D'ARCO FERRARI, Ulisse

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

D'ARCO FERRARI, Ulisse

Nidia Danelon Vasoli

Nacque a Pisa l'8 marzo 1786 da Paolo e da Marianna Stampiglia, patrizia romana. Il padre, maggiore delle truppe toscane e già combattente della guerra dei Sette anni, apparteneva a una famiglia mantovana, da tempo stabilitasi in Toscana. Nel 1801,sotto il Regno d'Etruria, il D. entrò come cadetto nell'esercito toscano; poi, dopo l'annessione della Toscana all'Impero napoleonico, divenne ufficiale di fanteria dell'esercito francese, militando nel 113º reggimento di linea, formato quasi completamente di toscani. Con questa unità, come risulta dal suo stato di servizio (Arch. di Stato di Firenze, Acquisti e doni, Carte D'Arco Ferrari, filza 284), combatté nel 1808-09 in Spagna, agli ordini del gen. F. Reille; nel '10 ebbe il grado di capitano, poi nel '12partecipò alla campagna di Russia, nella divisione del gen. L. H. Loison. Si trovò quindi coinvolto nella disastrosa ritirata fino a Vilna, dove il reggimento toscano ebbe parte importante nella difesa della città; dopo che i resti del reggimento furono riordinati presso Königsberg, anche il D. fu inviato a Danzica (1813) e partecipò alla difesa di quella piazzaforte, sotto gli ordini del gen. J. Rapp. È nota l'eroica resistenza che la guarnigione oppose agli attacchi russi, fino al 1º genn. '14,nella speranza di un rovesciamento delle sorti della guerra. Il giorno seguente la guarnigione capitolò ed uscì dalla città con l'onore delle armi e la promessa di essere condotta sino alla frontiera francese. Lo zar Alessandro I non accettò però quest'ultima clausola, sicché l'intera guarnigione fu inviata in prigionia in Russia.

Come risulta sempre dal suo stato di servizio, il D. rimase prigioniero fino al 3 nov. 1814, allorché riprese servizio nel suo reggimento, allora di stanza ad Orléans, con la denominazione di 14º di linea. Era già avvenuta la restaurazione dei Borboni, e il giovane ufficiale, insignito della decorazione del Giglio, concessa da Luigi XVIII a tutta la guarnigione di Orléans, venne congedato come suddito straniero il 31 genn. 1815.Il consiglio di amministrazione del reggimento gli rilasciò uno stato di servizio molto lusinghiero, nel quale si affermava che, durante l'assedio di Danzica, egli era stato proposto per la Legion d'onore. In effetti, il 3 sett. 1818,Luigi XVIII gli concesse la croce di cavaliere di quell'Ordine; più tardi, quando Napoleone III istituì la "medaglia di S. Elena", fu anch'egli autorizzato a fregiarsene, come vecchio combattente dell'Impero.

Tornato in Toscana, il D., che evidentemente doveva appartenere a famiglia gradita al governo granducale, e non dare adito a sospetti politici, non ebbe difficoltà a prendere servizio nell'esercito toscano: un motu proprio granducale del 23 marzo '15 lo richiamò come capitano di fanteria. Con questo grado partecipò alle operazioni del contingente toscano aggregato all'esercito austriaco che combatteva contro Gioacchino Murat, e il 21 nov. 1817 ebbe come ricompensa la croce di cavaliere dell'Ordine di S. Giuseppe. Negli anni seguenti la vita e la carriera del D. furono quelle grige e anonime di un ufficiale di un piccolo esercito, i cui compiti erano soprattutto di parata e di ordine pubblico. Ma la relativa rapidità della carriera sembra mostrare che egli godeva della piena fiducia delle autorità toscane. Il 4 luglio 1821 fu promosso maggiore; il 9 sett. 1836 tenente colonnello, e il 20febbr. 1841 ebbe il comando del battaglione granatieri; infine, il 1ºapr. 1844, fu nominato colonnello comandante del 2ºreggimento di fanteria, di stanza a Firenze. D'altro canto, il 14giugno 1839 Leopoldo II, il nuovo granduca, gli aveva concesso l'iscrizione alla nobiltà fiesolana e, nell'agosto dello stesso anno, il D. era già collatario di una commenda dell'Ordine di S. Stefano; poi, il 14 apr. 1844, fu anche nominato ciambellano della corte granducale.

A dare al D. una certa fama, sia pure discussa e contrastata, provvidero gli avvenimenti del 1848 e il suo comando in capo delle truppe toscane, conclusosi nel febbraio '49 con un esonero da parte del governo provvisorio del Guerrazzi.

