Universita

Libro dell'anno 2001

Università

La riforma dell'università italiana

di Luigi Labruna

18 maggio

Si apre a Praga la Terza conferenza dei ministri europei dell'istruzione superiore. Viene riaffermata la volontà dei governi di orientare le politiche universitarie nazionali verso un sistema degli studi superiori basato su due cicli (laurea triennale e laurea specialistica di ulteriori due anni) e imperniato sui crediti formativi, che garantiranno agli studenti un'effettiva mobilità a livello europeo e la flessibilità dei percorsi formativi. A questi criteri è ispirata la riforma universitaria avviata nell'anno accademico 2000-2001 in Italia.

Il piano normativo

Il 23 gennaio 2001, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale relativo alla "Determinazione delle classi delle lauree specialistiche", si è sostanzialmente concluso sul piano normativo l'itinerario volto a ridisegnare i percorsi universitari per adeguarli (almeno nelle intenzioni proclamate) alla realtà europea. Tale processo ebbe come punti di partenza la cosiddetta legge Bassanini (l. 127/1997, art. 17, commi 95 segg.) e la dichiarazione su "L'armonizzazione dell'architettura dei sistemi di istruzione superiore in Europa", sottoscritta alla Sorbona il 25 maggio 1998 da Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia (anche sulla base dei principi espressi nel 1988 dalla Magna Charta Universitatum), e quindi ribadita solennemente a Bologna dai ministri dell'istruzione superiore di 30 Stati europei il 19 giugno 1999. È seguito un lungo periodo di dibattiti, di iniziative, di riflessioni, di polemiche, a cui in vario modo ha partecipato il mondo accademico e politico italiano. Esso ha avuto come esiti di maggiore rilievo i decreti ministeriali del 4 agosto 2000 (pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale nr. 245 del 19 ottobre 2000) e del 28 novembre 2000 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale nr. 18 del 23 gennaio 2001), oggi in vigore, concernenti rispettivamente le lauree, in numero di 42, e, come si è detto, le lauree specialistiche, in numero di 104. A essi hanno fatto seguito i decreti ministeriali relativi alle classi delle lauree universitarie e delle lauree specialistiche nelle 'professioni sanitarie' e nelle 'scienze della difesa e della sicurezza' (d.m. 2 e 12 aprile 2001, pubblicati nel supplemento ordinario nr. 136 alla Gazzetta Ufficiale nr. 128 del 5 giugno 2001).

Si sta ora procedendo all'avvio concreto della riforma, alla luce dei positivi risultati dell'incontro tra i ministri di tutti i paesi europei svoltosi a Praga il 18 e il 19 maggio 2001 per discutere la situazione dello 'spazio europeo dell'istruzione superiore', la cui realizzazione è l'obiettivo della dichiarazione di Bologna, e nel contesto politico nuovo scaturito in Italia dalle elezioni del maggio 2001.

Tabella 1

Tabella 2

L'Europa: una sfida per l'armonizzazione

Le trasformazioni che negli ultimi tempi hanno pervaso la società italiana, soprattutto in riferimento all'integrazione europea, all'internazionalizzazione e allo sviluppo di sempre più sofisticati mezzi di trasferimento delle cognizioni, non potevano non incidere profondamente anche sull'organizzazione dell'istruzione superiore e dell'università. In consonanza con questi cambiamenti strutturali è apparsa, infatti, necessaria l'elaborazione di un progetto politico-culturale, che, nel rispetto delle autonomie, fosse capace di affrontare in termini nuovi la collocazione nel paese del sistema universitario. L'elaborazione e la trasmissione del sapere, compiti primari dell'università, assumono sempre più valenze e ruoli determinanti per la costruzione della società contemporanea, ed esigono di essere sorretti da mezzi umani e materiali adeguati.

Soltanto i paesi che rivolgono un'attenzione privilegiata alla questione della conoscenza, e sono quindi disposti ad accrescere con decisione gli investimenti in ricerca e formazione, appaiono oggi in grado di mantenere il ritmo dello sviluppo proprio delle comunità più avanzate. L'Italia ha mostrato coscienza di tale necessità, attrezzandosi almeno sul piano normativo per andare in questa direzione, nella consapevolezza che la costruzione dell'unità europea ha come presupposto ineludibile la fondazione in tempi ravvicinati di uno spazio comune, armonico, della ricerca, della cultura e della formazione superiore.

La svolta dunque è ormai avvenuta, ed è, almeno nell'individuazione dei fini, irreversibile. Le velocità dei differenti paesi europei possono essere diverse, ma non muta il senso di marcia. Si tratta infatti di una necessità, fondata su ragioni ideali e morali certamente, ma anche su motivazioni di carattere economico e sociale, legate alla fase attuale dello sviluppo del sistema produttivo.

Divenuta l'elemento portante dell'innovazione e della crescita, la conoscenza, che si forma e si produce soprattutto nel sistema universitario, è oggi più che mai in grado di condizionare tutto il processo storico nelle sue diverse componenti. Conseguire tale fine diventa, pertanto, condizione essenziale affinché l'Europa possa assumere quel ruolo decisivo che a essa spetta nell'attuale processo di competizione internazionale: un processo che investe al tempo stesso mercati e idee, e che non può ridursi alla semplice e, sotto certi aspetti non a torto contestata, globalizzazione.

Il raggiungimento dell'obiettivo dell'armonizzazione fra i diversi sistemi di formazione superiore e di ricerca, e della costruzione quindi di un comune spazio culturale europeo, esige il superamento graduale degli ancora forti elementi di sconnessione che permangono. Devono essere eliminate le distanze fra i differenti paesi, non le ricchezze che discendono dalla diversità. Condizione per creare virtuosi meccanismi di integrazione è perciò una riduzione drastica delle frantumazioni e delle disomogeneità che sussistono nell'insieme e all'interno di ciascun sistema.

