UNIVERSO OSCURO

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

UNIVERSO OSCURO.

Claudio Censori

– Materia oscura: evidenze e proprietà. Osservare l’invisibile. Metodi diretti di rilevazione. Metodi indiretti di rilevazione. Energia oscura: origine e natura. Accelerazione cosmica senza energia oscura. Bibliografia. Webgrafia

La legittima aspirazione degli uomini di conoscere le proprietà del Cosmo si scontra con le evidenze sperimentali, confermate nell’ultimo decennio, che ci consegnano un Universo in larghissima parte inaccessibile alle osservazioni. Soltanto il 4% del contenuto dell’Universo è infatti costituito da materia ordinaria – ossia quella di cui sono composti gli esseri viventi, i pianeti, le stelle e le galassie –, e per di più gran parte di essa è invisibile, perché costituita da corpi celesti che non splendono oppure concentrata in una rete di strutture filamentose distribuita a larga scala e difficilmente rilevabile. Tutto il resto non è osservabile: quasi un quarto è materia oscura che non assorbe, emette o riflette radiazione elettromagnetica, cioè non interagisce con gli strumenti di misurazione, non scambia informazioni con il nostro mondo, e circa il 70% è costituito da una forma di energia a pressione negativa la cui natura fisica è ancora sconosciuta e che si pensa sia responsabile dell’espansione accelerata dell’Universo, una scoperta inaspettata effettuata alcuni anni fa.

La comprensione di queste due componenti oscure dell’Universo è fondamentale per conoscere il suo destino: se da un lato, infatti, la materia oscura aumenta l’attrazione gravitazionale contribuendo quindi alla formazione di strutture più grandi, dall’altro lato l’energia oscura dilata sempre più lo spazio tra le galassie. La natura fisica del lato oscuro dell’Universo ha aperto pertanto nuovi campi di ricerca nella cosmologia, nell’astrofisica e nella fisica delle particelle.

Materia oscura: evidenze e proprietà. – La presenza di materia oscura nell’Universo è stata confermata sperimentalmente da numerose osservazioni, tuttavia la sua natura resta ancora un mistero. La più convincente e diretta evidenza continua a essere l’osservazione delle curve di rotazione delle galassie a spirale (compresa la Via Lattea), le quali mostrano che le velocità orbitali delle stelle e del gas contenuti in esse non diminuiscono come dovrebbero a grande distanza dal centro, un comportamento che può essere spiegato soltanto assumendo che la maggior parte della materia nelle galassie è costituita da una forma non luminosa; in altre parole, la troppa gravitazione rilevata non può essere giustificata dalla sola presenza di materia ordinaria.

fig. 1

Ulteriori conferme della presenza di materia oscura si sono avute dalle misurazioni delle fluttuazioni della radiazione cosmica di fondo (il residuo del Big Bang, che ancora oggi si osserva), dalla determinazione dell’abbondanza degli elementi chimici leggeri, dalla mappatura delle grandi strutture cosmiche e dalla determinazione sempre più precisa della massa degli ammassi di galassie ottenuta valutando l’effetto di lente gravitazionale: poiché il campo gravitazionale di un ammasso curva lo spazio intorno, i raggi di luce emessi da corpi celesti che si trovano oltre l’ammasso percorrono traiettorie curve, piuttosto che dritte, verso i telescopi, con la conseguenza che, se l’effetto è sufficientemente forte, si osservano immagini multiple dello stesso oggetto, dalla cui analisi si può dedurre la massa totale dell’ammasso, che risulta molto maggiore di quella barionica osservata. Grazie a questo effetto, nel 2015 le osservazioni effettuate con il telescopio spaziale Hubble e con il Very large telescope (VLT) dell’ESO (European Southern Observatory) hanno consentito di dedurre la posizione del la materia oscura in un processo di collisione simultanea di quattro galassie nell’ammasso Abell 3827: poiché la materia oscura intorno alle galassie ha distorto lo spazio-tempo, la luce proveniente da una lontana galassia di fondo ha subito una deviazione e si è venuta a formare un’immagine dalle caratteristiche forme arcuate (fig. 1).

