UGOLINO di Prete Ilario

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 97 (2020)

UGOLINO di Prete Ilario

Raffaele Caracciolo

UGOLINO di Prete Ilario. – Di Ugolino, poliedrica figura di pittore, mosaicista e vetratista attestata ripetutamente nel vivace cantiere della cattedrale di Orvieto dal 1357 al 1380, possediamo pochissime notizie biografiche. Addirittura alcuni lo vorrebbero nato a Siena, se non fosse che nelle firme e nei documenti egli viene sempre qualificato come «pictor de Urbeveteri» o «pictor Urbevetanus». È anche da smentire la tradizione secondo la quale Ugolino «presbyteri Ylarii» (così in un pagamento del 1364 e in vari documenti successivi) sarebbe figlio del pittore «presbyter Ylarius de Viterbio», che nel 1393 firmava e datava il grande retablo della Porziuncola in S. Maria degli Angeli ad Assisi: Ugolino, infatti, era attivo già alla metà del secolo, mentre la sua carriera di artista, tutta spesa a favore della fabbrica del duomo, si esaurì nella prima metà degli anni Ottanta, in concomitanza con gli ultimi incarichi municipali (dopo il 1365, fu dei Sette Signori di Orvieto anche nel 1382 e nel 1384); d’altra parte, nel testamento che Ugolino, «sano di corpo e di mente», dettò nel novembre del 1384, lasciando i propri beni all’Opera del duomo e rendendone usufruttuaria la moglie, il patronimico è preceduto dall’avverbio «quondam».

Il pittore, che risiedeva nella parrocchia di S. Angelo in Posterula, era ancora vivo nel novembre del 1403, quando «domina Gemma uxor magistri Ugolini» domandò al camerario della cattedrale l’autorizzazione per alienare una vigna di proprietà del marito; viceversa un documento dell’aprile del 1408 si riferisce agli immobili già in possesso del «fu Ugolino».

La fama del pittore è legata essenzialmente alla cappella del Corporale nel duomo di Orvieto, destinata a custodire il sacro lino del miracolo di Bolsena (1263) e costruita a pianta trapezoidale nel 1350-56, inglobando i contrafforti e gli archi rampanti che Lorenzo Maitani aveva appoggiato alla testata esterna del transetto settentrionale. Ugolino affrescò tutto l’oratorio tra il 1357 e il 1364, con un’ampia partecipazione di aiuti: pagamenti minori furono destinati a fra Giovanni di Buccio Leonardelli, Petrucciolo di Marco (padre del pittore Cola Petruccioli), Domenico di Meo, Antonio di Andreuccio e Piero (Pietro) di Puccio.

Nel 1358, mentre lavorava alle volte a crociera delle due campate, l’artista «servivit ad fenestram vetri» – occupandosi quindi anche delle vetrate, da lui forse disegnate e dipinte – e ordinò i pigmenti necessari (ocra, giallorino, verdaccio e sinopia) da Viterbo, Firenze e Siena, «quia non reperiebantur in Urbeveteri». Nel 1360 l’affrescatura dell’ambiente procedeva in modo febbrile, giacché Ugolino vi lavorava pure di sera, come dimostrano le continue richieste di candele di sego «pro lumine sibi necessario ad pingendum». Tra il 1360 e il 1362 i libri contabili registrano l’acquisto di un grande quantitativo di foglia d’oro. Nell’agosto del 1362 ser Cecco di Pietro, cappellano del duomo, dettò le didascalie esplicative di ogni singola scena, fatta eccezione per le Storie della Passione alla parete di fondo, conchiuse in basso a sinistra dalla firma del pittore: «HANC CA[P]PELLAM DEPINXIT UGOLINUS PICTOR DE URBEVETERI ANNO D[OMI]NI MCCCLXIV DIE IOVIS VIII MENSIS IUNII».

