UMBRI

Enciclopedia Italiana (1937)

UMBRI (lat. Umbri, gr. 'Ομβρικοί)

Giacomo DEVOTO
Francesco RIBEZZO

Gli Umbri sono un popolo dell'Italia Centrale che occupa fino alla conquista romana la regione compresa fra il Tevere a ovest, il Nera a mezzogiorno, il territorio picentino e gallico a oriente e settentrione: una zona più ristretta dell'Umbria attuale a occidente (perché Perugia era in Etruria), ma più estesa dal lato opposto oltre il crinale dell'Appennino.

Il dato più importante è di Dionigi d'Alicarnasso (II, 49): Umbri cacciati dal territorio di Rieti hanno dato origine al popolo sabino. Poiché la tradizione fa discendere dai Sabini i Sanniti (Strabone, V, 250) e dai Sanniti discendono i Lucani e dai Lucani i Bruzî, gli Umbri sono i capostipiti di quel gruppo linguistico ed etnico ben definito che chiamiamo "osco-umbro" o "italico" in senso stretto.

La tradizione va però molto al dilà di queste affermazioni valide ancora oggi. Secondo Erodoto (I, 94) gli Umbri occupavano la regione nella quale si sono stabiliti gli Etruschi più tardi. Cortona sarebbe stata città umbra (Dion., I, 24), e così anche Perugia (Servio, ad Aen., X, 201), Rimini (Strabone, V, 217) e Ravenna (id., V, 214) che, sottrattasi alla conquista gallica, sarebbe rimasta umbra fino all'età romana. Ora se è ammissibile attribuire agli Umbri le città di Adria e Spina sul confine del Veneto e dell'Emilia e in genere la civiltà detta villanoviana di Bologna, non è possibile far dipendere il nome Ombrone dei due fiumi di Pistoia e di Grosseto dal nome degli Umbri né quello delle famiglie etrusche degli umrana, umruna, umria (cfr. Schulze, Lat. Eigennamen, 257) dal nome degli Umbri, né dare peso al passo di Plinio che segnala gli Umbri persino in Campania (III, 60). Delle due eventualità: a) che il nome "Umbri" sia stato portato dalle sedi originarie e diffuso per l'Italia da un'effettiva conquista; b) che gli Umbri abbiano assunto questo nome una volta giunti nell'Italia centrale, sembra da preferire questa seconda: la quale si concilia bene col fatto che il nome "Umbri" non compare mai nelle fonti indigene.

La preistoria degli Umbri sembra da ricercare, come si è detto, nel settentrione. Dalla Pianura Padana, presi fra l'Appennino e il mare nella regione di Rimini, ostacolati nel loro cammino lungo la costa dalle popolazioni picene preesistenti, si sarebbero addentrati nelle valli appenniniche. Questa ipotesi presuppone perciò un totale adattamento degl'invasori al rito funebre inumatore degl'indigeni. Non bisogna però dimenticare che il rito funebre è preso, ad esempio da F. von Duhn, come criterio di distinzione etnica; nel quale caso gli Umbri inumatori non discenderebbero dagl'incineratori della Bologna villanoviana ma sarebbero venuti per mare da regioni transadriatiche.

Conviene quindi limitarsi a trattare degli Umbri quali ci appaiono nelle loro sedi storiche: beninteso senza escludere con questo che sia esistita una fase umbra anteriormente a quella etrusca in città come Perugia e Chiusi.

