TROPAEUM TRAIANI

Enciclopedia dell' Arte Antica (1997)

Vedi TROPAEUM TRAIANI dell'anno: 1966 - 1973 - 1997

TROPAEUM TRAIANI (v. vol. VII, p. 1022 e s 1970, p. 871)

L. Bianchi

Nel 1977 la Direzione dei Monumenti ha portato a termine una serie d'iniziative, non tutte facilmente condivisibili, per il restauro del trofeo di Traiano e la conservazione del suo apparato scultoreo. La serie completa delle sculture, già da parecchi anni riportate in situ da Bucarest, è stata esposta in un museo appositamente costruito; il rudere è invece scomparso sotto un rifacimento moderno, completo di paramento e copie di tutti gli elementi decorativi e figurati, che riproduce l'aspetto presunto del monumento basandosi su un'ipotesi ricostruttiva di R. Florescu. Con questa soluzione di compromesso fra la reale esigenza di sottrarre gli originali agli inconvenienti di un'esposizione all'aperto e l'ambizione di riavere il monumento «completo», è stata data una parvenza di realizzazione al sogno del restauro ricostruttivo, già accarezzato da Tocilescu al tempo dei primi scavi, ma sfumato ben presto davanti alle insormontabili difficoltà dell'impresa.

La decisione di trasformare il trofeo in un colossale falso non ha ottenuto comunque il consenso unanime della cultura romena. Contrario si era dichiarato fra gli altri lo storico R. Vulpe, che aveva raccomandato di limitarsi ai necessari lavori di consolidamento, sottolineando come le persistenti incertezze sull'aspetto originario del trofeo rendessero impraticabile qualunque intervento di altro tipo.

Sul versante della ricerca, il contributo di R. Florescu si è molto allontanato dalle precedenti proposte ricostruttive, nel tentativo di definire un sistema di rapporti modulari impostato su un ritmo di 3x2. Il modulo è stato riconosciuto nella misura dell'interasse fra i pilastrini, equivalente a c.a 30 piedi romani. Un particolare sorprendente di questa ricostruzione è la collocazione del triplice fregio: non sotto la cornice, ma a metà del tamburo, secondo un'ipotesi già suggerita da G. Picard e che si sarebbe rivelata esatta a un esame attento della superficie del nucleo cementizio. Altri elementi nuovi risultano: l'inclinazione del tetto a 45°; il fregio d'armi spostato da sotto a sopra le modanature del coronamento; il numero ipotetico dei merli portato da ventisei a ventisette; l'ordine delle metope, raggruppate in sei scene di nove rilievi ciascuna, con l'immagine dell'imperatore ricorrente sul pezzo centrale, e l'inizio della lettura ruotato da N a S. Il fregio è stato così subordinato (ma a prezzo di forzature insostenibili) ai principi di assialità e bipartizione simmetrica, che indizi più concreti fanno ritenere effettivamente applicati allá sintassi decorativo-architettonica (doppia iscrizione e conseguente vincolo della mole cilindrica a due facciate, due vedute frontali della corazza del coronamento plastico, direttrici contrapposte del fregio vegetale, con due girali nascenti da un cantaro e assializzazione del parapetto, mediante il motivo centralizzato del barbaro legato alla palma). Nella tematica del fregio figurato Florescu ha riconosciuto le fasi conclusive della campagna mesica, fino all'ipotetica vittoria romana di Adamclisi (v. vol. VII, p. 1024), nella stessa successione in cui sono rievocate sulla Colonna Traiana dalla scena XXXVII alla XLIV.

La ricostruzione di R. Florescu è stata aspramente criticata da Sâmpetru, che ha ridefinito la trama modulare, con un sistema combinato di proporzioni aritmetiche e proporzioni geometriche, corretto l'inclinazione del tetto, ridotto nuovamente a ventisei il numero dei merli e ridato al fregio la sua collocazione normale. Ha poi riordinato ancora una volta le metope, ma senza nessuna ricerca di logica compositiva e mantenendo l'errato principio della suddivisione in sei scene, meccanicamente centralizzate sulla figura dell'imperatore.

