BRUSTIO, Umberto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 34 (1988)

BRUSTIO, Umberto

Franco Amatori

Nacque il 20 dic. 1878 da Giulio Cesare e Liberata Maffei a Buenos Aires dove il padre, già cacciatore delle Alpi con Garibaldi, esercitava con successo un'attività di produzione dolciaria. Tornato in Italia, a Milano, il B. compì studi tecnici specializzandosi in campo tessile, e nei primi anni dei secolo iniziò la carriera commerciale come rappresentante per la Benini, una ditta di Como produttrice di tappezzerie e arredi sacri, della quale dopo qualche tempo divenne socio. La crisi del 1907 colpì severamente anche questa attività; e a ciò si aggiunse il comportamento poco corretto del partner Benini, così che nel marzo 1908 l'azienda fu dichiarata in fallimento. Tuttavia il B. potendo contare su un consistente patrimonio personale, fu in grado di affrontare la situazione con una certa tranquillità. Dopo pochi mesi si rituffò negli affari, a fianco dell'amico Alberto Bianchi, nella Società chimica lombarda A. E. Bianchi & C.; neanche la nuova posizione però lo soddisfece se nel 1913 accettò l'offerta del cognato S. Borletti di trasferirsi a Buenos Aires per dirigere la società Enrico Dell'Acqua.

Il Borletti, la cui sorella Antonia aveva sposato il B. nel 1908, era a sua volta genero di Enrico Dell'Acqua, e, all'improvvisa morte di quest'ultimo nel 1910, aveva dovuto occuparsi dell'impresa industriale e commerciale da lui creata in America Latina. Si trattava di un'azienda molto complessa, uno stabilimento industriale, un laboratorio di confezioni, ventisei magazzini di vendita al minuto in Argentina, un cotonificio a Montevideo, un centro di vendita all'ingrosso a Santiago del Cile. Risultava impossibile per Borletti, occupato a seguire diverse attività nel settore tessile e meccanico, controllarla dall'Italia.

Il B. rimase alla guida della Dell'Acqua per sei anni dimostrando grande abilità ed energia, tanto da lasciare la società in buone condizioni e da conquistarsi la fama di uomo adatto alle situazioni difficili. Nel 1919 egli tornò in Italia su invito del Borletti che aveva ancora bisogno del suo aiuto per un'altra impresa nella quale si era impegnato, la Rinascente, azienda di grande distribuzione, sorta nel settembre del 1917 dalla fusione fra la ditta Bocconi e i Magazzini Vittoria.

La vendita al dettaglio di prodotti dell'abbigliamento e dell'arredamento nella forma del grande magazzino aveva conosciuto in Italia una certa fortuna fra il 1880 e il 1900, soprattutto grazie all'opera di Ferdinando Bocconi che all'inizio del secolo poteva contare su più di tremila dipendenti, nove sedi nei più importanti centri del paese, una casa d'acquisti a Parigi. La morte del Bocconi, avvenuta nel 1908, causò tuttavia l'irrimediabile decadenza della sua costruzione, essendo gli eredi incapaci di adeguare l'offerta dell'azienda all'evoluzione dei consumi della società italiana,. in una fase di notevole trasformazione come quella rappresentata dall'età giolittiana. Proponendosi di rilevare la ditta Bocconi e di realizzarne la fusione con un'azienda milanese di dimensioni minori, i Magazzini Vittoria, il Borletti intendeva attuare un rilancio del grande magazzino adeguato alle necessità dei tempi. A tale scopo nell'estate del 1917 fondò una società per azioni, di cui divenne presidente, dotata di un cospicuo capitale (16.000.000 di lire) grazie all'adesione di alcuni fra i maggiori industriali e commercianti di prodotti tessili e al decisivo supporto della Banca italiana di sconto. Si preoccupò inoltre di cancellare l'immagine seriamente deteriorata dei magazzini Bocconi; in questa prospettiva va considerata la richiesta a Gabriele D'Annunzio - l'idolo di quella media borghesia naturale frequentatrice dei grande magazzino - di trovare una nuova denominazione per l'azienda, compito che in effetti il poeta assolse con molta efficacia proponendo La Rinascente. Gli inizi furono piuttosto difficili. Un evento imprevedibile, l'incendio che distrusse nella notte fra il 24 e il 25 dic. 1918 la sede di piazza dei Duomo a Milano, costrinse ad una drastica svalutazione del capitale sociale. Ma il Borletti dovette anche constatare la grave carenza di capacità dirigenziali in Italia per la grande distribuzione: agli inizi del 1919 si rivolse quindi al B. come all'unico manager italiano in grado di risollevare le sorti dell'impresa.