Archeologia. - I trovamenti più importanti dal punto di vista del rito funebre sono quelli di Terni (Acciaierie), dove è possibile seguire per parecchi secoli lo svolgersi e il dissolversi del rito incineratore: tombe sempre più ampie fino a raggiungere le dimensioni di un corpo umano e più ricche di corredo funebre (secoli XI-VI). A Monteleone di Spoleto, oltre tracce di abitati antichissimi, è stato scoperto in una tomba il famoso carro da guerra, esempio cospicuo dell'arte etrusca del rilievo metallico (2a metà del sec. VI). La scultura etrusca del sec. IV è rappresentata a Cagli dalla testa di bronzo di un Marte locale, a Todi da una statua di bronzo di Marte con una breve iscrizione in lingua umbra. Del secolo II sono da ricordare le terrecotte di Civita Alba presso Fabriano e le fabbriche di vasi "megarici" di Mevania e Ocricolo. Ma per quanto ricchi possano essere i trovamenti, quali ad esempio quelli di Todi, non si può mai parlare di una cultura o di una produzione artistica distinta da quella etrusca. E documenti più aderenti alle singole città come le monete non si trovano se non a Gubbio, Todi e Rimini.

Culti. - I sacrifici di cui abbiamo notizia attraverso le tavole iguvine sono la lustrazione, il sacrificio espiatorio, un sacrificio in caso di auspici avversi, il sacrificio al dio ctonio Hondo, il sacrificio delle "decuvie", il sacrificio della olla per il liquido sacro. Le divinità appaiono talvolta nel culto ordinate in triadi, quali la Grabovia, composta di Giove, Marte e Vofiono ("il Consacratore") nel sacrificio espiatorio. Appaiono spesso accompagnate da attributi che ne affermano la dipendenza o la discendenza da altre divinità: così esistono divinità giovie, martie o çerfie, legate in qualche modo a Giove, Marte o Çerfo (un dio, questo, legato anche nel nome a Cerere). Alcune divinità femminili sono legate a divinità maschili da un genitivo anziché da un aggettivo: "Vesona di Pomono" (cfr. Liber, Libera); "Prestota (una specie di Tutela) di Çerfo"; "Torsa (la Fuga) di Çerfo": queste forme ricordano Nerio Martis, Lua Saturni, ecc. Numerose sono le divinità connesse con il rituale: Vofiono "il Consacratore", Pordovient "l'Offerente", Vestiko "il Libatore", Ahtu Iupater, Ahtu Mart "Giove, Marte oracolari". Le divinità umbre più antiche sono: Cubra (Bona dea) di cui esisteva . un celebre santuario nel Piceno, Fisu, "Fiducia", dio protettore dell'arce iguvina, Sako, il dio dei patti, che s'impersona poi in Giove (Iupater Saçe "Giove Sacio").

Storia. - La storia degli Umbri s'identifica, data la natura delle nostre fonti, con quella dei loro rapporti con Roma. Stando alla tradizione, questi si iniziano nel 310 a. C. con l'alleanza della città di Camerino con Roma e giungono a una svolta decisiva con la battaglia di Sentino (295 a. C.), durante la III guerra sannitica. Tuttavia la loro partecipazione aperta a lotte contro i Romani sembra da escludere, perché i Romani non trionfano mai degli Umbri, come invece avviene per Sanniti, Galli ed Etruschi. Salvo queste riserve, la penetrazione romana in Umbria è rappresentata da questi eventi: alleanza di Camerino; alleanza di Ocricolo (anno 308) all'estremo lembo meridionale dell'Umbria; fondazione di una colonia latina a Narnia (anno 299). Dopo la battaglia di Sentino sono occupati stabilmente i territorî di Foligno, Plestia e Spoleto, nella quale ultima città fu poi fondata una colonia latina (anno 241): le altre città umbre rimasero allora indipendenti o alleate. Più energicamente i Romani si occuparono dell'Umbria transappenninica, che era stata in parte occupata dai Galli: nell'ager gallicus ridotto ad ager publicus, furono fondate successivamente le colonie di Sena (Senigallia) nel 283, Ariminum (Rimini) nel 268, e, sembra, Iesi nel 247. Un po' speciali furono i rapporti con Sarsina, la patria di Plauto, costretta all'alleanza dopo una lotta meritevole di essere ricordata nei Fasti trionfali nel 266: essa si mantiene ancora in una certa autonomia, di modo che, nella lista delle forze alleate dei Romani riferita da Polibio all'anno 225, si parla di 20.000 Umbri e Sarsinati. Delle città umbre si sa espressamente che furono alleate dei Romani, oltre quelle ricordate sopra, Gubbio (Iguvium), Todi (Tuder) Urbino e Assisi. Nella guerra sociale il contegno degli Umbri è poco appariscente. Dalla diversa assegnazione nelle tribù romane dopo la concessione della cittadinanza si può dedurre che sono state oggetto di un provvedimento generale e quindi equiparate a città già nemiche quelle della Valle Tiberina, assegnate tutte alla tribù Clustumina. Altre città assegnate a tribù diverse (Attidio, Spello, Matelica, Mevania, Mevaniola, Sarsina, Sentino, Trebiae, Tuficum, Urvinum Hortense e Metaurense) dovrebbero essere rimaste fedeli (Beloch, Röm. Gesch., p. 606).