Nell'imminenza della grave crisi politica, il governo toscano aveva ritenuto opportuno procedere ad un rinnovamento e potenziamento del proprio esercito, il che ebbe riflessi anche nell'organizzazione del comando. Il vecchio generale F. Trieb, comandante in capo, fu dispensato dal servizio con un decreto del 25 genn. 1848, e lo stesso giorno al suo posto fu nominato il colonnello più anziano, che era appunto il D., promosso per l'occasione generale maggiore. A lui il governo chiese subito informazioni e proposte per la riorganizzazione dell'esercito, in vista degli eventi. Il 4 marzo il nuovo comandante, trovando insufficienti le truppe persino per difendere i confini del granducato e per controllare l'ordine interno, propose un forte incremento di uomini e mezzi. Ma la situazione precipitò rapidamente, in seguito alle notizie delle insurrezioni di Vienna, di Milano, di Venezia. Il 21 marzo, a Firenze, i manifestanti chiesero al gonfaloniere B. Ricasoli le armi per partecipare alla guerra in Lombardia; lo stesso giorno il granduca emanava un proclama per comunicare di aver ordinato alle truppe regolari di marciare verso le frontiere e di aver aperto gli arruolamenti dei volontari. Nel frattempo era esplosa la ribellione nei ducati padani, e i territori lunigianesi ex toscani, di recente annessi a quegli Stati, avevano chiesto di riunirsi al granducato.

Il 22 i primi contingenti toscani partirono, in due colonne separate da Firenze e da Livorno, mentre un secondo proclama granducale comunicava di aver ordinato l'occupazione di Massa e di Carrara, della Garfagnana e della Lunigiana. Poco dopo le truppe granducali varcarono l'Appennino in direzione di Modena e di Reggio, per unirsi agli eserciti sardo e pontificio. Deciso l'inoltro delle truppe toscane nella pianura padana, il governo ne affidò il comando operativo al D., nominato il 3 aprile tenente generale onorario. Partito il 6 da Firenze, con gli ultimi contingenti, per raggiungere le truppe granducali, da Modena inviò una lettera a Carlo Alberto per porsi alle dipendenze del quartier generale sardo. Il re espresse il desiderio che il corpo toscano si portasse verso Gazzuolo, per saldarsi al fianco destro del suo esercito, costituito dal I corpo d'armata del gen. E. Bava, in modo da controllare la guarnigione austriaca di Mantova. Invitava perciò il comandante toscano a mettersi in contatto col Bava, per operare di comune accordo. Il 24 aprile le truppe granducali, dopo aver oltrepassato il Po, si attestavano sulle posizioni di Curtatone e Montanara, mentre il D. poneva il. suo quartier generale a Castellucchio.

Gli esperti di storia militare hanno posto in rilievo come il compito affidato al corpo toscano, che comportava il mantenimento di un fronte assai vasto fosse del tutto sproporzionato alla sua forza e preparazione; né, d'altronde, l'arrivo di un battaglione napoletano era sufficiente a rendere meno pericolosa la situazione. Alla dispersione di forze si aggiungeva, infatti, la mancanza di coesione delle truppe toscane, in parte regolari ma poco addestrate e impreparate alle azioni militari, in parte composte di volontari ancor più impreparati e scarsamente disciplinati. Nei giorni seguenti, il corpo toscano riuscì a contenere le sporadiche iniziative degli avamposti austriaci che, tuttavia, misero in luce i pericoli derivanti dal suo schieramento. Il D., temendo forse di non poter resistere a una decisa offensiva austriaca che avrebbe potuto isolarlo dagli alleati, nella notte tra l'8 e il 9 maggio ordinò alle truppe di raccogliersi alle Grazie, per dirigersi verso Goito, ma un ordine di Carlo Alberto lo costrinse a rioccupare le posizioni sotto Mantova. La marcia di ritorno fu ostacolata dagli Austriaci e costò alcune perdite ai Toscani, accrescendo il malcontento già serpeggiante tra le truppe. Ufficiali e soldati imputarono questa confusa e pericolosa manovra all'incertezza e incapacità del comandante: diversi documenti, raccolti nelle già citate Carte D'Arco Ferrari, rivelano però come sullo svolgimento di questa operazione pesassero i difficili rapporti correnti, sin dall'inizio, tra il comando piemontese e quello toscano, imputabili anche alle incertezze di Carlo Alberto e del suo Stato Maggiore. Nondimeno le testimonianze dei contemporanei concordanonel sottolineare i limiti e la scarsa capacità di comando dimostrati dal D., e i suoi tentativi di rendersi popolare presso i soldati ostentando atteggiamenti "napoleonici", e di galvanizzare lo spirito delle truppe con continui e altisonanti proclami e ordini del giorno che non valsero a rafforzare la sua autorità ed anzi provocarono reazioni opposte. Né sembra che egli sapesse o volesse prendere tutte le iniziative necessarie per rendere più difendibili le posizioni toscane e più efficienti e disciplinate le truppe, o anche per ovviare alle gravissime deficienze dei servizi di munizionamento, di sussistenza e sanitario.

