TURCHIA

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

TURCHIA.

Edoardo Boria
Giulia Nunziante
Francesco Anghelone
Livio Sacchi
Rosita D'Amora

– Demografia e geografia economica. Condizioni economiche. Il progetto GAP. Bibliografia. Politica economica e finanziaria. Storia. Bibliografia. Architettura. Letteratura. Bibliografia. Cinema. Bibliografia

Turchia

Demografia e geografia economica di Edoardo Boria. – Stato dell’Asia sud-occidentale e, in piccola parte, dell’Europa sud-orientale. I dati demografici della T. evidenziano il passaggio a una nuova fase della transizione demografica, con tassi di fecondità e di mortalità in netta diminuzione rispetto ai valori dei primi anni del 21° secolo. Tuttavia, la popolazione (75.837.020 ab., secondo una stima UNDESA, United Nations Department of Economic and Social Affairs, del 2014) nel complesso cresceva pur se moderatamente (+1,12%) grazie all’aumento della speranza di vita (75,4 anni per le donne e 71,3 per gli uomini). Rimane inoltre molto giovane: il 42,3% ha meno di 24 anni, solo il 6,6% ne ha più di 65 (un terzo della media europea) e l’età mediana, cioè l’età che divide una popolazione in due parti numericamente uguali, registra che la metà dei turchi ha meno di 29 anni, facendone così il Paese più giovane di tutta Europa (in Italia, per fare un confronto, l’età mediana è di circa 43 anni). L’aumento della popolazione è però oggi molto lontano dai livelli degli ultimi decenni del Novecento, quando un Paese di meno di 30 milioni di abitanti (censimento del 1961) diventò una potenza demografica di oltre 70 milioni. Il tasso di fecondità è, come per tutti i Paesi sviluppati, declinante, come pure il rapporto di dipendenza giovanile. Nel complesso, si sta registrando un maggior peso della popolazione attiva rispetto a quella dipendente.

L’analisi demografica non può però non evidenziare la particolarità della popolazione curda di T., i cui tassi di fecondità, doppi rispetto al resto della popolazione del Paese, l’hanno fatta salire al 18,9% sul totale. Questo differenziale, già da solo, evidenzia il marcato contrasto strutturale tra i due gruppi etnici, sintomo di due regimi demografici diversi e due diverse fasi nel processo di transizione demografica. Naturalmente l’elemento etnico non può da solo spiegare comportamenti così diversi, ai quali contribuisce in modo decisivo l’arretratezza socioeconomica delle regioni abitate dai curdi. Tuttavia, rimane incontestabile l’argomento che il fattore demografico esercita già oggi, e presumibilmente ancora di più in futuro, un condizionamento sui rapporti di forza tra le due collettività e, inevitabilmente, anche sulla gestione politica delle rivendicazioni curde.

Condizioni economiche. – L’economia turca ha continuato a crescere a buon ritmo, risentendo meno di altri della crisi finanziaria internazionale. Secondo l’Eurostat, nel 2009 il suo PIL è aumentato più di ogni altro Paese europeo (9,2%), continuando quel costante processo di avvicinamento ai livelli continentali, da cui rimane però ancora lontano (la T. è ultima tra tutti i Paesi europei per reddito annuo pro capite). Negli anni successivi, il PIL ha continuato a crescere in modo sostenuto nel biennio 2010-11 per poi contrarsi lievemente. La robusta crescita economica della T. in questi ultimi anni ha attratto capitali stranieri destinati alla realizzazione di moderni impianti produttivi (tra questi si segnalano, in particolare, quelli di case automobilistiche europee in regime di joint venture). Tuttavia, nel complesso il valore degli investimenti stranieri non è elevato quanto ci si potrebbe attendere, sia per la difficile situazione economica sui mercati europei, sia perché la fiducia degli investitori è compromessa dall’instabilità geopolitica alle frontiere della Turchia.

L’intenso sviluppo infrastrutturale, pur se macchiato da scandali che hanno visto coinvolti uomini politici di spicco accusati di corruzione, ha portato alla realizzazione di importanti opere pubbliche, quali il tunnel ferroviario sotto il Bosforo (Marmaray), inaugurato il 29 ottobre 2013, e le dighe del progetto GAP (Great Anatolian Project; v. oltre). Inoltre, importanti realizzazioni infrastrutturali sono state condotte nel settore del trasporto degli idrocarburi, di cui la T. si conferma un nodo fondamentale della rete internazionale. Dopo l’apertura nel maggio 2006 dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan per collegare il Mar Caspio al Mediterraneo, nel luglio 2009 è stato firmato l’accordo per la realizzazione del gasdotto Nabucco dal Mar Caspio all’Europa. In prospettiva, importanza strategica riveste l’accordo firmato il 1° dicembre 2014 alla presenza del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e di quello russo Vladimir Putin per la costruzione di un gasdotto attraverso il Mar Nero. Gli interessi reciproci nel settore energetico hanno reso la T. il secondo acquirente di gas russo dopo la Germania e, inoltre, la Russia si è impegnata a fornire tecnici per la realizzazione della prima centrale nucleare turca di Akkuyu (presso Büyükeceli, nella T. meridionale).Indicativo del momento positivo che vive l’economia turca è l’inversione del saldo migratorio (+0,46‰): un Paese storicamente abituato a forti flussi in uscita è oggi divenuto una meta di flussi in entrata. La circostanza che in molti casi si tratta di transiti di migranti o profughi siriani destinati ad altri Paesi europei non invalida l’immagine complessiva di un Paese che negli ultimi anni ha guadagnato in termini di attrattività, sia per le imprese straniere sia per i migranti internazionali.

