MATTONE, Ugo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2016)

MATTONE, Ugo (Ugo Pirro)

Mariapia Comand

– Nacque a Salerno il 26 aprile 1920 da Umberto Mattone, capostazione di primo livello, e Livia Turco.

L’infanzia, ripercorsa nel romanzo autobiografico Figli di ferroviere (Palermo 1999), trascorse sullo sfondo delle stazioni, e fu movimentata dai continui trasferimenti dovuti al lavoro del padre. Dopo il ginnasio, frequentò il liceo presso il collegio Littorio a Roma, avendo vinto un concorso indetto dall’Opera nazionale Balilla. Interruppe gli studi universitari a Napoli, a causa dell’entrata in guerra dell’Italia, cui prese parte col grado di sergente.

Dal ripensamento delle esperienze belliche nacquero i romanzi: Le soldatesse (Milano 1956), sull’occupazione fascista della Grecia, portato al cinema da Valerio Zurlini nel 1965; Mille tradimenti (ibid. 1959) sulle vicende di un giovane ufficiale di stanza in Sardegna e sul suo ritorno a Napoli dopo l’armistizio dell’8 settembre; Jovanka e le altre (ibid. 1959) sulla lotta partigiana in Jugoslavia, di cui Martin Ritt diresse nel 1965 la trasposizione cinematografica.

La notorietà letteraria aiutò Pirro a uscire dalle difficoltà economiche incontrate nel mondo del cinema romano, cui si era avvicinato dopo aver fatto il rappresentante di libri e l’ispettore di diffusione di un quotidiano. Nel dopoguerra la comunità culturale capitolina comunista, infatti, condivideva effervescenza e indigenza: poeti, pittori e aspiranti cineasti affollavano la trattoria di via Flaminia, attratti dal largo credito concesso dai gestori; il locale – come ribattezzato dallo stesso Pirro nel romanzo l’Osteria dei pittori (Palermo 1994) –, ospitava assiduamente anche lo sceneggiatore, all’epoca impegnato occasionalmente come giornalista o come “negro” (termine che designava uno scrittore non accreditato né contrattualizzato). Fu proprio un collega giornalista a fornirgli l’idea per il primo soggetto – Ti scrivo questa lettera –, storia di due analfabeti meridionali, basata sulla reale vicenda del sindacalista Giuseppe Di Vittorio, che suscitò l’interesse del regista Giuseppe De Santis, il quale introdusse il giovane Pirro nel mondo del cinema. Grazie a Carlo Lizzani firmò la prima sceneggiatura Achtung! Banditi! (uscito nel 1951), inaugurando così un sodalizio duraturo, ispirato alla comune volontà di elaborare criticamente la storia del Paese.

Dai drammatici e tormentati avvenimenti della seconda guerra mondiale (Il gobbo, 1960; Il processo di Verona, 1966), ai fatti di cronaca degli anni Cinquanta e Sessanta (Svegliati e uccidi, 1966 noto anche come Lutring), fino al rigurgito neofascista degli anni Settanta (Un delitto inutile, 1976), risalendo alle origini dei mali nazionali con L’amante di Gramigna del1968, tratto da un racconto di Verga (1880). Il modello cinematografico di riferimento era per entrambi il Neorealismo, per il suo portato civile e morale: non a caso Lizzani adattò per il grande schermo Celluloide (1995), dall'omonimo romanzo di Pirro (MIlano 1983), incentrato sull’avventurosa realizzazione di Roma città aperta di Roberto Rossellini (1945).

Data l’inclinazione politica dei plot, non mancarono tuttavia problemi con le istituzioni e la censura, che costellarono d’altro canto l’intera carriera dello scrittore: a causa di Il gobbo Nicola De Pirro, funzionario ministeriale e direttore generale dello Spettacolo, fece pressioni sui produttori affinché lo sceneggiatore non lavorasse per un certo periodo; l’ostracismo si concluse con Il processo di Verona, nato da un soggetto di Sergio Amidei (col quale Pirro aveva già lavorato nel 1957 per Il momento più bello di Luciano Emmer).

