OPPI, Ubaldo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

OPPI, Ubaldo

Mattia Patti

OPPI, Ubaldo. – Figlio di Pompeo e di Guglielma Mantechini, nacque a Bologna il 29 luglio 1889.

L’attività del padre, commerciante, lo indusse a viaggiare molto negli anni di formazione, anche se si orientò assai presto verso la carriera di pittore: tra il 1906 e il 1907 fu a Vienna, ove si iscrisse alla scuola del nudo dell’Accademia e dove con ogni probabilità conobbe Gustav Klimt; nel biennio successivo visitò numerosi paesi dell’Europa centro-orientale. D’altro canto, come ha osservato Ugo Ojetti (1923-24, pp. 772 s.), tra i più vivaci sostenitori della pittura di Oppi, «a Vienna suo padre l’aveva mandato perché facesse pratica di commercio e imparasse il tedesco. Del commerciante non imparò che il viaggiare: Boemia, Germania, Serbia, Rumenia [sic], Russia».

Rientrato in Italia, si fermò a Venezia, ove esordì alla V Esposizione d’arti e industrie veneziane, allestita a Ca’ Pesaro nella primavera del 1910. In questa occasione espose un nutrito gruppo di pastelli, paesaggi, vedute e ritratti, «di color tenero e delicati, “musicali” come si diceva, con un velo ancora di impressionismo» (ibid., p. 774). Dopo essersi avvicinato al simbolismo e, per un attimo, al linguaggio futurista (lo testimonia Strada a Vienna del 1911, pastello di ubicazione ignota, ripr. in U. O., 2002, p. 15), nel 1911 si stabilì a Parigi, ove frequentò Gino Severini, strinse amicizia con Amedeo Modigliani ed ebbe una burrascosa relazione con Fernande Olivier, storica compagna di Pablo Picasso (come ricorda Severini nella sua autobiografia, [1946], 2008). La pittura di Oppi si attestò su una tavolozza timbrica e antinaturalistica, in contrasto con l’essenziale compostezza formale, come accade in Donna con manicotto (1911-12; coll. priv., ripr. in U. O., 1990, p. 27) e in Due donne (1912-13; coll. priv., ibid., p. 29), opere debitrici dell’espressività fauve, e segnatamente di Kees van Dongen. Questi dipinti furono esposti nell’estate del 1913 alla mostra dei dissidenti di Ca’ Pesaro (V Esposizione dell’Opera Bevilacqua La Masa), in una sala personale particolarmente ricca. In questo stesso periodo disegnò gruppi di nudi all’aperto, caratterizzati da una linea essenziale, vicini a Henri Matisse e, per altro verso, alla fusione tra uomo e natura tipica di Otto Mueller. A partire dal 1914 prese a dipingere paesaggi e vedute fortemente legati alle asciutte costruzioni di André Derain, com’è evidente in Paese col porto (1914; coll. priv., ripr. in U. O., 2002, p. 37). Partecipò anche alla II Esposizione internazionale d’arte della Secessione di Roma, allestita nella primavera del 1914 nel Palazzo delle Esposizioni, presentando alcuni quadri di figura, risultato di una ricerca nuova, basata su una ristrettissima gamma cromatica, su un disegno tagliente e su atmosfere melanconiche. Il debito verso il Picasso del periodo blu, dal quale probabilmente derivano opere come Figure al bar esposto alla II Secessione e databile al 1913 circa (coll. priv., ripr. in U. O., 1990, p. 31), non fu approvato da Oppi, che dichiarò d’aver conosciuto quel tipo di pittura solo più tardi, attraverso le pagine de La Voce(Caro Persico, 1930, in U. O., 2002, p. 105).

Nel 1915 partì per il fronte, nel corpo degli alpini, e combatté fino al 1918, quando venne deportato a Mauthausen (alla prigionia risale un gruppo di disegni pubblicato in U. O., 1993).