La fase di trasformazione che l'università italiana attraversa si inserisce in questo quadro. Il mutamento in atto, incentrato sulla considerazione dell'autonomia come struttura portante e al tempo stesso come obiettivo e valore dell'intero sistema, attribuisce peculiari responsabilità ai singoli atenei e ai contesti sociali e culturali nei quali ciascuno di essi si trova a operare. L'avanzamento del processo di armonizzazione fra i diversi sistemi poggia infatti essenzialmente proprio sui soggetti dell'autonomia: gli atenei nella loro concreta configurazione. Dunque, le politiche debbono scaturire dal basso e contribuire a determinare il contesto generale di armonizzazione europea.

Ma se l'autonomia è la base sulla quale si radica la maggiore responsabilizzazione degli atenei, questa tuttavia non può non essere accompagnata da una visione complessiva del sistema, che può e deve realizzarsi attraverso l'opera del suo organo di rappresentanza istituzionale, il Consiglio universitario nazionale (CUN), e quella del Consiglio nazionale degli studenti (CNSU) e della Conferenza permanente dei rettori (CRUI). Il governo, d'altra parte, deve impegnarsi nella creazione delle condizioni di contesto e quindi soprattutto in uno sforzo mirato all'erogazione di significative risorse aggiuntive, tese al riequilibrio fra le diverse realtà universitarie all'interno del paese e tra queste e l'Europa.

L'autonomia

Nell'ordinamento italiano l'autonomia universitaria trova la più alta sanzione nell'art. 33 della Costituzione, secondo cui "le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato". L'assetto universitario prima delle ultime novelle legislative era disegnato dal d.p.r. 382/1980, che aveva già decisamente determinato un rafforzamento di tale autonomia. Negli ultimi anni, nel solco della previsione costituzionale e talvolta utilizzandola strumentalmente, si è dato avvio al riconoscimento sempre più diffuso delle varie espressioni di ciò che viene inteso come "diritto originario di fronte al quale è lo Stato ad autolimitarsi".

Un momento significativo di tale riconoscimento è contenuto nell'art. 6 della l. 168/1989, istitutiva del Ministero dell'Università e della ricerca scientifica e tecnologica (oggi divenuto Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca). Vi è stabilito "che le università sono dotate di personalità giuridica" e, in attuazione della Costituzione, "hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile", e che si danno "ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti". Nel rispetto di tali principi, "le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento".

Con l'autonomia statutaria, di cui si è detto, si collega strettamente l'autonomia didattica, regolata dalla l. 341/1990, modificata poi dalla l. 127/1997, che prevede per ciascuna università l'approvazione di un "Regolamento didattico di Ateneo". Anche questa realtà è in continua evoluzione. Proprio nella l. 341/1990 si può infatti individuare il fondamento storico e normativo dell'ipotesi di organizzazione ora al centro del dibattito.

Non meno rilevante deve essere considerata l'autonomia budgettaria o finanziaria, paradossalmente ridisegnata, in modo coerente con il suo fine generale, da una legge finanziaria, la 537/1993, poi variamente modificata, volta alla riduzione della spesa e quindi anche delle risorse destinate all'università e alla ricerca.

In seguito alla l. 210/1998, recante "Norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo" e alla successiva disciplina dettata dal regolamento contenuto nel d.p.r. 390/1998, ciascuna università decide di bandire posti di professore ordinario o associato e di ricercatore, sulla base delle proprie disponibilità finanziarie. Come recita chiaramente la norma, "la competenza ad espletare le procedure per la copertura dei posti vacanti e la nomina in ruolo di professori ordinari […] di professori associati e di ricercatori" è stata ormai definitivamente trasferita dal Ministero alle università. Va ricordato, ancora, in tema di autonomia didattica, che le "Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica" della l. 370/1999 hanno introdotto il metodo della valutazione a livello nazionale e di ateneo del sistema universitario, istituendo il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario e i Nuclei di valutazione interna degli atenei, e prevedendo fondi di incentivazione e assegni di ricerca.

Didattica, ricerca e costruzione di professionalità

La nuova articolazione dei percorsi attraverso la laurea, la laurea specialistica e i master; la trasformazione del dottorato di ricerca in strumento sempre più vicino all'alta formazione, alla ricerca non solo in campo accademico; l'attivazione di strumenti collegati con l'apprendimento e l'aggiornamento lungo l'intero arco della vita; una riarticolazione dei curricula, un intreccio diverso, nei tempi e nei modi, dell'insegnamento universitario e della ricerca con il contesto economico e sociale della produzione e del mercato del lavoro costituiscono aspetti decisivi della riforma in atto. Tutto questo richiede naturalmente uno sforzo non comune di invenzione progettuale, non un'adesione di passivo adeguamento. Richiede l'assunzione di precise responsabilità da parte di tutti coloro che - a livello diverso - operano nell'ambito dell'università.