A fronte di queste prove dell’abbondante presenza di materia oscura nell’Universo, permane, come detto, una sostanziale incomprensione della sua natura. L’idea più semplice è quella di supporre che essa sia costituita da materia ordinaria che non splende, per es. corpi di piccola massa come i pianeti o le stelle nane brune, oppure oggetti molto compatti che sono il risultato dell’evoluzione stellare (stelle di neutroni, buchi neri, nane bianche).

Tuttavia, determinazioni molto precise accumulate negli ultimi anni analizzando sia la radiazione cosmica di fondo sia la densità barionica della nucleosintesi primordiale, confrontata con la densità di materia totale ottenuta dalle misurazioni, indicano che la materia ordinaria non può eccedere il 4% del contenuto totale, per cui è impossibile tenerne conto per tutta la materia oscura.

Per indagare la natura della materia oscura si individuano sperimentalmente nuove particelle, non incluse nel Modello Standard della fisica, e gli acceleratori sono il principale mezzo sperimentale per investigarle: poiché si pensa che la materia oscura possa essere costituita da particelle prodotte subito dopo il Big Bang, quando l’Universo era molto denso e caldo, per sperare di produrre nuova materia in laboratorio bisogna costruire acceleratori sempre più potenti. Nel 2015 presso il superacceleratore LHC (Large Hadron Collider) del CERN (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire) sono state ottenute collisioni che hanno permesso di raggiungere l’energia record di 13 TeV (13.000 miliardi di elettronvolt).

Per il candidato al momento più probabile – le ipotetiche WIMP (Weakly Interacting Massive Particle), particelle con massa da qualche GeV a 10 TeV (in unità energetiche) che non irradiano luce e interagiscono raramente con la materia e che si pensa diano il maggior contributo alla materia oscura, sebbene non sia emersa ancora alcuna prova definitiva della loro esistenza – si sono avute conferme importanti dagli esperimenti effettuati nel laboratorio nazionale del Gran Sasso (v. particella elementare). Le WIMP racchiudono un largo insieme di possibili particelle di materia oscura, caratterizzate da una debole interazione con le particelle del Modello Standard e con sé stesse, da velocità non relativistiche e da stabilità su tempi a scala cosmologica: tra esse, il neutralino è la particella supersimmetrica più leggera.

Altri possibili candidati di materia oscura sono gli assioni, ipotetiche particelle con carica elettrica nulla, anch’esse interagenti molto debolmente con la materia e la cui massa si ritiene essere molto bassa (inferiore all’elettronvolt); essendo state prodotte molto abbondantemente durante il Big Bang, affollerebbero l’Universo e quindi potrebbero costituire un’importante componente della materia oscura fredda non barionica. Nel 2013 sono state proposte alcune nuove tecniche per scoprirle nei laboratori terrestri, attraverso le piccole oscillazioni di corrente elettrica che si producono su un particolare circuito (giunzione Josephson), costituito da due strisce di superconduttori separate da un isolante: se, come si pensa, tali particelle piovono costantemente sul nostro pianeta, gli impulsi prodotti consentirebbero di stimare la loro massa e quindi la densità di materia oscura presente intorno alla Terra (Beck 2015).

Osservare l’invisibile. – Le particelle di materia oscura possono essere rilevate attraverso diverse tecniche, dirette e indirette. Le prime misurano la diffusione (scattering) delle particelle che interagiscono con i nuclei atomici di un rivelatore (l’interazione determina il rinculo del nucleo, con un conseguente rilascio di energia): l’energia cinetica trasferita dalla diffusione (molto bassa, dell’ordine delle decine di keV) è trasformata in un segnale misurabile, da individuare schermando il rumore di fondo prodotto dagli elementi radioattivi della strumentazione e, soprattutto, dai raggi cosmici (per tale motivo i rivelatori sono posti generalmente in ambienti sotterranei). Questa tecnica ha il compito di indagare la natura della materia oscura: negli ultimi due decenni la sensibilità degli strumenti di questo tipo è aumentata di più di tre ordini di grandezza.