Si rendono ormai necessarie una nuova ricostruzione ideale e qualche precisazione interpretativa. È certo che nel 101-102 la Moesia Inferior venne invasa da Daci e Sarmati (non nuovi a queste incursioni), oltre che da Germani dei Carpazi o del basso Danubio, ma lo svolgimento dei fatti rimane oscuro. Non è provato che presso Adamclisi i Romani abbiano riportato una vittoria decisiva su queste forze coalizzate; tanto più che i grandi trofei non sono necessariamente eretti sui campi di battaglia, né in memoria di un singolo avvenimento militare (v. trofeo e fregio d'armi). La scelta del luogo viene decisa in base ad altre considerazioni, evidenti anche nel caso degli analoghi trofei turriformi dei Pirenei e delle Alpi: edifici che sanciscono con un'espressione monumentale imponente la cessazione definitiva delle ostilità, in un punto indicato come limite e in posizione dominante, tale da renderli ben visibili a grande distanza. Più che essere una riprova dell'importanza della battaglia di Adamclisi, il monumento potrebbe indicare che l'area interessata dalle guerre daciche si è estesa all'incirca fin qui, molto più a E del suo epicentro. Come aveva già intuito G. Picard, l'idea del «termine» materiale e morale, inerente al monumento tropaico, può essere stata associata alla sicurezza del basso Danubio, e soprattutto delle vicine città del Ponto Sinistro, in omaggio al tradizionale atteggiamento romano di protezione delle minoranze greche. Se il programma figurativo risulta effettivamente elaborato tenendo presenti le ripercussioni locali del conflitto, più che le guerre daciche nell'insieme, è perché le prime si prestavano a un'interpretazione generalizzata, consona all'accezione del trofeo monumentale. Se in questo programma i barbari di tipo non dacico assumono tanto risalto, non è necessariamente per l'importanza del loro ruolo in una determinata battaglia, ma per dare forma all'idea della pacificazione generale, che con la conclusione delle guerre daciche si riteneva realizzata. Il monumento si riallaccia al Tropaeum Alpium, non solo come tipologia ma anche sul piano ideologico: Traiano aveva portato a compimento l'organizzazione del limes danubiano progettata da Augusto; e così come la sottomissione delle tribù alpine aveva garantito la sicurezza dei confini dell'Italia, l'annientamento della potenza dei Daci, pericoloso polo di attrazione dei popoli confinanti, e l'antemurale di una nuova provincia al di là del Danubio allontanavano per sempre la minaccia delle incursioni dalla Moesia Inferior.

Del fregio si deve ripristinare l'iniziodella lettura a N, verso il limes, essendo questa la «facciata» rituale individuata dall'altare antistante. Qui il racconto iniziava con una carica di cavalleria, amplificazione narrativa del gruppo del cavaliere che travolge il nemico (un tema associato ai trofei da una lunga tradizione); e qui si concludeva, con una dichiarazione di vittoria ostentatamente rivolta al barbaricum: una sfilata di prigionieri e rappresentanti di tutte le nazioni sottomesse (Daci, Germani e Sarmati). Malgrado l'impossibilità di precisare la posizione di ogni singolo pezzo, si distinguono diverse unità narrative in una successione complessivamente chiara. La carica di cavalleria è una celebrazione introduttiva della virtus imperiale, priva di reale contenuto storico; vengono quindi una marcia e un assalto di fanteria (preceduti da un consiglio di guerra), un lungo combattimento che prosegue fra boschi e alture, lo sterminio dei barbari sorpresi in un accampamento di carri (eventualmente lo stesso episodio della scena XXXVIII della Colonna Traiana), la submissio, l’adlocutio e la presentazione dei prigionieri all'imperatore. La trama, forse sviluppata dal nucleo storico della sola battaglia di Adamclisi (o di Nicopoli, a seconda delle interpretazioni) si può riassumere nel modo seguente: sopraffatti in una grande battaglia, i barbari ripiegano verso il loro naturale rifugio del bosco; poi vengono raggiunti nella fuga, o assaliti di sorpresa nel loro accampamento, e sterminati. Questa vicenda è stata adattata alla griglia tipica del rilievo storico romano, con la sua successione di profectio, battaglia campale, obsidio, submissio e adlocutio, prolungata però da un inizio e una conclusione non «storici»: da un lato l'esaltazione astratta della virtus imperiale, dall'altro l'allusione alla sicurezza dei confini, implicita nella sfilata immaginaria dei barbari di varie nazionalità. Che questi siano i cardini del programma ideologico è confermato dalla tematica del coronamento, dove i rappresentanti di tutte le gentes devictae figurano di nuovo sui merli del parapetto, mentre sulla corazza del trofeo ricompare la carica di cavalleria, associata a una profectio generica (altra formulazione dello stesso concetto).

La sintassi del fregio è un tentativo di conciliazione, in certo modo sperimentale, fra il principio della rappresentazione monoscenica e le convenzioni del racconto «continuo». Infatti i gruppi di combattenti su fondo neutro sono realizzati rispettando l'integrità della metopa come unità compositiva autosufficiente, mentre tutta una serie di motivi invita a una lettura di tipo continuo, non richiesta dalla successione metopale classica. In particolare le ripetute apparizioni dell'imperatore protagonista, gli elementi paesaggistici e ambientali che inscenano azioni prolungate oltre il campo visivo della singola metopa, i gruppi concatenati nelle grandi composizioni processionali con prigionieri e soldati (l'unitarietà delle quali non si fonda tanto sul sistema delle rispondenze e contrapposizioni ritmiche, ammissibile anche in un fregio dorico, quanto sull'evidente incompiutezza di ogni riquadro e sugli accorgimenti ottici che rimandano al successivo), la dosatura degli effetti drammatici, la dinamica stessa dell'azione, con un momento culminante nei combattimenti ambientati e un successivo rilassamento della tensione, che indugia sulla fine del conflitto e le sue conseguenze.

