologica bisogna arrivare fino agli scritti ippocratici. Questi libri, attribuiti a Ippocrate, sono invece probabilmente una raccolta di nozioni anonime diffuse all'epoca di Pericle e ci dimostrano che s'avevano fin da allora discrete conoscenze anatomiche e fisiologiche alla base dei metodi curativi e che s'erano ideatî mezzi ingegnosi, come la legatura dei denti nelle fratture della mandibola. Nei libri concernenti le lussazioni e le fratture sono indicati metodi razionali per la riduzione e l'immobilizzazione; qualche confusione deriva però dal fatto che spesso con le lesioni traumatiche si raggruppano forme diverse, come artriti tubercolari, rachitismo, malformazioni congenite, ecc. Per le fratture del cranio, concetti ben definiti stabiliscono il modo di fare la diagnosi e d'intervenire nei casi d'infossamento. Soprattutto però colpisce nei libri d'Ippocrate il metodo obiettivo e scientifico di studio dell'ammalato e l'importanza attribuita all'osservazione e all'esperienza, che esclude ogni carattere aprioristico e religioso. Anche maggiore cultura anatomo-fisiologica e maggiore capacità chirurgica pare sia stata raggiunta dopo Ippocrate dai chirurghi alessandrini, le cui opere però ci sono note solo indirettamente da scritti latini di epoca posteriore.

I Romani non portarono alla medicina contributi di grande valore, ma assimilarono la cultura greca e se ne valsero con le doti organizzative che erano loro peculiari. Così nella medicina militare, strettamente connessa con la traumatologia, le prime notizie di una vera e propria organizzazione sanitaria si riferiscono alle legioni romane. I feriti erano curati sul campo, ed erano poi raccolti in ospedali, di cui vennero scoperti ruderi in diverse località, sedi di guarnigioni romane (presso Vienna, a Baden, presso Zurigo, a Bonn, ecc.). Le concezioni su cui si basava la traumatologia presso i Romani si possono rilevare dall'opera di Aulo Cornelio Celso. I suoi libri riguardanti la cura dei traumatizzati riportano le concezioni della scuola alessandrina e quelle di Ippocrate riguardanti le fratture e lussazioni. Interessanti consigli di tecnica sono suggeriti per il trattamento delle ferite penetranti dell'addome, per le quali pare che Celso abbia pensato per il primo a mettere il paziente nella posizione che oggi va sotto il nome di F. Trendelenburg, allo scopo di favorire la riposizione dei visceri. Dopo Celso si diffusero sempre più i concetti della scuola alessandrina e un discepolo di tale scuola, Antillo, introdusse a Roma le prime nozioni di chirurgia plastica riparatrice negli esiti dei traumatismi. Gli stessi libri di Galeno non sono che una raccolta di tutto ciò che era noto nella sua epoca e riflettono ancora i concetti della scuola alessandrina. Galeno però era medico dei gladiatori, che a Roma erano curati, come pure gli schiavi, nei valetudinarî, i primi ospedali civili storicamente noti.

Nessuna nozione originale di traumatologia pare si debba ai Germani, presso i quali, secondo Tacito, il trattamento delle ferite era affidato ad alcune donne, dette sagas, alle quali erano attribuite virtù soprannaturali. Carattere magico aveva la medicina anche presso i Galli e i Celti prima dell'invasione romana, ed era affidata alla casta dei druidi.

Nei primi secoli del cristianesimo, durante le guerre barbariche l'arte chirurgica decadde, e per tutto il Medioevo anche in guerra soltanto il re aveva il suo medico. Poteri taumaturgici di fronte ai più gravi traumatismi furono attribuiti ad alcuni santi, come per esempio Cosma e Damiano, ma in realtà il trattamento delle ferite era affidato a mestieranti sprovvisti di qualsiasi base scientifica. Durante le Crociate se ne occuparono alcuni ordini monastici, ai quali però era interdetto qualsiasi atto operativo.