Responsabilità significa riconoscimento di precisi valori culturali di fondo, da tradurre in obiettivi perseguibili sul terreno del rinnovamento delle strutture della ricerca e della didattica, dell'organizzazione istituzionale, del ruolo che l'università deve giocare nei confronti delle istituzioni, dell'economia, della società. La grande tradizione, il patrimonio di studi, la massa di conoscenze che provengono dall'università possono infatti costituire il volano che consente il superamento di taluni limiti strutturali della crescita del paese. È in questo preciso senso che occorre ripensare il ruolo dell'università incentrato sull'autonomia. La posizione giuridica che con questa parola si indica, il 'vivere suis legibus', deve sempre più diventare il centro fondante di una caratterizzazione originale dell'impianto organizzativo-istituzionale dei singoli atenei e del sistema universitario italiano: in funzione di obiettivi, contrassegnati in chiave nazionale ed europea, seri, coerenti, raggiungibili. Sotto questo aspetto, la riforma degli ordinamenti didattici nella quale l'università italiana è oggi impegnata, può divenire un'occasione importante per dare nuovo slancio alla ricerca. Senza un forte ruolo della ricerca non è possibile neppure una riforma seria della didattica. In mancanza, il rischio di una frammentazione del sistema e dell'accentuazione delle disarmonie all'interno di esso diventa sempre più consistente ed esalta le tendenze, che purtroppo in alcune realtà già si intravedono, a un distacco tra l'attività di ricerca e quelle di formazione, con l'ulteriore pericolo di uno svilimento dell'una e dell'altra e dell'introduzione nell'insieme di dannose confusioni.

La riforma

Il riordinamento in corso del sistema universitario si muove dunque nella direzione di una più marcata e vasta autonomia e tende a una progressiva armonizzazione in chiave europea. Nei paesi più sviluppati d'Europa, infatti, gli studenti giungono sul mercato del lavoro con un titolo di studio che consente un inserimento nelle attività professionali, a un'età mediamente più bassa di quella degli studenti italiani.

La divaricazione tra durata legale ed effettiva dei corsi in Italia, nonché l'alto numero di studenti fuori corso e di abbandoni degli studi universitari hanno contribuito decisamente a determinare le scelte normative in atto.

I criteri generali dell'autonomia nel programmare e realizzare i corsi di studio sono stati fissati dal d.m. 509/1999. Il nuovo modello, costruito in sintonia con i sistemi della maggior parte dei paesi d'Europa, è articolato in due cicli essenziali di istruzione superiore, che si avvalgono di 'crediti formativi universitari' (CFU), spendibili nell'intera area europea (o quasi), nella prospettiva di una libera circolazione di studenti, laureati e professionisti. In conseguenza di tale nuova articolazione dei percorsi formativi, secondo lo schema detto del '3+2+x', con riferimento agli anni necessari per la finitezza dei corsi di studio, sono stati strutturalmente modificati anche i titoli rilasciati dalle università. Il titolo di base è divenuto la 'laurea' (L), che si acquisisce alla fine di un corso di studio triennale, volto a fornire agli studenti non solo un'adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali, ma anche specifiche conoscenze professionali. Per l'accesso, si richiedono competenze definite nei regolamenti didattici, da verificare anche con attività formative propedeutiche.

Al termine di un ulteriore corso biennale, al quale si può accedere solo se in possesso della laurea, si ottiene la 'laurea specialistica' (LS) che fornisce agli studenti una formazione di livello avanzato, per l'esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici. Per i corsi regolati da normative europee (Medicina e chirurgia, Veterinaria, Odontoiatria, Farmacia, Architettura) sono istituite lauree specialistiche quinquennali, cui si accede con il diploma di scuola secondaria superiore.

Tutti i corsi (di laurea e di laurea specialistica) si svolgono nelle facoltà. Specifici corsi possono essere realizzati sulla base di accordi, con il concorso di più facoltà. Inoltre, le università possono rilasciare diplomi di specializzazione, i titoli di dottore di ricerca e master di primo e di secondo livello. Ai corsi di specializzazione si può accedere dopo la laurea specialistica, allo scopo di acquisire conoscenze e abilità per l'esercizio di specifiche attività professionali. Al termine si ottiene un 'diploma di specializzazione' (DS). Questi corsi sono istituiti in applicazione di specifiche norme di legge o di direttive dell'Unione Europea. È il caso delle scuole per la formazione degli insegnanti delle scuole secondarie e di quelle di specializzazione per le professioni legali.

Con la laurea specialistica sarà altresì possibile accedere ai corsi di 'dottorato di ricerca' (DR), i quali hanno l'obiettivo di fornire le cognizioni necessarie per l'esercizio di attività di ricerca altamente qualificate presso università, enti pubblici o soggetti privati. Le università, infine, hanno la possibilità di attivare corsi di perfezionamento, successivi sia alla laurea sia alla laurea specialistica, per il conseguimento di master di primo e di secondo livello, e corsi di alta formazione.

Le classi e i crediti formativi

Le università disciplinano gli ordinamenti didattici dei propri corsi di studio, definiti dal regolamento didattico di ateneo, nel rispetto dei criteri generali fissati dal d.m. 509/1999 e dai citati decreti ministeriali attuativi, che determinano i requisiti inderogabili degli ordinamenti delle singole classi di laurea e di laurea specialistica. Comunque denominati dagli atenei, i corsi di studio di uguale livello, aventi gli stessi obiettivi formativi qualificanti e le medesime attività formative indispensabili, sono infatti raggruppati in classi di appartenenza. I citati decreti ministeriali, detti 'decreti d'area', hanno individuato tali obiettivi e le attività formative qualificanti delle classi, raggruppandole in sei tipologie. Hanno determinato altresì il numero minimo di crediti che gli ordinamenti didattici possono riservare a ogni attività formativa, nonché a ciascun ambito disciplinare.

Come si è detto, in applicazione della riforma, la didattica universitaria si fonda ora sui crediti. Questi tendono ad agevolare la mobilità e rappresentano la quantità di lavoro di apprendimento, compreso lo studio individuale, richiesto nelle attività formative previste dagli ordinamenti didattici per uno studente in possesso di un'adeguata preparazione iniziale. A un credito corrispondono 25 ore di lavoro individuale. I crediti si acquisiscono attraverso il superamento di un esame ovvero di altra forma di verifica del profitto. Per ottenere la laurea lo studente deve aver acquisito 180 crediti (60 per ciascun anno). In tale numero vanno compresi i crediti relativi alla conoscenza obbligatoria di una lingua dell'Unione Europea, oltre l'italiano.