Rispetto a questo quadro economico complessivamente positivo occorre però evidenziare alcuni elementi di criticità: la disoccupazione giovanile, la condizione delle donne, le carenze del sistema della formazione e i crescenti divari sia tra regioni sia tra città e campagne. Il dato totale sulla disoccupazione (9,5% nel 2014) è in linea con quello di tanti altri Paesi (9,3%), ma a destare preoccupazioni è il tasso relativo alla popolazione più giovane; la disoccupazione giovanile raggiunge infatti il 24%, che in un Paese con una piramide delle età schiacciata verso il basso segnala l’incapacità di corrispondere alle aspettative lavorative delle nuove leve. Circa la condizione delle donne, va ammesso che, per un Paese che ha garantito loro il diritto di voto prima di quanto abbia fatto l’Italia (precisamente nel 1935, mentre da noi solo nel 1946), il ruolo nella società turca non ha fatto registrare negli anni recenti sostanziali passi in avanti, rimanendo penalizzato da un conservatorismo sociale che ne pregiudica il contributo alla crescita della società turca. Ciò si evidenzia, per es., nell’ancora limitato numero di donne in posizione di vertice nelle istituzioni pubbliche o nel basso tasso di partecipazione della forza lavoro femminile (circa la metà della media dei Paesi OCSE). La questione femminile non sembra attirare la necessaria attenzione da parte delle autorità, come dimostrano la carenza dei servizi per l’infanzia e la scarsa istruzione delle donne, il cui tasso di analfabetismo è del 9,7%, contro il 2,1% degli uomini. In tema di formazione, pur con un incremento recente dei tassi di scolarizzazione e dei fondi pubblici destinati al settore, gli sforzi appaiono ancora insufficienti: le classifiche internazionali relegano le giovani generazioni turche agli ultimi posti nel confronto con i loro coetanei dei Paesi avanzati, e l’intero sistema scolastico appare ancora improntato a metodi antiquati che privilegiano il conformismo, l’apprendimento meccanico e la deferenza verso l’autorità. In proposito, sono significativi del nuovo clima l’aumento di iscrizioni alle scuole religiose e le progressive abolizioni per le donne del divieto di indossare il velo nelle scuole e nelle università.

Per quanto riguarda gli squilibri territoriali, la T. è un Paese che si è andato urbanizzando molto rapidamente negli ultimi decenni, e la quota di popolazione rurale sul totale è drasticamente diminuita (28,5% nel 2011, contro 61,5% nel 1970). Nel 2013, su circa 76 milioni di abitanti, la sola İstanbul ne ospitava più di 11 milioni, che diventavano 14 considerando l’intera area metropolitana; la capitale, Ankara, 4,5 milioni circa e la città di Smirne, sulla costa egea, quasi 3. Il divario territoriale non è solo nei comportamenti demografici, ma nell’intero complesso delle statistiche sociali, che mostrano le aree rurali come meno prospere e meno istruite. La rapida urbanizzazione diviene dunque rappresentativa della crescita di un ceto medio che si configura come sostanzialmente urbano e che evidenzia mutamenti sociali di vasta portata. Non è un caso che la frattura tra aree urbane e aree rurali marchi sempre più anche la geografia elettorale della T., con le prime che si fanno portavoci delle istanze moderniste e laiche mentre le seconde fungono da bastioni dei partiti più impegnati nella difesa dei costumi e dei valori tradizionali. Oltre alla frattura città-campagna, la geografia della T. è caratterizzata da profonde disparità regionali, con le aree dell’Anatolia sud-orientale in condizioni di netta arretratezza rispetto al resto del Paese: la distribuzione del reddito, i livelli di istruzione, i tassi di occupazione, la condizione delle donne, l’effettivo esercizio dei diritti civili, la qualità dei servizi pubblici e delle comunicazioni risultano in queste regioni ancora molto in ritardo.

Il progetto GAP. – Negli ultimi anni questo ambizioso e pluridecennale progetto di sviluppo delle regioni sud-occidentali della T. è proceduto con la messa in opera delle dighe di Garzan (attiva dal 2009, provincia di Batman) e Sırımtaş (dal 2013, provincia di Adıyaman). Al maggio 2013 le dighe completate erano 8 su 14 nel bacino dell’Eufrate e 4 su 8 in quello del Tigri. Il governo turco sembra determinato ad andare avanti con il progetto, ma le realizzazioni a ridosso dei confini con la Siria e con l’Irāq potrebbero subire interruzioni a causa della forte insicurezza nell’area, che rende queste opere un facile bersaglio per azioni militari e terroristiche. Tra le opere a rischio figurano le dighe di Çetintepe, Cizre e, soprattutto, quella di Ilısu, al confine tra le province di Mardin e Sirnak, una delle costruzioni tecnologicamente più impegnative dell’intero progetto, già al centro di controversie legate ai possibili danni arrecati al sito archeologico di Hasankeyf e all’evacuazione di 60.000 residenti. I lavori sono iniziati nel 2006, ma le polemiche sollevate da molte organizzazioni ambientali e umanitarie hanno indotto le società straniere partecipanti a sospendere la loro collaborazione al progetto.

Indicatori economico-sociali

Bibliografia: I. Koc, A. Hancioglu, A. Cavlin, Demographic differentials and demographic integration of Turkish and Kurdish populations in Turkey, «Population research and policy review», 2008, 27, 4, pp. 447-57; M. Ansaldo, Chi ha perso la Turchia, Torino 2011; A. Destro, I volti della Turchia. Come cambia un paese antico, Roma 2011; L. Nocera, La Turchia contemporanea. Dalla repubblica kemalista al governo AKP, Roma 2011; La Turchia nello spazio euro mediterraneo, a cura di E. Boria, S. Leonardi, C. Palagiano, Roma 2014.

Politica economica e finanziaria di Giulia Nunziante. – Il rigore fiscale e la politica monetaria prudente sostenuta da un istituto centrale indipendente hanno attivato, a metà del primo decennio del 21° sec., un circolo virtuoso di riduzione dell’inflazione, declino dei tassi di interesse e sostenuta crescita economica alimentata dalle spinte del settore privato. Adeguate riforme strutturali hanno accompagnato questo periodo: in particolare, nel settore bancario, la ricapitalizzazione delle banche e il rafforzamento del sistema di vigilanza e, in generale, la riforma fiscale e il programma di privatizzazioni che hanno riattivato il credito privato, attratto capitali dall’estero e promosso la competitività. Tuttavia, nel 2006 il deprezzamento della lira turca e alcuni shock dal lato dell’offerta hanno riattivato le pressioni sui prezzi. La crisi finanziaria e reale che si è abbattuta sui mercati internazionali e l’instabilità politica interna hanno determinato un brusco rallentamento della crescita fin dalla metà del 2008. A tale situazione le autorità hanno fatto fronte con una serie di misure di stimolo all’economia adottate dall’inizio del 2009 e che prevedevano l’estensione dei sussidi alla disoccupazione di breve periodo e alcune agevolazioni fiscali di natura temporanea per l’acquisto di automobili e di beni durevoli.