La stessa scuola araba, il cui più illustre rappresentante per la chirurgia Abū'l-Qāsim nel libro III dell'at-TaŞuīf s'occupa ampiamente delle lesioni traumatiche, riporta semplicemente le nozioni raccolte nei libri di Galeno e in quelli di Paolo d'Egina, autore di un'interessante enciclopedia medica, che però non ha pregi d'originalità. Egli ha interesse per la storia della medicina militare, perché tratta l'estrazione delle frecce penetrate in regioni particolarmente delicate (torace, collo).

Scarso fu anche il contributo originale portato alla traumatologia dalla scuola salernitana, il cui più autorevole esponente per la chirurgia fu Ruggero di Frugardo, le cui opere s'occupano anche di traumatologia, specialmente per quanto riguarda le ferite craniche e addominali.

In genere però nel Medioevo il trattamento delle ferite rimase sempre empirico e si diffuse ampiamente l'uso di pomate e di empiastri, che si ritenevano dotati di qualità miracolose, e contro i quali alzò la voce il frate Teodorico da Lucca, che mise in evidenza i vantaggi della medicazione semplice delle ferite.

Nel sec. XIII due chirurghi della scuola di Bologna s'impongono per le loro chiare vedute; Guglielmo da Saliceto e il suo allievo Lanfranco da Milano; il primo propugnò caldamente la riunione della medicina con la chirurgia, deprecando che questa fosse affidata a empirici, e pare sia stato il primo a suturare un nervo reciso. Lanfranco da Milano dimostra nelle sue opere molto sereno buon senso, limitando, per es., la trapanazione del cranio alle ferite con infossamento, e descrive i metodi di sutura dei nervi e dell'intestino. Mancano però gli elementi per giudicare quali potessero essere allora i risultati di tali interventi.

Enrico di Mondeville, uno dei più notevoli rappresentanti della chirurgia francese dell'epoca, fu allievo di frate Teodorico da Lucca e propugnò le idee del suo maestro, volte specialmente a evitare la suppurazione delle ferite, che allora si credeva, secondo Galeno, indispensabile alla cicatrizzazione. Di poco posteriore è l'opera di Guy de Chauliac, al quale si deve il trattamento delle fratture mettendo l'arto in un'amaca, e, per quelle del femore, applicando un'estensione continua a pesi. Tale metodo però, già noto in passato, fu dimenticato dai traumatologi posteriori e riscoperto solo nel secolo scorso.

Un progresso decisivo nella traumatologia si ebbe nel Rinascimento quando da un lato si ricercarono testi antichi per lunghi anni caduti nell'oblio e dall'altro si rinnegò la cieca fiducia in testi che nel Medioevo erano considerati infallibili. Tipico l'esempio dell'ugonotto Ambrogio Paré, barbiere-chirurgo, categoria disprezzata dai chirurghi scientifici, il quale fiorì nel sec. XVI. Senza conoscere il latino, Paré acquistò una larga esperienza clinica all'Hôtel-Dieu, dove approfondì anche gli studî anatomici, e nei suoi libri, che per il primo scrisse in francese, raccolse un'enorme quantità di osservazioni cliniche e di prescrizioni terapeutiche originali. Sulle fratture e sulle lussazioni, a dire il vero, i suoi libri riportano antichi concetti e preconcetti, ma pare che in gran parte gli errori e la piatta copia di testi antichi sia opera dei suoi collaboratori. Dove l'impronta di Paré si rivela realmente geniale è nella trattazione delle ferite da archibugio, delle quali l'autore aveva particolare esperienza. Queste ferite erano ai suoi tempi considerate velenose e si trattavano col ferro rovente e l'olio bollente. Paré preconizzò un trattamento più razionale cioè lo sbrigliamento della ferita col bisturi, che egli rimise in onore, l'estrazione del proiettile con apposita pinza e quindi drenaggio. Paré ideò e costruì anche razionali apparecchi di protesi. Sulle ferite d'arma da fuoco, quasi contemporaneamente al Paré, ma indipendentemente da lui, in Italia sostenne le stesse idee Bartolomeo Maggi, opponendosi a Giovanni Vigo, il quale, convinto della tossicità delle palle d'archibugio, era fautore della cauterizzazione. Un vero precursore del trattamento moderno delle ferite si deve considerare Cesare Magati da Scandiano, il quale nel suo volume De rara medicatione vulnerum raccomanda di evitare le medicazioni complicate e frequenti che disturbano il processo naturale di guarigione.

