TRIFORA

Enciclopedia Italiana (1937)

TRIFORA

Veniero Colasanti

. Si chiama trifora la finestra di un edificio, esterna o interna, a tre luci, risultanti da due regoli o pilastri o colonnine, che ne dividono in tre parti lo spazio compreso tra gli stipiti. È la seconda della serie delle plurifore che l'antichità ha tutte conosciute e largamente impiegate, come hanno dimostrato gli scavi di Delo (casa del Tridente, del Delfino, del Diadumeno, ecc.), e, anche meglio, quelli di Via dell'Abbondanza in Pompei. È quindi errato attribuire al Medioevo l'uso di tali plurifore. Il romanico, meglio neolatino, continuando la tradizione (si ricordino le trifore ravennati di S. Vitale) le predilesse e tramandò al gotico, l'uno e l'altro sostituendo sulle tre luci all'architrave i tre archetti: a tutto sesto il romanico, acuti il gotico, or sì or no inclusi e unificati da un solo arco soprastante operato nel pieno della parete. Le trifore sono frequentissime: a) nei campanili: esempio bellissimo, tra i molti di Roma - S. Cecilia, S. Giorgio in Velabro, S. Maria in Trastevere, S. Crisogono, ecc. -, quello di S. Maria in Cosmedin, con trifore ad archi su pilastrini e colonnine in cinque dei suoi piani, e unico quello del duomo di Siena, in cui la trifora tiene il suo terzo posto tra le plurifore che salgono con i diversi piani dalla monofora alla esafora; b) nelle chiese, sia nelle facciate e nei fianchi (romaniche come nel duomo di Parma senza arco superiore, o in quello di Modena a trifore con archi superiori, nella facciata come nel campanile, in quello di Ferrara che ha trifore romaniche nei lati, gotiche nel fronte, o in S. Maria della Spina in Pisa che ha trifore gotiche accanto a quadrifore), sia negl'interni (come la serie delle trifore arcuate romaniche del grandioso matroneo di S. Nicola in Bari, o la superba trifora nel chiostro dell'abbazia di Chiaravalle d'Arda, ecc.); c) in edifici pubblici (come le belle trifore romaniche del Broletto di Milano o quelle del Palazzo comunale di Bergamo, romaniche nella parte postica, archiacute nel fronte, intramezzate da una trifora centrale cinquecentesca) e privati (come, nella sola Siena, i palazzi Salimbeni, Buonsignori, Saracini, tutti con trifore archiacute in facciata). Particolari e ornati (trilobi, occhi, rosoni racchiusi in archetti e nell'arco sovrastante) si accompagnano a esse, seguendo naturalmente gli stili e i caratteri regionali decorativi degli edifici (così, ad esempio, quella veneziana della Porta della Carta, quella grandiosa del palazzo Chiaramonti in Palermo, quella del palazzo Vitelleschi in Tarquinia, ad archetti romanici e con rosone in arco acuto). V. bifora. V. tavv. LIII e LIV.

Bibl.: Th. Homolle, G. Fougères, ecc., La Grèce, Parigi 1908; Notizie degli scavi, 1911-23 seg.; E. Bertaux, L'art dans l'Italie Méridionale, Parigi 1904; G. T. Rivoira, Le origini della architettura lombarda, voll. 2, Roma 1901-07; 2a ed., ivi 1908; A. Colasanti, L'arte bizantina in Italia, Milano 1923.

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