L'influenza politica della nazione umbra come entità collettiva è stata dunque nei tempi storici nulla. Il processo di assimilazione nella nazionalità romana è stato dei più facili. Pure il latino degli Umbri deve avere rispecchiato tendenze linguistiche umbre che in gran parte non possono essere più riconosciute. Le iscrizioni latine di Pesaro (Corp. Inscr. Lat., I, 2, 368-381) con le loro forme dede, dedro per dedit, dederunt ne sono tuttavia un indizio autorevole.

Alfabeto, scrittura, monumenti letterarî, lingua. - L'alfabeto umbro consta di 19 lettere e, se si eccettua il segno S-55??? creato per rappresentare l'assibilazione di k in å innanzi alle vocali i, e, esso è in sostanza derivazione di un alfabeto etrusco non molto antico con S-56??? = h, 8 = f e mancante di segni per le sonore g, d e per l'o. A esprimere il d rotacizzante viene adoperato P, al cui posto l'alfabeto osco, anch'esso di derivazione etrusca, adopera S-58???, come l'alfabeto piceno di Novilara in Caarestades "Carestadius", chiaro indice dell'origine sabellica dell'alfabeto modello. La scrittura, tanto per l'alfabeto osco quanto per l'alfabeto umbro, va da destra verso sinistra.

Oltre ad alcune piccole iscrizioni, l'umbro possiede un grande testo: le Tabulae Iguvinae, sette tavole di bronzo scritte dall'una e dall'altra faccia (a, b), scoperte a Gubbio (v.) nel 1444. Di esse, secondo l'ordine cronologico del Lepsius, I-IV, V a, V b rr.1-7 sono in alfabeto umbro e V b 8-18, VI a-b, VII a in alfabeto latino. Siccome le tavole VI a-b, VII a in alfabeto latino sono in fondo un cerimoniale del canone sacrificale della tavola I a-b in alfabeto umbro, e, per ogni sacrifizio, infarcito di formule e litanie, esse, sia per ciò, sia per la maggiore evoluzione fonetica delle parole, paiono redatte uno o due secoli dopo di I-IV, V a, V b 1-7, e cioè negli ultimi secoli della repubblica. Essendo esse in fondo una parafrasi di I a-b, il loro valore esegetico e dialettale è grandissimo, sia perché giovano all'interpretazione di parole ed espressioni oscure del testo breve in alfabeto umbro, sia perché troviamo rappresentati con lettere latine suoni per i quali l'alfabeto umbro o non aveva segni speciali o aveva segni di dubbio valore.