Evoluzione dei principali aggregati economicii

Tuttavia, a causa del rapido deterioramento dei conti pubblici, il governo ha adottato nella seconda metà dell’anno misure restrittive, quali l’aumento dell’accisa sui tabacchi e sui prodotti petroliferi, con l’intento di perseguire il consolidamento fiscale nel medio periodo. In questi anni, la politica monetaria espansiva è stata attuata con la riduzione dei tassi di interesse e l’immissione di liquidità nel sistema. A causa dell’afflusso incontrollato di capitali dall’estero e dell’apprezzamento del cambio, le autorità turche hanno introdotto nel 2010 misure non convenzionali per scoraggiare l’ingresso temporaneo di capitali e moderare la crescita del credito. Nel 2011, il nuovo governo ha adottato un programma volto a salvaguardare la stabilità macroeconomica, promuovere la competitività, sostenere la crescita della produttività, incoraggiare lo sviluppo regionale e consolidare il quadro istituzionale. In particolare l’amministrazione si è adoperata per riformare nel 2012 il diritto commerciale, privatizzare la rete di distribuzione energetica ed espandere la produzione di energia da fonti rinnovabili e dal nucleare, incentivare gli investimenti in capitale umano e fisico. Per contrastare la disoccupazione e favorire l’emersione del lavoro irregolare, il governo ha agevolato il ricorso al lavoro part-time e a tempo determinato, contrastato il lavoro informale e promosso forme di partecipazione dei lavoratori all’impresa. In questo periodo la spesa pubblica è aumentata più velocemente della crescita economica determinando il deterioramento dei conti pubblici, mentre una politica monetaria opaca e inefficace nel controllo della pressione inflazionistica ha contribuito nel 2014 a un significativo indebolimento della valuta nazionale, erodendo la competitività delle imprese turche e disincentivando il risparmio privato.

Storia di Francesco Anghelone. – Nel 2007, la possibile candidatura alla presidenza della Repubblica di Recep Tayyip Erdoğan – premier del Paese e leader del partito islamico Adalet ve kalkınma partisi (AKP, Adalet ve Kalkınma Partisi, Partito per la giustizia e lo sviluppo) – provocò forti proteste nei settori laici della società. Per non esasperare le tensioni, Erdoğan decise quindi di candidare alla più alta carica dello Stato il ministro degli Esteri del proprio governo, Abdullah Gül.

I militari – che erano spesso intervenuti nella vita politica della Repubblica turca quali garanti della laicità dello Stato – si mostrarono preoccupati dalla possibilità che un membro dell’AKP venisse eletto alla presidenza del Paese. Alcuni di essi espressero la propria contrarietà pubblicando su Internet un memorandum nel quale, oltre a disapprovare le politiche del partito al governo, dichiararono di essere pronti a intervenire qualora un candidato loro sgradito, quale Gül era, fosse stato eletto presidente.

La loro presa di posizione, definita ‘golpe elettronico’ e criticata anche dall’Unione Europea, non fece tuttavia desistere il premier turco dai suoi propositi: nel voto parlamentare per l’elezione del presidente, Gül ottenne la maggioranza, ma la decisione del Cumhuriyet halk partisi (CHP, Partito repubblicano del popolo) di non partecipare alle votazioni impedì il raggiungimento del quorum. Il 1° maggio, la Corte costituzionale accolse la tesi del CHP, secondo cui era necessaria la presenza dei due terzi dell’Assemblea (367 deputati) per rendere valido il voto, e annullò gli esiti delle elezioni. In risposta alla situazione di stallo politico venutasi a creare, il premier Erdoğan decise di ricorrere a elezioni anticipate, che si tennero il 22 luglio 2007. Il voto vide la netta vittoria dell’AKP con il 46,58% (341 seggi), seguito dal CHP con il 20,88% (112 seggi), e dal Milliyetçi hareket par-tisi (MHP, Partito del movimento nazionalista) con il 14,27% (71 seggi). L’ampia maggioranza parlamentare conquistata permise quindi all’AKP di eleggere Gül alla presidenza della Repubblica nell’agosto successivo.

Nel corso del 2007, le tensioni tra il partito islamico al potere e gli oppositori laici crebbero ulteriormente: la scoperta di un presunto complotto (noto come caso Ergenekon) teso a rovesciare il governo in carica portò, infatti, all’arresto di centinaia di esponenti degli ambienti nazionalisti. Tra essi vi erano anche alti ufficiali delle Forze armate, alcuni dei quali furono condannati nel 2012 a 20 anni con l’accusa di cospirazione contro il governo.

Nel febbraio 2008, l’approvazione parlamentare di un emendamento alla Costituzione, con cui veniva eliminato il divieto di indossare il velo nei campus universitari, contribuì a inasprire le tensioni con le forze laiche del Paese che accusarono l’AKP di portare avanti un’agenda politica segreta tendente all’islamizzazione della Turchia. La Corte costituzionale, tradizionale baluardo del laicismo turco, cancellò nel successivo mese di giugno il criticato emendamento, mentre a marzo aveva deciso all’unanimità di valutare la richiesta di interdire l’AKP e il bando per 5 anni dalla vita pubblica di Erdoğan e di altri esponenti del suo partito. A luglio, la richiesta fu rigettata.

Nel settembre del 2010, il Parlamento turco approvò altri 26 emendamenti alla Costituzione, fortemente sostenuti dal governo. Gli emendamenti avevano principalmente lo scopo di allineare la T. alla UE nel campo della tutela dei di ritti umani, al fine di favorire l’ingresso del Paese nell’Unione. Alcuni di essi limitarono in modo deciso i poteri di iniziativa politica dei militari, costringendoli, per es., a sottoporsi al giudizio di una corte civile nel caso in cui fossero stati accusati di crimini contro lo Stato o l’ordine costituzionale. Altre misure approvate prevedevano l’aumento dell’influenza del presidente e del Parlamento nella nomina dei giudici. Apprezzate all’estero, le riforme furono fortemente criticate dalle opposizioni turche, che accusarono il premier di voler esercitare un controllo diretto sui militari e sul potere giudiziario, con i quali in passato il governo si era più volte scontrato.

L’AKP si presentò quindi alle elezioni del 2011 chiedendo un chiaro mandato per cambiare la Costituzione esistente. Il partito di Erdoğan ottenne il 49,83% (327 seggi), il CHP il 25,98% (135 seggi), mentre l’MHP il 13,01% (53 seggi); la netta vittoria non consentì comunque all’AKP di ottenere la maggioranza parlamentare dei due terzi utile a riscrivere autonomamente la Costituzione.

Nonostante l’affermazione elettorale, l’AKP continuò ad affrontare una forte opposizione interna, soprattutto da parte delle forze laiche. La situazione parve degenerare nel giugno del 2013, quando la decisione di costruire un centro commerciale al posto del parco di Gezi accanto a piazza Taksim nel centro di İstanbul causò forti proteste nella città che si diffusero ben presto in tutto il Paese. I dimostranti, che per giorni si scontrarono con le forze di polizia, in realtà protestavano anche per denunciare le forti diseguaglianze economiche nel Paese, l’autoritarismo del governo e il conservatorismo religioso dei suoi esponenti.

Nonostante le manifestazioni e l’ipotesi di un contraccolpo elettorale, l’AKP si confermò ampiamente prima forza politica nelle elezioni amministrative del marzo 2014.

