Foscolo, Ugo

Enciclopedia machiavelliana (2014)

Foscolo, Ugo

Luigi Trenti

Poeta, nato a Zante nel 1778 e morto a Turnham Green, presso Londra, nel 1827. L’interesse di F. per M. è documentato quasi in tutta la sua opera, dagli anni del periodo repubblicano e giacobino (1797-99) fino agli scritti critici dell’esilio inglese. In questa continuità si possono riconoscere una predilezione e un culto personale che si sviluppano in fasi alterne di approfondimento – la più intensa, quella dei Frammenti su Machiavelli del 1811 (Edizione nazionale delle Opere di Ugo Foscolo [da qui in avanti indicata con la sigla EN], 8° vol., 19331934, pp. 1-63) –, e in scritti assai diversi, ideologico-politici, letterari e linguistici. Il diagramma della presenza di M. risulta così da segmenti di riflessione più o meno estesi, giudizi sulle opere, citazioni sparse di supporto alla riflessione, che riguardano il politico, lo storico, il prosatore, il teorico della lingua toscana-fiorentina, in un processo che presuppone l’evoluzione del pensiero foscoliano.

Oltre che nei riferimenti a M. negli interventi oratori del triennio repubblicano (1797-99), la prosa del Segretario fiorentino risuona – deluse le speranze patriottiche – nella dedicatoria della sesta edizione dell’ode “A Bonaparte liberatore” (nov. 1799), con l’amara ammissione che «è vero pur troppo che il fondatore di una repubblica deve essere un despota» (EN, 6° vol., 1972, p. 163); e soprattutto, dopo la svolta autoritaria del regime napoleonico, nell’Ortis del 1802, nelle sentenze negative rielaborate dal Principe (capp. xv, xviii e xxv): «l’uomo dabbene in mezzo a’ malvagi rovina sempre; e noi siam soliti […] a giudicar dall’evento»; e, per detto di Giuseppe Parini, «ma […] credimi, la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia, due quarti alla sorte, e l’altro quarto ai loro delitti» (EN, 4° vol., 1955, pp. 180, 241); e infine nella lettera sui sepolcri di S. Croce, ove M. e Galileo Galilei figurano come esempi di tardiva discolpa «della povertà e delle carceri con le quali i loro avi punivano la grandezza di quei divini intelletti […]. Ma le persecuzioni, e gli onori sono documenti della maligna ambizione che rode l’umano gregge» (p. 227).

Negli anni seguenti, impegnato nelle stampe delle Poesie e della Chioma di Berenice (1803) e in obblighi militari fino al 1806, F. sarebbe tornato a M. soltanto nei versi famosi (154-58) del carme Dei sepolcri (1807): «quel grande / che temprando lo scettro a’ regnatori / gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue». Nella serie di perifrasi antonomastiche il primo posto assegnatogli era riprova della ‘considerazione politica’ dei sepolcri rivolta al fine di «animare l’emulazione […] degli italiani» (Lettera a Monsieur Guill [...], in EN, 6° vol., cit., p. 518 nota 17). Pur adombrando solo in parte le tesi antiche e moderne dell’interpretazione obliqua del Principe (Gentili 1999), tra cui le riflessioni esplicative di Vittorio Alfieri (Del Principe e delle lettere II, 9: «molto più per disvelare ai popoli le ambiziose ed avvedute crudeltà dei principi che non certamente per insegnare ai principi a praticarle») e forse un richiamo al capitolo “Dell’Ambizione” (per le «lagrime» e il «sangue»), il messaggio di denuncia si rivolge contro la falsa gloria e la logica spietata del potere in genere nel corso dei tempi («a’ regnatori»), con accenti non lontani dalla requisitoria dell’Orazione a Bonaparte pel Congresso di Lione (1802), in cui il tema dei sepolcri di «altissimi personaggi» collegava le lotte fratricide, «fondamento al trono degli stranieri», al lamento: «Oh! dalle mani italiane gronda ancora sangue italiano!» (EN, 6° vol., cit., p. 228; V. Di Benedetto 1990, p. 203; A. Di Benedetto 2001, pp. 158-59).

Il filo machiavelliano si fa più evidente con il primo tomo delle Opere di Raimondo Montecuccoli (1808) e nelle lezioni nell’ateneo pavese (1809). Nella prima opera, rivolta a considerare il valore storico ed etico-politico dell’addestramento all’arte militare («Primo il Macchiavelli investigò ne’ suoi discorsi sopra Livio le cause della libertà e della prosperità di Roma; e nel libro sull’arte della guerra tentò di ridestare le istituzioni della legione, delle marcie e degli accampamenti romani»: EN, 6° vol., cit., p. 599), fa la sua prima comparsa – nei nomi di Thomas Hobbes, M., Montesquieu, e con le idee di Francesco Saverio Salfi e di Mario Pagano – l’impostazione antimetafisica e realistica circa la distinzione dei

diritti e i doveri di natura da’ diritti e da’ doveri di società; quasi che la società non fosse emanazione necessaria della natura, e l’uomo non fosse animale naturalmente sociale, naturalmente distruttore [...] quindi la forza assume le apparenze della giustizia finché un’altra forza non la distrugga (pp. 615-16).

