Unioni civili. Profili costituzionali

Il Libro dell Anno del diritto 2017

Unioni civili. Profili costituzionali

Paolo Bonini

La l. 20.5.2016, n. 76 disciplina due nuovi istituti giuridici: le «unioni civili» e le «convivenze di fatto». Il contributo, ripercorrendo la giurisprudenza costituzionale preesistente alla legge, si sofferma sui profili costituzionali emersi nel dibattito, in particolare sulla distinzione delle nozioni costituzionali di «formazioni sociali» e «famiglia». L’analisi sottolinea come la stessa legge stabilisca una disciplina molto simile al matrimonio, da cui può argomentarsi l’affinità alla “famiglia”, trascurando tuttavia l’obbligo di reciproca fedeltà in capo agli uniti.

La ricognizione

La l. 20.5.2016, n. 76, recante Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, introduce nell’ordinamento due istituti giuridici differenti1. Si tratta della «unione civile tra persone dello stesso sesso», che la legge stessa definisce «quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione» (art. 1, co. 1); e delle «convivenze di fatto» (in questo volume v. anche Diritto civile, 1.1.1 Unioni civili e 1.1.2 Contratti di convivenza; Diritto processuale civile, 3.1.1 Unioni civili e convivenze di fatto: profili processuali).

Con l’unione civile due persone maggiorenni si impegnano con formula solenne (difronte all’ufficiale dello stato civile e davanti a due testimoni) a costituire un’unione personale e patrimoniale tra loro (art. 1, co. 2); impegno che sarà successivamente registrato nell’archivio dello stato civile (co. 3). La legge, esplicitamente o con una serie di rinvii esterni e fissi, riprende i divieti e le cause di nullità (co. 5), le situazioni giuridiche soggettive attive e passive sancite dal codice civile per il matrimonio, tra cui la facoltà di adottare un cognome comune (co. 10) e diversi doveri ed obblighi tipici. Tuttavia tra questi non c’è l’obbligo di fedeltà.

Le convivenze di fatto (al plurale) sono disciplinate nei restanti co. 3667, e consistono nei casi di «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale» fuori da vincoli di parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile, senza requisiti di sesso. La legge stabilisce diversi diritti già previsti per il coniuge per l’assistenza morale o materiale dell’altro coniuge, il quale si trovi in carcere o in ospedale (o simili) (co. 3839). È prevista anche una procedura con cui la legge rende possibile la «designazione» da parte di un convivente dell’altro quale «suo rappresentante» con «poteri pieni o limitati» (co. 4041). Inoltre sono esplicitati alcuni principi giurisprudenziali ormai considerati pacifici e già parte della struttura giuridica della “famiglia di fatto”2.

Significativamente i «conviventi di fatto»3 possono disciplinare i «rapporti patrimoniali relativi la loro vita in comune» con la sottoscrizione di un «contratto di convivenza», tipico strumento di diritto; stabilisce anche tutti i caratteri, gli effetti e i modi di estinzione del contratto stesso. La legge, infine, sempre recependo i principi di giurisprudenza costante in materia, dispone il diritto agli alimenti in caso di cessazione della convivenza di fatto (e non in caso di risoluzione o recesso dal contratto di convivenza).

La focalizzazione. La giurisprudenza costituzionale

Con la l. n. 76/2016 si pone fine ad un annoso dibattito sulla natura e sul corretto inquadramento giuridico delle coppie formate da persone dello stesso sesso, ancora non sopito nonostante la Corte costituzionale avesse già risolto la questione con sentenza 15.4.2010, n. 138. Con questa pronuncia la Corte spiega che dall’art. 2 Cost., inteso anche come criterio per il giudizio di ragionevolezza di una disposizione di legge, non discende il dovere di dichiarare illegittimi i requisiti di sesso e la conseguente normativa matrimoniale stabilita nel codice civile perché non riferiti anche alle coppie omosessuali. Il vulnus per le coppie di questo tipo derivava dall’inerzia del legislatore, tale da lasciare il fenomeno al di fuori della disciplina giuridica4. Spetta al Parlamento, infatti, intervenire sulla materia esercitando la funzione legislativa che l’art. 70 Cost. attribuisce alle Camere, nel pieno della loro discrezionalità politica. In mancanza di un intervento, in virtù del principio di ragionevolezza, resta in capo alla Corte la possibilità di tutelare specifiche situazioni, in cui si rende necessario disciplinare in modo omogeneo casi in cui la disciplina matrimoniale sia ragionevolmente compatibile con la situazione e le esigenze di coppie formate da persone di sesso eguale. Infatti un intervento ermeneutico della Corte di portata più ampia, con effetti generali e astratti, tali da estendere alle coppie omosessuali la disciplina del matrimonio (riferibile alle sole coppie eterosessuali in virtù della disciplina codicistica), non avrebbe comportato una semplice rilettura costituzionalmente orientata del sistema normativo o l’abbandono di una prassi interpretativa, bensì, come precisa la stessa Corte, avrebbe significato «interpretazione creativa» (cfr. punto 9 del Considerato in diritto).