Con i metodi indiretti si cercano invece di identificare i prodotti di annichilazione delle WIMP, come i raggi gamma, i neutrini, i positroni e gli antiprotoni (rispettivamente, le antiparticelle di elettroni e protoni), in zone dell’Universo dove ci si aspettano forti concentrazioni della loro densità, come il centro galattico, il Sole e il centro della Terra, o nelle galassie nane e nei buchi neri situati nell’alone galattico (la regione di spazio situata poco al di fuori della Via Lattea). Se la densità di materia oscura è infatti sufficientemente alta, una particella e un’antiparticella possono collidere e annientarsi in un lampo di alta energia o emettere nuove particelle. Anche in questo caso, poiché le radiazioni ad alta energia vengono emesse anche da molte altre fonti, tra cui i buchi neri, le pulsar e i resti di supernovae, bisogna distinguere i segnali di materia oscura dal rumore di fondo. Le osservazioni effettuate con tale metodo sono utili per determinare soprattutto la distribuzione di materia oscura.

La più importante sorgente di annichilazione è il centro della Via Lattea (monitorato dal 2009), dove ci si aspetta che la densità di materia oscura aumenti sensibilmente, lungo una sorta di alone di materia: si sfrutta il fatto che la Terra e il Sistema solare si muovono attraverso tale alone per cercare di rilevare le WIMP quando occasionalmente collidono con un nucleo atomico di un rivelatore posto sulla Terra. La Via Lattea non si presta tuttavia facilmente a verificare la presenza di materia oscura (è più facile determinarla nelle galassie lontane), a causa delle notevoli incertezze che ancora si hanno nel calcolo del contributo delle stelle e dei gas alla sua massa complessiva, soprattutto nelle sue regioni più interne. Nel 2015, una stima accurata della velocità di rotazione della galassia ha evidenziato una discrepanza tra massa teorica e massa osservata, imputabile alla presenza di una componente di materia invisibile (Iocco, Pato, Bertone 2015).

fig. 2

Metodi diretti di rilevazione. – Tra gli esperimenti in corso per rilevare le WIMP, nei Laboratori nazionali del Gran Sasso, XENON utilizza come bersaglio lo xenon. La fase attuale, XENON100 (fig. 2), consente una riduzione di fondo 100 volte superiore rispetto alla fase iniziale, conclusasi nel 2007. È in fase di costruzione l’esperimento XENON1T, con l’obiettivo di migliorare ulteriormente la sensibilità; i primi risultati sono attesi per la fine del 2015.

DAMA/LIBRA (DArk MAtter/Large sodium Iodide Bulk for RAre process), che ha sostituito DAMA/NaI, ha ottenuto i primi risultati nel 2008 e dal 2010 è entrato nella seconda fase: utilizza cristalli scintillatori di ioduro di sodio drogato al tallio, NaI(Tl), ed è rivolto principalmente alla rilevazione delle particelle di materia oscura provenienti dall’alone galattico. Poiché la velocità del rivelatore rispetto all’alone galattico varia in conseguenza del movimento della Terra attorno al Sole e del Sole attorno al nucleo galattico, ci si aspetta di osservare una variazione annuale del numero di particelle individuate, riportata tra i risultati pubblicati nel 2013, ma non confermata.

Sempre nei laboratori del Gran Sasso, nel 2013 è stata avviata la seconda fase dell’esperimento CRESST (Cryogenic Rare Event Search with Superconducting Thermometers), il cui scopo principale è quello di confermare o escludere l’eccesso di eventi osservati rispetto al rumore di fondo nella prima fase, che ha operato nel periodo 2009-11.

