CAVALCABÒ, Ugolino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 22 (1979)

CAVALCABÒ (de Cavalcabobus), Ugolino

Giancarlo Andenna

Nacque attorno al 1350 da Guglielmo, secondogenito del signore di Cremona, Giacomo, morto nel 1321. Al momento della nascita la famiglia, ormai politicamente inconsistente, si trovava lontana da Cremona, probabilmente esiliata dai Visconti. Guglielmo si era ritirato con il C., la moglie e l’altro figlio Giovanni nel castello di Bozzolo ove era vissuto, in lite con altri membri del sodalizio per più di cinque lustri. Il 22 maggio 1375 i cugini del C., Pandolfo, Luigi e Bertolino, figli di Marsilio Cavalcabò, uccisero Guglielmo e Giovanni; anche il C. fu ferito gravemente, ma riuscì a riparare dal castello di Bozzolo a Rivarolo Fuori. Da questa località, il 27 maggio, egli scrisse al signore di Mantova, Ludovico Gonzaga, per informarlo dell’accaduto e per notificare che il castello di Bozzolo era stato saccheggiato dagli omicidi, i quali avevano anche tentato di penetrare con la forza nella rocca di Viadana, ove abitavano altri membri della famiglia. Il tentativo di assalire Viadana era avvenuto due giorni prima, ma i tre fratelli furono respinti sino a Correggio, ove trovarono sicuro asilo. Da Correggio raggiunsero poi Suzzara, rocca dei Gonzaga.

I confusi avvenimenti di questo periodo, a cui se ne aggiungeranno altri non meno indecifrabili, sembrano riportarsi a lotte politiche tra i Gonzaga e Milano: infatti il 5 luglio dello stesso 1375 uno dei tre omicidi, Bertolino, fu accusato di aver ucciso suo padre Marsilio, e per questa ragione fu incarcerato dai Gonzaga, ma si difese affermando che il padre si era suicidato. Liberato, riparò a Milano presso i Visconti, da dove il 20 luglio scrisse a Ludovico Gonzaga per informarlo che il C. assoldava uomini per punire gli uccisori del padre e del fratello, ancora rinchiusi nel castello di Suzzara. Il 4 agosto il C., pronto ad assediare il castello dei Gonzaga, scrisse al marchese Ludovico per informarlo che nella sua rocca si rifugiavano gli uccisori del padre e del fratello e per chiedergli di cacciarli dalla fortezza. Il Gonzaga non dette alcuna risposta e il C., tra l’agosto e il dicembre 1375, effettuò gravissime scorrerie nel territorio di Suzzara allo scopo di vendicare i parenti. Tali azioni belliche non mutarono la situazione politica generale: il 2 novembre dello stesso anno, Guberto, zio del C., e i tre figli di Marsilio, nel frattempo entrati in Viadana, cedettero la località a Bernabò Visconti, che vi inviò un vicario con l’ordine di allontanare i Cavalcabò e di iniziare la costruzione di una più potente ed efficace rocca. Al C. non rimase che ritirarsi nel castello avito di Bozzolo tentando di espandere il suo potere verso Comessaggio.

Non è chiara l’attività del C. dal 1376 al 1397; è da ritenere comunque che in questo periodo sia passato al servizio di Giangaleazzo Visconti, dato che il 28 ag. 1397 prese parte alle battaglia di Governolo contro le truppe mantovane unitamente al capitano del duca di Milano Dal Verme. In questa occasione fu sconfitto, ferito e fatto prigioniero. L’anno seguente fu a Pavia per occuparsi dei problemi dell’espansionismo visconteo; tuttavia il duca Giangaleazzo, non sicuro della sua fedeltà, gli impedì il ritorno a Cremona e lo tenne prigioniero a Pavia; forse temeva che il C. gli potesse sottrarre Cremona.

Questo forzato esilio durò, sino alla scomparsa di Giangaleazzo (3 sett. 1402); dopo tale evento il C. dovette agire per ottenere dal Consiglio di reggenza, a cui apparteneva Andreasio Cavalcabò – suo cugino e fratello di sua moglie Donatella –, piena libertà di movimento. La liberazione, secondo il Giulini e il Cognasso, avvenne il 1º luglio 1403, ma in realtà deve essere anticipata ai primissimi giorni del 1403, in un momento di bisogno economico della duchessa e del reggente Francesco Barbavara. La libertà costò infatti al C. ben 6.000 fiorini d’oro; tale cifra fu probabilmente sborsata da un alleato politico del C., il cremonese Giovanni Ponzoni, sotto forma di cessione di tre piccole terre del territorio cremonese, Castagnino Secco, Fossadolfo, Boschetto, ai Visconti. Tra il C. ed il Ponzoni vi fu pertanto un ampio accordo al fine di liberare Cremona dal dominio visconteo, accordo che deve anche essere inserito in una manovra politica contro il Barbavara. Infatti il 24 giugno, giorno precedente la rivolta di Milano contro Francesco Barbavara e giorno dell’uccisione di Giovanni da Casate, Cremona insorse contro il vicario ducale Giovanni Castiglioni ed inviò messi al C., per invitarlo a rientrare in patria. Il 30 giugno il C. e Giovanni Ponzoni occupavano militarmente Cremona ed il 10 luglio furono nominati dal Consiglio generale della città “Conservatores et gubernatores civitatis Cremonae”: con la città cadeva in loro possesso anche gran parte del territorio. Il 1º novembre però il Ponzoni venne estromesso dal governo di Cremona, mentre il C. era proclamato nella cattedrale signore della città; Firenze, che lo sosteneva, gli inviò immediatamente numerose truppe. Il 6 dic. 1403 Giovanni Ponzoni morì e il popolo sospettò che il C. lo avesse avvelenato.