Su questa linea, le lezioni pavesi offrono la più coerente articolazione del pensiero di F., in cui una ideale poetica letteraria con radici filosofiche si sviluppa fin dalla prolusione all’interno di una visione negativa dell’uomo, «animale essenzialmente usurpatore, essenzialmente sociale», e della società (Hobbes, Giambattista Vico, Claude-Adrien Helvétius), sottoposta alla legge del dominio: «Elementi dunque della società furono, sono e saranno perpetuamente il principato e la religione» (Dell’origine e dell’ufficio della letteratura, in Orazioni e lezioni pavesi, a cura di A. Campana, 2009, pp. 87, 98), ma si apre al futuro con l’esortazione agli scrittori di dedicarsi alle storie: «ma dov’è una storia d’Italia? E come oserete lodare senza rossore gli esempi di Livio e Niccolò Macchiavelli, se voi potete e non volete seguirli?» (p. 118).

Sulla scia delle polemiche dei letterati milanesi, in seguito alle lezioni e in specie all’orazione Sull’origine e i limiti della giustizia (Tongiorgi 1994), quindi alla rottura con Vincenzo Monti e a vari attacchi personali, alla fine del 1810 F. lesse l’opuscolo di Angelo Ridolfi, Pensieri intorno allo scopo di Niccolò Machiavelli nel libro Il Principe, uscito nel novembre. L’operetta di Ridolfi, monaco olivetano, studioso di letteratura tedesca e professore di diritto a Bologna dal 1804 (Carta, in Scritti sul Principe di Niccolò Machiavelli, a cura di P. Carta, C. Del Vento, X. Tabet, 2004), conteneva in appendice la lettera di M. a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513 sulla composizione del Principe, ancora inedita. L’occasione stimolò F. a una replica immediata, ma l’intento si venne modificando in una prospettiva più ampia: e cioè nel progetto di una vita di M. e quindi in quello di una storia italiana dal 10° al 18° sec., di cui fu edito nel 1811 solo il saggio Dello scopo di Gregorio VII (la fase del lavoro di replica di F. è ricostruita nell’edizione congetturale delle Considerazioni, in Scritti sul Principe di Niccolò Machiavelli, cit.).

Il volumetto di Ridolfi, imperniato su presupposti giusnaturalistici, mirava a confutare l’interpretazione antitirannica (definita come «satira del principato», pp. 103, 110, 112, 119) e a proporre l’interpretazione patriottica del Principe sulla base del realismo politico di M., nella consapevolezza, dedotta da Principe xxvi, che «in Italia corressero tempi nuovi da onorare un principe nuovo» (p. 102). Così i Pensieri si inserivano nel dibattito politico del momento – il testo era stampato a Milano nei mesi degli attacchi concentrici contro F. da Milano e dagli accademici pavesi e padovani del regno (Epistolario, da qui in avanti indicato con la sigla Ep., 3° vol., 1979, pp. 211, 485; Tongiorgi 1994) – con un’impostazione moderata, a favore dell’assolutismo napoleonico nella forma del ‘governo monarchico’ (Tabet, in Scritti sul Principe di Niccolò Machiavelli, cit., p. 69). In quel contesto storico-politico gli inediti Frammenti di F. non svolsero in pratica nessun ruolo, ma alla considerazione storiografica contemporanea essi si presentano come il segno dell’irriducibile esaurimento della interpretazione obliqua-repubblicana e insieme il passaggio sintomatico alla tematica del risorgimento nazionale (Procacci 1995). Basandosi sull’Elogio di M. di Giovanni Battista Baldelli Boni (Londra [ma Firenze] 1794), sulla Prefazione e Vita di M. contenute nel primo tomo delle Opere, 1796-1798, e pochi altri testi, tra cui William Roscoe, Vie et Pontificat de Léon X (1808), la Storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi e i primi quattro libri di Jean-Charles Simonde de Sismondi sulle repubbliche italiane (Ep., 3° vol., cit., p. 580), F., nella radicata persuasione dell’incompatibilità antica e moderna tra spirito di patria e tirannide, non mutò l’impostazione obliqua, pur con notevoli attenuazioni e concessioni («le grandi rivoluzioni degli stati nascono sempre dal genio di un uomo guerriero», Scritti sul Principe di Niccolò Machiavelli, cit., p. 151). Il bilancio finale dell’analisi storico-politica consisteva, infatti, nella convinzione che «il libro del Principe fu dunque scritto per isvelare la debolezza dei principi italiani»; che l’«intendimento» ricavabile dal «confronto delle opere» era quello di «liberare le città d’Italia, e specialmente Firenze sua patria dal giogo de’ piccoli principi e dalla prepotenza della Chiesa che li innalzava e li sosteneva»; mentre «nel carattere de’ tempi si vede l’impossibilità che un principe nuovo occupasse e governasse indipendentemente tutta l’Italia» (p. 154). Tuttavia, nelle linee argomentative sviluppate nei paragrafi delle Considerazioni, ciò che emerge è una più forte impostazione storicistica (pur enunciata da Ridolfi) che fa leva soprattutto sul personaggio-uomo M., sul suo «carattere» di fronte alle «sciagure, i pericoli, la povertà», «uno di que’ caratteri intolleranti dell’ipocrisia, incapaci di simulazione co’ tristi, ardentissimi pel pubblico bene» (pp. 148-49).