L’esperimento DarkSide, invece, operativo dal giugno 2015, utilizza argon liquido purissimo che ricopre due fotomoltiplicatori in grado di rilevare le tracce dell’interazione con le particelle di materia oscura soprattutto di massa elevata.

CDMS (Cryogenic Dark Matter Search) utilizza rivelatori al silicio posti in una ex miniera del Minnesota, a temperature molto basse (dell’ordine dei millikelvin). Nel 2013 ha registrato tre collisioni distinte dal rumore di fondo. La seconda generazione di tale esperimento, ossia il SuperCDMS, opererà nei prossimi anni con un sistema di raffreddamento che consentirà di mantenere i rivelatori a temperature ancora più basse (dell’ordine di una frazione di grado sopra lo zero assoluto), per rilevare particelle con masse minori di quella del protone.

CoGeNT (Coherent Germanium Neutrino Technology) impiega cristalli di germanio e opera nei laboratori sotterranei del Soudan, nel Minnesota. Agli inizi del 2010 l’esperimento ha rilevato un segnale che è stato considerato compatibile con la presenza di una particella di materia oscura di massa compresa nell’intervallo 7-11 GeV, ma successive verifiche effettuate sulla base dei dati ottenuti da altri esperimenti, tra cui CDMS e XENON, hanno escluso questa possibilità.

fig. 3

LUX (Large Underground Xenon) è in attività dal 2013 nel Sud del Dakota (Stati Uniti) e utilizza xenon liquido alla temperatura di 100 gradi sotto zero, anch’esso posto in una miniera abbandonata e schermato da acqua pura per ridurre gli effetti della radioattività naturale. Entro il 2020 è prevista la messa in funzione dell’esperimento LUX-ZEPLIN (ZonEd Proportional scintillation in LIquid Noble gases), che sarà in grado di rilevare particelle di materia oscura pesanti, con massa pari a centinaia di volte quella di un protone, grazie all’uso di 7 t di xenon liquido, sette volte più di LUX (fig. 3).

EDELWEISS (Expérience pour DEtecter Les Wimps EnSite Souterrain), nei laboratori sotterranei di Modane (Fréjus), in Francia, misura i segnali di interazione delle particelle di materia oscura con cristalli di germanio.

È in preparazione la sua terza fase e dal 2017 farà parte, insieme all’esperimento CRESST, del progetto EURECA (European Underground Rare Event Calorimeter Array).

Un esperimento di concezione diversa è ADMX (Axion Dark Matter Experiment), presso l’Università di Washington, che ha l’obiettivo di individuare gli ipotetici assioni, candidati a costituire la materia oscura, attraverso le loro interazioni con un potente campo magnetico, che li trasforma in fotoni: quando la frequenza di questi ultimi corrisponde alla massa dell’assione, viene rilevato un debolissimo segnale, distinto dal rumore di fondo. Operativo dal 2010, è in preparazione la seconda generazione dell’esperimento, per rilevare particelle con energia da 1 μeV a 10 μeV.

Metodi indiretti di rilevazione. – In questo ambito, particolare rilevanza hanno avuto nell’ultimo decennio le osservazioni effettuate dallo spazio. Nel 2008 un eccesso di positroni rilevato dal rilevatore PAMELA (Payload for Antimatter Matter Exploration and Light-nuclei Astrophysics) è stato interpretato come un possibile segnale di annichilazione di materia oscura. Lanciato nel 2006, PAMELA utilizza uno spettrometro basato sull’accoppiamento tra un magnete permanente e un calorimetro per rilevare le particelle supersimmetriche più leggere. Occasionalmente, due di esse si scontrano e annichiliscono lasciando al loro posto un flusso di energia: ciò dà luogo a un fascio di particelle convenzionali che eventualmente decadono in elettroni e positroni.