Nella perdita irreparabile di tutta la letteratura sacra etrusca e romana e benché la sua interpretazione non sia in ogni punto definitiva, grande è il valore di questo testo dal punto di vista storico-religioso e delle antichità italiche. Le tavole V a, V b 1-7 contengono due decreti, emessi dalla maggiore autorità civile della città, l'uhtur "auctor", circa i doveri del provveditore civile del sacrifizio (ařfertur) e in favore del collegio gentilizio-sacerdotale degli Atiedii, i fratres che officiano in tutti questi sacrifizî. La tavola I a-b e il corrispondente rituale in alfabeto latino di VI a-b, VII a contengono prescrizioni per i due sacrifizî maggiori: 1. la lustrazione dell'arce; 2. la lustrazione del popolo, note anche dai frammenti e notizie dei libri augurales romani, e materia fors'anche dei libri rituales etruschi menzionati da Varrone. In questa frammentarietà solo da VI a possiamo apprendere particolari importanti per la costituzione del templum augurale e per la procurazione degli auspici. Le tavole II, III, IV contengono sacrifizî minori, ma non sono meno interessanti sia per la conoscenza del calendario feriale umbro, sia per la nomenclatura degli attrezzi e delle operazioni sacrificali. Il principio di II contiene un accenno alla struttura topografica e gentilizia della città umbra di Iguvium e il principio di III pare che contenga istruzioni per la lustrazione di un mundus (huntak) da parte di gruppi di 5 (ponti) Atiedii, ai quali presiede l'uhtur, come a Roma Numa presiede ai 5 pontifices da lui creati e assiste, seduto su una pietra, alla costituzione del templum augurale sull'arce per la sua consacrazione a re (Liv., I, 18).

L'umbro di questo testo, dalla sua imperfetta rappresentazione alfabetica e più dalla sua evoluzione fonetica, appare così trasformato rispetto alla conservazione dell'osco, che spesso il rapporto tra parole e forme identiche dell'osco o del latino è percepibile solo per via di studio.

In tema di vocalismo è da notare la comune tendenza latina 1. di a verso o; 2. di ē e ō verso i e u, fatto che finisce col coincidere con l'analoga chiusura di queste due voeali nel latino volgare di alcune regioni; 3. il passaggio di ū in ī nei monosillabi sīm per sūm "suem"; pir, gr. πῦδ; 4. la chiusura in e dei dittonghi di i (ai, ei, oi) e in o dei dittonghi di u (au, eu, ou) nell'umbro; 5. la conservazione di ă mediano, ridotto a i, e nel latino sotto l'azione dell'accento originariamente iniziale di parola; 6. la sincope vocalica dovunque sia possibile e compatibile col posto dell'accento e con la natura dei suoni vicini.

Nel consonantismo, oltre al labialismo completo p, b delle labiovelari qu̯, gu̯ (pis, *benio di fronte al lat. quis, venio), incondizionata è la trasformazione fonetim di -bh-, -dh- indoeuropei in -f- all'interno di parole (umbro alfu "alba"; rufru "rubros", scr. rudhirä-); -ns finale passa anche qui in -f, e -nd- mediano in -n(n)-. Proprio dell'umbro è anche il rotacismo di -s- intervocalico, e la lenizione dei gruppi -nkl- in -ngl-; -nk-, -nt- risp. in -ng-, -nd-, -pr- in -br-; -tr- in -dr- ed eventualmente anche di consonante semplice.

Nella declinazione, l'umbro, come l'osco-sabellico, è caratterizzato rispetto al latino:1. negativamente dalla perdita del genitivo sing. in -ī e del dativo sing. in -ō; dalla perdita della forma in -os del genitivo sing. dei temi in consonante; 2. positivamente dalla conservazione dell'ō da ōu nell'accusativo sing. bum, dor. βῶυ, del nome monosillabo in dittongo lungo bōs, da *bōus, lat. bōs, bovem, scr. gāus.

Notevole è inoltre la digradazione tematica del tipo -iōn: -in nei temi in -iōn: -in e in -tiōn: -tin.