La medesima pronuncia chiarisce perché la disciplina delle coppie omosessuali trovi la sua sedes materiae solo nell’art. 2 Cost. e non anche nell’art. 29 Cost. In effetti la questione della regolamentazione giuridica delle coppie omosessuali si pone nel 2010 come rivendicazione egalitaria sulla base di quei parametri. Tuttavia la Corte chiarisce la portata dell’art. 29 Cost. Il richiamo al fondamento matrimoniale della famiglia, nonostante fosse ben nota nel 1946 l’esistenza fenomenologica di coppie omosessuali, non può che descrivere (giuridicamente) una formazione sociale specifica, la famiglia, tramite gli elementi tipici del matrimonio ora come allora disciplinato nel codice civile al completo di tutte le sue caratteristiche. Tra le quali, ovviamente, la differenza di sesso tra i nubendi. L’art. 29 Cost., richiamando la nozione matrimoniale del codice civile e in essa la tradizione millenaria del matrimonio come esclusivamente eterosessuale, non lede l’art. 3 Cost. rispetto alle coppie omosessuali, in quanto stabilisce una disciplina specifica per un caso determinato, cioè l’unione di due persone di sesso diverso, costituzionalmente riconosciuta e tutelata in modo peculiare, in virtù di caratteri e finalità tipici. La «irragionevole discriminazione» per le coppie omosessuali non sta nel fatto che esse non possano essere ritenute omogenee alla famiglia matrimoniale, essendo fenomenologicamente due realtà distinte. Consisteva, piuttosto, nell’assenza di una propria diversa, specifica e autonoma disciplina necessaria in quanto diversa, specifica e autonoma rispetto al concetto di famiglia ex art. 29 Cost. è la fattispecie da disciplinare. Con la sentenza in commento, quindi, la Consulta sollecita il legislatore a trovare forme di garanzia e di riconoscimento giuridico su misura per le coppie in commento.

Infatti, spiega anche come non sia valido il giudizio di eguaglianza ai sensi dell’art. 3 Cost., il quale, come noto, richiede la presenza di un terzo parametro con cui confrontare l’oggetto del giudizio e determinare se l’eguaglianza delle discipline giuridiche possa esistere ed eventualmente risulti lesa5. Nel caso di specie si invocava come terzo parametro la possibilità di contrarre matrimonio civile riconosciuta in capo alla persona che chirurgicamente abbia mutato i caratteri sessuali e giuridicamente rettifichi la relativa dichiarazione presso il registro dello stato civile. La Corte spiega che in tal caso, dopo l’operazione chirurgica, il soggetto esiste sul piano naturalistico come persona diversa dalla precedente. La sentenza passata in giudicato che riconosca la rettifica prende atto sul piano giuridico dei mutamenti avvenuti. Dunque le posizioni giuridiche dedotte in questi casi si conformano ai requisiti richiesti dal matrimonio civile e pertanto aderiscono alla nozione costituzionale di famiglia ex art. 29 Cost. Pertanto invocare tale situazione al fine di ammettere anche il matrimonio delle coppie omosessuali determinerebbe un risultato opposto: mentre nel caso del cd. transessualismo sono confermati i requisiti matrimoniali e ad essi si conforma la situazione di fatto; nel caso di sussunzione delle coppie omosessuali nell’art. 29 Cost., sarebbe la nozione giuridica ad essere estesa dalla Corte, nell’inerzia del legislatore, oltre i suoi confini costituzionali. Negli stessi termini le ordinanze 22.7.2010, n. 276 e 5.1.2011, n. 4.

Per l’ipotesi opposta, quando due soggetti già sposati, in seguito alla rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso da parte di un coniuge, esprimano la volontà di restare uniti per gli effetti civili, il co. 27 della l. n. 76/2016 prevede la conversione del matrimonio in unione civile. In precedenza, mancando una disciplina legislativa, la Corte costituzionale, con sentenza 11.6.2014, n. 170 stabiliva la necessità della continuazione del rapporto, regolato tuttavia con altra forma di convivenza registrata, a tutela dei diritti e degli obblighi della coppia medesima, secondo le modalità decise in futuro dal legislatore. In seguito alla sentenza e prima della legge si ponevano due situazioni inaccettabili per l’ordinamento costituzionale. Non si poteva riconoscere l’esistenza di un matrimonio omosessuale, che avrebbe contrastato con l’ambito dell’art. 29 Cost., appena richiamato. Tuttavia non si poteva neanche sacrificare tutta l’esperienza di vita insieme maturata dai coniugi contro la volontà dei soggetti fino a quel momento sposati e intenzionati a continuare un progetto di vita comune. Oltre alla tutela dell’aspetto volontaristico, che in una prospettiva pubblicistica assume rilevanza secondaria, la Corte vuole tutelare la pregressa esperienza dei soggetti nel cui contesto quella coppia ha maturato reciproci diritti e doveri, oltre che rapporti giuridici nei confronti della società, anche di rilievo costituzionale6.