Prima della prigionia, in occasione di una licenza, aveva avuto modo di conoscere Margherita Sarfatti, che in proposito ricordava: «un gigantesco alpino mi fu presentato una sera, negli anni di guerra. Veniva dagli altipiani, si era battuto sulla Bainsizza e al Carso in punti assai ‘caldi’, recava segni di ferite e decorazioni, e da autentico alpino parlava poco, a frasi asciutte, staccate […]. E sul marmo del tavolino tracciava segni – non disegni – […], con uno spirito incisivo acuto che mi colpì subito» (Sarfatti, 1924, cit. in U. O., 2002, p. 111).

Allo scadere degli anni Dieci rientrò a Parigi, dove dipinse, fra gli altri, Il chirurgo (coll. priv., ripr. in U. O., 1990, p. 43), che sembra anticipare l’allucinata ritrattistica di Otto Dix. Del 1920 è invece il Doppio ritratto (coll. priv., ripr. in U. O., 2002, p. 47), che espose al Salon des Indépendants del 1921, attirando l’attenzione della critica e che documenta una svolta decisiva nel suo percorso artistico caratterizzata da un primo, scoperto recupero della pittura quattrocentesca italiana, evidente soprattutto – come ha sottolineato Maurizio Fagiolo dell’Arco (1988, p. 164) – nel modo in cui «la semplice intelaiatura geometrica inquadra il profilo pollaiolesco della moglie, cui Oppi contrappone il maggiore risalto plastico dato alla propria figura» .

Nel settembre 1921 si sposò con Adele Leone, detta Dehly, e si trasferì definitivamente a Milano. Nel 1922 tenne due ricche mostre personali, una alla Bottega di poesia di Milano, l’altra a Roma, alla casa d’arte Bragaglia. Nello stesso anno partecipò infine al Salon d’Automne, a Parigi, esponendo il Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia (coll. priv., ripr. in U. O., 1990, p. 61), opera che conferma appieno la sua svolta classicista. Alla fine del 1922 prese a incontrarsi nella galleria Pesaro di Milano con Lino Pesaro, titolare della galleria, Margherita Sarfatti e i futuri membri del gruppo dei Sette pittori del Novecento, cui aderì lo stesso Oppi: Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gian Emilio Malerba, Piero Marussig e Mario Sironi. Concordata una comune strategia, che prevedeva anzi tutto l’«impegno assoluto di non esporre che in gruppo» (così Marussig, senza data, in Bossaglia, 1979, p. 66), per alcuni mesi i Sette pittori presentarono a rotazione i propri dipinti nelle vetrine della galleria Pesaro. Entro questa cornice tra il febbraio e il marzo 1923 Oppi fu al centro di uno scandalo: un suo quadro, intitolato Conca fiorita, fu infatti sequestrato perché giudicato troppo licenzioso. I Sette pittori del Novecento esordirono in gruppo, nella stessa galleria, nel marzo 1923 (all’inaugurazione intervenne Mussolini, che pronunciò un significativo discorso sui rapporti tra arte e politica). Poco dopo Oppi rassegnò le dimissioni dal gruppo, avendo accettato la proposta fattagli da Ojetti di esporre in una sala personale alla XIV Biennale di Venezia del 1924.

La decisione «fu come lo scoppio di una bomba» (ibid., p. 71) nella formazione capitanata da Margherita Sarfatti e portò, in breve, alla crisi e alla conseguente trasformazione del gruppo, che si presentò alla Biennale con il nuovo nome di Sei pittori del Novecento.

Oppi espose separatamente, nella sala n. 38 del Padiglione Italia, 25 dipinti, tutti di recente esecuzione, tra cui alcuni paesaggi e grandi scene di figura quali La giovane sposa (1922-24; Padova, Musei civici, Museo d’arte medioevale e moderna), ove è citato apertamente il S. Sebastiano di Antonello da Messina, e Le amiche (1924; coll. priv., ripr. in U. O., 2002, p. 63), che fu immediatamente riconosciuta come una delle opere più rappresentative del ritorno al classico di Oppi (il dipinto fu riprodotto in Germania nel volume di Franz Roh, Nach-Expressionismus. Magischer Realismus [Leipzig 1925] e in quello di Rom Landau, Der unbestechliche Minos [Hamburg 1925] come esempio della nuova pittura italiana).