Nell’agosto dello stesso anno i turchi, per la prima volta nella loro storia, furono poi chiamati a eleggere direttamente il presidente della Repubblica. Nelle consultazioni, Erdoğan ottenne un nuovo grande successo, aggiudicandosi la vittoria al primo turno con il 51,8% delle preferenze. Alla guida del governo e del partito gli succedette il ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu, essendosi nel frattempo pro-dotta una rottura politica con l’ex presidente Gül.

Alle successive elezioni politiche, svoltesi nel giugno 2015, l’AKP rimase la maggiore forza politica turca (40,87% dei voti e 258 seggi), ma per la prima volta dalle elezioni del 2002 non conquistò la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Seguirono il CHP con il 24,95% dei voti (132 seggi), l’MHP con il 16, 29% (80 seggi), e il partito di sinistra filocurdo, l’Halkların demokratik partisi (HDP, Partito democratico del popolo) presentatosi per la prima volta alle elezioni, che con il 13,12% dei voti (80 seggi) superò l’elevata soglia di sbarramento del 10% che aveva in precedenza impedito l’ingresso in Parlamento di partiti curdi.

Il successo dell’HDP si registrò in una fase molto delicata dei rapporti tra il governo turco e la comunità curda. Il dialogo avviato con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) era stato interrotto nel 2007, quando il Parlamento di Ankara aveva approvato una campagna militare di un anno contro obiettivi del PKK ai confini con l’Irāq, a seguito della quale vi furono diversi raid aerei e incursioni di terra da parte delle forze armate turche. Nel 2009 erano stati avviati nuovi contatti segreti tra le parti per arrivare a una tregua che però, durata sino alla fine del 2011, non produsse alcun risultato concreto.

Abdullah Öcalan

Un nuovo round di negoziati venne annunciato nel dicembre del 2012 e sembrò arrivare a risultati positivi nel corso del 2013, quando anche il leader del PKK, Abdullah Öcalan, condannato a morte nel 1999, pena commutata nel 2002 in ergastolo e da allora unico detenuto nel carcere turco sull’isola di İmralı, si espresse a favore di un cessate il fuoco tra le parti. Ciononostante i rapporti tra il governo di Ankara e la comunità curda restarono tesi nel corso degli anni successivi.

Negli anni al governo l’AKP, oltre a cambiare profondamente il volto della T. sul piano interno, contribuì a ridisegnare le linee degli orientamenti internazionali del Paese. Mentre il processo di adesione all’Unione Europea registrava forti rallentamenti, Ankara sviluppò una politica estera sempre più autonoma, in gran parte fondata sulle idee contenute in un volume di successo, pubblicato nel 2001, di Ahmet Davutoğlu – ministro degli Esteri dal 2009 al 2014 – dal titolo Stratejik Darinlik (Profondità strategica), prevedendo l’espansione dell’influenza regionale della T. in tutte le aree un tempo parte dell’Impero ottomano (ragione per cui tale politica fu anche definita neo-ottomanesimo). Tale impostazione, tra le altre cose, portò Ankara a schierarsi con maggiore forza in difesa della causa palestinese, con un conseguente peggioramento dei rapporti con Israele che toccarono il loro punto più basso nel 2010. Quell’anno, infatti, attivisti filopalestinesi imbarcati su alcune navi, la cosiddetta Freedom Flotilla, tentarono di violare il blocco di Gaza provocando l’intervento delle forze navali israeliane. Su una delle navi, la Mavi Marmara, i violenti scontri con le forze speciali israeliane portarono alla morte di nove attivisti, otto dei quali di nazionalità turca. L’incidente provocò la dura reazione di Ankara e compromise ulteriormente le relazioni con Israele.

La T. seguì con molta attenzione anche gli sviluppi determinati delle cosiddette primavere arabe, soprattutto in Siria. Allo scoppio della rivolta contro il regime di Baššār al-Asad Ankara tentò una mediazione, ma quando i negoziati fallirono decise di ospitare i leader delle opposizioni sul proprio territorio. Di fronte alla successiva affermazione dell’autoproclamato Stato islamico (v. IS) su parte del territorio della Siria e dell’Irāq, la T. tenne un atteggiamento ambiguo. Accusata da più parti di non fare abbastanza per contrastare l’autoproclamato califfato, Ankara decise di intervenire militarmente contro di esso nell’estate del 2015, all’indomani dell’attentato del 20 luglio nella città di Suruç che provocò oltre 30 vittime e fu rivendicato dall’IS. La T., che autorizzò anche l’utilizzo della sua base strategica di Incirlik da parte della coalizione anti-IS per colpire obiettivi jihadisti, approfittò tuttavia dell’occasione per attaccare, oltre alle posizioni dei radicalisti islamici, anche quelle dei curdi, impegnati militarmente contro l’IS. Tale scelta fu confermata dalla decisione di operare una vasta ondata di arresti sul territorio turco, che colpì sia i fondamentalisti islamici sia gli attivisti curdi, ponendo di fatto fine a ogni ipotesi di accordo tra il governo e la comunità. Anche i curdi considerarono definitivamente rotta la tregua e risposero ad Ankara, attaccando in particolare uomini delle forze di sicurezza turche. Accanto a tali sviluppi, si registrava l’impossibilità per l’AKP di formare un nuovo esecutivo, non essendo alcun partito disponibile a partecipare a un governo di coalizione. Il premier incaricato Davutoğlu rimise pertanto il suo mandato nelle mani del presidente Erdoğan, che convocò le elezioni per il novembre successivo. Il 10 ottobre 2015, il Paese fu scosso da un drammatico attentato nella capitale Ankara: in occasione di una manifestazione pacifista contro la ripresa del conflitto tra la T. e i curdi, due esplosioni nei pressi della stazione centrale provocarono oltre 100 vittime. Mentre il governo centrale accusava l’IS di essere responsabile del più sanguinoso attentato nella storia della T. moderna, l’Unione delle comunità curde puntava il dito contro l’AKP.

Bibliografia: E.J. Zürcher, Turkey. A modern history, London-New York 1993, 20043 (trad. it. Storia della Turchia. Dalla fine dell’Impero ottomano ai giorni nostri, Roma 2007); A.K. Özcan, Turkey’s Kurds: a theoretical analysis of the PKK and Abdullah Öcalan, Abingdon-New York 2006; H. Bozarslan, Histoire de la Turquie. De l’empire à nos jours, Paris 2013; A. Stein, Turkey’s new foreign policy: Davutoglu, the AKP and the pursuit of regional order, Abingdon 2014; Turkey’s rise as an emerging power, ed. P. Kubicek, E. Parlar Dal, H.T. Oğuzlu, Abingdon-New York 2014.