Col Rinascimento migliorarono anche le condizioni della medicina militare, che erano fino allora miserevoli; basti ricordare che negli eserciti germanici il Wundarzt faceva anche da giustiziere! Sotto Massimiliano II s'istituì una specie di cassa mutua tra i lanzichenecchi i quali cedevano una percentuale del loro stipendio per il mantenimento dei feriti, che venivano affidati alle popolazioni civili. Ma l'assistenza ai traumatizzati di guerra fu definitivamente organizzata sotto il regno del grande elettore di Prussia per merito di M. G. Purman (1648-1721), valente chirurgo, il quale creò il corpo di sanità militare.

I primi ospedali "volanti" da campo furono istituiti in Piemonte da Vittorio Amedeo II nel 1701 e in Prussia da Federico I nel 1704. In Francia H. Ravaton (1750) nel suo trattato dettava le norme per la sutura immediata delle ferite, le cui indicazioni e controindicazioni erano già state poste da Pietro d'Argillata (morto nel 1423), professore a Bologna. Tale metodo forma la base del moderno trattamento delle ferite, ma il suo successo dipende dal precoce intervento e dalla perfetta exeresi di tutte le parti lese (M. Donati). Nella seconda metà del sec. XVIII fece dappertutto grandi progressi l'assistenza ai traumatizzati di guerra: Giovanni Alessandro Brambilla da Pavia creò l'accademia di medicina militare di Vienna, e all'assistenza delle armate napoleoniche provvidero dapprima Pietro Desault e in seguito Giovanni Domenico Larrey, creatore delle ambulanze chirurgiche mobili. Suo collaboratore fu P. F. Percy, al quale si deve il nobile concetto che qualunque ferito deve essere curato dal medico militare, anche se appartiene all'armata nemica. Il napoletano Paolo Assalini preconizzò il trattamento scoperto delle ferite al sole e la lavatura continua con soluzioni ipertoniche, usando in luogo delle filacce stoppa di lino bollita in una soluzione alcalina. Nel frattempo in Inghilterra Percival Pott (1759-1840) e Benjamin Bell perfezionavano il trattamento delle fratture; è di quest'epoca l'introduzione della trazione continua per la riduzione e la contenzione delle fratture con arti disposti in semiflessione sul piano inclinato (J. Sauter, 1812).

Nella prima metà del sec. XIX, epoca delle grandi conquiste nel campo dell'anatomia, per quanto gl'interventi fossero condotti con metodi rigorosamente anatomici e con tecnica molto perfezionata, la mortalità per traumi fu altissima: l'assiduità dei chirurghi nelle sale di dissezione, mancando allora le nozioni sulle cause dell'infezione e sulle norme per evitarla, faceva sì che essi stessi portassero l'infezione nelle ferite, e il timore di complicazioni settiche mortali induceva ad amputare con estrema frequenza. Inoltre per prevenire la cosiddetta "infiammazione locale", secondo l'imperante dottrina di F. Broussais, si purgavano e salassavano i traumatizzati, coprendo le ferite di pomate e cataplasmi, i quali diminuivano le difese naturali dell'organismo ed erano responsabili spesso di complicazioni mortali.

Una nuova era della chirurgia s'iniziò verso la metà del secolo con la scoperta degli anestetici (C. W. Long) e l'introduzione del metodo antisettico (J. Lister); non minore importanza ebbe per la traumatologia l'impiego del bendaggio gessato (A. Mathysen, 1851). Anche l'esercito russo ebbe in quest'epoca un'organizzazione sanitaria per merito di N. Pirogov, noto per il suo metodo di amputazione osteoplastica. Intanto la convenzione di Ginevra del 1864 istituì la Croce Rossa. Nel 1863-65, durante la guerra di secessione degli Stati Uniti, Elisa Harris organizzò e diresse i primi treni per il trasporto dei feriti.