I profili problematici.La “formazione sociale”

Il nuovo istituto «unione civile» sembra rispondere adeguatamente alle esortazioni della Corte costituzionale. Nonostante autorevole dottrina discorra di più “famiglie”7, il legislatore sembra sopire l’annoso dibattito sulla natura delle coppie omosessuali, collocate da molti nell’ambito del diverso (almeno dalla sentenza n. 138/2010 in poi) istituto giuridico “famiglia”. Oggi, infatti, sembrerebbe che la famiglia costituzionalmente intesa possa essere solo quella di cui all’art. 29 Cost.; vale a dire quella matrimoniale. Certamente in carenza di un istituto peculiare restavano senza una propria disciplina tutti i casi di “famiglie”, al plurale, i quali, per essere tutelati adeguatamente non potevano che essere ragionevolmente assimilati alla disciplina matrimoniale. Pertanto il richiamo esplicito alle formazioni sociali consente di declinare la tutela di cui all’art. 2 Cost. per il caso peculiare delle coppie omosessuali, le quali trovano propria dignità, attraverso un nuovo e specifico abitus giuridico («unione civile»). Il meccanismo delle «formazioni sociali» si caratterizza per aprire un nesso giuridico tra la tutela costituzionale dei diritti fondamentali della persona e la libertà privata8. È quindi necessario l’intervento del legislatore proprio per collegare l’ambito privato a quello costituzionale, per assolvere, in certi casi, alla «delicata opera di bilanciamento, dato il carattere “fondamentale” dei due principi in gioco e quindi la difficoltà di una gerarchizzazione assiologia tra gli stessi»9.

Disciplinare le unioni civili come formazioni sociali e non come famiglia pone alcuni problemi apparenti rispetto alla dogmatica internazionale e sovranazionale10, spesso richiamata anche in Italia per giustificare la possibilità di riferirsi ad una nozione plurale di famiglia (matrimoniale), estesa al punto di accogliere nel suo ambito le coppie omosessuali11. La tesi non sembra tuttavia trovare accoglimento nelle pronunce delle due massime autorità giurisdizionali ordinaria12 ed amministrativa13, proprio in riferimento ai parametri eurounitari14.

Vero è che la somiglianza tra famiglia matrimoniale ed unione civile è confermata da alcuni elementi, tra cui: il pregresso matrimonio come causa ostativa all’unione civile; l’impossibile cumulo di matrimonio ed unione; la conversione in unione del matrimonio in cui un coniuge rettifichi il proprio sesso; il cognome comune; l’estensione di ogni riferimento ai «coniugi» al caso degli «uniti», seppure solo per l’effettività della tutela; l’eguaglianza dei diritti e doveri tipici dei coniugi; la determinazione comune dell’indirizzo familiare.

Tuttavia sono assenti l’obbligo di fedeltà e il diritto di adozione del figlio di uno degli uniti15. Si potrebbe sostenere che l’assenza dell’obbligo trovi fondamento nella natura del matrimonio. Con la fedeltà, tra l’altro, si garantirebbero al nascituro diritti personali fin da subito, in una cornice di certezza giuridica, in una situazione fattuale in cui è possibile (e probabile) la generazione di una vita nell’esercizio della libertà sessuale all’interno della coppia. Una funzione personalista ex art. 2 Cost. che potrebbe spiegare la peculiarità e dunque la differenza strutturale tra matrimonio e coppie omosessuali. Infatti la divergenza tra famiglia (art. 29 Cost.) e unione (art. 2 Cost.) potrebbe forse stare nel fatto che la coppia matrimoniale può generare naturalmente (senza la tecnica), la coppia omosessuale no. Per questo sembra giustificato lo status dei coniugi, che elimina la «libertà di stato» personale, limitando la possibilità di un esercizio libero della sessualità (garantito dall’art. 2 Cost.). La stessa limitazione giuridica nel caso delle coppie omosessuali comporterebbe invece una violazione incostituzionale della libertà sessuale degli individui. Il tema è destinato a restare aperto nel dibattito; per alcuni non si esclude l’intervento sul punto della Corte costituzionale16.