Architettura di Livio Sacchi. – Fra i Paesi in più rapida espansione dal punto di vista dell’industria delle costruzioni, la T. ha anche prodotto un considerevole numero di architetture di elevata qualità, non solo a İstanbul (v.), la sua maggiore e più vivace area metropolitana, ma anche ad Ankara, Smirne e in altri centri minori.

Levent Kanyon

Fra gli interventi più grandi e vistosi che hanno segnato la nuova scena urbana di İstanbul, si segnala il Levent Kanyon, realizzato dallo studio Tabanlıoğlu Architecture & Consulting nel 2006. Si tratta di un discusso quanto gigantesco complesso residenziale, commerciale e per uffici, che comprende, fra l’altro, una torre alta 27 piani. Particolarmente interessante appare l’opera di Emre Arolat, progettista che si è inizialmente segnalato con il Minicity Model park ad Antalya, realizzato nel 2004, e la fabbrica di filati Ipekyol a Edirne, completata nel 2006. Nel 2013 lo studio, in collaborazione con il citato gruppo Tabanlıoğlu Architects, ha completato a İstanbul l’imponente Zorlu Center, grande complesso polifunzionale che ospita, fra l’altro, uno dei maggiori centri per la danza della Turchia. Ancora a İstanbul si segnalano l’edificio Arkadia (2013), progettato dallo studio IND, Inter.National.Design e caratterizzato da una sobria facciata, e il piccolo e raffinato edificio residenziale in acciaio e laterizio NoXX Apart ments (2014), realizzato dallo studio CM Architecture nell’elegante quartiere di Beyoğlu. Interessanti sono anche alcune realizzazioni nel settore alberghiero: per es., il riuscito Maxx Royal Kemer hotel (2014) di Baraka Architects a Kemer o il Mi’Costa hotel residences (2103) di Uras X Dilekci Architects a Smirne.

Non lontano da quest’ultima città, a Torbali, si ricorda la cantina LA (2014), sobria fabbrica in cemento armato disegnata dal gruppo Kreatif Architects. Ad Ankara si segnala la nuova sede dell’associazione dei costruttori (2013) progettata dallo studio AVCI, caratterizzata da una serie di volumi sovrapposti, rivestiti con pannelli metallici. Fra le molte realizzazioni in ambito sportivo si segnala infine l’innovativo stadio municipale di Konya (2014), parzialmente coperto, opera dello studio Bahadir Kul Architects.

Letteratura di Rosita D'Amora. – Il conferimento del premio Nobel per la letteratura a Orhan Pamuk (n. 1952) nel 2006, la partecipazione della T. come Paese ospite alla Buchmesse di Francoforte nel 2008 e alla Book Fair di Londra nel 2013 e l’avvio, nel 2005, del TEDA, un progetto del governo turco volto a sovvenzionare la traduzione di opere artistiche e letterarie, hanno rilanciato e suggellato la grande vivacità e il ritrovato dinamismo della letteratura turca degli ultimi anni. Essa sembra essersi, almeno in parte, sottratta alla sua condizione di marginalità e la crescita esponenziale delle traduzioni rivela, non senza qualche contraddizione, il crescente interesse che le opere di autrici e autori turchi suscitano ormai anche all’estero.

Dopo circa due decenni di controversi dibattiti volti a promuovere un approccio più critico al kemalismo e alla prima storia repubblicana si è ulteriormente consolidata la tendenza a recuperare, attraverso il testo letterario, il rapporto con l’offuscata eredità ottomana e a esplorare le spinose vicende del passato turco più recente, offrendone nuove chiavi di lettura che intendono riflettere il ricco pluralismo identitario del Paese. Temi quali l’autoritarismo politico, il mancato riconoscimento dei diritti umani delle minoranze etniche, religiose e di genere, i conflitti tra la componente laica e quella islamica del Paese – rappresentata in primo luogo dall’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi, Partito per la giustizia e lo sviluppo), partito che dal 2002 domina la scena politica – l’annosa guerra tra l’esercito turco e i separatisti curdi, l’irrisolta tensione tra centro e periferia e, infine, le repentine trasformazioni e la dirompente gentrificazione dei centri urbani – e di İstanbul in particolare – con il suo corollario di povertà nascoste, alienazione ed emarginazione, sono entrati in maniera dirompente nelle trame dei romanzi. Autori già affermatisi nei decenni precedenti e nuovi scrittori emergenti osservano e narrano questa complessa situazione socioculturale per lo più attraverso il prisma di storie intime e individuali e ricorrendo a stili di scrittura molto eterogenei.

Tra gli autori già noti che continuano a ricevere consensi meritano una menzione particolare İhsan Oktay Anar (n. 1960), la cui fama si è consolidata con la pubblicazione dei romanzi Suskunlar (2007, I taciturni) e Yedinci Gün (2012, Il settimo giorno) in cui fonde elementi storici, narrazione tradizionale e strategie letterarie postmoderne; Ha-san Ali Toptaş (n. 1958), che nel suo ultimo struggente romanzo Heba (2013, Perdita) racconta i continui tentativi di fuga del protagonista Ziya, analizzando, in controluce, anche lo spinoso problema della questione curda e del servizio di leva obbligatorio; la popolarissima Elif Şafak (n. 1971), il cui ultimo romanzo Ustam ve Ben (2013; trad. it. La città ai confini del cielo, 2014) ripropone un’ambientazione ottomana; e la scrittrice e giornalista Perihan Mağden (n. 1960), che, anche nei suoi ultimi romanzi, continua a raccontare in modo sferzante, e spesso attraverso storie di infanzie violate, la società turca contemporanea.

Accanto a essi vi è una nuova generazione di scrittori che offre uno sguardo altrettanto perspicace sulla T. e le sue molte conflittualità. Tra gli altri Behçet Çelik (n. 1968), Alper Canıgüz (n. 1969), Hakan Akdoğan (n. 1971), Murat Uyurkulak (n. 1972), il pluripremiato Faruk Duman (n. 1974), Hakan Günday (n. 1976), il cui acclamato romanzo Az (2011) è stato tradotto in italiano con il titolo A con Zeta (2015), l’attivista curdo esule in Svizzera Haydar Karataş

(n. 1973), impostosi all’attenzione con i suoi due romanzi sulla rivolta di Dersim del 1938, e Burhan Sönmez (n. 1965), approdato in Italia con il suo secondo romanzo sulla memoria e l’esilio intitolato Masumlar (2011; trad. it. Gli innocenti, 2014).