La traumatologia fece un decisivo progresso per la scoperta di J. W. Röntgen dei raggi X (1895) e per la geniale idea di A. Codivilla della trazione direttamente applicata sull'osso (1902).

Durante la guerra mondiale l'organizzazione sanitaria, quale era stata prevista dai diversi stati maggiori degli eserciti belligeranti, si dimostrò subito insufficiente dinnanzi all'enorme numero di feriti, prevalentemente da schegge dovute al largo impiego di artiglierie pesanti, che portarono dal 15% (guerra russo-giapponese) al 70% il numero dei feriti da proiettili di artiglieria. Le manchevolezze si dimostrarono gravi specialmente per la cura dei grandi traumatizzati degli arti, che non potevano sopportare senza danno lunghi viaggi. Così tanto gl'Inglesi quanto gli Americani istituirono per merito di R. Jones (1859-1933), che provvide alla dotazione di dispositivi pratici per l'immobilizzazione degli arti lesi, grandi centri di raccolta e di cura dei feriti sul territorio francese. In guerra non basta poter disporre di valenti chirurghi, ma occorre che questi siano pratici della speciale tecnica traumatologica, e che sia provveduto al rapido trasporto del ferito in luogo dove il chirurgo abbia tutti i mezzi per poterlo curare; a tale scopo, specie nelle guerre coloniali, il trasporto per via aerea trova sempre maggiore impiego. Nella guerra italo-etiopica fu reso così possibile accentrare nell'ambulanza chirurgica diretta da R. Paolucci i feriti più gravi e migliorare quelle condizioni di pronto intervento, che erano state già sperimentate con successo nella guerra mondiale negli ospedali chirurgici mobili istituiti per merito di B. Rossi, R. Alessandri, ecc. Inoltre nelle scuole di applicazione di sanità militare (Firenze per l'Italia, Val-de-Grâce per la Francia, la Kaiser Wilhelm-Akademie per la Germania, ecc.), oltre a impartire nozioni particolari d'igiene militare, si completano appunto le cognizioni traumatologiche dei giovani medici, poiché dalla prima medicazione dipende molto spesso la sorte del ferito.

Ma l'organizzazione, tanto importante in guerra, non lo è meno in tempo di pace, specialmente da quando lo sviluppo delle industrie e del traffico ha moltiplicato gl'infortunî e reso necessaria l'istituzione di particolari reparti ospedalieri per la cura delle lesioni violente. L'assicurazione contro gl'infortunî sul lavoro, istituita in Italia nel 1883 ha reso il problema della cura degl'infortunati d'importanza nazionale, dal punto di vista tanto economico quanto sociale. Allo scopo di provvedervi, si sono dapprima istituiti reparti prevalentemente meccanoterapici per la cura dei postumi delle lesioni, valendosi dei sistemi Zander, dei massaggi, e delle cure fisiche, per mezzo delle quali è possibile migliorare le condizioni dei traumatizzati e ridurre l'entità dei postumi indennizzabili. In seguito però s'è compreso che l'ideale sarebbe poter curare convenientemente sin dall'inizio gl'infortunati, potendosi così molte volte ottenere una restitutio ad integrum completa, e senza ridurre la diminuzione della capacità lavorativa. A questo scopo, sono soprattutto gli enti assicuratori, interessati alla guarigione totalitaria dei traumatizzati, che tendono all'istituzione di ospedali nei quali la cura è affidata a personale specializzato. In questi ospedali si provvede anzitutto che la cura sia immediata, evitandosi così che il ferito sia sottoposto a preventive medicazioni inappropriate; inoltre si ricorre immediatamente all'indagine radiologica, si cura che l'assistenza medica sia adeguata al numero dei degenti, e che siano a disposizione tutti i mezzi per cure fisiche e per la rieducazione funzionale dei traumatizzati. A questo scopo in Germania e in Austria esistono da molti anni ospedali traumatologici situati nei centri industriali più importanti (Bochum, Fischbachtal, Vienna, Graz, ecc.), mentre in America invece i grandi ospedali dispongono di reparti autonomi specializzati. L'attività di questi ospedali e reparti traumatologici ha dimostrato che le spese di allestimento e di esercizio sono largamente compensate dalla diminuzione degl'indennizzi liquidati. In un solo anno (1929) l'ospedale di Vienna diretto da L. Böhler con l'economia realizzata sulle guarigioni ottenute in soli 124 casi di frattura poté coprire tutte le spese di cura di complessivi 6124 infortunati.