fig. 4

Un eccesso di raggi gamma prodotto dall’annichilazione delle particelle WIMP è l’oggetto delle osservazioni del Fermi gamma-ray large area space telescope (GLAST), lanciato nel 2008. Nel 2014 un segnale rilevato dal telescopio spaziale, proveniente da un’area che circonda il nucleo galattico, ha presentato tutte le caratteristiche tipiche dell’annichilazione di due particelle di materia oscura. La sensibilità della strumentazione a bordo, che permette di individuare con molta precisione la direzione della sorgente gamma, ha consentito di filtrare i segnali rilevati eliminando quelli che derivano da sorgenti di emissione nota: la radiazione rimasta è compatibile con quella proveniente dall’annichilazione di particelle di materia oscura con una massa tra 30 e 40 GeV (fig. 4).

Il modulo AMS-02 (Alpha Magnetic Spectrometer) è un rivelatore di particelle montato sulla Stazione spaziale internazionale nel maggio del 2011, in grado di identificare antiparticelle e antinuclei con una precisione di una parte su un miliardo. Nell’aprile del 2015 sono stati presentati al CERN i dati raccolti dalla missione: tra i più rilevanti, alcune anomalie nella misura dei positroni e degli antiprotoni, in particolare un’inattesa abbondanza di antiprotoni a energie di centinaia di GeV, complementare a una precedente misura del flusso di antielettroni resa nota nel 2014.

IceCube neutrino observatory, un telescopio con migliaia di sensori distribuiti su un chilometro cubo di volume, posto sotto l’Antartide e operativo dalla fine del 2010, si occupa invece della rilevazione dei neutrini di alta energia in arrivo dal centro del Sole o della Terra: quando, infatti, le WIMP interagiscono con gli atomi solari e terrestri perdono energia e tendono ad accumularsi, quindi a collidere e annichilarsi, producendo neutrini. Nel 2013 è stata ufficializzata la scoperta di 28 neutrini, provenienti molto probabilmente dall’esterno del Sistema solare.

Da terra, nel 2009 ATIC (Advanced Thin Ionization Calorimeter), portato da un pallone sonda, ha misurato un eccesso energetico compatibile con quello rilevato nello stes so anno da PAMELA, ma la mancanza di un magnete tra la strumentazione a bordo non ha consentito di distinguere se fosse dovuto a elettroni o positroni. MAGIC (Major Atmospheric Gamma Imaging Cherenkov telescopes) è un sistema di due telescopi di 17 m di diametro per l’osservazione dei raggi gamma, il primo operativo dal 2004, il secondo dal 2009. Sfrutta la cosiddetta luce Cherenkov, cioè il bagliore emesso dalle particelle prodotte nell’interazione dei fotoni con i nuclei dell’atmosfera terrestre. Situato presso l’Osservatorio del Roque de Los Muchachos, a La Palma, nelle Isole Canarie, ha scoperto diverse nuove sorgenti di altissima energia.

fig. 5 A

Due mappe di materia oscura sono state pubblicate nel 2015. La prima (fig. 5 A), messa a punto dai ricercatori della Dark energy survey utilizzando il telescopio da 4 m di apertura dell’Osservatorio interamericano di Cerro Tololo (Cile), copre circa il 3% del cielo meridionale. La distribuzione e la massa sono state stimate analizzando la deformazione della forma di circa due milioni di galassie, non giustificabile sulla base della sola presenza nei dintorni di materia ordinaria visibile. La mappatura, che proseguirà fino al 2018, ha permesso di individuare la presenza di materia oscura attorno a circa 12.000 galassie. La seconda mappa (fig. 5 B), frutto del lavoro dei ricercatori del National astronomical observatory of Japan (NAOJ), della University of Tōkyō, ha utilizzato la nuova Hyper suprimecam a largo campo, dotata di 870 milioni di pixel e installata presso il telescopio Subaru situato nelle Hawaii. Le osservazioni di un’area di 2,3 gradi quadrati di cielo verso la costellazione del Cancro hanno consentito di individuare diverse concentrazioni di materia oscura con una massa tipica di un ammasso di galassie.