Una menzione a parte meritano gli autori del cosiddetto noir turco, di cui il prolifico scrittore Ahmet Ümit (n. 1960) è considerato il precursore. Altri importanti esponenti di questo filone sono Esmahan Aykol (n. 1970), nota anche in Italia, Mehmet Murat Somer (n. 1959), ideatore di una fortunata serie di romanzi che hanno come protagonista un eccentrico detective transgender, di cui in italiano sono stati tradotti Peygamber Cinayetleri: Bir Hop-Çiki-Yaya Polisiyesi (2003; trad. it. Gli assassini del Profeta, 2010) e Buse Cinayeti: Bir Hop-Çiki-Yaya Polisiyesi (2003; trad. it. Scandaloso omicidio a Istanbul, 2009) e, più recentemente, Emrah Serbes (n. 1981), i cui romanzi ambientati ad Ankara hanno come protagonista Behzat Ç., un disincantato detective. Molto interesse ha suscitato anche l’ultimo romanzo di Serbes, Deliduman (2014, Fumopazzo), in cui la rivolta di Gezi Park del 2013 viene raccontata attraverso gli occhi di un giovane diciassettenne.

Tra le voci femminili più recentemente impostesi all’attenzione di pubblico e critica si segnalano la pluripremiata Sibel Kayalı Türker (n. 1968), Hatice Meryem (n. 1968), che si distingue per la sua prosa arguta, Nermin Yıldırım, (n. 1980), Çiler İlhan (n. 1972) e Birgül Oğuz (n. 1981), queste ultime autrici rispettivamente di Sürgün (2010; trad. it. Esilio, 2014) e Hah (2012, Aha), due raccolte di racconti dall’andamento romanzesco che hanno vinto l’European Union prize for literature rispettivamente nel 2011 e nel 2014. Tutte queste autrici dimostrano come, sebbene la scrittura femminile non abbia perso la sua specificità e una certa inclinazione per il racconto breve e i personaggi femminili, essa si orienti piuttosto a proporre uno sguardo inedito sulla realtà circostante al di là della serrata logica dell’appartenenza di genere.

Lo scrittore turco più noto e apprezzato rimane Pamuk che continua a ricevere numerosi riconoscimenti internazionali tra cui il premio Sonning e la Légion d’honneur nel 2012 e, in Italia, la laurea honoris causa presso l’Università degli studi di Firenze nel 2009. Oltre ai libri Babamın Bavulu (2007; trad. it. La valigia di mio padre, 2007), dal titolo del discorso tenuto a Stoccolma in occasione dell’assegnazione del Nobel, Saf ve Düşünceli Romancı (2011; trad. it. Romanzieri ingenui e sentimentali, 2012), che raccoglie la serie di lezioni sull’arte del romanzo tenute alla Harvard University nel 2009, alla raccolta di saggi e interviste Manzaradan Parçalar: hayat, Sokaklar, Edebiyat(2010, Frammenti di paesaggio: vita, strade, letteratura) e Ben Bir Ağacım (2013, Io sono un albero), contenente una selezione dei suoi scritti sull’infanzia e la scuola destinata a lettori più giovani, ha pubblicato due romanzi. Nel 2008 Masumiyet Müzesi (trad. it. Il museo dell’innocenza, 2009), ambientato nella İstanbul degli anni Settanta, racconta la struggente passione di Kemal, rampollo di una ricca famiglia, per Füsun, una sua lontana cugina, che lo porterà, dopo la tragica morte di lei, a collezionare ossessivamente tutti gli oggetti che gliela ricordano. Nel 2014 Kafamda Bir Tuhaflık (2014, In testa una stranezza), incentrato su una storia d’amore e sulla città di İstanbul attraverso quattro decenni, dal 1969 al 2012, in cui il protagonista, Mevlut, un venditore ambulante di boza, bevanda tradizionale turca, aggirandosi per le strade della città, ne osserva i continui mutamenti nella quotidianità dei suoi abitanti vecchi e nuovi.

Il 19 luglio 2013 è morta Leylâ Erbil (v.), pioniera della letteratura femminile, e il 28 febbraio 2015 si è spento anche Yaşar Kemal (n. 1923) che, per oltre sessant’anni, è stato interprete e cantore della subalternità delle genti d’Anatolia, nonché tra gli esponenti più influenti e combattivi della letteratura turca contemporanea. Il suo ultimo romanzo Çıplak Deniz Çıplak Ada (Mare nudo isola nuda) è apparso nel 2012, a chiudere la tetralogia Bir Ada Hikayesi (Una storia isolana), che si configura come una malinconica elegia a più voci sullo sgretolarsi della multietnicità anatolica dopo la caduta dell’impero ottomano e l’insorgere di vari nazionalismi in conflitto tra loro. Nel 2013 è stato pubblicato anche il romanzo inedito Tek Kanatlı Kuş (Uccello con un’ala sola), originariamente scritto nel 1969, in cui Kemal indaga la paura come sentimento collettivo e contagioso.

Quanto mai articolato e vivace è il panorama della poesia turca contemporanea, che continua a conservare la sua posizione di centralità, con un proliferare di festival a essa dedicati – due rassegne internazionali nella sola İstanbul –, numerosi premi e riconoscimenti e una moltitudine di case editrici e riviste specializzate di vario orientamento spesso ideate e dirette dai poeti stessi. Alquanto polarizzata appare la produzione delle nuove generazioni. Un folto gruppo di poeti molto dinamici quali Furkan Çalışkan (n. 1983), İsmail Kılıçarslan (n. 1976), Ercan Yılmaz (n. 1977) e lepoetesse Fatma Şengil Süzer (n. 1970) ed Emel Özkan (n. 1979), per lo più riuniti intorno alla rivista mensile «İtibar» fondata nel 2011 e diretta da İbrahim Tenekeci (n. 1970), si fa portavoce di una visione della realtà legata a valori più conservatori o dichiaratamente islamici. Altri poeti, quali Gökçenur Ç. (n. 1971), Onur Behramoğlu (n. 1975), Devrim Dirlikyapan (n. 1974), Cenk Gündoğdu (n. 1976), hanno un’impronta più politica e sono stati molto attivi durante le proteste di Gezi Park. Pervasi da un raffinato lirismo sono invece i versi delle poetesse Zeynep Köylü (n.1978) e Gonca Özmen (n. 1982) e del pluripremiato Selahattin Yolgiden (n. 1977), per i quali l’impegno politico non diviene un marchio distintivo di scrittura.