Del crescente malcontento al fronte si fece eco anche la stampa toscana, alimentata dalle notizie provenienti dal campo: lettere di autorevoli personaggi denunciavano l'inettitudine e addirittura lo scarso coraggio personale del comandante. Impressionato dalle crescenti polemiche, lo stesso ministro della Guerra, Neri Corsini, il 10 maggio partì per il fronte, dove giunse il 13, in tempo per assistere a un grave diverbio fra il generale D. e il ten. colonnello G. Giovannetti, un vecchio soldato napoleonico. Nel pomeriggio dello stesso giorno ebbe luogo un combattimento di una certa entità al quale assisté Neri Corsini, e sembra che, pure in quella occasione, il D. si mostrasse inferiore al proprio compito, anche se il Bava si complimentò con lui per l'esito favorevole. Ciò non impedì che l'indomani il Corsini scrivesse al granduca che, a suo giudizio, il malcontento e la diffidenza sarebbero perdurate nelle truppe finché il generale fosse rimasto al comando. Proponeva perciò, come unico rimedio, il richiamo del D., suggerendo di motivarlo con la necessità di provvedere all'organizzazione di nuovi contingenti e di dichiarare che si trattava di un provvedimento provvisorio. In una nuova lettera del 16, scritta dal campo piemontese, dopo un colloquio con il suo collega sardo A. Franzini, il Corsini si mostrava sempre più convinto della necessità del richiamo del generale, sebbene, in una lettera a G. Baldasseroni del 20, proponesse, per evidenti ragioni politiche, di "colorire" questa decisione, attribuendo al D. una decorazione per lo scontro del 13, "avvenuto in sostanza durante il suo comando" (Oxilia, pp. 130 ss.).

La decisione del granduca che richiamava il D. a Firenze reca la data del 19, ma venne comunicata al generale dal Corsini (che aveva voluto prendere prima accordi col Franzini) soltanto con un ordine del giorno del 25. Il provvedimento venne accolto con forte disappunto dal generale, che non fu molto confortato dal conferimento della croce dei SS. Maurizio e Lazzaro, concessagli da Carlo Alberto. Il giorno successivo, al momento del passaggio delle consegne a C. De Laugier, sembra anzi che il D. sfogasse aspramente il suo malumore con il successore. Tornò quindi a Firenze, mantenendo sempre il grado di tenente generale onorario e il comando generale dell'esercito toscano. Ciò gli permise di continuare ad occuparsi delle vicende del corpo toscano: dalle sue carte risulta che, se pure cessarono di pervenirgli tutti i documenti che spettavano al comandante delle truppe al campo, continuarono però a giungergli molte lettere da parte di ufficiali, che gli riferivano i fatti più rilevanti della campagna o i pettegolezzi correnti, o da parte di amici che criticavano duramenteil nuovo comandante.

Reagendo alle aspre critiche che continuavano a investirlo, il D. chiese al granduca che fosse esaminata e giudicata la sua condotta al fronte. La richiesta non fu però accolta.

Egli continuò a mantenere formalmente la carica di comandante generale, e anche quando, il 29 ottobre, il "general comando" fu soppresso, restò in servizio, sempre con il suo grado e con il compito di ispettore delle truppe di linea. Venne, invece, esonerato dalla sua funzione e posto a riposo dal governo provvisorio, il 26 febbr. 1849.

Dopo la caduta del governo provvisorio e la restaurazione granducale, il 5 maggio il commissario straordinario Serristori inviò il D. presso il generale austriaco K. D'Aspre, già entrato con le sue truppe in Toscana, per comunicargli che l'ordine era ormai ristabilito in tutto il paese, con la sola eccezione di Livorno, e chiedergli di limitare, solo ad essa l'azione austriaca. Le lettere che il D. scrisse al Serristori, dopo aver raggiunto il quartier generale austriaco, dimostrano che in realtà egli non poté affatto influire sulle decisioni del D'Aspre, il quale, anzi, gli richiese che le poche truppe toscane ancora in servizio si unissero al suo esercito per marciare contro Livorno. Il generale cercò di opporsi; ma, infine, dové acconsentire che un battaglione toscano partecipasse a quella operazione. Egli stesso seguì il D'Aspre a Pisa e quindi a Livorno, donde il 12 maggio comunicava la rapida resa della città, il ritorno alla normalità e chiedeva disposizioni per organizzare il servizio di polizia. Rientrò, insieme al D'Aspre, a Firenze, il 25 dello stesso mese.

