BARBARO, Umberto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 (1964)

BARBARO, Umberto

Guido Aristarco

Nato ad Acireale (Catania) il 3 genn. 1902 da Luigi e envenuta De Martino, ebbe dapprima una varia attività e interessi letterari. Fu collaboratore di periodici e redattore di una casa editrice ("La Bilancia", di Paolo Flores); scrittore teatrale (con B. Grassi, Inferno: mistero contemporaneo in 7 quadri,Teatro degli Indipendenti, Roma, marzo 1927; Il bolide,ibid., giugno 1927; Scalari e vettori,ibid., aprile 1928); traduttore (un dramma di Fr- Wedekind, Il marchese di Keith,Torino 1930; un romanzo di M. A. Bulgakof, Le uova fatali, Lanciano 1931; due di E. Kesten, Gente felice, Lanciano 1933, e Il ciarlatano, Milano 1934); romanziere (Luce fredda, Lanciano 1930 e 1931, e la raccolta di novelle L'essenza del can barbone, 2 ediz., Roma 1933).

Insoddisfatto per la ristrettezza e "inutilità", di questo lavoro, prese a occuparsi "di quell'arte affascinante che è il film" (Per diventare critici cinematografici, in Vie Nuove, 10 febbr. 1958). Cominciò così a lavorare saltuariamente a soggetti, a segnalare romanzi suscettibili di riduzione cinematoc,rafica, per la Cines - ricostruita nel 1929, da Stefano Pittaluga - che dal 1931 era diretta da Ludovico Toeplitz e che aveva come capo della produzione (1932-33) E. Cecchi; nel '33 il B. diresse il documentario Cantieri dell'Adriatico.

Nel 1932 pubblicò a Roma, del regista e teorico V. Pudovkin, Il soggetto cinematografico (trad., pref. e note di U. B.), cui seguì, sempre dello stesso, Film e fonofilm - Il soggetto, la direzione artistica, l'attore, il film sonoro (trad., pref. e note di U. B., Roma 1935 e 1950). Ebbe così inizio quell'attività teorica e quella elaborazione di una didattica, che hanno rappresentato un importante contributo al movimento intellettuale cinematografico. Oltre alla collaborazione critica a varie riviste specializzate (Bianco e nero, Cine)na, Lo schermo, Intercine,ecc.), opere principali del B. furono Film: soggetto e sceneggiatura,pref. di L. Chiarini, Roma 1939 e 1947; Problemi del film, ibid. 1939; in collaborazione con L. Chiarini, L'attore: saggio di antologia critica, ibid. 1939; Il cinema e l'uomo moderno,Milano 1950; Poesia del film, Milano 1955.

Più ridotta, e non eccezionale, l'attività pratica: il lungometraggio a soggetto L'ultima nemica (1937); la collaborazione alle sceneggiature de La peccatrice (1940) di A. Palermi, di Via delle cinque lune (1942) e de La bella addormentata (1942) di L. Chiarini, di Caccia tragica (1947) di G. De Santis. Si aggiunga il documentario su Carpaccio (1947) e il saggio Le ricche miniere della pittura contemporanea (Roma 1948). Dopo aver collaborato con L. Chiarini alla creazione del Centro sperimentale di cinematografia, vi insegnò, e ne fu anche commissario dal 1944 al 1947, dirigendone in quel periodo la rivista Bianco e nero.

Morì a Roma il 19 marzo 1959. Postumi uscirono Il film e il risarcimento marxista dell'arte, Roma 1960 (che raccoglie alcuni scritti tecnici di cinema e una parte del trattato cui il B. lavorava e che aveva preso inizio dal corso tenuto nel 1948-49 alla Scuola statale di cinematografia in Polonia), e Servitù e grandezza del cinema, Roma 1962 (che raccoglie gli scritti più interessanti del B. nel campo della critica cinematografica).

