UMORISMO

Enciclopedia Italiana (1937)

UMORISMO

Mario PRAZ

Il concetto d'umorismo è dei meno agevoli a definire, per la qualità d' "incognito e indistinto" che ne forma precipua caratteristica. Ricorrendo al massimo dizionario inglese, il grande Dizionario di Oxford, per la speciale accezione che la parola è venuta ad assumere appunto in Inghilterra verso la fine del Seicento (al principio di quel secolo Ben Jonson basò la sua arte drammatica sulla teoria fisiologica degli "umori" o caratteri predominanti: accezione, questa, che la parola aveva allora ed ha seguitato ad avere anche in italiano, mentre "umore" non traduce humour nel senso dì "umorismo"), troviamo questa definizione: "Facoltà di percepire ciò che è ridicolo o divertente, o di esprimerlo in discorso, in iscritto, o in altra composizione; distinta dal wit (arguzia) per essere meno puramente intellettuale e per possedere una qualità di simpatia in virtù della quale spesso s'accosta al patetico". Definizione che, in mezzo a molto di vago, contiene un importante elemento negativo (humour non è wit) e un non meno importante elemento positivo (humour è contraddistinto da una qualità di simpatia), nonché una sfumatura (si accosta al patetico) che permette di estendere il concetto al di là dei confini del comico. Su questa sfumatura giocano le definizioni più ambiziose del humour, che tendono a identificarlo con la suprema saggezza, dal Richter ("L'atteggiamento grave di chi compari il piccolo mondo finito con l'idea infinita: ne risulta un riso filosofico che è misto di dolore e di grandezza") al Panzini (Dizionario moderno: "La speciale disposizione che un'alta intelligenza [per lo più artistica] ha nel penetrare facilmente, sottilmente, insino al fondo occulto delle cose, vedere le fronde e le radici, la scena e il retroscena; quivi le cose umane appaiono ben diverse e ben diversamente congiunte che non siano nell'apparenza: ciò che nella superficie è comico, al fondo può essere tragico, e viceversa"). Per questa via d'interpretazione trascendentale il Richter giunse alla suprema e laconica definizione dell'umorismo come "l'idea che annienta", cioè: serie di fatti e di pensieri contrastanti, che si dissolvono reciprocamente. Ma, pur ammettendo che anche a questo colore assoluto possa giungere la gamma di sfumature dell'umorismo, non riteniamo che esso ne sia un aspetto essenziale. Gioverà piuttosto, in fatto di sfumature, limitarci alla constatazione che carattere comune agli umoristi è il capriccio, come disposizione formale, metodica; l'opposto carattere essendo quello di colui che tra affermativa e negativa non concepisce zona neutra, che parla sempre sul serio, che non dà indizio alcuno d'incertezza, di vacillamento, di dubbio, ma oracolarmente annuncia come dogmi incontrovertibili le "verità" che ha scoperto; carattere, questo, che in Inghilterra è appunto descritto come mancante di sense of humour.

Molto più vicino all'essenza dell'umorismo ci portano quei due elementi che segnalavamo dapprincipio: la differenziazione dal wit e la disposizione di simpatia. Il wit, arguzia, esprit, agudeza, è aristocratico; sia un arabesco concettoso che ha tutta l'individualità del pensiero poetico, sia un motto tagliente che ha tutta la crudeltà del gioco d'ingegno fine a sé stesso. Socialmente considerata, l'arguzia trova il suo ambiente proprio nelle corti d'un tempo; adula i potenti con stravaganti emblemi in cui il principe è. assunto tra gli dei e gli astri, schiaccia i nemici con sadico compiacimento, nell'un caso e nell'altro astrae dall'umanità, e scintilla del freddo fuoco dei diamanti e delle lame affilate. A questa categoria appartengono gli scrittori di satire (che son l'esatto riscontro dei panegirici), da Marziale a Swift.