Energia oscura: origine e natura. – La scoperta dell’espansione accelerata dell’Universo, avvenuta alla fine del secolo scorso, ha aperto un nuovo campo di ricerca nella cosmologia. Malgrado i molti sforzi fatti nell’ultimo decennio, l’origine di questa accelerazione non è ancora ben chiara. I modelli evolutivi della struttura attuale dell’Universo si riferiscono al fatto che l’osservazione di particolari supernovae lontane (di tipo Ia, causate dall’esplosione delle stelle nane bianche) ha evidenziato che queste si trovano a una distanza maggiore rispetto a quanto ci si aspettasse, in conseguenza di un’espansione ancora accelerata dello spazio. Si è interpretata tale espansione come dovuta all’azione di una forma di energia elastica repulsiva, ossia a pressione negativa. L’analisi della radiazione cosmica di fondo ha altresì dimostrato che l’Universo possiede una geometria di tipo euclideo, cioè piatta. Per rendere conto di una tale geometria, è necessario integrare la quantità di materia presente nell’Universo con un contributo di circa il 70% di energia oscura.

Le prime evidenze sperimentali dell’accelerazione cosmica si sono avute nel 1998 (per tale scoperta Saul Perlmutter, Adam Riess e Brian Schmidt, coordinatori di uno di tali progetti di osservazione, hanno ricevuto il premio Nobel per la fisica nel 2011) e sono state confermate nell’ultimo decennio da osservazioni di supernovae più distanti, tra cui quelle del telescopio spaziale Hubble, della SDSS (Sloan Sky Digital Survey), dell’ESSENCE (Equation of State: SupErNovae trace Cosmic Expansion) e della Supernova legacy survey (SNLS). Il Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti e la NASA stanno mettendo a punto il progetto scientifico JDEM (Joint Dark Energy Mission) per l’osservazione di supernovae ancora più lontane; il lancio è previsto per il 2016. Per il 2020 è invece fissato il lancio della missione Euclid, che avrà il compito di misurare la struttura a larga scala dell’Universo e la distribuzione delle galassie e degli ammassi di galassie fino a una distanza di circa 10 miliardi di anni luce, per investigare l’origine dell’espansione dell’Universo. Ulteriori conferme si sono avute analizzando le anisotropie della radiazione cosmica di fondo da parte di WMAP e di Planck (lanciata nel 2009) e dall’analisi delle oscillazioni acustiche barioniche osservate in migliaia di galassie molto luminose. Nell’Universo primordiale, la materia e la radiazione rimasero indistinguibili fino a circa 300.000 anni dopo il Big Bang, quando si separarono.

Le oscillazioni delle onde sonore che caratterizzano le anisotropie della radiazione cosmica di fondo sono impresse pertanto anche nella materia e appaiono in ere cosmiche molto diverse: le piccole variazioni nella distribuzione delle galassie a distanze ben precise, rispetto a una distribuzione uniforme e a una scala caratteristica, possono pertanto essere prese come riferimento per valutare l’espansione dell’Universo in diverse epoche.

La più semplice forma di energia oscura è un campo costante e omogeneo (che prende il nome di costante cosmologica), analogo a quello introdotto da Albert Einstein nel 1917 nelle sue equazioni della relatività generale per mantenere stazionario l’Universo (una convinzione poi rivelatasi non corretta). Tale modello approssima bene i risultati delle osservazioni, ma si scontra con due problemi: la densità di energia, stimata in termini quantistici come energia del vuoto (che non va inteso come realmente vuoto, ma sede di possibili forze repulsive), è enormemente più grande di quel la oscura osservata, di circa 10121 volte (problema della costante cosmologica); la densità della materia totale (barionica e oscura) risulta uguale a quella dell’energia oscura (problema della coincidenza), in grave contrasto con il fatto che, mentre la costante cosmologica si assume, appunto, costante, la densità di materia decresce con il tempo, all’aumentare del volume dell’Universo. Per risolvere tali problemi si ipotizza che l’energia oscura (pensata come un campo scalare con un potenziale a densità energetica variabile, o quintessenza) possa variare nel tempo e interagire con la materia oscura. Per scoprire una possibile dinamica nell’evoluzione dell’energia oscura bisogna indagare l’accelerazione cosmica a differenti epoche, in particolare primordiali, nel momento del disaccoppiamento tra materia e radiazione.