Pur muovendosi inizialmente nell'ambito dell'idealismo, il B. non si appagava del solo crocianesimo; seguiva anche posizioni di autori come Vossler, Lion, Parente, Spirito. I saggi di Pudovkin vennero a scompigliare tutta questa cultura: tradusse con entusiasmo gli scritti del regista russo - come diffuse anche scritti di Eisenstein, Balázs, Arnheim. Preoccupandosi di inserire il problema estetico del film nei problemi dell'arte, affermava che la struttura compositiva del film, il montaggio - che comprende e compendia il primo piano e l'inquadratura - è la base estetica non solo del cinema, ma di ogni arte, e che esso non vale come astratta forma, ma è portavoce del mondo morale, della tesi dell'opera. "Se si afferma (Film: soggetto e sceneggiatura, p. 58) l'esistenza di uno Il specifico filmico ", si deve intendere che esso ha solo una portata pratica e solo un valore di tendenza. Pretendere un maggior rigore in questa affermazione di tendenza, significherebbe postulare nuovamente l'esistenza dei limiti tra le arti, e negare quindi l'unità dell'arte". D'altra parte "l'arte non solo può essere frutto di collaborazione, ma almeno in questo più largo e indiretto senso l'il legame degli artisti nel tempo, il rapporto tra l'artista e la sua scuola,, non può non esserlo* (ibid., p.27). Accettando il concetto pudovkiniano di tema-tesi (strettamente connesso alla elaborazione cinematografica dei soggetto), lo ampliava e chiariva come una concezione del mondo nell'índagine critica si desume più che dal soggetto, dalla forma mediante la quale esso si attua. Tema è dunque per B. "l'asse etico della collaborazione" (ibid., pp. 52 s.), perché rende possibile l'invenimento dei fattori morali e stilistici dell'opera nella pluralità dei temperamenti e delle individualità. Tutti i problemi del film venivano a rientrare in un nuovo, più approfondito concetto dell'arte, in una nuova filosofia dell'arte o estetica alla cui origine il film stesso non era estraneo. Occorreva ribadire l'esigenza di una nuova estetica, senza respingere in blocco quella tradizionale; l'opposizione di queste due tendenze doveva comporsi non solo assommando i risultati positivi raggiunti con esse, ma anche motivatamente fondendo i due metodi. La via per giungere più rapidamente e più stabilmente a questa composizione, per giungere a una visione unitaria di tutti i problemi che il film pone, sarebbe stata "quella che parte dal moderno concetto della cultura e della vita, che ha preso le mosse dalla sinistra hegeliana ed è stata teorizzata da Marx ed Engels... ponendo la conoscenza non solo sotto il segno della fusione della ricerca filosofica con la ricerca scientifica, ma soprattutto chiedendo funzionalità alla conoscenza, cioè chiedendo che la conoscenza sia inscindibilmente unita con la pratica" (Il cinema e l'uomo moderno, p.51). Partire dal marxismo per il B. significava "considerare il film per quello che è, un fatto artistico, ma questo non ci impegna affatto... a respingere come extra estetico nessun ordine di riflessione che esso possa suggerirci, nessun tipo di indagine che esso possa sollecitarci a condurre" (ibid., pp. 52-53). Il realismo - che non voleva individuare una tendenza artistica, ma significare il concetto di arte - fu oggetto, nel corso polacco del 1948-49, di quella ampia formulazione che doveva portare al trattato rimasto incompiuto e edito postumo nel Risarcimento marxista dell'arte. "Risarcita" l'arte di un contenuto d'idea, e identificatane la natura gnoseologica che la accomunava alla scienza e alla filosofia, il B. afferma che la distinzione dell'arte - fatta consistere in un primo tempo in una sintesi di fantasia e immaginazìone nella quale i termini della distinzione desanctisiana sono invertiti - si appoggia alle "due fantasie" postulate da Lenin (Quaderni filosofici). Il B. distingueva fantasia da fantasia: quella che "serve a cogliere la realtà e a renderla con i modi caratteristici dell'arte, e la pseudo fantasia tecnicomeccanicistica dell'evasione" (Il cinema e l'uomo moderno, p. 28). Una concezione dell'arte che gli fece sostenere una produzione impegnata, problematica, contenutistica. Non sempre tuttavia i suoi giudizi di critico risultarono probanti, cadendo in stroncature opinabili e in sopravalutazioni; la sua natura polemica assunse caratteri talvolta estremisti. Giudicò "stupido" il Dies Irae (di Dreyer sostenne soltanto La passione di Giovanna d'Arco), La terra trema privo "di chiarezza d'idee", antistorico Senso.Diede pareri severi sull'eisensteìn teorico, e continuò a elogiare i film di Ciaureli e di altri registi di uguale livello. Seppe, però, tra i primi, individuare il carattere irrealistico e letterariamente negativo della produzione francese tra le due guerre. Esemplari rimangono i suoi saggi su La corazzata Potémkìn e La madre, su Sperduti nel buio e Assunta Spina. La sua indagine storica e filologica era volta a stabilire nel cinema muto italiano l'indipendenza, se non l'assoluta priorità nostra, dalla scoperta di Griffith del primo piano, e a sostenere che il montaggio era un concetto familiare in Italia fin dal 1912, e che movimenti di macchina, sebbene timidi e incerti, erano comparsi in pellicole nazionali anteriori alla Cabiria di Pastrone.

Bibl.: C. De Vita, Luce fredda, in La Tribuna, Roma, I, luglio 1931; G. Sciortino, Adolescenza inquieta,in Giornale di Sicilia,Palermo, 13 giugno 1931; A. Bocelli, U. B., in Nuova Antologia, il dic. 1931; G. Puccini, U. B. o del cinema, in L'Italia letteraria, 25 marzo 1934; G. Aristarco, Il contributo italiano, in Storia delle teoriche del film, Torino 1950, pp. 154-157; a. b. [Anna Bantil, U. B.,in Paragone, IX (1959), n. 112, p. 79; G. Della Volpe - L. Chiarini, Nota e profilo di B., in U. Barbaro, Il film e il risarcimento marxista dell'arte, Roma 1960, pp. VII-XXIIL.

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