CAVALLERO, Ugo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 22 (1979)

CAVALLERO, Ugo

Lucio Ceva

Nacque a Casale Monferrato il 20 sett. 1880 da Gaspare e Maria Scagliotti. Avviato agli studi militari nel 1898, sottotenente di fanteria nel 1900, fu insegnante alla scuola centrale di tiro a Parma nel 1906. Ufficiale di vasta cultura, uscito nel 1911 dalla scuola di guerra di Torino presso la cui università aveva anche compiuto studi di matematica pura, tradusse importanti opere geografiche dal tedesco e dall'inglese. Nel 1912 partecipò alla guerra libica col grado di capitano. Durante la prima guerra mondiale fu sempre addetto al Comando Supremo del quale, nel 1917-18, col grado di tenente colonnello, resse l'ufficio operazioni divenendo collaboratore di Badoglio. Ebbe parte di rilievo nell'elaborazione dei piani per le vittoriose battaglie del Piave e di Vittorio Veneto. Alla fine della guerra, promosso generale a soli trentotto anni, fu inviato a Parigi quale membro del comitato permanente interalleato.

Nel 1920 il C. fu collocato a sua domanda in posizione ausiliaria speciale: l'elevato numero di generali anziani sembrava infatti precludergli una rapida carriera. Ebbe per qualche tempo posti di responsabilità nell'industria privata e fu, tra l'altro, direttore centrale della società Pirelli. Nel 1924 sembrò che dovesse succedere a Diaz quale ministro della Guerra, ma la candidatura tramontò - pare - per dissensi circa gli stanziamenti in bilancio.

Nel maggio 1925, dopo l'assunzione dei ministeri militari da parte di Mussolini, il C. fu nominato sottosegretario per la Guerra. Tale rimase fino al 1928 presiedendo al riordinamento dell'esercito insieme con Badoglio, assurto a capo di Stato Maggiore generale. Durante il sottosegretariato il C. divenne rivale acerrimo di Badoglio: quasi certamente a una sua iniziativa si deve la riforma legislativa del 1927 con cui i poteri del capo di Stato Maggiore generale furono grandemente ridotti. Nel 1928 il C. fu rimosso dalla carica per intervento del re, dopo un clamoroso episodio d'intolleranza tra lui e Badoglio.

A una cerimonia militare i due generali non si salutarono: Badoglio, ritenendosi superiore come maresciallo e capo di Stato Maggiore generale, aspettava il saluto del C. che, a sua volta, aspettava il saluto di Badoglio ritenendosi superiore in qualità di sottosegretario.

All'atto della cessazione della carica, il C., che era senatore dal 1926, ricevette il titolo di conte. Tornato all'industria, assunse la presidenza della società Ansaldo, dove si adoperò per l'ammodernamento del materiale bellico navale e terrestre (artiglieria contraerea, carri leggeri). Nel 1933 peraltro dovette lasciare l'Ansaldo per l'insorgere di gravi sospetti.

Le corazze applicate a un incrociatore non corrispondevano ai campioni i cui marchi erano stati contraffatti. La documentazione disponibile non consente di stabilire se vi fosse una sua responsabilità personale: la circostanza tuttavia non può tacersi poiché da essa originano - fondate o meno - le accuse di approfittamento mosse al C. da qualche storico e da numerosi memorialisti della seconda guerra mondiale.

Dopo un periodo in cui fu delegato italiano alla conferenza di Ginevra per il disarmo, il C. venne richiamato in servizio agli ultimi del 1937 e, col grado di generale di corpo d'armata, comandò le truppe nell'Africa orientale appena conquistata. Richiamato in patria nella primavera del 1939 per dissidi col viceré Amedeo d'Aosta, divenne vicepresidente della commissione economica e militare per l'applicazione del "patto d'acciaio" con la Germania. In questa qualità il C. fu latore a Berlino, nel giugno 1939, di una lettera con cui Mussolini avvertiva Hitler che l'Italia non sarebbe stata pronta alla guerra prima del 1943: sarà tale documento, successivo alla firma del patto, a ingenerare più tardi l'errata credenza che il trattato contenesse il reciproco impegno a ritardare la guerra.

Scesa in campo l'Italia, il C. fu nominato capo di Stato Maggiore generale il 6 dic. 1940 in seguito alle dimissioni di Badoglio. Inviato in Albania (dove il 30 dicembre assunse il comando del locale gruppo d'armate in sostituzione del gen. Soddu), si occupò esclusivamente di tale fronte fino alla primavera 1941, mentre a Roma le sue funzioni erano esercitate dal sottocapo gen. Guzzoni. In Albania, il C. riusciva a evitare la rotta completa delle nostre truppe bloccando a fine gennaio 1941 l'iniziativa greca. Falliva invece la controffensiva italiana in Val Desnizza (marzo 1941), voluta da Mussolini e dal C. nella speranza di prevenire l'imminente calata tedesca in Balcania. L'ultima fase della guerra trova il C. impegnato a sfruttare il successo tedesco in Grecia e in Iugoslavia: respinto un attacco iugoslavo su Scutari, avanzò fino a Ragusa, in Dalmazia, e si congiunse con le avanguardie tedesche a Dibra e a Struga in Macedonia. Infine le sue forze sospinsero faticosamente i Greci verso il confine albanese, lungo il quale peraltro già si trovavano i Tedeschi risaliti dalla Tessaglia per i passi del Pindo (aprile 1941).