Nella coniugazione, l'umbro, come l'osco-sabellico, è caratterizzato: 1. dalla sopravvivenza del futuro indoeuropeo in -so, per es. ferest "feret"; 2. dalla formazione di un infinito in -om e di un perfetto in -fom, da -bh()om (cfr. imperf. -fām da -bh()ām in o. fufans "erant"), mentre il latino di questa formazione conserva soltanto l'imperfetto in -bām e il futuro in -, fal. ; 3. da un participio perfetto in -us (da indoeuropeo -u̯ots?); 4. dall'imperativo in -mo; 5. da forme passive in -r del tipo u. ferar "ferātur", derivate direttamente dalla base della corrispondente forma attiva. Caratteristici dell'umbro sono nella coniugazione i perfetti in -lo e in -nki.

Cimelî grammaticali indoeuropei sono forme pronominali come pusme "cui"; esmei "huic", scr. kasmāi, asmāi, e il metaplasmo -r/-n in u. utur "aquam": abl. sing. une (*udni), cfr. ὕδωρ, -ατος, scr. udán-.

Quanto alla distribuzione del lessico indoeuropeo, l'umbro appartiene a un'area geografica che conosce udōr non aqua; pūr non ignis; toutā non populus; bio, pel. biam "sacellum" non templum; u̯ero- non foris "porta"; cringatro "arcula humeralis", non *circen "cércine"; arvia non viscera (exta), cupro- non bonus (duenos); seu̯o-, semo- non tōtus; nertro- non sinister; nesimo- non proximus; hontro- non inferus *ídhero-; heriō non u̯olō; ha(h)tu "capito", da ghap-, incrocio di indoeuropeo ghabh- e kap-, non capio. In corrispondenza della variazione lat.faciō: fēci; capiō: cēpi l'italico conosce hapio: hēp, o. hipid "habuerit"; e sapio, ptc. perf. sipus, e cioè da un tipo di perfetto med. hēpī, sēpī, cfr. ital. ebbi, seppi, lecc. ippi, sippi, da ampliamenti in - di sēp-.

All'area geografica reto-etrusca appartengono u. aiso- "dio, sacro", esono- "sacrificium" ereSlum "sacrarium" da *aisekelom etr. αἰσοί = ϑεοί u. tuder "finem", etr. tular, tuler "pietre di confine, confini", ranu, etr. rane "sostanza sacrificale"; all'area mediterranea forse u. nepitu "inundato", cfr. Neptūnus, topon. Nepete, Nepetimus, Nepesinus;. u. arsic "sancte" topon. Arsia "silva", fl.

Esiste inoltre nelle Tabulae Iguvinae un numero considerevole di parole di cui, non potendo determinare l'etimo, non si può ancora precisare il significato e intorno a cui potrà utilmente continuare ad esercitarsi la ricerca (per il rapporto dell'umbro con i dialetti italici in generale e con l'osco in particolare v. italici; oschi).

Bibl.: H. Nissen, Italische Landeskunde, II, Berlino 1902; K. J. Beloch, Römische Geschichte, Berlino 1926, soprattutto p. 604 segg.; F. Duhn, Italische Gräberkunde, I, Heidelberg 1924; U. Rellini, Le origini della civiltà italica, Roma 1929; G. Devoto, Gli antichi Italici, Firenze 1931; F. Messerschmidt, Bronzezeit u. frühe Eisenzeit in Italien, Berlino 1935; Corpus Inscriptionum Latinarum, XI. - Per le Tavole Iguvine, v. gubbio: Bibliogr.; v. inoltre: P. G. Goidanich, Saggi ermeneutici umbri, in Arch. Glott. Ital., XXV (1933); F. Ribezzo, Problemi Iguvini, 1ª e 2ª serie, in Riv. indo-greca-italica, XVIII (1934) e XX (1936); G. Devoto, Tabulae Iguvinae, Roma 1937; S. R. Conway, The Italic Dialects, voll. 2, Cambridge 1897; R. v. Planta, Oskich-umbrische Grammatik, voll. 2, Strasburgo 1892-97; C. D. Buck, A grammar of O. und U., Boston 1904 (ediz. ted. a cura di Prokosch, Heidelberg 1905).

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