Sia la preoccupazione di storicizzare gli episodi-chiave del racconto con riconoscibili notazioni topografiche, sia i modi di scansione temporale escludono che l'insieme fosse concepito come semplice attualizzazione del tema ellenistico della vittoria sui «barbari», appena aggiornato dall'armamento contemporaneo e da qualche tocco etnografico (così ultimamente Vianu). Senza fondamento si sono rivelati anche i ripetuti tentativi d'identificare la morte di Decebalo nell'uno o nell'altro gruppo della carica di cavalleria (v. S 1970, p. 871).

Saggi di scavo recenti hanno definitivamente chiarito che l'altare-cenotafio e la tomba a tumulo, situati rispettivamente a N e a NE del trofeo, sono anteriori a quest'ultimo, ma non ne hanno precisato la datazione assoluta. Sâmpetru, autore dello scavo, li ritiene eretti a conclusione della prima guerra dacica (cioè poco dopo l'ipotetica battaglia di Adamclisi), supponendo però che in tale occasione sia stato pianificato l'intero complesso commemorativo, condotto a termine alcuni anni più tardi con la costruzione del monumento tropaico. In precedenza, un attento riesame delle fonti aveva invece portato Condurachi a riaffermare l'attribuzione del cenotafio all'epoca delle guerre domizianee. Va comunque ricordato che l'altare è un apprestamento fisso dei grandi trofei, funzionale a riti commemorativi periodici; perciò, se anche eretti al tempo di Domiziano, altare e tumulo venivano ad assumere una necessaria relazione con il monumento traianeo, delimitando lo spazio cerimoniale antistante.

Gli scavi nel centro urbano hanno precisato la cronologia delle mura, e rivelato alcuni edifici tardi presso la porta E: due horrea (?) e un grande fabbricato con piano superiore e corte centrale, adibito in parte ad abitazione. Il complesso si data fra il IV e il VI secolo.

Bibl.: G. Picard, Le trophée de Trajan à Adam Klissi, in RA, 1962, p. 91 ss. (sulla collocazione del fregio); R. Florescu, Noi date ¡i puñete de vedere cu privire la reconstituirea monumentul triumfal de la Adamclisi («Nuovi dati e punti di vista in relazione alla ricostruzione del monumento trionfale di Adamclisi»), in Monumente istorìce. Studi şi lucrări de restaurare, I, Bucarest 1964, p. 159 ss.; R. Vulpe, I. Barnea, Din istoria Dobrogiei («Sulla storia della Dobrugia»), II, Bucarest 1968, p. 97 ss. (contro le ipotesi di restauro ricostruttivo: n. 177, p. 103 s.); R. Florescu, Adamclisi, Bucarest 1973; M. Alexandrescu Vianu, Le programme iconographique du monument triomphal d'Adamclisi, in Dacia, XXIII, n. s., 1979, p. 122 ss.; R. Florescu, Decebal şi Traian («Decebalo e Traiano»), Bucarest 1980 (con qualche modifica all'ordine delle metope rispetto alla ricostruzione del 1964); L. Rossi, Rotocalchi di pietra, Milano 1981, pp. 108 s., 142 s., 183 ss.; M. Sâmpetru, Tropaeum Traiani, II. Monumentele romane («Tropaeum Traiani, II. I monumenti romani»), Bucarest 1984; id., In legatura cu trofeul lui Traiani («A proposito del Trofeo di Traiano»), in StCIstor, XXXVIII, 1987, p. 126 ss.; L. Bianchi, Adamclisi: il programma storico e iconografico del trofeo di Traiano, in SciAnt, II, 1988, p. 427 ss.; id., Il programma figurativo del trofeo di Adamclisi. Appunti per una nuova interpretazione, in StRom, XXXVIII, 1990, n. 1 ss. - Sull'altare: E. Condurachi, Din non cu privire la altarul funerar de la Tropaeum Traiani («Di nuovo sull'altare funerario di Tropaeum Traiani»), in Cercetări istorice, n. s., II, 1971, p. 129 ss.; M. Sâmpetru, Tropaeum Traiani, II, cit., p. 145 ss. - Sul centro urbano: I. Barnea (ed.), Tropaeum Traiani, I. Cetatea, Bucarest 1979.