Nel frattempo Ugolino fu pure chiamato a ricoprire alcuni incarichi secondari: nel febbraio del 1359 rese omaggio ad Andrea di Cione, detto l’Orcagna, giunto a Orvieto come soprastante del duomo, partecipando con fra Giovanni di Buccio a un banchetto offerto in onore del fiorentino; nel luglio seguente, forse in una pausa dei lavori a fresco dovuta alla calura estiva, dipinse due Maestà in altrettante paci da usarsi nelle funzioni liturgiche della cattedrale; nel giugno del 1360 dipinse una «quintanam positam [...] ante ecclesiam» in occasione della festa del Corpus Domini; nel settembre del 1362 fu uno dei periti chiamati a collaudare un mosaico dell’Orcagna (il Battesimo di Cristo nella ghimberga sopra il portale di sinistra, rifatto assai più tardi su cartoni dell’orvietano Cesare Nebbia), di cui diede un giudizio tutt’altro che positivo sotto il profilo tecnico, diversamente da quanto sarebbe accaduto nel giugno dell’anno seguente con un altro mosaico, realizzato questa volta da fra Giovanni Leonardelli (l’Annuncio a s. Anna, poi sostituito dall’Incontro con Gioacchino alla Porta Aurea, ai lati della ghimberga sopra il portale di destra).

Il programma iconografico – allo stesso tempo storico, dottrinario e simbolico – della cappella del Corporale è estremamente articolato. Nelle vele della prima campata il fedele riceve una serie di esortazioni e ammonimenti per prepararsi alla celebrazione dell’eucaristia (dalla vela frontale in senso orario: S. Paolo invita alla confessione, Visione apocalittica di s. Giovanni Evangelista, Conversione di s. Agostino, Visione di s. Tommaso d’Aquino), per poi immergersi, nelle vele della seconda campata, nelle prefigurazioni veterotestamentarie del SS. Sacramento (dalla vela frontale in senso antiorario: Offerta di Melchisedech ad Abramo, Ospitalità di Abramo ai tre pellegrini, Mosè raccoglie la manna nel deserto, Storie di Elia). Nelle lunette della prima campata, l’istituzione dell’eucaristia con l’Ultima Cena campeggia in controfacciata sopra l’ingresso, mentre ai lati si fronteggiano specularmente due raffigurazioni del Discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao. Tra i molteplici affreschi delle pareti sottostanti spiccano, a sinistra, una vivace rappresentazione della Pasqua ebraica e, nella cappella archiacuta, il Prodigio dell’ostia fritta e un Miracolo di s. Pietro martire; a destra, la Comunione degli apostoli e, nella nicchia sopra la porta della sacrestia, il Sacrificio di Caino e Abele. La seconda campata ha tre lunette di altezza assai ridotta (per la presenza di un finto matroneo a mo’ di loggiato), in cui sono affrescati i Ss. Gregorio Magno, Girolamo e Basilio. La parete sinistra, divisa in tre registri, è dedicata al racconto di sei Prodigi operati dal Santissimo (per un totale di quattordici riquadri), mentre la parete destra narra, in sette riquadri ripartiti sempre su tre registri, la storia del Miracolo di Bolsena, dalla Messa sull’altare di s. Cristina (in alto a sinistra) all’Istituzione della festa del Corpus Domini nell’agosto del 1264 (l’iconografia del ciclo è palesemente ispirata all’antico reliquiario del 1337-38 dell’orefice senese Ugolino di Vieri, oggi nel Museo dell’Opera); infine la parete di fondo, dietro il tabernacolo su disegno dell’Orcagna, che custodisce il moderno reliquiario, è completamente occupata dalla grande scena della Crocifissione (condizionata nella composizione dalla presenza di due oculi) e, ai lati dell’altare, dagli episodi del Compianto sul Cristo morto (firmato da Ugolino) e della Resurrezione.

Una nuova e brevissima stagione per gli affreschi della cappella si aprì nel 1494-95, quando una squadra di quattro pittori lavorò (non sappiamo in che termini) alle pareti della prima campata. Nel 1853 Friedrich Overbeck, tra i massimi esponenti della corrente del purismo, propose di distruggere i dipinti di Ugolino e di sostituirli con suoi affreschi nuovi di zecca: l’uscita del tedesco, per fortuna rispedita al mittente, ebbe almeno il risultato di portare l’attenzione sul grave stato di degrado dei dipinti trecenteschi, al cui restauro sovrintesero, tra il 1855 e il 1860 (fino all’annessione di Orvieto al Regno d’Italia), i pittori Antonio Bianchini e Luigi Lais, che, mossi dalla medesima impostazione purista di Overbeck, intervennero sugli affreschi in modo così invasivo da determinare una contraffazione dello stile e dei colori di Ugolino. L’ultimo restauro risale agli anni 1975-78: in quell’occasione, il distacco degli affreschi dalla parete sinistra e da quella di fondo ha permesso il ritrovamento delle sinopie (ora esposte nel Museo dell’Opera), che, per il loro anomalo livello di finitezza (quasi delle pitture a monocromo già dotate delle rispettive didascalie), rappresentano un documento di assoluta eccezionalità.