Nell’autunno del 1925 vinse un importante riconoscimento alla XXIV Esposizione internazionale di pittura del Carnegie Institute di Pittsburgh e nel febbraio 1926 prese parte alla I Mostra del Novecento italiano, allestita nel palazzo della Permanente di Milano. Scoppiò qui una nuova, violenta polemica, poiché fu accusato di aver copiato due delle opere esposte (Sera romagnola e Nudo provinciale) da fotografie (se ne dà ampiamente conto in Realismo magico, 1988, pp. 337-339). Dopo aver esposto alla XV Biennale di Venezia del 1926, partecipò a diverse mostre d’arte italiana all’estero, e in particolar modo a quelle organizzate dal movimento del Novecento italiano, che si tennero, nel corso del 1927, a Ginevra, Zurigo, Amburgo, Berlino e Lipsia. Nello stesso anno tenne una personale alla galleria Pesaro, presentata da Tullio Garbari, ove espose, tra le altre, la grande tela I chirurghi (1926; Vicenza, Pinacoteca di Palazzo Chiericati). Fu proprio l’amicizia con Garbari, probabilmente, a spingerlo alla conversione al cattolicesimo, maturata nel corso del 1928 (tra 1923 e 1926, comunque, aveva già realizzato la pala raffigurante S. Venanzio Fortunato vescovo di Poitiers che inneggia alla Croce per Valdobbiadene).

Allo scadere del terzo decennio diradò improvvisamente l’attività espositiva, limitandosi a poche, importanti occasioni: nel 1928 presentò infatti Ritratto della signora Alma Giavi Leone alla XVI Biennale di Venezia e allestì una sala personale alla Mostra della Secessione nel Glaspalast di Monaco di Baviera; nel 1929 fu a Darmstadt e Berlino, ma mancò la II Mostra del Novecento italiano a Milano; nel 1930, infine, espose quattro dipinti alla XVII Biennale e ordinò, nelle sale della neonata galleria del Milione di Milano, un’ampia mostra personale, curata da Edoardo Persico e incentrata sulla produzione giovanile, precedente la svolta del 1921. Fra il 1930 e il 1932 eseguì gli affreschi nella cappella di S. Francesco (arco d’ingresso con Santi e beati dell’Ordine e pareti con Storie francescane) della basilica di S. Antonio a Padova, fornendo una delle prime, significative traduzioni in pittura murale del classicismo novecentista. Nel 1932 fu per l’ultima volta alla Biennale di Venezia. Ritiratosi a Vicenza, trascorse lunghi anni in solitudine, non esponendo in pubblico e dipingendo assai poco (perlopiù opere di carattere religioso).

Scoppiata la guerra, nel 1941 riprese servizio nell’esercito, ma ben presto i problemi di salute lo riportarono a Vicenza, ove morì il 25 ottobre 1942.

Fonti e Bibl.: U. Ojetti, Il pittore U. O., in Dedalo, IV (1923-24), 3, pp. 769-792; M. Biancale, U. O., Milano 1926; G. Severini, La vita di un pittore (1946), Milano 2008, pp. 105 s.; Mostra di U. O. (catal.), a cura di L. Magagnato, Vicenza 1969; R. Bossaglia, Il «Novecento Italiano», Milano 1979, passim; Realismo magico (catal., Verona-Milano), a cura di M. Fagiolo dell’Arco, Milano 1988, pp. 164-167, 200-205, 337-339; U. O., a cura di C. Gian Ferrari, Milano 1989; U. O. Lo stile del Novecento (catal., Iseo), a cura di F. Gallo, Milano 1990; Oppi. Opere dal 1912 al 1929 (catal., Milano-Verona), a cura di C. Gian Ferrari, Milano 1993; U. O. La stagione classica (catal., Milano-Verona), a cura di E. Pontiggia, Ginevra 2002.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

TAG

Antonello da messina

Leonardo dudreville

Gian emilio malerba

Margherita sarfatti

Biennale di venezia