Mentre nell'arguzia predomina l'intelletto, l'umorismo decisamente fa larga parte al sentimento, e non v'è definizione di esso che non sottolinei come sua peculiarità il sorridere in mezzo alle lacrime, il risolvere in riso la compassione di sé medesimi. Storicamente, humour è il contemporaneo del Je ne sais quoi, si avverte coi primi sintomi della sensibilità romantica, nasce dunque in ambiente borghese. Onde la sua natura eminentemente sociale, l'immancabile elemento di simpatia, di tenera canzonatura, di affettuosa indulgenza. È al polo opposto dell'arguzia cerebrale. Molière, scrittore cortigiano, crea Tartuffe, figura satirica di commedia intellettuale, per nulla umoristica; Dickens, scrittore borghese, crea Pickwick, figura in parte grottesca, in parte aureolata dalla simpatia del suo creatore, per cui alla fine in essa par sublimarsi l'essenza spirituale d'una borghesia proba e pedestre: Pickwick, tipico personaggio umoristico. Il humour prende presso una borghesia dai costumi più schivi il posto che il comico a base sessuale ha presso una borghesia senza repressioni. Sebbene non sia esente dal comico osceno, il Chaucer non insiste mai su quella nota; dà, invece, i primi saggi d'un comico più umano e castigato, di quello che poi si chiamerà humour. Non la beffa, divertimento d'indole antisociale, ma la bonaria canzonatura, anche di sé stesso (in Sir Thopas), con una nota di cristiana equanimità in un'opera il cui sfondo (un pellegrinaggio), è eminentemente sociale. E umoristico può dirsi l'atteggiamento d'affettuosa indulgenza che ha lo Shakespeare per la figura di Falstaff. I due generi di comico borghese, il licenzioso e l'umoresco, si trovano in unica combinazione nello Sterne. La tenerezza di cuore e la volubilità del sentimento, coi continui passaggi dalle lacrime al sorriso, sono tratti caratteristici di Sterne, che è un umorista nel senso più pieno della parola. "I write" - dichiarava l'autore di Tristram Shandy "a careless kind of a civil, nonsensical, goodhumoured Shandean book, which will do all your hearts good". Parole in cui il je ne sais quoi si combina con la bonomia, la bella creanza col capriccio, in una formula che contiene in nuce la quintessenza dell'umorismo. Da Boccaccio a Sterne è tutta la parabola della fantasia comica borghese: alla franca e monotona sensualità succede la sentimentalità proteiforme, schiva e vaporosa, al riso beffardo il sorriso indulgente. Il humour è bonario, familiare e sociale, si estende a tutti, non è privilegio di una casta, come l'aristocratica arguzia, non è limitato alla cerchia dei maschi, come l'aneddoto sboccato e ridanciano, la gauloiserie: trova il suo clima ideale nel borghese Ottocento, e più precisamente nel Biedermeier (v.).

Non per nulla Jean Paul Richter fu il nume tutelare di quel romanticismo tedesco imborghesito che i posteri hanno chiamato Biedermeier: le continue transizioni dal monumentale al minuto, dal sentimentale al temperatamente grottesco, dal lirico al pedestre, che caratterizzano le opere di quel periodo in Germania (e non solo in letteratura; i quadretti dello Spitzweg, sono humour tradotto in colori, con quelle figurette buffe, bonarie caricature, profilate contro cieli e paesaggi espressivi dei più teneri modi idillici), mostrano lo stretto nesso che corre tra il fiorire della civiltà borghese nei suoi aspetti più tipici, coi suoi ideali antieroici di quieto vivere, d'affettuosa intimità, di gaia e civile compagnia, e il diffondersi del humour. E volendo ricercare simili aspetti nella letteratura d'altri paesi, potremmo nominare il Manzoni di Don Abbondio e di tante argute e umane riflessioni, il Giusti di Sant'Amorogio, Vittorio Betteloni (e, vicino a lui, Guido Gozzano), Alfredo Panzini, Antonio Baldini; per la Francia Jules Renard, i cui aerei arabeschi toccano tutta la gamma dalla freddura alla vera e propria poesia (la maniera del Renard ha fatto scuola; per es., in Spagna Ramón Gómez de la Serna).