Il B. entrò nel consiglio damministrazione nel giugno del 1919, assumendo il successivo 11 ottobre la carica di amministratore delegato con la consapevolezza che si dovesse ricostruire l'azienda dalle fbndamenta, in particolare per ciò che concerneva la parte commerciale. Se i primi due anni della sua gestione dettero risultati piuttosto lusinghieri - nel marzo del 1921 venne riaperta con grande successo la filiale di piazza del Duomo -, fu tuttavia ben presto evidente la necessità di affrontare una contraddizione visibile sin dalla nascita dell'impresa: il conflitto fra le sue autonome esigenze ed i diversi inter s resenti all'interno della proprietas Mffatto nel 1921 la Rinascente era controllata oltre che dal Borietti e dai suoi famigliari, dalla Banca commerciale, subentrata alla Banca italiana di sconto dopo pochi mesi dalla fondazione, e da un gruppo di industriali e commercianti all'ingrosso interessati all'azienda soprattutto in quanto acquirente dei propri prodotti. Mentre l'azionista-banchiere mostrava scarsa comprensione per i tempi lunghi necessari all'amministratore delegato per rendere la Rinascente una società dalla quale fosse possibile ricavare buoni dividendi, gli azionisti-fornitori erano particolarmente irritati dal modo di operare del B. che indirizzava tutti i suoi sforzi verso la politica degli acquisti che giudicava più conveniente, sottraendo in tal modo non di rado ordinativi ai colleghi del consiglio d'amministrazione. All'inizio del 1922, in concomitanza con la crisi economica dovuta ad una generale caduta dei prezzi, e con le difficoltà dei Borletti personalmente coinvolto nel dissesto della Banca italiana di sconto, si pervenne ad un duro confronto tra una parte dei consiglieri e il B., il quale tuttavia riuscì a dimostrare perentoriamente che la sua maniera di condurre l'azienda non aveva concrete alternative, consolidando così la propria posizione di comando. Intanto dal 1921 ebbe inizio un progressivo inserimento delle filiali su tutto il territorio nazionale con l'obiettivo di raggiungere, basandosi sui principi fondamentali del grande magazzino, cioè il buon prezzo e la buona qualità della merce, la più vasta fascia possibile di consumatori.

Molteplici a tal fine erano gli strumenti utilizzati: un incisivo impiego della pubblicità, saldi e liquidazioni, vendite attraverso cataloghi, apertura di "agenzie", magazzini dotati di un assortimento limitato, più idonei ad operare in centri minori, infine vendite rateali attivate nel 1927, al culmine di un periodo di gravi difficoltà causate ai lavoratori dipendenti dalla politica defiattiva, mediante una convenzione con l'Opera nazionale dopolavoro. Allo stesso tempo, riconoscendo la speciale importanza dell'addetto alle vendite nel grande magazzino, l'azienda dedicò una particolare cura alla formazione del personale, mentre si adoperava per superare i problemi posti dall'incapacità dell'industria nazionale di produrre in grande serie molti articoli posti in vendita; apri infatti centri di acquisto all'estero, potenziò i laboratori per confezioni, pellicceria, modisteria ereditati dalla ditta Bocconi, produsse in proprio come nel caso dei mobili della serie "Domus Nova" commissionata all'architetto Giò Ponti, impose comunque elevati livelli qualitativi ai fornitori.