Il C. consolidava così il proprio potere in città, e, per la netta posizione antiviscontea assunta, si trovò al centro di un movimento composito di guelfi italiani, fondato su un sistema di alleanze tra le quattro città di Cremona, Firenze, Crema e Lodi.

Le forze del guelfismo avevano trovato in lui un capo autorevole; e ben presto egli divenne ufficialmente “Gubernator generalis partis Guelfae totius Lombardiae”. In questa veste seppe organizzare riuscite spedizioni contro Milano e le città viscontee della Lombardia. Tra il gennaio ed il maggio 1404 i guelfi si batterono accanitamente per la conquista di Parma e Piacenza, e solo le improvvise trattative di pace di Firenze con Milano impedirono il pieno successo della guerra. L’improvviso cedimento della città toscana produsse notevoli cambiamenti nell’attività politica del C., il quale, per non trovarsi improvvisamente isolato contro Milano, il 21 luglio tentò un abboccamento con la duchessa Caterina Visconti; la nuova politica del signore cremonese scatenò in città le forze che a lui si opponevano: ma il C. riuscì a scoprire la congiura e a reprimerla il 23 giugno. Tuttavia le trattative con Caterina non portarono ad alcun risultato poiché il 18 ag. 1404 la duchessa venne arrestata per tradimento nella rocca di Monza. Al C. non rimase che cercare un accordo con Francesco Gonzaga, signore di Mantova e suo naturale nemico, in quanto aspirava al possesso dei territori feudali di Viadana e Bozzolo: le trattative, grazie all’opera diplomatica svolta da Venezia, portarono a una tregua firmata nel settembre 1404.

L’accordo con Mantova fu, peraltro, preceduto da un trattato di alleanza con il signore di Brescia, Pandolfo Malatesta, un tempo condottiero di Giangaleazzo e ribellatosi ai Visconti dopo l’arresto di Caterina. L’intesa tra il C. e Pandolfo portò a una spedizione militare contro Milano, effettuata nell’ottobre, i cui risultati furono molto scarsi. La cattiva riuscita dell’azione militare indebolì ulteriormente la posizione del C. a Cremona, dove la popolazione tra l’ottobre e il novembre del 1404 patì una gravissima carestia; pertanto il C. pensò di superare la nuova crisi politica rappacificandosi con tutte le forze cremonesi. Nel novembre firmò una serie di tregue separate con i Ponzoni, i Picenardi e con la potente famiglia ghibellina dei Dovara. Queste paci interne non solo gli permettevano la sicurezza in città, ma gli assicuravano anche il controllo di tutto il distretto cremonese, in modo da poter risolvere il problema del vettovagliamento della città, reso anche più urgente dalle necessità della guerra. Nel frattempo (inizi di dicembre), Pandolfo Malatesta fu assediato a Brescia dalle truppe milanesi: il C., raccolte tutte le forze guelfe, si mosse per soccorrere l’alleato, ma il 13 dicembre, sorpreso a Manerbio da Estore Visconti, fu sconfitto e imprigionato con gran parte dei Cremonesi.

L’intervento del cognato e cugino Andreasio permise al C. di aver salva la vita e di mantenere i propri possessi feudali in cambio della cessione ai Visconti di Cremona. Ma quando il nipote Carlo Cavalcabò conobbe le clausole del trattato impedì che la città fosse consegnata, facendosene signore; il C. fu trasferito nel castello di Milano in attesa che Cremona fosse consegnata.

La sua cattività durò sino al marzo 1406, quando, fuggito da Milano, raggiunse il castello della Maccastorna e ivi incontrò il giovane capitano delle truppe cremonesi Cabrino Fondulo, che egli un tempo aveva aiutato e beneficiato. Il Fondulo si dichiarò disposto ad appoggiare il C. per riprendere la signoria di Cremona; ma appena giunsero in città, d’accordo con Carlo, lo fece arrestare dalle milizie cremonesi ed imprigionare nella rocca. Questa è l’ultima notizia sul Cavalcabò. È da ritenere che il Fondulo, che mirava ad impossessarsi della signoria di Cremona dopo la strage dei congiunti del C. nel castello della Maccastorna la notte del 25 luglio, abbia fatto uccidere anche Ugolino. Dopo il trionfo di Cabrino Fondulo la vedova del C., Donatella, ed il figlio Guglielmo, si ritirarono nella rocca di Viadana insieme con i membri superstiti della famiglia Cavalcabò.

Bibl.: A. Campo, Cremona fedelissima città, Cremona 1585, pp. 100 ss., ad annos 1402-1406; F. Alisi, Cremona literata, Parmae 1702, p. 201; B. Corio, Hist. di Milano, Milano 1856, II, p. 466; G. Giulini, Mem. spettanti alla storia di Milano, VI, Milano 1857, p. 74; L. A. Minto, Cabrino Fondulo, Cremona 1896, pp. 35-58; C. Cipolla, Storia delle Signorie italiane dal 1313 al 1530, Milano 1881, I, p. 241; G. Solazzi, Gli Statuti di Viadana del sec. XIV, in Boll. storico cremonese, XVIII (1952-53), pp. 13-56; A. Cavalcabò, Le vicende storiche di Viadana (secc. XII-XV), ibid., pp. 180-207; Id., Cremona durante la signoria di U. C., ibid., XXII (1961-1964), pp. 5-120; N. Valeri, Leredità di Gian Galeazzo, Torino 1938, p. 170; F. Cognasso, Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, p. 99.

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