La laurea specialistica si ottiene, invece, dopo aver acquisito un totale di 300 crediti: i 180 della laurea (se interamente riconosciuti, altrimenti 'integrati'), più altri 120 (cioè 60 per ogni anno del biennio specialistico). Per conseguire la laurea specialistica è necessaria altresì una tesi, elaborata in modo originale con la guida di un relatore.

Il riconoscimento, totale o parziale, dei crediti acquisiti in vista del proseguimento degli studi (o del passaggio da una classe a un'altra o da una ad altra università) compete alla struttura didattica che accoglie gli studenti. Debbono essere seguiti comunque i criteri fissati nel regolamento didattico di ateneo, che può prevedere modalità di verifica periodica e il minimo dei crediti da acquisire in tempi predeterminati. Inoltre, esso stabilisce i criteri e le modalità per il passaggio dal vecchio al nuovo sistema per gli studenti che vogliano optare per quest'ultimo. Le università possono riconoscere come crediti, sempre secondo criteri prestabiliti, competenze e abilità professionali, certificate secondo la normativa vigente, e altre conoscenze maturate in attività formative di livello comunque postsecondario, alla cui progettazione e realizzazione le università abbiano concorso.

I crediti, insomma, insieme con le classi e con l'abolizione delle singole discipline e l'articolazione in 14 aree dei nuovi settori scientifico-disciplinari (individuati ciascuno da una denominazione e da una declaratoria dei rispettivi contenuti) appaiono nelle intenzioni del legislatore gli strumenti fondamentali per conferire al sistema flessibilità: una "flessibilità dell'offerta formativa che permetta alle università - si è scritto - di differenziarsi tra loro e, all'interno di ciascuna, di differenziare i vari corsi di studio e i diversi curricula per rispondere meglio e più rapidamente alle mutevoli esigenze che provengono dalla cultura e dalla ricerca universitaria, dal mondo del lavoro, dalla domanda stessa di formazione che parte dagli studenti". L'esperienza dei prossimi anni confermerà se sarà stato possibile realizzare effettivamente questi propositi, oppure, se necessario, indicherà per quali vie essi potranno essere raggiunti.

Lo spazio europeo dell'istruzione superiore

Il 25 maggio 1998, alla Sorbona di Parigi, il ministro dell'Educazione francese, il Ministro della Pubblica istruzione, dell'università e della ricerca scientifica italiano, il ministro dell'Educazione e della scienza superiore britannico e il ministro dell'Educazione tedesco sottoscrissero un documento intitolato L'armonizzazione dell'architettura dei sistemi di istruzione superiore in Europa. In Bologna questo importante processo trovò il suo significativo coronamento nella dichiarazione sottoscritta dai ministri dell'istruzione superiore di 30 nazioni europee, al termine del convegno tenuto nell'Aula Magna dell'Università il 18 e 19 giugno 1999, al fine di esaminare le prospettive e le modalità di attuazione di tale armonizzazione. Il testo della dichiarazione, che costituisce la pietra angolare del sistema universitario europeo, è il seguente: "Il processo europeo, grazie agli straordinari progressi registrati negli ultimi anni, è divenuto per l'Unione ed i suoi cittadini una realtà sempre più concreta e determinante, cui le prospettive di allargamento e l'intensificazione dei rapporti con gli altri Paesi europei, conferiscono dimensioni ancor più vaste. Al tempo stesso in ampi settori del mondo politico, accademico e dell'opinione pubblica si va affermando la consapevolezza della necessità di conferire alla costruzione europea una articolazione maggiormente differenziata e completa, rinforzandone in particolare le dimensioni intellettuali, culturali, sociali, scientifiche e tecnologiche.

L'Europa della Conoscenza è ormai diffusamente riconosciuta come insostituibile fattore di crescita sociale ed umana e come elemento indispensabile per consolidare ed arricchire la cittadinanza europea, conferendo ai cittadini le competenze necessarie per affrontare le sfide del nuovo millennio insieme alla consapevolezza dei valori condivisi e dell'appartenenza a uno spazio sociale e culturale comune.

L'istruzione e la cooperazione si confermano ulteriormente come strumenti essenziali per lo sviluppo ed il consolidamento di società democratiche, stabili e pacifiche, tanto più guardando alla tormentata area dell'Europa sud-orientale.

La Dichiarazione della Sorbona del 25 Maggio 1998, fondata su tali considerazioni, ha posto l'accento sul ruolo centrale delle Università per lo sviluppo della dimensione culturale europea ed ha individuato nella costruzione di uno spazio europeo dell'istruzione superiore uno strumento essenziale per favorire la circolazione dei cittadini, la loro occupabilità, lo sviluppo del Continente.

Sottoscrivendo la dichiarazione o esprimendo la loro adesione di principio, molti Paesi europei hanno raccolto l'invito ad impegnarsi per il raggiungimento degli obiettivi in essa prefigurati. La direzione assunta dalle numerose riforme dell'istruzione superiore intraprese nel frattempo in Europa ha dimostrato la determinazione di diversi Governi di operare concretamente in tal senso.

Le Istituzioni di istruzione superiore europee, per parte loro, hanno saputo raccogliere la sfida assumendo un ruolo di primo piano nella costruzione dello spazio europeo dell'istruzione superiore, sulla scorta anche dei principi fondamentali sanciti nel 1988 nella Magna Charta Universitatum di Bologna. Ciò è da ritenersi della massima importanza, in quanto l'indipendenza e l'autonomia delle Università garantiscono il costante adeguamento del sistema dell'istruzione superiore e della ricerca all'evolversi dei bisogni e delle esigenze della società e della conoscenza. […]

Dobbiamo guardare in modo particolare all'obiettivo di accrescere la competitività internazionale del sistema europeo dell'istruzione superiore. L'efficacia e la vitalità di ogni civiltà viene infatti valutata anche con il metro dell'attrazione che il suo sistema culturale riesce ad esercitare nei riguardi degli altri Paesi. Occorre che il sistema dell'istruzione superiore europeo acquisti nel mondo un grado di attrazione corrispondente alla nostra straordinaria tradizione scientifica e culturale.