Nel maggio 1941 il C. rientrava a Roma per esercitare anche di fatto la carica di capo di Stato Maggiore generale. Provocata una legge (27 giugno 1941) che gli dava poteri direttivi sui capi di Stato Maggiore delle tre forze armate, organizzò in modo ampio e razionale il nuovo comando supremo mirando a un'effettiva coordinazione interforze e a penetranti interventi in tutti i settori della nazione in guerra.

La corretta valutazione dell'opera del C. non può prescindere da due circostanze determinanti: innanzi tutto, l'irreversibile preminenza del comando tedesco anche nel nostro teatro di guerra, alla quale era difficile opporsi; in secondo luogo l'invadenza di Mussolini alla quale il C. non pose neppure quei freni che la sua indubbia preparazione tecnica gli suggeriva.

L'acquiescenza del C. a velleità mussoliniane (e non a richieste tedesche) costò all'Italia l'invio di crescenti forze in Russia con conseguenze non solo umane (la tragedia dell'Armir) ma anche strategiche.

Le dieci divisioni inviate in Russia tra il 1941 e il 1942 assorbirono la quasi totalità delle nostre artiglierie moderne nonché oltre 16.000 automezzi, ossia più di quanti il C. stesso ne stimava indispensabili per la programmata motorizzazione dell'esercito africano. Vicenda tanto più grave se si considera che i maggiori armamenti destinati alla Russia furono accumulati proprio nel primo semestre del 1942, quando l'allentamento della pressione inglese sulle rotte mediterranee consentiva più larghi e sicuri invii oltremare.

Nell'organizzazione dell'esercito il C. finì con l'avallare il desiderio mussoliniano di moltiplicare le divisioni. Gli smisurati programmi del 1941 (ottanta divisioni di cui ben sei corazzate) non si realizzeranno per la deficiente produzione bellica e il sopravvenire delle perdite.

Tuttavia è certo che anche la loro semplice adozione ebbe effetti dispersivi contrastanti con la vera natura del problema militare italiano che, come il C. ben sapeva e affermava in vari documenti, avrebbe richiesto solo piccole forze altamente qualificate. Va invece ascritta a suo merito l'acuta percezione dei problemi della guerra mediterraneo-africana che era del tutto mancata al predecessore Badoglio.

Il C. non tardò a capire che le brillanti qualità tattiche dimostrate da Rommel nel deserto sarebbero rimaste sterili fin quando non si fosse eliminata Malta, il principale ostacolo alle nostre comunicazioni marittime. Alla fine del 1941 diede perciò impulso alla preparazione di un assalto anfibio da sferrare nell'estate successiva. Per quanto sia vano ipotizzare l'esito di un'operazione rimasta poi solo sulla carta, è certo che a essa egli dedicò attività instancabile e professionalmente valida.

Il disegno strategico del C. fu vanificato nel giugno 1942 quando Hitler, dopo la presa di Tobruk, decise l'inseguimento a fondo in Egitto, rinunciando all'attacco di Malta, che pure aveva approvato solo due mesi prima in un incontro al Berghof con Mussolini e Cavallero.

Questi fu promosso maresciallo d'Italia il 1º luglio 1942 soprattutto per la necessità politica di equipararlo a Rommel, nominalmente suo subordinato. È tuttavia curioso che la promozione del C. coincida con l'accantonamento dei suoi piani. Nel luglio-agosto 1942 il definitivo arresto a El Alamein dell'avanzata Rommel, dovuto anche alla rinnovata capacità offensiva di Malta, sembrò dar ragione al C., sul quale gravava peraltro la già accennata responsabilità per l'imprevidente dispersione di mezzi in Russia. Nell'autunno 1942,con l'offensiva inglese a El Alamein e lo sbarco anglo-americano nell'Africa francese, inizia l'ultimo e più difficile periodo del comando Cavallero. Il maresciallo, impegnato nei complessi problemi dello sgombero della Libia e nell'audace improvvisazione di una testa di ponte in Tunisia, doveva anche difendere la sua posizione in patria. Uomini delle forze armate e del regime (soprattutto Ciano) vedevano in lui un pericoloso concorrente nei rivolgimenti politici che la crisi militare pareva rendere inevitabili e che la malattia di Mussolini (novembre 1942) fece per un momento sembrare anche più imminenti.