Accelerazione cosmica senza energia oscura. – Esistono lavori per spiegare l’accelerazione cosmica per mezzo di disomogeneità nella distribuzione della materia, senza ricorrere alla componente di energia oscura. In uno di tali approcci, la presenza di bolle di bassa densità porta a un’espansione più veloce dell’Universo rispetto all’esterno: secondo questo modello noi vivremmo nel mezzo di una regione sferica di bassa densità estesa per miliardi di anni luce (un enorme vuoto) e ne interpreteremmo l’evoluzione come un’apparente accelerazione cosmica. Un altro approccio considera gli effetti delle disomogeneità locali sull’espansione media: mentre in un Universo omogeneo il tasso di espansione dipende soltanto dal tempo, l’introduzione delle disomogeneità fa sì che tale tasso dipenda anche dallo spazio, per cui l’espansione accelerata diventa un effetto della variazione spaziale. Alcuni modelli spiegano l’accelerazione cosmica modificando l’equazione relativistica di Einstein che lega la geometria dello spazio-tempo al contenuto di massa-energia della sorgente del campo gravitazionale: in tal modo, la gravità non è più descritta dalla relatività generale e l’accelerazione è un effetto di questa modifica.

La soluzione al problema dell’energia oscura è affrontata anche dal punto di vista quantistico. Nell’ambito della teoria delle stringhe, cioè della teoria quantistica della gravità, sono stati formulati modelli nei quali si suppone che lo spazio-tempo coincida con l’evoluzione temporale di un’ipersuperficie (brana) immersa in uno spazio-tempo esterno (bulk) che ha una dimensione spaziale in più: l’accelerazione cosmica sarebbe l’effetto della dispersione della gravità nelle dimensioni aggiuntive.

Bibliografia: S. Sello, Il bosone di Higgs e i settori oscuri dell’Universo, Padova 2012; D. Majumdar, Dark matter: an introduction, Boca Raton (Flo.) 2014; C. Beck, Axion mass estimates from resonant Josephson junctions, «Physics of the dark Universe», 2015, 7-8, pp. 6-11 (http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/ S2212686415000035); F. Iocco, M. Pato, G. Bertone, Evidence for dark matter in the inner Milky Way, «Nature physics», 2015, 11, pp. 245-48 (http://arxiv.org/pdf/1502.03821v1.pdf); S. Miyazaki, M. Oguri, T. Hamana et al., Properties of weak lensing clusters detected on Hyper suprime-cam 2.3 square degree field, «Astrophysical journal», 2015 (http://arxiv.org/pdf/1504. 06974v1.pdf).

Webgrafia: M. Baldi, Dark energy simulations, 2012, http://arxiv.org/pdf/1210.6650v1.pdf; D.H. Weinberg, M.J. Mortonson, D.J. Eiseinstein et al., Observational probes of cosmic acceleration, 2013, http://arxiv.org/pdf/1201.2434v2.pdf; V. Vikram, C. Chang, B. Jain et al., Wide-field lensing mass maps from DES science verification data, 2015, https://deswl.github.io/ page1/vikram_paper/kappa_des.pdf. Si veda inoltre: Physics of dark universe, 2012-15, http://www. sciencedirect.com/science/ journal/22126864. Tutte le pagine web si intendono visitate per l’ultima volta il 27 ottobre 2015.

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