Nell'affermare il nostro sostegno ai principi generali enunciati nella Dichiarazione della Sorbona, ci impegniamo a coordinare le nostre politiche per conseguire in tempi brevi, e comunque entro il primo decennio del 2000, i seguenti obiettivi, che consideriamo di primaria importanza per l'affermazione dello spazio europeo dell'istruzione superiore e per la promozione internazionale del sistema europeo dell'istruzione superiore:

- adozione di un sistema di titoli di semplice leggibilità e comparabilità, anche tramite l'implementazione del Diploma Supplement, al fine di favorire l'employability dei cittadini europei e la competitività internazionale del sistema europeo dell'istruzione superiore;

- adozione di un sistema essenzialmente fondato su due cicli principali, rispettivamente di primo e di secondo livello. L'accesso al secondo ciclo richiederà il completamento del primo ciclo di studi, di durata almeno triennale. Il titolo rilasciato al termine del primo ciclo sarà anche spendibile quale idonea qualificazione nel mercato del lavoro europeo. Il secondo ciclo dovrebbe condurre ad un titolo di master e/o dottorato, come avviene in diversi Paesi europei;

- consolidamento di un sistema di crediti didattici - sul modello dell'ECTS [European credit transfer system, promosso dalla Commissione dell'Unione Europea] - acquisibili anche in contesti diversi, compresi quelli di formazione continua e permanente, purché riconosciuti dalle università di accoglienza, quale strumento atto ad assicurare la più ampia e diffusa mobilità degli studenti;

- promozione della mobilità mediante la rimozione degli ostacoli al pieno esercizio della libera circolazione con particolare attenzione: per gli studenti, all'accesso alle opportunità di studio e formazione ed ai correlati servizi; per docenti, ricercatori e personale tecnico amministrativo, al riconoscimento e alla valorizzazione dei periodi di ricerca, didattica e tirocinio svolti in contesto europeo, senza pregiudizio per i diritti acquisiti;

- promozione della cooperazione europea nella valutazione della qualità al fine di definire criteri e metodologie comparabili;

- promozione della necessaria dimensione europea dell'istruzione superiore, con particolare riguardo allo sviluppo dei curricula, alla cooperazione fra istituzioni, agli schemi di mobilità e ai programmi integrati di studio, formazione e ricerca.

Ci impegniamo ad assicurare il raggiungimento di tali obiettivi - ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze istituzionali e nel pieno rispetto della diversità delle culture, delle lingue, dei sistemi educativi nazionali e della autonomia delle Università - per il consolidamento dello spazio europeo dell'istruzione superiore. A tal fine perseguiremo sia le vie della cooperazione intergovernativa sia quelle degli altri organismi non governativi che a livello europeo hanno competenze in materia di istruzione superiore.

Ci aspettiamo da parte delle Università una ulteriore pronta e positiva risposta ed un attivo contributo al successo del nostro impegno. Nella convinzione che l'affermazione dello spazio europeo dell'istruzione superiore necessiti di costante sostegno, supervisione ed adeguamento alle esigenze in continua evoluzione, decidiamo di ritrovarci entro due anni per valutare i progressi raggiunti e le nuove iniziative da intraprendere".

Per contribuire all'applicazione di tali principi è stato costituito e formalmente inaugurato il 21 settembre 2001 a Bologna, ove ha sede, l'Observatory of the Magna Charta Universitatum, fondato dall'Associazione delle università europee e dall'Università di Bologna, con il compito di assumere informazioni, esprimere opinioni, redigere documenti per garantire l'effettiva tutela dei diritti e dei valori fondamentali sanciti dalla Magna Charta. L'Osservatorio è presieduto da F. Roversi-Monaco, il board degli amministratori da K. Edwards.

Storia delle università degli studi

Le origini e la universitas medievale

La storia dell'istituzione scientifica e didattica che nella tradizione moderna si designa con il nome di università risale a una età più antica di quella che vide nascere la medievale universitas. Nell'antichità classica, infatti, non mancarono istituzioni che potrebbero, entro certi limiti, essere paragonate alle università moderne; l'esempio maggiore è l'Accademia Platonica, cui possono aggiungersi le altre scuole filosofiche dei greci, che assumevano l'aspetto di associazioni di singoli nella forma del tiaso, cioè della comunità per il culto religioso, ma che talvolta dipendevano anche dall'autorità pubblica. Ciò che distingue tali istituzioni classiche dalla universitas medievale, è il particolare riconoscimento giuridico che quest'ultima concedeva a chi si era avvalso del suo insegnamento, mentre l'istituzione accademica antica non concedeva titoli o gradi accademici. L'università medievale aveva la duplice caratteristica di studium generale, cioè luogo di studi aperto a tutti, e universitas studiorum, cioè corporazione che gestiva gli istituti d'insegnamento e al tempo stesso riuniva maestri e scolari, da cui la denominazione più comune di universitas magistrorum et scholarium.