Diatribe e questioni giudiziarie insorsero anche su altri fronti: poiché Pirro traspose diversi romanzi per il cinema, le sue scelte attirarono spesso il dissenso degli autori dei testi adattati. Leonardo Sciascia prese le distanze dalla sceneggiatura, firmata da Elio Petri con Pirro, tratta da A ciascuno il suo (1966), consigliando causticamente di «girare il film in Puglia, tanto considerava lontano dal libro e addirittura dal mondo siciliano» il copione, come riferisce lo stesso Pirro nel suo libro di ricordi Soltanto un nome nei titoli di testa: i felici anni Sessanta del cinema italiano (Torino 1998, p. 185). Tuttavia quando il film uscì, nel 1967, il notevole riscontro di critica e pubblico, oltre al prestigio guadagnato grazie al premio per la miglior sceneggiatura al festival di Cannes del 1967, indussero i produttori a chiedergli la riduzione di un altro romanzo di Sciascia, Il giorno della civetta (1961), affidando questa volta la regia a Damiano Damiani (1968).

Un clamoroso caso giudiziario scoppiò a causa di Il giardino dei Finzi Contini poiché Giorgio Bassani, autore del romanzo (1962) e di una prima versione della sceneggiatura insieme con Vittorio Bonicelli, indignato dallo script definitivo di Pirro, chiese il sequestro del film citando in giudizio il regista Vittorio De Sica e lo sceneggiatore. Il processo si risolse in un nulla di fatto, Bassani però impose che il suo nome non figurasse nei crediti; il film (uscito nel 1970) vinse l’Oscar come miglior film straniero, oltre a ottenere una nomination per la miglior sceneggiatura non originale.

Grazie a un adattamento – quello di Metello (1955) di Vasco Pratolini – iniziò l’importante collaborazione con il regista Mauro Bolognini: a Metello (1970) seguirono Imputazione di omicidio per uno studente (1972), lettura in chiave psicologica dei conflitti degli anni Settanta, e L'eredità Ferramonti (1976), sulle bassezze della borghesia emergente nell’Italia umbertina. Tuttavia il rapporto artistico e umano fondamentale di questo periodo fu quello con Elio Petri, rievocato dallo sceneggiatore nel libro Il cinema della nostra vita (Milano 2001). L’incontro tra i due avvenne negli anni Cinquanta, trovandosi entrambi nell’équipe di scrittura di Uomini e lupi (Giuseppe De Santis, 1957) e La garçonniere (sempre di De Santis, 1960); e proseguì negli anni successivi in progetti non andati in porto (L’uomo senza domenica, Pettotondo). A ciascuno il suo costituisce la prima produzione concepita e realizzata interamente dalla coppia e da subito ne evidenzia le caratteristiche tematiche, narrative e stilistiche: la scelta di argomenti passibili di incidere nel dibattito pubblico, la predilezione per la detection novel, la fascinazione per gli schemi di genere e lo scardinamento delle regole classiche del racconto di largo consumo.

Il film, infatti, è un «poliziesco speciale con un morto e senza poliziotti» (cfr. Il cinema della nostra vita, cit., p. 35); un poliziesco peculiare, la cui ostentata solarità – la storia si svolge in un’accecante Sicilia – contravviene ai consueti clichés di genere, come l’ambientazione buia e notturna. Secondo una tecnica del rovesciamento poi tipica, all’abbagliante superficie scenografica viene opposta l’oscurità «dei comportamenti criminali, la penombra diffusa sugli atteggiamenti quotidiani, l’ambiguità delle parole e dei gesti» (ibid., p. 36).