Anche il teatro, negli ultimi anni, sembra aver accolto e rilanciato le istanze di riflessione e cambiamento individuali e collettive che pervadono la società turca, cercando, attraverso diverse scritture teatrali e il ricorso a nuove tecniche e allestimenti scenici, risposte alla presente situazione politica e socioculturale. In questo generale clima di rinnovamento si è moltiplicato il numero degli spazi teatrali privati e delle compagnie impegnate in nuove forme di sperimentazione quali i gruppi Altıdan sonra e Studio 4 Istanbul. Un ruolo centrale svolge anche l’Uluslararası İstanbul Tiyatro Festivali (Festival internazionale del teatro di İstanbul), appuntamento biennale che, oltre a fungere da cassa di risonanza per le produzioni e gli adattamenti di opere teatrali turche e straniere più importanti, promuove workshop e collaborazioni internazionali, mostrando inoltre una particolare attenzione per la nuova drammaturgia emergente. Rimane stretto il legame di poeti e scrittori con il teatro, come dimostrano i molti adattamenti di testi letterari classici e contemporanei, tra i quali ricordiamo l’acclamata pièce Ali Ile Ramazan del 2013 tratta dall’omonimo romanzo di Perihan Mağden (2010, Ali e Ramazan), e i molti scrittori che continuano a scrivere testi per il teatro come, per es., Murathan Mungan (n. 1955) il cui ultimo lavoro Mutfak (2013, Cucina) racconta l’incontro tra varie donne con background molto diversi, che, cucinando, si raccontano storie di delusioni, violenze e tradimenti, e, più recentemente, l’apprezzata scrittrice di romanzi e racconti Sema Kaygusuz (n. 1972) che ha esordito con la pièce Sultan ve Şair (2013, Il sultano e il poeta), storia di un incontro tra due insoliti pescatori sul ponte di Galata.

Bibliografia: A. Seyhan, Tales of crossed destinies. The modern Turkish novel in a comparative context, New York 2008; Dictionary of literary biography, 373° vol., Turkish novelist since 1960, ed. B. Alkan, Ç. Günay-Erkol, New York 2014.

Cinema di Rosita D'Amora. – Il cinema turco, che nel novembre del 2014 ha celebrato il centenario della sua nascita, gode negli ultimi anni di un rinnovato splendore che si riflette non solo nel cospicuo numero di produzioni, ma anche in un crescente interesse accademico e nella significativa presenza della cinematografia turca in prestigiose rassegne internazionali e in festival a essa dedicati, quali il London Turkish Film Festival, giunto nel 2015 alla sua 20a edizione, il New York Turkish Film Festival, il Film Festival Turco di Roma e il Rode Tulp Film Festival nei Paesi Bassi che si svolgono rispettivamente a partire dal 2002, 2011 e 2013.

La nascita del cosiddetto nuovo cinema turco o ‘post Yeşilçam’ (dal nome della ‘Cinecittà turca’, l’industria cinematografica che ha dominato la scena culturale e commerciale in T. dagli anni Cinquanta agli anni Settanta), viene fatta di solito risalire alla seconda metà degli anni Novanta con l’uscita di film stilisticamente molto originali, realizzati, spesso con budget alquanto limitati, da giovani registi indipendenti tuttora attivi quali Nuri Bilge Ceylan, Zeki Demirkubuz, Derviş Zaim e Yeşim Ustaoğlu. L’uscita del film record di incassi Eşkıya (1996, Il bandito) di Yavuz Turgul ha segnato invece la rinascita di un cinema più popolare che ha continuato ad attirare l’attenzione di un vasto pubblico, non solo in T., ma anche nei principali Paesi nordeuropei con una nutrita presenza di abitanti di origine turca.

La separazione tra film d’autore e film popolari, con canali di produzione, distribuzione e una ricezione alquanto diversi, rappresenta tuttora un tratto dominante del panorama cinematografico turco. Per quel che riguarda i film popolari, negli ultimi anni molti registi, che spesso hanno alle spalle esperienze televisive, si sono cimentati con generi diversi. Tra i più frequentati vi è senz’altro la commedia comica con film campioni d’incasso, spesso seguiti da sequel, quali la fortunata serie Recep İvedik (2008, 2009, 2010 e 2014) di Togan Gökbakar che prende il nome dall’omonimo strampalato protagonista, o i film parodia G.O.R.A. (2004) di Ömer Faruk Sorak e il sequel A.R.O.G. - Bir Yontma Taş Filmi (2008, A.R.O.G. - Un film paleolitico) diretto da Ali Taner Baltacı e dal popolare attore Cem Yılmaz che ne è anche il protagonista, i quali raccontano rispettivamente le peripezie di un venditore di tappeti rapito dagli alieni e un suo viaggio indietro nel tempo.

Nell’ultimo decennio, tra i blockbuster, due filoni molto produttivi sono stati i film horror e quelli di ambientazione storica. I film horror ripropongono, in chiave turco-islamica, tutti i cliché dei classici dell’horror americano e delle più recenti produzioni asiatiche. Tra i registi più influenti vi è Hasan Karacadağ, che con il suo D@bbe (2006), seguito da altri quattro titoli, l’ultimo dei quali apparso nel 2014, può essere considerato tra gli iniziatori di questo genere in Turchia. I film storici, invece, se da un lato, sull’onda del più generale ritrovato interesse nei confronti del passato prerepubblicano, ripercorrono le glorie, soprattutto militari, dell’impero ottomano, dall’altro non trascurano la più recente storia turca. Fetih 1453 (La conquista 1453) di Faruk Aksoy, uscito nel 2012 con un’ampia distribuzione anche internazionale e ritenuto il film più costoso della storia del cinema turco, celebra con toni eroici, ma con non poche inesattezze storiche, la conquista ottomana di Costantinopoli. Nel 2012 è uscito anche Çanakkale 1915 di Yeşim Sezgin, seguito da altri quattro film che ripercorrono, da vari punti di vista, la partecipazione ottomana alla campagna di Gallipoli di cui nell’aprile del 2015 si è ricordato, con solenni celebrazioni, il centenario. Mustafa Kemal Atatürk continua a dominare l’immaginario, anche cinematografico, della T. moderna e tre film hanno recentemente rievocato le vicende della sua vita: il controverso film documentario Mustafa (2008) del noto giornalista Can Dündar, accusato di aver eccessivamente umanizzato il fondatore della Repubblica, il dramma epico Veda (2010, Addio), scritto e diretto dal cantautore e scrittore Zülfü Livaneli, e Dersimiz: Atatürk (2010, La nostra lezione: Atatürk) di Hamdi Alkan, nel quale la vita del leader repubblicano è raccontata dalla prospettiva di un gruppo di bambini delle elementari.