Partendo per Firenze nell’agosto del 1812, F. portò con sé vari libri relativi al lavoro su M. (G. Nicoletti, in La biblioteca fiorentina..., 1978, pp. 13-15), nell’intento di proseguire il progetto avviato nel periodo creativo delle Grazie. È tuttavia con la tragedia Ricciarda (1813) che F. poté riprendere il suo discorso su M. con l’ideazione di un tema storico allusivo al presente. Ambientata nella Salerno medioevale, la vicenda dell’amore vietato ai figli di due fratelli rivali a causa di odi politici («il seme degli umori guelfi e ghibellini» di Istorie fiorentine I xv) trattava nell’azione drammatica un motivo precocemente nazionale, in cui si è ravvisata una riconoscibile filigrana di «luoghi celebri del Principe» nelle battute sferzanti del tiranno (di nome Guelfo) e del suo antagonista, sostenitore di «spade brandite» da «cittadine mani» per trascinare «i molti e dubbi itali prenci» a farsi «guerrieri d’Italia» (EN, 2° vol., 1961, p. 165, vv. 239-45: Martelli 1988, pp. 22-25). Nel 1815, in seguito ai tumultuosi giorni della caduta del regno italico e alle accuse anonime mossegli, F. iniziò la stesura dei discorsi Della servitù dell’Italia, come risposta polemica contro i senatori del regno e apologetica da testimone degli eventi. L’opera contiene anche, nei frammenti del Discorso agli italiani di ogni setta (EN, 7° vol., 1933, pp. 181-99), le pagine più esplicite che F. abbia scritto in tema di processi sociopolitici e più aderenti ai concetti di fondo di M.: la terminologia politica in genere e in specie quella di «parte», «fazione», «setta», uno schema triadico degenerativo di forme di diversificazione (positiva) e «divisione» (negativa) di una «civile comunità», diviene lo strumento di analisi di entità politiche storiche e contemporanee di cui si soppesano i rimedi per ‘mantenere’ e non perdere lo Stato nella dialettica tra gli «ordini» e la funzione dell’esercito. L’esemplificazione storica ha valore paradigmatico (anzitutto i Romani, fino al tempo dei Gracchi e poi a Mario e Silla e Augusto; Sparta e Atene; la Firenze trecentesca; il periodo del Terrore in Francia) e tensione attualizzante anche nel rapporto «costituzione»-«ordini» proprio della «monarchia giusta» inglese (già lodata trattando del «consulto» a Leone X nelle Considerazioni, cit., p. 148), su cui F. fa assegnamento per l’esito futuro («dico non potersi riordinare l’Italia, se non a monarchia giusta […] il dirlo è immaturo»).