Il gusto del paradosso e del grottesco, l’esasperazione della tensione narrativa, il taglio espressionistico del racconto, tutti elementi già a fuoco in questa prima prova, contraddistinsero ancor più nettamente i lavori successivi. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Petri, 1970), film sull’impunità del potere, sui rischi dell’autoritarismo e amara profezia della strategia della tensione, uscì nel clima post-Sessantotto, in concomitanza con la strage di piazza Fontana e la morte di Giuseppe Pinelli: eventi che amplificarono enormemente la provocazione, lo scandalo e il successo del film. Furono quelli anni di impegno politico attivo per Pirro: fu infatti tra i promotori dell’occupazione della XXIX edizione della Mostra del cinema di Venezia. Le polemiche e gli scontri infiammavano allora i rapporti con le autorità e corrodevano il Partito comunista italiano (PCI) al proprio interno: a Petri e Pirro giudizi velenosi provennero anche dalle fila della critica cinematografica militante di sinistra, che imputava loro il mancato, reciso rifiuto delle logiche commerciali dell’industria culturale.

A dispetto delle contestazioni Indagine fu insignito a Cannes con il premio speciale della giuria; ottenne, inoltre, il premio della stampa cinematografica internazionale, l’Oscar quale miglior film straniero e la nomination per la miglior sceneggiatura originale, oltre al premio Edgar Allan Poe conferito alla sceneggiatura dall’Accademia americana del poliziesco.

Un ulteriore riconoscimento internazionale venne con La classe operaia va in Paradiso (1972), sulla condizione operaia della vita in fabbrica: il film si guadagnò il grand prix del Festival di Cannes, ex aequo con Il caso Mattei di Francesco Rosi, uscito anch’esso nel 1972. La proprietà non è più un furto (1973) propose novità e conferme: si segnalò per la mancanza di Gian Maria Volonté, fino a quel momento icona del cinema Pirro-Petri e per il radicalizzarsi della ricerca di una struttura narrativa aperta, straniante, brechtiana. A fronte di tali novità, si confermarono i problemi con gli organi di controllo: la pellicola venne sequestrata a Genova poco prima della proiezione in seguito alla denuncia per oscenità presentata alla Procura della Repubblica dai Carabinieri della Polizia giudiziaria. Fu l’ultimo film della coppia Pirro-Petri. Ugo Pirro ebbe ancora modo di frequentare il cinema civile con Pasquale Squitieri (I guappi, 1974, Il prefetto di ferro, 1977), con Gillo Pontecorvo (Ogro, 1979) e con Alessandro Di Robilant (Il giudice ragazzino, 1994); senza tuttavia raggiungere quella perfetta sintesi di stile e intenzioni raggiunte con la filmografia petriana e in particolare con Indagine, «indubbiamente un vertice della capacità di rovesciare provocatoriamente le regole che sorreggono la struttura narrativa di un film» (v. G. Manzoli, Al servizio dell’autore. La sceneggiatura nel cinema dei “Maestri” degli anni ’60 e ’70: Comand, 2006, p. 182).

Autore eclettico, capace di misurarsi con linguaggi diversi, Pirro, oltre che giornalista, romanziere (v. anche Il luogo dei delitti, Milano 1991), sceneggiatore cinematografico e prolifico autore di testi autobiografici (produzione, questa, che nel suo complesso costituisce una sorta di romanzo del cinema italiano: fra le opere non citate nel testo v. Per scrivere un film, Milano 1982), fu anche commediografo (La sala dei professori, 1994) e autore per il piccolo schermo (Luisa Sanfelice, Leonardo Cortese, 1966), intensificando tale impegno a partire dagli anni Ottanta: a fianco, tra gli altri, di Lizzani (Nucleo zero, 1984) e Bolognini (La famiglia Ricordi, 1995); con la regia di Franco Giraldi, portò in televisione nel 1984 il suo romanzo Mio figlio non sa leggere (1981), dolorosa cronaca della scoperta della dislessia del figlio e impietosa denuncia della colpevole insipienza delle istituzioni.

Morì a Roma il 18 gennaio 2008.

Fonti e Bibl.: Sulla carta, Storia e storie della sceneggiatura in Italia, a cura di M.P. Comand, Torino 2006; E. Latronico, Ugo Pirro: indagine su uno sceneggiatore al di sopra di ogni sospetto, Firenze 2007. D. Di Biasio, Soltanto un nome nei titoli di testa (documentario), 2008.

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