Ma, come è naturale, le più ricche di humour sono le letterature anglosassoni. Quel periodico che segna l'avvento della coscienza borghese a direttrice dell'opinione pubblica, il sostituirsi del giornale e del club alla corte, lo Spectator, celebra le esequie dell'antica arguzia in sei ben noti articoli dell'Addison (nei numeri 58-63, su false and true wit) e inaugura l'umorismo soprattutto col personaggio di Sir Roger de Coverley, figura mista di serio e di faceto, la cui bizzarria è dipinta coi più morbidi colori della simpatia. E l'umorismo è la nota principale di quegli eclettici come Charles Lamb, Thomas De Quincey, e Thomas Love Peacock, che segnano la transizione dal primo romanticismo a quel compromesso vittoriano che può definirsi un Biedeimeier inglese (v. inghilterra: Letteratura). Gli Essays of Elia del Lamb, sono uno dei grandi classici dell'umorismo: anche qui, accanto a forme d'arguzia già sfruttate in altri secoli (la famosa Dissertation upon Roast Pig è l'apoteosi del "capitolo" bernesco del tipo Lodi delle anguille, del ghiozzo, ecc., Mrs. Battle's Opinions on whist è un "carattere" delineato. con suprema maestria), fiorisce quella forma mista di spirito e di sentimento che è l'umorismo con l'accento assai spesso sulla nota simpatica (valga per tutti Barbara S.) e sulla patetica (Dream Children). La sentimentalità e il riserbo dell'età vittoriana dovevano fare del humour una delle forme preferite nella vita e nella letteratura: si pensi alla maniera umoresca spiegata del Dickens, e a quella più sottile e in sordina del Trollope, al classico dei fanciulli inglesi, Alice's Adventures in Wonderland, e infine al re dei giornali umoristici, il Punch, fondato nel 1841, la cui divisa d'indulgente e bonario riso rispecchiava, non meno del tradizionalismo affettuoso, il comune sentire d'una borghesia morigerata e riservata, alla quale il humour offriva modo di velare con apparente frivolezza di linguaggio la serietà dei proprî sentimenti pudicamente difesa (l'umorismo è stato definito anche: "thinking in fun while feeling in earnest", definizione che quadra benissimo a quella forma di humour che è il paradosso del Chesterton). E sentimentalità è anche la nota dominante del capolavoro dell'umorismo americano, Huckleberry Finn di Mark Twain, ove si accentua in quella direzione la vena d'umana simpatia che già animava il modello, il Don Chisciotte: nel romanzo di Mark Twain, come nelle opere più tipiche del Biedermeier, la scena naturale - la magica corrente del Mississippi, coi suoi seni, le sue isole, le sue foreste, le sue nebbie, i suoi assolati meriggi, e i bianchi battelli a ruote coi lunghi pennacchi di fumo - conferisce un fascino di poesia e circonfonde di non so che di strano e di patetico la stessa comicità, la grottesca e bonaria figura del negro Jim, quell'amabile caricatura della coscienza umana che è il birichino Huck, quel donchisciotte in sedicesimo che è Tom Sawyer, e tante briose conversazioni e avventure.

Bibl.: L. Pirandello, L'umorismo, Lanciano 1908, 2ª ed., Firenze 1920; S. Spaventa Filippi, L'umorismo e gli umoristi, Milano 1932; G. Fanciulli, L'umorismo, note di estetica psicologica, Firenze 1913; F. A. Termini, L'arte gaia nella letter. ital., con uno studio su l'umorismo, Luino 1912; D. Provenzal, Dizionario umoristico, Milano 1935 (antologia di freddure e di definizioni argute); W. Gottschalk, Die humoristische Gestalt in der französischen Literatur, Heidelberg 1928; P. Acker, Humour et humoristes, Parigi 1899; F. Baldensperger, Les premières définitions françaises de l'humour, in Revue de philologie franç. et de litt., XVII (1903); id., Gottfried Keller, sa vie et ses oeuvres, Parigi 1899 (il cap. 4 del vol. II: L'humour); H. Bergson, Le rire, Parigi 1900; G. de Lautrec, Définition de l'humour, in Mercure de France, 1900; J. P. F. Richter, in Vorschule der Aesthetik, 1804; O. Mann, Die kulturgeschichtlichen Grundlagen des Jean Paulschen Humors, in Deutsche Vierteljahrsschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte, VIII (1930); G. Voigt, Die humoristische Figur bei Jean Paul, Halle 1934; G. L'Estrange, History of English Humour, Londra 1878; J. B. Priestley, English Humour, ivi 1929; L. Cazamian, The Development of English Humour, ivi 1931.

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