Con la seconda restaurazione riprese servizio, con l'incarico di ispettore delle truppe di fanteria, mentre il suo antagonista De Laugier assumeva il ministero della Guerra. Sembra che la convivenza tra i due fosse difficile, se è vero quanto scrive il De Laugier, lamentandosi del fatto che il D., valendosi del suo grado di tenente generale, si rifiutava di sottostare ai suoi ordini. D'altro canto, anche il Baldasseroni (p. 178) conferma che l'antagonismo tra i due era ormai divenuto fatto pubblico e scandaloso.

Tale situazione si protrasse fino al 10 ott. 1851, quando, contemporaneamente, il De Laugier ottenne di ritirarsi dal ministero e dal servizio e il comando generale delle truppe toscane fu, di nuovo, separato dal ministero della Guerra e affidato al colonnello austriaco Ferrari da Grado, mentre veniva soppressa la carica di ispettore e il D. era posto in disponibilità. Negli anni seguenti non si hanno notizie di una sua qualsiasi attività pubblica di rilievo. Ricevette, però, decorazioni e onorificenze varie: commenda dell'Ordine di S. Ludovico di Parma, commenda dell'Ordine di Leopoldo d'Austria, medaglia per i trent'anni di anzianità, il che testimonia il suo adeguamento al clima politico dominante in quel decennio. Ciò non impedì che, dopo il 27 apr. 1859 e la fuga del granduca, il governo provvisorio toscano, proprio nell'imminenza del plebiscito unitario del marzo 1860, lo nominasse, in nome di Vittorio Emanuele, presidente del Tribunale militare supremo, sempre con il grado di luogotenente generale (10 marzo '60).

Morì a Firenze il 21 apr. 1869.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Min. della Guerra, Miscell., filza XXXI, n. 66; Ibid., Acquisti e doni, Carte D'Arco Ferrari, filza 284; Ibid., Arch. della nob. toscana, Processi di nobiltà, gennaio-giugno 1839. Inoltre si tengano presenti le filze soprattutto del ministero della Guerra (di difficile consult. perché non ordinate) indicate da D. Marzi. Altre notizie intorno alla campagna toscana del 1848 in Lombardia, in Arch. stor. ital.,s. 5, XLIV (1909), pp. 3-71; L. G. Cambray Digny, Ricordi sulla Commissione govern. toscana del 1849, Firenze 1853, pp. 195 s.; C. De Laugier, Concisi ricordi di un soldato napoleonico, a cura di R. Ciampini, Torino 1942, ad Indicem; G. Nerucci. Ricordi stor. del battaglione universitario toscano alla guerra dell'indipendenza del 1848, Prato 1891, pp. 147, 196-99, 219; L. Cipriani, Avventure della mia vita, Bologna 1934, I, pp. 126, 134-39; G. Montanelli, Epistol. dal 22 marzo al 29 maggio 1848, a cura di U. Mondello, in Rass. stor. del Risorg., XXIV (1937), 8, pp. 1331 s.; F. Martini, Il Quarantotto in Toscana. Diario inedito del conte Luigi Passerini de' Rilli. Firenze 1948, ad Indicem; G. Baldasseroni, Memorie 1833-1859, Firenze 1959, ad Indicem; A.Zobi, Storia civile della Toscana dal MDCCXXXVII al MDCCCXLIII, V,Firenze 1852, pp. 579-84, 653-59; App. V. pp. 360 s.; E. Barbarich, Cesare de Laugier e le armi toscane alla prima guerra d'inditendenza ital.,in Rivista milit. ital., XI, (1895), pp. 591-96, 690-91; C. Fabris, Gli avvenimenti milit. del 1848 e 1849, I, 1, 2, Torino 1898, pp. 114-40, 362-72; G. U. Oxilia, La campagna toscana del 1848in Lombardia, Firenze 1904, pp. 63 s.; N. Giorgetti, Le armi toscane e le occupazioni straniere in Toscana (1537-1860), Città di Castello 1916, ad Indicem.

CATEGORIE