Nonostante ciò era difficile per un'organizzazione di vendita al dettaglio di massa come la Rinascente, che fondava la sua azione sulla formula del grande magazzino, consolidarsi in un paese quale l'Italia, caratterizzato da basso reddito pro capite, preminenza dei consumi primari, assenza di grandi concentrazioni urbane. Molto opportunamente quindi nel 1928 venne creata la società UPIM (Unico prezzo italiano Milano), di cui la Rinascente possedeva il 100% delle azioni. Il "prezzo unico" - espressione impropria perché in effetti questa forma di vendita si avvaleva di una scala di prezzi che corrispondevano a multipli e sottomultipli dell'unità monetaria - venne "scoperto" dal B. nel 1927 durante un viaggio di lavoro in Germania. Egli ne comprese subito l'aderenza alle necessità dei consumatore italiano e convinse il Borletti, inizialmente un po' restio, a tentare l'esperimento.

Il magazzino "a prezzo unico" si contraddistinse per il tipo di prodotti venduti, prevalentemente articoli d'abbigliamento e per la casa, che rispondevano a domanda vasta e costante non influenzabile da diversità di bisogni e di gusti individuali; esso non richiedeva la grandiosità e il lusso tipici del grande magazzino, bastando locali spaziosi disegnati per permettere al cliente ampia libertà di movimento, né particolari spese per la pubblicità, essendo la propaganda soprattutto affidata alla sistemazione dei locali e all'esposizione delle merci; non era inoltre necessario attirare i clienti offrendo servizi come sale di lettura e da tè o cabine telefoniche o particolari benefici come la possibilità di restituire prodotti ritenuti insoddisfacenti. D'altra parte l'atto di vendita molto semplificato rendeva possibile utilizzare forza-lavoro meno qualificata rispetto a quella in servizio presso il grande magazzino; cosicché il monte salari incideva in misura minore sul fatturato. In definitiva ne risultò un organismo agile che consentiva di ottenere un elevato indice di rotazione della merce e un basso profitto unitario ma un rilevante profitto complessivo.Fu il magazzino a "prezzo unico" lo strumento che consentì di resistere alla bufera provocata dalla crisi economica dei primi anni Trenta, a causa della quale la Rinascente vide il proprio capitale sociale ridotto dai go milioni del 1930 ai 13,5 del 1933. Il B. reagì alla difficilissima congiuntura attuando una radicale trasformazione dell'azienda. Nel 1930 erano in funzione 18 filiali Rinascente e 14 UPIM, dieci anni dopo si contavano 5 sedi Rinascente e 36 UPIM. Nel 1934 le due società venivano fuse. Grazie a questa strategia il 1933 fu l'ultimo anno prima della guerra che vide l'azienda in perdita. Tutti gli esercizi successivi dettero utili sino ad una punta massima di 8.000.000 nel 1940, anno in cui i dipendenti erano più di seimila. La crisi economica aveva portato anche ad un notevole mutamento nella composizione della proprietà. Mentre diversi industriali tessili come Marzotto, Rivetti, Trabaldo, cedettero le proprie quote, i Grandi Magazzini jelmoli di Zurigo rilevarono nel 1933 le azioni della Banca commerciale italiana passate all'IRI. Si costituì quindi un sindacato di controllo formato dalla famiglia Borletti, dal gruppo jelmoli e da una costellazione di azionisti minori che facevano riferimento al Brustio. Questo assetto proprietario, che resterà invariato sino al 1965, era senza dubbio il più adatto a garantire la stabilità e il successo dell'impresa. Per il B. l'ingresso di Jelmoli, in luogo del banchiere e dei suoi rigidi schemi, significo la presenza di un azionista in grado di comprendere le esigenze e i problemi aziendali ed eventualmente di contribuire alla loro soluzione e la prova migliore della validità del suo lavoro. Alla morte di S. Borletti (dicembre 1939) il prestigio di cui egli godeva fece apparire naturale la nomina del B. alla presidenza della società (8 genn. 1940).