Il 25 giugno 1364, finiti i lavori alla cappella del Corporale (gli ultimi ritocchi furono affidati in luglio a Piero di Puccio e ad Antonio di Andreuccio), Ugolino sottoscrisse un contratto quadriennale per i mosaici della facciata insieme a fra Giovanni di Buccio Leonardelli, che in luglio si recò personalmente a Venezia per occuparsi delle forniture di pasta vitrea: lo stipendio di entrambi venne fissato a 6 fiorini d’oro mensili. A distanza di un anno, nel 1365, i due artisti firmarono e datarono, sotto le figure dei Profeti Isaia e Naum, il mosaico della Natività di Maria (ghimberga del portale di destra), mentre nel 1366 il solo Leonardelli fece altrettanto negli angoli inferiori dell’Assunzione della Vergine (ghimberga del portale centrale). Mentre i Profeti e l’Assunzione sono in sostanza autentici, per quanto pesantemente restaurati, la scena della Natività è una libera interpretazione (dovuta a Bartolomeo Tomberli e Domenico Cerasoli) dell’originale che, staccato nel 1785-87, passò nel laboratorio dei mosaici del Vaticano, per poi essere ceduto all’antiquario Pio Marinangeli: quest’ultimo, nel 1891, vendette l’opera al Victoria and Albert Museum di Londra (dove ancora si conserva), facendola passare per un mosaico firmato dall’Orcagna nel 1360, attraverso l’aggiunta ai lati della cuspide dei due suddetti profeti, realizzati ex novo ma oggi rimossi (si veda, in proposito, una vecchia foto dell’archivio Zeri, oggi in rete).

Il 30 maggio 1370 il vescovo di Orvieto e una rappresentanza del Comune, dell’Opera del duomo e dei canonici di S. Maria affidarono a Ugolino gli affreschi della cappella maggiore o tribuna absidale della cattedrale, sempre con un salario di 6 fiorini d’oro al mese. Stranamente il contratto prevedeva la possibilità che Ugolino venisse immediatamente sostituito, qualora i risultati del suo lavoro non avessero soddisfatto le attese dei committenti: tanti anni spesi al servizio dell’Opera non erano evidentemente bastati a guadagnargli la stima dei fabbricieri e dei soprastanti, per quanto dai documenti antecedenti si evinca il dato opposto. Anche in questa circostanza, il pittore si avvalse di numerosi collaboratori, ben dieci (in ordine di comparsa: Onofrio Amodei, Francesco di Antonio Cecchi, Angelo Lippi, Meco Costi, Nicola di Zenobio, Piero di Puccio, Cola Petruccioli, Giovanni di Andreuccio, Nallo Ciucci e Andrea di Giovanni): tra essi non figura più fra Giovanni di Buccio Leonardelli – comunque subito impegnato nell’esecuzione delle vetrate dell’occhio destro della tribuna – il quale, alla scadenza dell’incarico quadriennale (1368), aveva continuato a lavorare ai mosaici della facciata, scegliendo proprio Ugolino quale suo perito di parte in un lodo dell’agosto del 1370. Nel febbraio del 1374 Ugolino acquistò una gran quantità di foglia d’oro dal celebre pittore Luca di Tommè: testimonianza preziosa di frequentazioni e rapporti svoltisi in direzione della scuola senese e capaci di incidere profondamente sull’impronta stilistica dell’artista orvietano. I lavori alla tribuna si protrassero fino al 1380: in aprile, infatti, Ugolino tornò a essere ricordato come magister musaici (con il solito stipendio di 6 fiorini mensili), mentre in settembre Cola Petruccioli e Andrea di Giovanni ricevettero l’incarico di dipingere, nella parte più bassa delle pareti, un finto coro ligneo, tuttora esistente ma celato da quello effettivo (qui trasferito dalla navata centrale nel 1540-41 e ampiamente rimaneggiato nel secondo Ottocento).