Anche in Italia si tende ora a istituire qualche ospedale specializzato, come per es., a Bologna, dove l'ospedale B. Mussolini funziona egregiamente da alcuni anni, e a utilizzare qualche reparto ospedaliero per la cura dei soli traumatizzati. È necessario per questo che si renda evidente che il beneficio dell'ammalato è in ultima analisi un grande utile per l'economia nazionale, e anche per l'economia dell'ente ospedaliero stesso, perché quando la cura è fatta razionalmente e si dispone di un personale subalterno addestrato nell'assistenza degl'infortunati, la degenza può essere più breve e la spesa globale minore, come dimostrano ormai numerose statistiche.

Alla cura specialistica s'oppongono però dappertutto ostacoli, generalmente derivati dal timore che la traumatologia venga avulsa dalla chirurgia generale. Al contrario, la traumatologia, come l'ortopedia, con la quale ha stretti rapporti, è un ramo della chirurgia e richiede quindi nei suoi cultori una preparazione generale chirurgica. Infatti tutti i progressi effettuati dalla traumatologia in quest'ultimo secolo sono dovuti a chirurghi che si sono particolarmente dedicati alla patologia dell'apparato locomotore.

Bibl.: Tra i giornali che si occupano di traumatologia è bene ricordare: in Italia, La chirurgia degli organi in movimento; l'Archivio di ortopedia; l'Ortopedia e traumatologia dell'apparato motore; l'Infortunistica e traumatologia del lavoro; in Germania, l'Archiv für Orthopädie und ihre Grenzgebiete; la Monatschrift für Unfallheilkunde und Versicherungsmedizin; l'Archiv für orthopädische und Unfall-Chirurgie; in Francia, la Revue d'Orthopédie et de Chirurgie de l'appareil moteur; in America, il Journal of Bone and Joint Surgery; in Spagna, l'Arquivos de cirurgía y ortopedía; in Brasile, la Revista de ortopedia e traumatologia; nell'Avana, la Cirurgía ortopédica y traumatológica; nel Belgio, il Bulletin de la Société Belge d'Orthopédie; in Svizzera, la Schweizerische Zeitschrift für Unfallmedizin und Berufskrankheiten; in Cecoslovacchia, il Slovanský sborník ortopediky; in Polonia, la Chirurgia narządów ruchu i ortopedja polska;in Danimarca e Svezia, gli Acta orthopaedica scandinavica; in Russia, l'Ortop. i Travmat; ecc.

Dei trattati in lingua italiana, ricordiamo quello di G. Lusena; in lingua tedesca i trattati di L. Böhler, H. Matti, F. König e G. Magnus; in lingua francese quello di J. Tanton; in lingua inglese i trattati di K. Speed, J. A. Key e H. E. Conwell, ecc.

Sulla storia della traumatologia, v.: P. V. Renouard, Histoire de la médecine depuis son origine jusqu'au XIXme siècle, Parigi 1846; A. Corradi, Della chirurgia in Italia dagli ultimi anni del secolo scorso fino al presente, Bologna 1870; J. Rochard, Histoire de la chirurgie française au XIXme siècle, Parigi 1875; R. Kuettner, Entwicklung und Fortschritte der Chirurgie, Jena 1909; P. Lecène, L'évolution de la chirurgie, Parigi 1923; C. Brunner, Handbuch der Wundbehandlung, Stoccarda 1926; W. von Brunn, Kurze Geschichte der Chirurgie, Berlino 1928; D. Giordano, Scritti e discorsi pertinenti alla storia della medicina, Milano 1930; E. Ettorre, Relazione al 24° Congresso della Società italiana di ortopedia, 1933; A. Castiglioni, Storia della medicina, Milano 1935; V. Putti, Per i fratturati in pace e in guerra, Bologna 1936.