Non bisogna pensare in ogni caso che l'espansione della UPIM sia avvenuta senza ostacoli nella seconda metà degli anni Trenta. L'UPIM, raggiungendo una fascia di consumatori notevolmente maggiore, entrò in competizione con il commercio tradizionale molto più di quanto avvenisse per il grande magazzino. E i commercianti trovarono un valido alleato nell'organizzazione sindacale che constatò l'indebolimento numerico dei lavoratori qualificati provocato dall'afferinazione del magazzino a "prezzo unico", al quale il contratto collettivo di lavoro del 22 luglio 1933 concedeva molte facilitazioni per ciò che riguardava l'assunzione e l'utilizzo di apprendisti. Nel dibattito che si svolse su questo tema presso la Corporazione dell'abbigliamento nel giugno 1937, l'UPIM riuscì a far valere le sue ragioni e quindi a mantenere la propria posizione contrattuale. Tuttavia un decreto legge del luglio 1938 prevedeva fonne di restrizione nella concessione di licenze.

Negli stessi anni l'UPIM dovette subire la vivace concorrenza della Standard (Standa dal 1937), fondata nel maggio del 1931 da Franco e Italo Monzino, fino a pochi mesi prima dirigenti della Rinascente, con l'appoggio del cognato Fernando Borletti, fratello di Senatore, e anch'egli membro dei consiglio d'amministrazione della Rinascente. I Monzino, forti dell'esperienza acquisita presso l'azienda rivale, conseguirono rilevanti successi con la Standard, avendo come obiettivo quello di farla apparire il più possibile simile all'UPIM. Ricorsero per questo anche a metodi poco ortodossi, come richiedere con insistenza prodotti di fornitori con i quali la Rinascente aveva un contratto d'esclusiva, sottrarre all'UPIM personale qualificato indispensabile all'espansione della Standard, presentare richieste di licenze commerciali alle autorità come se UPIM e Standard, dati i rapporti di parentela fra i massimi dirigenti delle due imprese, facessero parte di uno stesso gruppo aziendale.

Il B. combatté con, molto vigore la concorrenza dei Monzino puntando in particolar modo a concretizzare tutte le potenzialità espansive dell'UPIM che dopo il 1936 vide notevolmente accresciuto il numero delle filiali. Nel marzo del 1941, Si addivenne comunque ad un accordo per cui entro un quinquennio dalla fine del conflitto l'UPIM sarebbe dovuta passare da 38 a 76 magazzini, la Standa da 22 a 44. La guerra causò alla società danni gravissimi: nove UPIM distrutte, sei danneggiate, nove requisite, quattro chiuse per motivi diversi. Delle filiali Rinascente solo quella di Roma non subì danni; fu requisita la filiale di Napoli, e furono distrutte quelle di Genova e Cagliari. Ancora una volta fu resa completamente inutilizzabile la sede di piazza del Duomo a Milano; mentre nel capoluogo lombardo venne ridotta in macerie anche la sede centrale di via Carducci. Tuttavia, anche in questa situazione emerse la grande validità dei complesso aziendale che il B. aveva saputo plasmare in più di vent'anni di lavoro. Tutto il personale, dai più alti dirigenti ai commessi, dimostrò un'enorme capacità di adattamento, tanto che la Rinascente, pur mantenendo per unanime riconoscimento una condotta di assoluta serietà commerciale, riuscì a distribuire utili anche negli esercizi 1943-44 e 1944-45. La ricostruzione procedette rapidamente. Già nel 1946 furono riattivate 19 sedi UPIM e la filiale Rinascente a Cagliari; il 4 dic. 1950 venne riaperto al pubblico, completamente ricostruito, il magazzino di piazza del Duomo. Intanto il capitale sociale, che nel 1945 era di 54 milioni, nel 1950 raggiunse il miliardo.

