DELLA STUFA, Ugo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA STUFA, Ugo

Giuseppe Biscione

Nacque a Firenze da Andrea di messer Ugo e da Milia di Duccio Tolosini. Non si conosce la sua data di nascita, tuttavia può ritenersi che il D. sia nato nel 1366 o nei due anni immediatamente successivi. Infatti il 1366 è l'anno del matrimonio dei genitori e si sa per certo che il D. fu il primo dei figli maschi. L'ipotesi qui avanzata circa la data di nascita del D. è anche confermata dal fatto che nel 1380 lo troviamo immatricolato all'arte della lana "beneficio patris": non avrebbe potuto esserlo, con questa formula, se non fosse stato almeno emancipato.

Gli scrittori del Sei-Settecento danno al D. il titolo di messer Ugo; ora, se questo non è un errore derivato dal fatto che il nonno omonimo era stato un famoso e valente giurisperito, si può forse pensare che egli stesso sia stato giurista. Tale ipotesi, tuttavia, non può essere provata con documenti, dato che purtroppo possediamo solo scarse e frammentarie testimonianze dei libri delle matricole dell'arte dei giudici e notai di Firenze. Sappiamo però che nel 1387 il D., ancora giovanissimo, fu nominato dal Comune di Firenze arbitro in una questione di confine tra il territorio della Verruca, nel contado di Pistoia, e quello di Massa e Cozzile in Val di Nievole, nel contado di Firenze.

Nel 1381 fu tra gli squittinati per il priorato per il quartiere di San Giovanni, gonfalone Lion d'oro, ma non vinse "il partito": non ottenne cioè il numero necessario di fave nere perché la polizza con il suo nome venisse messa nella borsa da cui si estraevano i nomi dei nuovi priori; il partito invece lo vinse nel 1391.

L'8 maggio 1390 sposò donna Niccolosa di Giovanni Baroncelli, dalla quale ebbe un figlio nato postumo.

Secondo le memorie familiari, redatte a cura di un suo non lontano discendente, Sigismondo Della Stufa (in Delizie degli eruditi toscani, XV), il D. nel 1385 fu fatto podestà di Pisa e nello stesso anno capitano della città e Comune di Arezzo. Queste notizie, per le quali il memoriale fa puntuale riferimento a fonti che non ci sono pervenute, non trovano tuttavia riscontro nella documentazione attualmente in nostro possesso. Camarlingo del Sale dal 21 marzo 1400, sempre in quello stesso anno fu dei Priori. Gonfaloniere di compagnia nel 1401, per la seconda volta tra i Priori nel 1403, dal 17 nov. 1404 al 16 maggio 1405 fu podestà di San Gimignano. Degli Otto di guardia e balia nel 1406, sul finire di quel medesimo anno fu scelto a far parte del gruppo di venti ostaggi che vennero consegnati a Pisa dal governo fiorentino, dopo la capitolazione della città tirrenica (9 ott. 1406), a garanzia dei patti giurati. Di nuovo degli Otto di guardia e balia nel 1407, nel 1408 fu per sei mesi vicario del Valdarno Inferiore.

Dal 18 maggio al 17 nov. 1409 fu podestà a Pisa, dove si guadagnò, per la rettitudine e il senso di giustizia con cui seppe tenere l'ufficio, l'affetto dei Pisani, i quali non solo lo richiesero ai Fiorentini come podestà anche per l'anno successivo, ma gli regalarono pure un bellissimo stendardo su cui erano ricamate con arte le anni del Comune di Pisa e quelle della famiglia Della Stufa. Questo per rendergli omaggio anche per l'atteggiamento da lui tenuto due anni prima, quando era stato nella loro città come ostaggio. Per la terza volta degli Otto di guardia e balia, e per le terza volta tra i Priori nel 1411, nel 1413 fu tra i Dieci di balia. Nel 1417 tenne la più alta carica della Repubblica, il gonfalonierato di Giustizia. Come già molti membri della sua famiglia, il D. svolse anche importanti incarichi diplomatici per conto della Repubblica fiorentina: tra questi è da ricordare la missione da lui compiuta a Genova nel 1415, in occasione dell'assunzione al dogato di Tommaso Fregoso.