Il 31 genn. 1943 il C. fu rimosso dalla carica e sostituito dal gen. Ambrosio. La sua caduta va principalmente addebitata al bisogno di Mussolini di trovare un capro espiatorio per i disastri militari (a quelli africani si aggiungeva la perdita dell'armata in Russia). Vi influirono però anche profonde correnti di ostilità che lo avevano sempre avversato nell'esercito e nel mondo politico. Nel luglio 1943 Badoglio, divenuto capo del governo, provvide subito, e senza precisi motivi, a far arrestare il C., che fu liberato per intervento del re. Il 23 agosto successivo Badoglio lo fece nuovamente arrestare imputandolo di un molto dubbio complotto. Tradotto al forte Boccea, il C. dettò al gen. Carboni, capo del Servizio informazioni militari, un documento (noto come "memoriale Cavallero"), nel quale rivendicava il merito di aver cospirato contro Mussolini fin dal novembre 1942 e quello di aver previsto il governo Badoglio. Tali affermazioni non salvarono certamente il loro autore agli occhi di Badoglio, ma lo compromisero di fronte ai tedeschi che sembra abbiano ritrovato il documento sul tavolo dello stesso Badoglio l'8 sett. 1943. La posizione del C. divenne difficile quando il maresciallo tedesco Kesseiring, suo amico personale, dopo averlo liberato, gli offrì il comando delle forze armate della nascente repubblica fascista.

La mattina del 14 sett. 1943 il C. fu trovato ucciso da un colpo di pistola nel giardino dell'albergo Belvedere di Frascati, all'indomani di una cena e di un colloquio con Kesselring.

È controverso se egli si sia tolta la vita o se i Tedeschi l'abbiano assassinato. Ècomunque certo che aveva espresso fermo proposito di rifiutare la collaborazione che gli veniva sollecitata.

Fonti e Bibl.: Fondamentale per la ricostruzione dell'attività del C. quale capo di Stato Maggiore generale è il diario che egli fece tenere dal dicembre 1940al gennaio 1943. Il documento, corredato di migliaia di allegati, si trova presso l'Ufficio stor. dello Stato Maggiore dell'esercito, ed è - nella sua interezza - ancora inedito. Una ampia silloge apparve col titolo Comando Supremo, Bologna 1948;altre parti sono pubbl. nello studio di L. Ceva, La condotta ital. della guerra. C. e il Comando Supremo 1941-1942, Milano 1975.Oltre alla voce dell'Enc. Ital.,App. II, p. 540,abbiamo due libri dedicati esclusivamente al C.: E. Canevari, La fine del maresciallo C.,Roma 1950;C. Cavallero, Il dramma del maresciallo C. Rivelazioni e mem., Milano 1952,entrambi agiografici. La figura del C. è presente in quasi tutta la memorialistica e pubblicistica sull'Italia nella seconda guerra mondiale; in partic. cfr. i due scritti apologetici di E. Canevari, La guerra italiana. Retroscena della disfatta, I-II,Roma 1949;e di A. Kesselring, Mem. di guerra, Milano 1954, pp. 97-100, 104, 114-17, 120 s., 146, 150, 152, 165, 176, 193 ss.; favorevole, ma con giudizi equilibrati, E. Faldella, L'Italia nella seconda guerra mondiale. Revisione di giudizi, Bologna 1959, ad Indicem. Variamente polem. G. Ciano, Diario 1939-1943, Milano 1946, ad Indicem; G. Zanussi, Guerra e catastrofe d'Italia, Roma 1945-46, ad Indicem; Q. Armellini, Diario di guerra, Milano 1946, ad Indicem; E. Caviglia, Diario aprile 1925-maggio 1945, Roma 1952, adIndicem; E. Rommel, Guerra senza odio, Milano 1952, pp. 96 s., 102 s., 202, 214, 217, 221, 231, 239, 246 s., 276 s., 308 s., 314, 318, 323, 329 s., 337, 345, 351, 355 ss.; P. Puntoni, Parla VittorioEmanuele III, Milano 1958, pp. 28-31, 38, 41 s., 44, 57 s., 62, 65 s., 72-75, 79-82, 84 s., 87 s., 90-93, 95, 98, 103-107, 110 s., 113-18, 157, 171; G. Salvemini, Preludio alla seconda guerramondiale, Milano 1967, ad Indicem; G. Bocca, Storia d'Italia nella guerrafascista 1940-1943, Bari 1969, ad Indicem; limitati all'ultimo periodo del C.: F. W. Deakin, Storia della repubblica di Salò, Torino 1963, ad Indicem; G. Bianchi, Perché e come cadde ilfascismo, Milano 1970, ad Indicem.

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