Nel periodo inglese (1816-27), tranne sparse citazioni di M. negli scritti politici (EN, 13° vol., 1964), l’interesse di F. si concentra, anche per ragioni di committenza e richieste del pubblico, su aspetti letterari e linguistici di storia della letteratura italiana, ma anche comparativi come nel saggio Intorno ad antiquari e storici, ove si confrontano le opere individuali (su un solo popolo) dei «quattro maggiori storici filosofi dell’antichità» con M., «il primo che, narrando le vicende della piccola sua repubblica di Firenze, le descrisse come se dovessero servire di lezione a tutti gli altri popoli della terra» (EN, 11° vol., 1958, p. 321). La meditazione condotta negli anni precedenti sul rapporto tra lingua letteraria nazionale e lingue-dialetti locali, sulla scorta del De vulgari eloquentia di Dante e con i documenti del Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua di M., assume ancor più negli scritti inglesi una connotazione storica e politica (la lingua specchio della civiltà nazionale), in vista dell’obiettivo da realizzare di una «lingua scritta e insieme parlata, letteraria e popolare ad un tempo» (lettera del 1826 a Gino Capponi, in Vitale 1988, p. 440). I giudizi più puntuali su M. scrittore si rinvengono in particolare nelle Epoche della lingua italiana, che assegnano valore poetico alle «licenziose commedie», la sua eccellenza «come scrittore in prosa e di trattati politici, e come storico», il merito di offrire ai posteri «modelli permanenti di stile e di lingua». E proprio dello stile di M., come risvolto essenziale «e di delicate e di generose passioni», F. rintraccia – simpateticamente – le qualità costituenti di «forza», «evidenza», «brevità», che fanno sì che «Il significato di ogni suo vocabolo par che partecipi della profondità della sua mente, e le sue frasi hanno la connessione rapida, splendida, stringente della sua logica» (EN, 11° vol., cit., pp. 262, 244, 228).

Bibliografia: Edizione nazionale delle Opere di Ugo Foscolo, 22 voll., Firenze 1933-1994 (Epistolario, voll. 1-9, a partire dal 14° dell’EN); U. Foscolo, Opere, a cura di F. Gavazzeni, 2 tt., Milano-Napoli 1981 (t. 2: Nota introduttiva, pp. 1131-32; testo dai Frammenti sul Machiavelli, pp. 1133-56; Note ai testi, pp. 2195-96); A. Ridolfi, U. Foscolo, Scritti sul Principe di Niccolò Machiavelli, a cura di P. Carta, C. Del Vento, X. Tabet, Rovereto 2004 (contiene i seguenti saggi ed edizioni: P. Carta, Il Machiavelli di Angelo Ridolfi, pp. 7-30; C. Del Vento, Le Considerazioni di Ugo Foscolo, pp. 31-57; X. Tabet, Alle origini del «mito risogimentale» di Machiavelli, pp. 59-81; Nota ai testi, pp. 83-95; A. Ridolfi, Pensieri, a cura di P. Carta, pp. 97-128; Considerazioni, a cura di C. Del Vento, pp. 129-72); Dell’origine e dell’ufficio della letteratura, a cura di E. Neppi, Firenze 2005; Orazioni e lezioni pavesi, a cura di A. Campana, Roma 2009.

Per gli studi critici si vedano: V. Cian, Ugo Foscolo erudito, «Giornale storico della letteratura italiana», 1907, 25, 49, pp. 1-66; G. Gambarin, Quel grande che temprando…, in Id., Saggi foscoliani e altri studi, Roma 1978, pp. 172-78; La biblioteca fiorentina del Foscolo nella Biblioteca Marucelliana, premessa di L. Caretti, introduzione, catalogo, appendice di G. Nicoletti, Firenze 1978; C. Dionisotti, Machiavelli e la lingua fiorentina, in Id., Machiavellerie, Torino 1980, pp. 267-363; M. Martelli, Foscolo e la cultura fiorentina, in Atti dei Convegni foscoliani, Firenze aprile 1979, 3° vol., Roma 1988, pp. 15-57; M. Vitale, Il Foscolo e la questione linguistica del primo Ottocento, in Id., La veneranda favella. Studi di storia della lingua italiana, Napoli 1988, pp. 389-441; V. Di Benedetto, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, Torino 1990; D. Tongiorgi, Un nuovo importante testimone dell’orazione Sull’origine e i limiti della giustizia di Ugo Foscolo, «Giornale storico della letteratura italiana», 1994, 171, 555, pp. 412-34; C. Del Vento, Foscolo e «Gli antichi amici dell’indipendenza», «Rivista di letteratura italiana», 1995, 13, 1-2, pp. 79-136; G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, Roma-Bari 1995, pp. 37479; R. Turchi, L’orazione inaugurale di Ugo Foscolo, «Rassegna della letteratura italiana», 1996, 100, 2-3, pp. 26-43; S. Gentili, Machiavelli in Foscolo: i Sepolcri, «Antologia Vieusseux», 1999, 14, pp. 5-24; A. Di Benedetto, «Il nostro gran Machiavelli»: Alfieri e Machiavelli, in La lingua e le lingue di Machiavelli, Atti del Convegno internazionale di studi, Torino 2-4 dicembre 1999, a cura di A. Pontremoli, Firenze 2001, pp. 155-67; A. Colombo, «Incapaci di simulazione co’ tristi, ardentissimi per pubblico bene». Foscolo e Machiavelli, «Giornale storico della letteratura italiana», 2004, 596, pp. 481-513; G. Nicoletti, Foscolo, Roma 2006; A. Campana, Ugo Foscolo. Letteratura e politica, Napoli 2009.

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