Il ciclo pittorico è interamente dedicato alla Vita di Maria, come è giusto aspettarsi in una chiesa consacrata all’Assunta: la serie comincia dalla parete sinistra in basso e si articola in senso orario su due livelli sovrapposti, con i primi ventidue episodi che vanno dalla Cacciata di Gioacchino dal Tempio al Ritrovamento di Gesù dopo la disputa con i dottori; il terzo e quarto livello della narrazione, invece, si snodano solo sulla parete di fondo, con gli ultimi quattro episodi, dall’Annunciazione del Transito alla Dormitio Virginis. Intorno agli oculi fortemente strombati delle pareti laterali, ossia in corrispondenza con i due livelli più alti, campeggiano, divisi in due coppie per lato, i quattro Evangelisti in basso e i quattro Dottori della Chiesa in alto (delle quattro figure di destra, dovute al pennello di Pintoricchio, sopravvivono solo un S. Marco e un S. Ambrogio). Nelle tre lunette, separate dalle rispettive pareti da un finto matroneo a loggia che perimetra anche l’ogiva della grande quadrifora centrale (le cui vetrate, realizzate nel 1328-34, sono capolavoro di Giovanni di Bonino), si trovano a sinistra Costantino battezzato da s. Silvestro con quattro Santi martiri e l’Elemosina di s. Martino, a destra sei Profeti, al centro l’Assunzione della Vergine: poco sopra, nella vela frontale corrispondente, l’Incoronazione della Madonna (nelle altre tre vele: Cristo benedicente verso la navata, i Doni dello Spirito Santo a destra, le Schiere angeliche a sinistra).

A distanza di poco più di un secolo, gravi problemi conservativi resero necessaria una serie di rifacimenti: prima e dopo l’intervento di Pintoricchio (1492-96) – che si scontrò con le resistenze dell’Opera, in quanto deciso a utilizzare il proprio stile piuttosto che le formule trecentesche – si registrano quello di Giacomo da Bologna (1491-94), che lavorò alle volte e alle due scene del quarto livello (Dormitio Virginis) cercando di imitare lo stile di Ugolino, e quello di Antonio del Massaro da Viterbo, detto il Pastura (1497-99), che realizzò alcune integrazioni nel secondo e terzo registro della parete sud, pur conservandone l’assetto originario, e rifece completamente alcune scene del registro inferiore, pur adeguandosi al tessuto pittorico già esistente. Ripuliture, ridipinture e restauri si sono poi succeduti nel tempo: 1845, 1926, anni Novanta del Novecento.

Come detto, nel 1380 Ugolino riacquistò la qualifica di «maestro mosaicista» impegnato nella facciata della cattedrale: in questa veste è probabile che abbia collaborato alla Presentazione di Maria al Tempio nel timpano di destra – mosaico realizzato nel 1381-86 da Piero di Puccio (le fonti, quindi, sbaglierebbero nel trascrivere la firma di quest’ultimo con la data 1376) – e che abbia compiuto lo Sposalizio della Vergine nel timpano di sinistra. Oggi entrambe le scene sono il frutto di rifacimenti e restauri posteriori, basati, presumibilmente anche nel primo caso, su cartoni di Antonio Circignani, detto il Pomarancio.

Le opere e lo stile di Ugolino (di cui è anche dibattuta la paternità di alcuni affreschi conservati nel Museo del duomo e nella chiesa di S. Giovenale) contribuirono in modo decisivo alla nascita di una scuola pittorica locale, attraverso l’interpretazione originale della tradizione senese, in particolare della lezione di pittori quali Bartolo di Fredi, Luca di Tommè, Lippo Vanni e soprattutto Ambrogio Lorenzetti, del quale l’orvietano portò avanti le interessanti ricerche spaziali. Rispetto alla pittura senese, però, Ugolino si distingue per la volontà di mitigarne il preziosismo insistito a tutto vantaggio di un fare più narrativo e aneddotico, coniugato a una notevole vivacità cromatica e al gusto per il dettaglio, in ciò costituendo un importante tramite verso la cultura tardogotica di un Gentile da Fabriano, che proprio nel duomo di Orvieto ha lasciato una splendida testimonianza del suo passaggio (la Madonna con il Bambino e angeli del 1425).

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