Naturalmente, da un punto di vista giuridico, prevalse in genere il concetto di universitas magistrorum, che si configurava nella forma tipica delle corporazioni medievali. Questa universitas concedeva, dopo il superamento di un congruo esame, la licentia ubique docendi, e il licenziato, una volta diventato doctor o magister, non veniva accolto nella universitas presso la quale aveva frequentato gli studi, ma si recava in un altro paese a insegnare oppure a svolgere la propria professione di medico, di giurista ecc.; i dottori che continuavano a insegnare diventavano i doctores legentes, quelli che si dedicavano all'esercizio della professione venivano chiamati doctores non legentes. Le prime università sorsero dalle scuole ecclesiastiche. Poiché queste continuarono a svolgere la propria attività ex consuetudine, è impossibile determinare cronologicamente il momento preciso in cui si trasformarono in università vere e proprie. Solo per le nuove istituzioni, per le quali divenne necessaria un'autorizzazione papale o imperiale, si può parlare di una precisa data di fondazione. Il più antico centro di studi superiori, ma non una vera università, fu la celebre Scuola di medicina di Salerno (operante dalla metà del secolo 11°), riordinata da Federico II nel 1231. L'università di Bologna, già attiva nell'anno 1088, ebbe subito ampio sviluppo, sicché presto all'originaria facoltà di legge si vennero ad aggiungere quelle di medicina e di filosofia, e più tardi di teologia. A favore degli studenti dello studio bolognese Federico Barbarossa riconobbe nel 1158 una serie d'immunità e di privilegi, per cui a Bologna prevalse fin dal primo momento il carattere di corporazione di studenti. A differenza di quella di Bologna, fu invece tipica corporazione di maestri quella di Parigi, che, nata dalla scuola della cattedrale di Notre-Dame, ebbe i primi riconoscimenti ufficiali all'inizio del 13° secolo, un primo statuto nel 1215 e lo statuto definitivo nel 1231; i magistri vi si distinguevano nelle 'nazioni' dei franchi, dei normanni, dei piccardi, degli inglesi (quest'ultima comprendeva anche i tedeschi e gli europei dell'Est); il rector era scelto dalle quattro 'nazioni' e a capo di ogni facoltà era eletto il decanus. Caratteristica dell'università di Parigi furono i collegi, il più famoso dei quali, la Sorbona, fu fondato nel 1257 da Robert de Sorbon; essi erano già una quarantina nel 14° secolo, e 68 attorno al 1500. Tale peculiarità influenzò la costituzione delle università inglesi: quella di Oxford deve forse la sua prima origine a una migrazione di studenti espulsi da Parigi, avvenuta intorno al 1167; di poco posteriore è l'origine dell'università di Cambridge, riconosciuta come studium generale tra il 1230 e il 1240. In Italia, dopo quella di Bologna, furono fondate le università di Padova (1222), Napoli (1224), Macerata (1290), Roma (1303), Perugia (1308), Pisa (1343). In Francia, dopo quella di Parigi, nacquero le università di Montpellier (1228), Tolosa (1233), Orléans, Angers, Avignone ecc. Altre antiche università europee sono, in Spagna, quelle di Salamanca (1243), Siviglia (1254), Valladolid (1346), Huesca (1359), Barcellona (1470), Saragozza (1474); in Portogallo, quelle di Lisbona (1290), Coimbra (14° sec.), Évora (1559); in Scozia quelle di Saint Andrews (1410), Glasgow (1451), Aberdeen (1494), Edimburgo (1583); nei paesi germanici le università di Vienna (1364), Heidelberg (1385), Colonia (1388), Lipsia (1409); in Belgio e in Olanda, quelle di Lovanio (1426), Leida (1575), Groninga (1614); in Boemia l'università di Praga (1347); in Polonia quella di Cracovia (1364). In tempi più recenti nacquero le università russe, ungheresi, iugoslave, scandinave ecc.

L'università moderna

L'università moderna, in larga misura retaggio di quella medievale, stentò ad aprirsi ai nuovi campi del sapere scientifico, in particolare di quello sperimentale, che invece trovò impulso e sviluppo in sedi differenti, soprattutto le nuove accademie scientifiche, che sorsero, nel corso del Seicento e del Settecento, in Italia, Germania, Inghilterra e altrove. Tuttavia, le accresciute esigenze degli Stati, l'ampliarsi del mondo delle professioni, il diversificarsi stesso delle economie, per effetto anche dei progressi tecnologici e della rivoluzione industriale, finirono per influenzare in varia misura l'università ottocentesca e ancor più quella del primo Novecento. Sorsero dovunque nuove sedi, specie nelle nazioni che ne erano prive e che nel frattempo avevano trovato più confacenti forme politiche e istituzionali. Si rafforzarono le strutture tradizionali, nacquero altri corsi di studio, si conseguirono migliori assetti giuridici, anche attraverso legislazioni apposite e finanziamenti pubblici. Si diffuse la convinzione che le università sono sedi non solo di istruzione e di trasmissione del sapere, ma anche di ricerca e di produzione di nuovo sapere. Sotto il profilo sociale, però, gli studi universitari restarono riservati ancora a lungo a una minoranza di studenti, perlopiù provenienti da classi sociali medio-alte. Le università, in effetti, continuavano a formare prevalentemente le leve della classe dirigente, sia pure in senso allargato, e delle maggiori professioni, vecchie e nuove.

