UMILIATI

Enciclopedia Italiana (1937)

UMILIATI

Pio PASCHINI

. In coincidenza col movimento valdese che ebbe origine nella Francia meridionale, anzi con una certa anticipazione su di esso, sorse nel Milanese quello degli umiliati. Provocati dalle medesime cause, hanno comune l'aspirazione a praticare il cristianesimo sotto una forma più perfetta di quella praticata dal comune dei fedeli e dagli ecclesiastici stessi, secondo l'esempio della semplicità apostolica. Umiliato non significa altro, da principio, che cristiano, che professa di seguire vita perfetta. La medesima comunione d'intenti fa sì che questi umiliati si organizzino in comunità autonome del tutto indipendenti da organizzazioni accentratrici, legate insieme da un fondo comune di idee, dalla foggia speciale degli abiti bigi, dal proposito di vivere "a modo della chiesa primitiva" senza nulla possedere personalmente, attendendo a preghiere e digiuni "secondo la forma dei laici". Speciale ed essenziale in questo movimento è il proposito di vivere del frutto del lavoro delle proprie mani costituendo comunità di uomini e di donne viventi insieme in continenza.

Per lo più gli umiliati escono dal ceto operaio che nelle città andava crescendo di numero. In modo particolare sono tessitori e follatori di lana od operai addetti a industrie affini a quest'arte; e pure senza avere dato origine all'arte della lana, ne favorirono e allargarono lo sviluppo, soprattutto nell'Italia settentrionale dove il movimento ha il suo vero centro. Qualche elemento sospetto v'è fra loro, sebbene intendano essere buoni cattolici, e si manifesta nel rifiuto di giurare specie davanti ai tribunali, in un particolare aborrimento dalla menzogna, nello stretto dovere di lavorare con le proprie mani. Da Alessandro III ebbero una conferma della loro vita comune con proibizione però di tenere conventicole e di predicare; ma sul finire del sec. XII furono tenuti come sospetti nella fede; e in realtà si sviluppò presso di loro una corrente eretica, che attese a predicare per conto proprio, mantenendosi distinta dai valdesi, e fra questi umiliati noi dobbiamo vedere coloro che furonti chiamati i Poveri Lombardi. Gli altri invece, e furono probabilmente i più, prestarono ubbidienza ai vescovi, professandosi ortodossi e ottennero favore a Roma. Innocenzo III si preoccupò di inculcare e stabilire una chiara distinzione fra gli umiliati di sentire cattolico e quelli di sentire eretico. E poiché anche chierici e persone istruite e distinte anelavano a partecipare al moto degli umiliati, fu concessa loro dal papa autorità di predicare e di opporsi agli eretici. Col progredire dell'organizzazione troviamo negli umiliati tre ordini distinti fra loro: il primo è costituito da frati e da suore consacrati solennemente a Dio con oratorî proprî; ad esso appartengono i preti e i chierici che s'aggregano fra gli umiliati; il secondo è costituito da frati e da suore che pure seguendo la regola e vivendo in comune, rimangono laici; il terzo è costituito da coloro che continuano a vivere nelle proprie famiglie e si considerano perciò come terziarî; il loro stato era regolato dal Propositum che deriva dalla lettera d'Innocenzo III del 7 giugno 1201 e inculca la pratica dell'umiltà, pazienza e carità e di digiuni e preghiere speciali.

La regola mista di elementi benedettini e canonicali e di altri presi da fonti diverse, accetta la proprietà comune anche d'immobili, con speciali prescrizioni e limitazioni per prevenire gli abusi, escluso però l'esercizio di diritti signorili di tipo feudale. Capo di tutti gli umiliati fu un maestro generale, al quale furono assoggettate man mano anche le case del secondo ordine, sottratte così alla dipendenza dei parroci e dei vescovi e ufficiate da sacerdoti regolari. Verso la metà del Trecento cessa invece la storia degli umiliati terziarî; essi avevano conservato sino allora l'originaria ripartizione per quartieri, almeno a Milano, dove, nella casa di Brera, era il centro dell'ordine.

L'esercizio dell'industria e il conseguente afflusso di capitali fecero sì che gli umiliati acquistassero una speciale importanza anche nella vita economica delle città. Per questa ragione gli umiliati furono chiamati innanzi tutto a tenere nel comune l'ufficio di massari: ad essi fu affidato perciò il pubblico tesoro e l'amministrazione del debito pubblico; furono scelti come cassieri nei tribunali e depositarî giudiziarî; furono loro affidati i beni dei banniti; ebbero la soprintendenza nei pubblici lavori, la cura dell'ufficio del sale, il controllo sulla riscossione delle gabelle, pedaggi, ecc.; la sorveglianza sul grano, le farine e i forni. Fu loro anche affidata l'amministrazione dei beni delle cattedrali.

Il decadere della disciplina religiosa durante il secolo XV, la larga disponibilità di denaro e il regime della commenda furono esiziali all'ordine. Il lusso dei loro prepositi, la mondanità nel vivere allontanarono sempre più dall'entrarvi le anime meglio. disposte alla pietà, mentre si iscrissero quasi solo coloro che volevano trovarvi l'agiatezza. Giä sul principio del Cinquecento s'era provveduto a iniziare una riforma. Nel 1569 non v'erano più che 170 religiosi distribuiti nelle 94 prepositure esistenti. Come protettore degli umiliati, San Carlo Borromeo aveva tentato, prima ancora di entrare a Milano nel 1565, d'introdurre presso di loro un regolare noviziato, senza riuscirvi; nel 1567 egli riuscì a imporre come preposito generale il padre Luigi Bascapè e propose un intero piano di riforma per l'ordine. Poiché il Borromeo mostrò di procedere con tutta l'energia nel togliere gli scandali, si tramò da alcuni membri più depravati dell'ordine un attentato contro di lui (26 ottobre 1569). Il reo fu giustiziato l'11 agosto 1570 con altri tre complici; l'ordine fu soppresso da Pio V, con bolla del 7 febbraio 1571.

Bibl.: Vita S. Joannis de Meda, ritenuto come fondatore degli umiliati, in Acta Sanctorum, settembre, VII, p. 343 segg.; H. Tiraboschi, Vetera Humiliatorum Monumenta, voll. 3, Milano 1766-69; L. Zanoni, Gli Umiliati nei loro rapporti coll'eresia, ecc., ivi 1911; G. Volpe, Movimenti religiosi e sette ereticali, ecc., Firenze 1922, p. 54 segg.

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