Secondo le istruzioni ricevute il D. aveva il compito specifico di congratularsi con il Fregoso per la sua assunzione al dogato, di esprimergli la stima e la soddisfazione dei Fiorentini e della Signoria e di protestargli sentimenti di amicizia. Doveva inoltre chiedergli e offrirgli ogni collaborazione per il mantenimento della stabilità e della sicurezza della Repubblica fiorentina e di quella genovese, soprattutto contro le mene in Italia del "serenissimo re dei Romani", Sigismondo di Lussemburgo. Doveva pure sollecitare protezione e agevolazioni doganali per i mercanti fiorentini a Genova, e interessarsi per la liberazione di un prigioniero di guerra. Doveva infine cercare di risolvere alcune questioni di carattere commerciale.

Il D. era detentore di una discreta fortuna pervenutagli soprattutto attraverso l'eredità del padre e quella di uno zio, Giovenco. Di comune accordo con la moglie Niccolosa, decise di impiegare le sue sostanze nel restauro della chiesa e del cenobio di Montesenario, sede dei servi di Maria. Finanziò dunque il restauro e l'ampliamento di quella chiesa, il rifacimento delle celle dell'eremo, delle officine e di tutti gli edifici necessari alla vita dei monaci, spendendo la cospicua somma di 20.000 (o secondo un'altra testimonianza, 30.000 fiorini.

E perché nulla mancasse a quegli eremiti, dispose nel suo testamento, fatto il 20 sett. 1418, che i suoi eredi, i fratelli Lorenzo e Lotteringo, dessero annualmente al santuario di Montesenario sessanta staia di grano, quaranta barili di vino e 150 fiorini d'oro. La stessa moglie Niccolosa, che gli sopravvisse per qualche anno, dispose nel suo testamento a favore dei monaci di Montesenario un legato di 300 fiorini.

Morì, probabilmente a Firenze, negli ultimi mesi del 1418.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Tratte 396, c. 112r; 397, c. 133v; 65, c. 31v; 66, cc. 29r, 50r; Ibid., Conventi soppressi, n. 170, Convento dei pp. serviti della Ss. Annunziata di S. Pietro a Sieve detto di S. Maria di Montesenario, f. 7, ins. 1 (ora CRIA 9459); Ibid., Catasto, 78, cc. 84-88; Ibid., Arte della lana, 20, c. 95r; Ibid., Signori, Carteggi, rapporti d'oratori, 2, cc. 29 s.; Ibid., Signori, Missive, legazioni e commissarie, istruzioni di ambasciatori, 6, cc. 52-53r; Ibid., Consulte e pratiche, 35, cc. 11r, 33r, 38r, 56r; Ibid., Notarile antecosimiano, Not. Giovanni di Buonaiuto Bencivenni, G 361, Testamenti 1389-1413, cc. 37r, 118r, 119r, 123r; Ibid., Manoscritti 351, c. 145; 250: Priorista Mariani, III,c. 576r; 319, c. 1210; 476, c. 28; Ibid., Archivio Ceramelli-Papiani, n. 4518; Ibid., Deputazione sulla nobiltà e cittadinanza, f. 14, ins. 13; Firenze, Biblioteca nazionale, Mss. Magliab. cl.25, cod. 394, cc. 122 s.; Le "consulte" e "pratiche" della Repubblica fiorentina nel Quattrocento, a cura di E. Conti, Pisa 1981, pp. 178, 241, 252, 315; P. A. Giani, Annalium sacri Ordini fratrum servorum B. Mariae Virginis, Florentiae 1618, centuria II, lib. V, cap. II, c. 135; cent. III, lib. III, cap. II, cc. 39-41; M. Salvi, Historie di Pistoia, II,Pistoia 1657, p. 163; G. M. Brocchi, Vite di santi e beati fiorentini, Firenze 1752, p. 415; D. M. Manni, I sigilli antichi, Firenze 1764, XX, pp. 3-40; Delizie degli eruditi toscani, XV (1781), pp. 193-24, 282-302; A. Ademollo, Marietta de' Ricci, ovvero Firenze al tempo dell'assedio. Racconto storico, a cura di L. Passerini, VI, irenze 1845, pp. 2073 ss.; E. Santini, Firenze e i suoi oratori nel Quattrocento, Milano 1922, pp. 125 ss.

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