Un notevole processo di sviluppo e di trasformazione ha invece interessato l'università a partire dal secondo dopoguerra, anche se con scarti sensibili fra le diverse aree geografiche. A partire dalla fine degli anni Cinquanta, specialmente nei paesi dell'area industrializzata, intervennero fatti nuovi, destinati a incidere su tale ordine di studi. Il dato più consistente riguardò la crescita progressiva della popolazione studentesca, un fenomeno cui concorsero diverse mutate condizioni delle società contemporanee: l'espansione del reddito e dei consumi e, in genere, le migliori condizioni di vita di larghi strati sociali; l'accelerazione dei processi di industrializzazione, di urbanizzazione, di mobilità all'interno delle comunità; le più complesse esigenze dell'economia, dell'organizzazione produttiva, dei servizi sociali. Il fenomeno espansivo fu particolarmente incisivo nel corso degli anni Sessanta e Settanta, quando il tasso di crescita del sistema di insegnamento superiore fu, in Europa, più del doppio di quello riguardante i livelli inferiori di istruzione. Ciò pose subito dei problemi, non facili, di adeguamento e ampliamento delle sedi universitarie e delle loro attrezzature, di allargamento dei corpi docenti, di incremento notevole delle risorse finanziarie. Pose anche l'esigenza di nuove politiche per l'assistenza, per il diritto allo studio, per la stessa democratizzazione e riorganizzazione delle strutture universitarie. Tali processi di adattamento e trasformazione si sono venuti attuando non senza resistenze, difficoltà e tensioni (si pensi al fenomeno della contestazione studentesca, tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta), che, a loro volta, hanno fatto insorgere nuove problematiche, anche in relazione alle diverse congiunture economiche, ai collegamenti con le trasformazioni dei processi produttivi e dei piani di sviluppo tecnologico, alle prospettive occupazionali di laureati e diplomati. Ma, al di là delle spinte e controspinte dettate dai sistemi economici e dalle loro modificazioni, l'espansione del numero di fruitori di tale livello di istruzione risponde anche a esigenze di natura culturale e sociale più direttamente legate agli orientamenti dei singoli e delle comunità. Accanto ai tradizionali corsi di tipo accademico, si è avuto un graduale sviluppo di istituzioni formative non universitarie, per cui l'istruzione superiore si è andata configurando, nei paesi più avanzati, come un terzo livello di istruzione, che fa seguito a quelli dell'istruzione primaria e secondaria, e ne è quasi il naturale sviluppo e completamento.

Il quadro attuale

Secondo il rapporto Education at a glance. Indicators 2001, redatto dall'OECD (Organization for economic cooperation and development), mediamente, nell'insieme dei paesi aderenti a tale organizzazione, si iscrivono a un corso di educazione terziaria 4 studenti su 10 licenziati dalla scuola secondaria. La partecipazione all'educazione terziaria ha fatto registrare tra il 1995 e il 1999 un incremento in tutti i paesi dell'OECD, salvo il Canada, la Francia e la Germania. In media questo incremento è stato superiore al 15%.

Nell'ambito dell'istruzione postsecondaria si è andata progressivamente consolidando la distinzione fra corsi di diverso tipo o livello: corsi di primo grado o ciclo breve, di carattere prevalentemente professionale; corsi di secondo grado, o ciclo lungo, di più organica preparazione scientifica; corsi avanzati, di dottorato o di specializzazione scientifica. Parallelamente si è diffuso un filone di corsi di istruzione terziaria (non universitaria), soprattutto nel campo della formazione superiore tecnico-professionale: si tratta perlopiù di corsi della durata di 3-4 anni, che curano un tipo di formazione commisurato alle prospettive locali del mondo del lavoro, prevedono curricula con momenti applicativi o stages aziendali, e adottano anche forme di programmazione flessibile per corrispondere alla richiesta di nuovi profili professionali.

Tabella 3

Questo filone di istruzione terziaria in taluni casi (come le Fachhoschulen tedesche e austriache e le Hogescholen olandesi) assume una configurazione del tutto autonoma e indipendente dall'università (sistema binario), mentre in altri casi trova il suo riferimento nelle università stesse (sistema integrato), in forma ora più organica, come nelle Escuelas spagnole, ora con ampi margini di autonomia, come nelle New universities inglesi o come l'Institut universitaire professionnalisé francese. Un terzo tipo di percorsi, anch'esso professionalizzante ma più settorializzato, si profila come prolungamento, a livello terziario, della scuola secondaria (corsi postsecondari, istituiti per es. in Finlandia, Austria, Repubblica Ceca).

La flessibilità invocata dalle nuove politiche della formazione si indirizza inoltre alla ricerca di modalità alternative di organizzazione dell'insegnamento. Da tempo sono state sperimentate, specie con riferimento a soggetti occupati e che tuttavia aspirano a conseguire un titolo di studio superiore, forme di insegnamento a distanza e in qualche misura personalizzate. Tali forme trovano oggi grande possibilità di sviluppo nell'utilizzo delle tecnologie informatiche e multimediali. Così, per es., negli Stati Uniti sono numerosi i colleges che offrono corsi attraverso Internet o collegamenti in video e l'esempio si sta diffondendo in Europa. Ovviamente tale tipo di iniziative comporta la necessità di individuare corrette procedure di verifica degli apprendimenti, e di valutazione e di certificazione delle competenze acquisite, anche in vista del rilascio di titoli di studio riconosciuti.