Note

1 Dal punto di vista delle tecniche normative, vale la pena sottolineare che la legge consta di un unico articolo diviso in 69 commi numerati. I gruppi parlamentari Alleanza popolare e Partito democratico hanno presentato un emendamento al d.d.l. n. 2081 in sede di prima lettura al Senato, sul quale il Governo ha posto la fiducia, così trasformando il testo originale diviso il 23 articoli. Il medesimo testo è stato poi approvato con voto alla Camera recante anch’esso una questione di fiducia.

2 Tra cui il diritto del coniuge di fatto a succedere nel contratto al coniuge conduttore in caso di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza (co. 43); il diritto di godere del diritto di prelazione nel caso in cui appartenere ad un nucleo familiare comporti un vantaggio nelle graduatorie di per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare (co. 44); il riconoscimento del coniuge di fatto rispetto al lavoro prestato nell’impresa familiare (co. 46); la tutela, curatela o amministrazione di sostegno (co. 4748); il diritto al risarcimento del danno in caso di morte per fatto illecito del terzo (co. 49).

3 Corsivo aggiunto.

4 Inerzia che è valsa una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo all’Italia: C. eur. dir. uomo, 15.7.2015, Oliari c. Italia. Cfr. sul tema Ferraro, L., Il caso Oliari e la (inevitabile) condanna dell’Italia da parte della Corte EDU, in Rass. dir. pubbl. eur., Rassegna online, (ottobre) 2015; D’Amico, M., L’approvazione del ddl Cirinnà fra riconoscimento dei diritti e scontro ideologico, in Federalismi.it, (9 marzo) 2016, 3 ss.

5 Cfr. Paladin, L., Corte costituzionale e principio generale d’eguaglianza: aprile 1979-dicembre 1983, in Scritti su la giustizia costituzionale in onore di V. Crisafulli, I, Padova, 1985, 609: «la disparità di trattamento, denunciata con riferimento alla disciplina di certe fattispecie o di certe categorie di soggetti dev’essere apprezzata in rapporto alla disciplina che l’ordinamento riserva ad altre categorie o ad altre fattispecie del tutto o in parte distinte da quella che forma l’oggetto della norma impugnata».

6 Anche la Cass., ord. 6.6.2013, n. 14329, sollevando la questione di legittimità costituzionale decisa poi con la sentenza in commento, ravvisava dalla lettura dell’art. 4 l. 14.4.1982, n. 164, un’ipotesi di “divorzio imposto” e come tale costituzionalmente illegittimo.

7 Cfr. tra gli altri Scalisi, V., “Famiglia” e “famiglie” in Europa, in Riv. dir. civ., 2013, 7 ss.

8 Giova sul punto richiamare Pace, A., Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, Padova, 2003, 20, il quale spiega come riconoscere una formazione sociale non implica «un’automatica, indiscriminata (e perciò irragionevole) applicazione di tutte le norme costituzionali anche nei rapporti privati», in quanto «la rigidità costituzionale è temperata da frequenti rinvii al legislatore per la disciplina dei concreti rapporti, e quindi consente ... la distinta considerazione dei rapporti interprivati rispetto a quelli che si realizzano nei confronti del pubblico potere». Sul tema della disciplina costituzionale delle formazioni sociali si rimanda anche a Rossi, E., Art. 2, in Comm. Cost. Bifulco – Celotto - Olivetti, Torino, 2006.

9 Rossi, E., op. cit., § 2.2.3.

10 Su cui si vedano, in generale, tra gli altri: D’Amico, M., I diritti contesi. Problematiche attuali del costituzionalismo, Milano 2016, 153 ss.; Lorello, L., Coppie omosessuali e tutela costituzionale, Torino, 2015; Mannella, F., I “diritti” delle unioni omosessuali. Aspetti problematici e casistica giurisprudenziale, Napoli, 2013.

11 Cfr. Ruggeri, A., Unioni civili e convivenze di fatto: “famiglie” mascherate?, in Consulta Online (giurcost.org), 2016, fasc. 2, 252 e la bibliografia ivi citata. La cultura giuridica anglosassone e francese del mar(r)iage ruota intorno alla libera scelta del mari (marito in francese, lingua ufficiale della corte inglese a lungo), dell’uomo, di sposare chi vuole. Prospettiva ribaltata nella tradizione romanistica mediterranea che valorizza e costruisce l’istituto matrimoniale sulla mater, la donna che concepisce.

12 Cfr. Cass., sez. I, 9.2.2015, n. 2400.

13 Cfr. Cons. St., sez. III, 26.10.2015, n. 4899.

14 In particolare, si era soliti invocare in giudizio gli artt. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e 12 della CEDU.

15 V. in questo volume Diritto civile, 1.2.1 Adozione coparentale (stepchild adoption).

16 Ruggeri, A., op. ult. cit., 259.

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