Il cinema più impegnato cerca, invece, di offrire rappresentazioni alternative a concetti di etnicità, nazionalità, religione, genere e sessualità che costituiscono i nodi centrali intorno a cui si articola il dibattito nella società turca contemporanea, proponendo un linguaggio diverso per declinare le differenze identitarie ed esplorare eventi traumatici che hanno profondamente segnato la storia turca, collettiva e individuale, degli ultimi anni. Tra le tematiche più affrontate vi sono: le conseguenze del colpo di Stato del 12 settembre del 1980 narrate, ad es., sebbene con toni più leggeri rispetto alla cinematografia precedente, nei film Babam ve Oğlum (2005, Mio padre e mio figlio) di Çağan Irmak e Beynelmilel (2006, L’Internazionale) di Muharrem Gülmez e Sırrı Süreyya Önder; la discriminazione delle minoranze non turche raccontate in Güz Sancısı (2009, Pene d’autunno) di Tomris Giritlioğlu; le vicende dei prigionieri politici e le torture subite in carcere denunciate nel pluripremiato Sonbahar (2008, Autunno) di Özcan Alper; l’irrisolta questione di Cipro Nord analizzata in Ölü Bölgeden Fısıltılar (2012, Sussurri dalla zona morta) di Fırat Çağrı Beyaz e nei film del regista cipriota Derviş Zaim quali Çamur (2003; Fango) e Gölgeler ve Suretler(2010, Ombre e volti); e il dramma del genocidio armeno esplorato in The cut (2014, Il padre), diretto dal celebrato regista della diaspora turca in Germania Fatih Akın.

Una menzione a parte meritano i numerosi film sulla questione curda e sull’annoso conflitto armato ancora in corso nel Sud-Est del Paese. Tra gli altri l’acclamato Min Dît (2009, Io ho visto) del regista curdo-tedesco Miraz Bezar, Güneşi Gördüm (2009, Ho visto il sole) di Mahsun Kırmızıgül, il controverso Nefes. Vatan Sağolsun (2009, Respiro. Lunga vita alla patria) di Levent Semerci, Press (2010) di Sedat Yılmaz, che segue la storia di alcuni giornalisti del quotidiano procurdo «Özgür Gündem», i due film di Hasan Karabey Gitmek. My Marlon and Brando(2008) e Were Dengê Min. Sesime gel (2014, Vieni alla mia voce) e il film documentario İki Dil Bir Bavul (2008, Due lingue e una valigia) di Orhan Eskiköy e Özgür Doğan, che narra l’esperienza di un giovane maestro turco in un villaggio curdo. Altri film, infine, offrono riflessioni su tematiche legate allo spinoso problema dell’identità religiosa in T., dove con il partito di orientamento islamico AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi, Partito della giustizia e dello sviluppo) che domina incontrastato la scena politica turca sin dal 2002, si è ulteriormente polarizzato lo scontro tra le componenti laiche e quelle religiose del Paese. Tra gli altri vanno ricordati The İmam (2005, L’Iman) di İsmail Güneş, l’acclamato Takva (2006, Timor di dio) di Özer Kızıltan e Uzak İhtimal (2009, Remota possibilità) di Mahmut Fazıl Coşkun, tutti incentrati sui dilemmi spirituali dei rispettivi protagonisti.

Sebbene lo sguardo di molti registi si sia spostato sulla T. più rurale, la città di İstanbul, scenario privilegiato del cinema classico turco, continua a mantenere una sua centralità. Tuttavia, essa appare soprattutto nella sua dimensione di luogo inospitale e alienante. Esplorano questi temi film quali Pandora’nın Kutusu (2008, Il vaso di Pandora) di Yesim Ustaoğ lu, Kara Köpekler Havlarken (2009, Mentre i cani neri abbaiano) di Mehmet Bahadır Er, 11’e 10 Kala (2009, 10 alle 11) della regista Pelin Esmer, Klama Dayîka Min. Annemin Şarkısı (2014, La canzone di mia madre; vincitore del Festival del cinema europeo di Lecce 2015) di Erol Mintaş sulla gentrificazione di İstanbul vista attraverso gli occhi di una famiglia curda del quartiere di Tarlabaşı, e Köprüdekiler (2009, Quelli sul ponte) di Aslı Özge che narra la storia di tre uomini che ogni giorno arrivano dalla periferia al centro di İstanbul per guadagnarsi da vivere e le cui esistenze si incrociano sul ponte sul Bosforo.

La marginalità e la struggente ricerca di un’identità e di un’appartenenza caratterizzano anche la filmografia di Nuri Bilge Ceylan, Zeki Demirkubuz, Semih Kaplanoğlu, Kutluğ Ataman, Tayfun Pirselimoğlu e Reha Erdem che, con i loro film visualmente molto sofisticati, incentrati su una narrazione lenta, ricca di riferimenti simbolici e con dialoghi scarnificati, sono tra i registi più rappresentativi degli ultimi anni. Ceylan è il regista turco più acclamato all’estero, apprezzatissimo a Cannes dove ha ricevuto, tra gli altri, il Premio per la miglior regia con il film Üç Maymun(2008; Le tre scimmie) nel 2008, il Gran premio speciale della giuria per Bir Zamanlar Anadolu’da (2011; C’era una volta in Anatolia) ex aequo nel 2011 e poi ancora nel 2014 per il suo ultimo film Kış Uykusu (2014; Il regno d’inverno), con cui è ritornato a esplorare temi a lui cari quali la casa, l’appartenenza e l’estraniamento. Tra le voci più originali e sofisticate della cinematografia più recente vi è senz’altro quella di Kaplanoğlu, autore della Yusuf Üçlemesi (Trilogia di Yusuf) che si compone dei film Yumurta (2007, Uova), Süt (2008, Latte) e Bal (2010, Miele; Orso d’oro al 60° Festival di Berlino), in cui, attraverso uno stile da lui stesso definito realismo spirituale, segue, in ordine inverso, la storia del poeta Yusuf, da giovane adulto, adolescente e poi bambino.

L’esclusione nel 2014 dall’Altın Portakal Film Festivali di Antalya del documentario di Reyan Tuvi sulle proteste di Gezi Park, Yeryüzü Aşkın Yüzü Oluncaya Dek (2014, Fino a che l’amore cambierà il mondo), a causa del suo linguaggio ingiurioso nei confronti delle alte cariche dello Stato, e l’analoga esclusione del documentario Bakur (2015, Nord) di Çayan Demirel ed Ertuğrul Mavioğlu sul partito curdo PKK (Partîya Karkerén Kurdîstan, Partito dei lavoratori del Kurdistan) dalla 34a edizione dell’İstanbul Film Festivali del 2015, mostrano come il cinema turco continui ad avere un importante ruolo di denuncia, ma anche quanto sia ancora minacciato da una pressante censura.

Bibliografia: A. Suner, New Turkish cinema. Belonging, identity and memory, London 2010; S. Arslan, Cinema in Turkey. A new critical history, Oxford 2011; G. Dönmez-Colin, The Routledge dictionary of Turkish cinema, New York 2014.

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