Nonostante la diffusione di queste forme alternative di istruzione postsecondaria, i corsi accademici delle università devono ugualmente far fronte alla crescente espansione del numero di studenti. Le misure via via adottate (creazione di nuove sedi, ampliamento del corpo docente, incremento delle attrezzature e dei servizi ecc.) hanno risposto solo in parte ai bisogni, anche per il limite posto dalle risorse finanziarie disponibili. In molti paesi si è fatto ricorso a forme di regolamentazione o programmazione degli accessi agli studi superiori, sia in ragione di un minimo di raccordo fra il gettito dei diplomati e le possibilità del loro assorbimento nelle realtà professionali e produttive, sia in ragione dell'opportunità di mantenere un equilibrato rapporto fra numero degli studenti e qualità dei servizi formativi. Al di là del problema degli accessi, resta l'interrogativo di fondo sulla qualità degli studi universitari, interrogativo fattosi più consistente da quando si è venuti constatando che l'abbassamento del livello formativo dei precedenti gradi di istruzione si rifletteva inevitabilmente sui corsi universitari. Il modo più corretto per affrontare tale problema è certamente quello di ridefinire in maniera più rigorosa il raccordo fra l'istruzione secondaria e quella superiore. Che debba esserci una certa coerenza contenutistica e metodica tra i due livelli di studi non pare possa essere messo in dubbio, senza far crescere i rischi di arretramento della qualità dell'istruzione universitaria e senza far aumentare il fenomeno della cosiddetta mortalità universitaria (cioè, della quota-parte degli iscritti che abbandona gli studi prima di avere acquisito il relativo diploma). Di fatto, in alcuni paesi avanzati si è seguito un orientamento diverso, adottando politiche dirette a creare e a sostenere determinati 'poli di eccellenza', attraverso cui provvedere alla formazione di quadri dirigenti superiori e arricchire la ricerca scientifica e tecnologica anche in funzione della competizione internazionale. In tali casi si è accentuato il peso dei criteri selettivi di ammissione degli studenti, così come più forte è diventato il richiamo esercitato da quelle sedi su docenti di elevato profilo scientifico, nonché sulle risorse finanziarie disposte dai governi. D'altra parte, la ricerca scientifica e tecnologica, in misura ancora maggiore che in passato, non si esaurisce all'interno delle istituzioni universitarie: la ricerca di base e, ancor più, quella applicata, si svolgono in misura consistente anche presso enti di ricerca privati e pubblici, e altresì presso istituti internazionali, che assorbono finanziamenti di più paesi.

Tabella 4

La 'produttività' dei sistemi di istruzione superiore è misurata principalmente sulla base dei tassi di conseguimento dei diplomi. Secondo il rapporto OECD, mediamente nei paesi aderenti all'organizzazione solo il 25% degli iscritti arriva a conseguire il diploma nel tempo previsto. Questa percentuale varia da più del 30% in Finlandia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti, a meno del 15% in altri paesi come Austria, Germania, Italia e Messico. Non c'è dubbio che su una così accentuata divaricazione di dati incidano fenomeni quali la diffusione o meno di corsi superiori non universitari, la presenza o meno di forme di selezione al momento dell'iscrizione, la qualità e l'intensità delle prove di verifica del profitto, le modalità di assistenza e di orientamento previste. Un forte elemento di innovazione è la dimensione internazionale della politica universitaria, che non riguarda soltanto i rapporti culturali e l'interscambio scientifico (nell'ambito di progetti comuni a cui attendono università e centri di ricerca di diversi paesi), ma che concerne anche le politiche dirette a promuovere lo sviluppo dell'istruzione superiore sia nei paesi a economia avanzata sia in quelli che presentano ritardi nella diffusione di tale livello di studi. Altro capitolo è rappresentato dalla mobilità internazionale degli studenti, a cui ha dedicato particolare attenzione l'Unione Europea, anche in conseguenza dell'Atto unico del 1986 che ha istituito la libera circolazione, dal 1993, dei cittadini, dei capitali e dei servizi all'interno dell'Unione. Proprio per incoraggiare la mobilità degli studenti, a livello europeo sono stati elaborati alcuni programmi di scambio che riscuotono crescente successo. Da citare in particolare Socrates, programma di azione comunitaria per la cooperazione nel settore dell'istruzione, adottato il 14 marzo 1995. Si articola in vari settori fra cui quelli dell'istruzione superiore (Erasmus), dell'istruzione scolastica (Comenius), della promozione dell'apprendimento linguistico (Lingua).

Tabella 5

La popolazione universitaria italiana

Il numero degli studenti universitari italiani, in corso e fuori corso, è progressivamente cresciuto. Nell'anno accademico 1950-51 gli iscritti agli atenei italiani erano 223.000. Nell'anno accademico 1999-2000 risultavano iscritti 1.684.993 studenti (di cui 928.331 donne); gli immatricolati erano 295.832. Molto alta è la percentuale degli studenti fuori corso e ripetenti che corrisponde a circa il 41% degli iscritti (692.309). Più positivi sono altri dati relativi alla popolazione studentesca: il tasso di scolarità (studenti universitari in corso ogni 100 coetanei di popolazione di 19-24 anni) corrisponde a circa 23, mentre il tasso di immatricolazione (immatricolati ai corsi di laurea o di diploma ogni 100 coetanei di 19 anni) corrisponde a 46,5.

Il numero dei laureati per anno, dopo aver superato per la prima volta nel 1995-96 la soglia di 100.000 unità, ha raggiunto nel 1999 le 139.108 unità (di cui 77.326 donne). Nello stesso anno sono stati 13.184 i diplomati dei corsi brevi (7658 donne). Il gruppo di corso con maggior numero di laureati è quello economico-statistico con 26.764 unità, seguito da quello giuridico con 21.223 unità. Gli studenti stranieri che seguono i corsi universitari in Italia sono circa 14 ogni 1000 iscritti. Nel 1999 si sono laureati 832 stranieri.

fonti bibliografiche Accademia nazionale dei Lincei, L'Università in Italia. Appunti per un convegno, Roma, 1998; Accademia nazionale dei Lincei, L'insegnamento universitario in Italia, Roma, 1999; Consiglio universitario nazionale, Pareri generali, a c. di E. Penta, Roma, s.d. (ma 2001); V. Lanza, Manuale di legislazione universitaria, Napoli, Editoriale Scientifica, 20014; Ministero dell'Università e della ricerca scientifica e tecnologica, Guida all'Università 2000-2001, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2000; Ministero dell'Università e della ricerca scientifica e tecnologica, La riforma dell'Università, I vol.: Le regole dell'autonomia; II vol.: La ricerca scientifica. Le nuove regole e le scelte operative, Roma, Salerno Editrice, 2001; Ordinamento e legislazione universitaria, a cura di M.T. Palermo, Napoli, Esselibri, 2000.

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