All'inizio degli anni Cinquanta presero corpo precise scelte commerciali i cui capisaldi erano il netto miglioramento qualitativo dell'offerta e l'abbassamento della percentuale di realizzo. In effetti il periodo che va dal 1951 al 1957 fu per l'azienda il migliore. Le vendite passarono da io a 54 miliardi, i dividendi oscillarono fra il io e il 12% di un capitale sociale che nel 1957 divenne di 5 miliardi; l'incremento delle superfici di vendita fu tale, che Standa e Coin insieme (la cosiddetta concorrenza qualificata) non rappresentavano che i due terzi di UPIM e Rinascente. Se tali successi vennero colti anche grazie ad un discreto incremento dei consumi nazionali, va però rilevato il fatto che la quota di mercato della Rinascente crebbe in misura di molto superiore.

In questi anni di intenso sviluppo il B. rimase ancora saldamente alla guida della società fino al maggio del 1957, quando ricevette il titolo di presidente onorario restando a far parte del consiglio d'amministrazione fino al 1968. Nel 1952 era stato nominato cavaliere del lavoro. Nel 1958 venne chiamato a far parte della Hall of Fame in Distribution della Boston Conference in Distribution. Passò gran parte dei suoi ultimi anni in viaggi di studio.

Il B. morì a Milano il 25 apr. 1972.

Fonti e Bibl.: La principale fonte per ricostruire un profilo biografico del B. è l'Archivio della famiglia Brustio attualmente in corso di catalogazione e di versamento presso l'istituto di storia economica dell'università Bocconi. Esso copre un periodo che va all'incirca dal 1880 sino al 1970 ed è stato estesamente utilizzato in F. Amatori, Dall'interno di una grande impresa. La Rinascente 1917-1940, Ancona 1984.

Un'altra importante fonte archivistica per la Rinascente è a Roma, Archivio della Banca d'Italia, fondo CSVI, bobina 98, pratica 329, Consorzio per sovvenzioni su valori industriali, rappresentanza di Milano, 24 febbr. 1930, oggetto "Soc. An. La Rinascente, Richiesta di sovvenzione". Sulla storia della Rinascente oltre alle Relazioni sull'esercizio della società, si vedano le pubblicazioni giubilari da essa edite: La Rinascente - UPIM durante la seconda guerra mondiale 1940-1945, Milano 1946, (sul B. in particolare le pp. 67-68); Milano ha cinquant'anni 1900-1950, Milano 1950, pp. 131-133; il n. 42 della rivista aziendale Cronache, autunno 1967, pp. 51, 52, 61, 68, 71, 88, 91, 93, 98; La Rinascente: cinquant'anni di vita italiana, I-III, Milano 1968, ed in particolare II, A. Todisco, L'azienda e la sua storia, pp. 32-34, 49, 51, 71, 77, 80, 93.

Si veda inoltre: V. Zamagni, Alle origini della grande distribuzione in Italia, in Commercio, n. 10, 1982, pp. 74, 79, 82, 86, 87; infine sul B.: Biografia finanziaria italiana, Roma 1929, p. 114; E. Lodolini-A. Welczowsky, Biografia finanziaria italiana, Roma 1934, p. 129; G. Vaccaro, Panorama biografico degli Italiani d'oggi, Roma 1956, p. 207; Il Chi è? nella finanza italiana, Milano 1957, p. 127; Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro, Elenco dei cavalieri del lavoro dalla fondazione dell'ordine, Roma 1967, p. 15; necrologi in Corriere della sera, 27 apr. 1972; Il Giorno, 27 apr. 1972; Il Milanese, 30 apr. 1972.

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