Uomo: origine ed evoluzione

Enciclopedia del Novecento III Supplemento (2004)

Uomo: origine ed evoluzione

Phillip V. Tobias

di Phillip V. Tobias

Uomo: origine ed evoluzione

sommario: 1. Introduzione. 2. Il cambiamento del concetto di 'ominide'. 3. Nuove prospettive sulla datazione della comparsa dell'uomo sulla Terra. 4. Le recenti scoperte di Ominidi fossili in Africa: a) Sudafrica; b) Africa orientale, nordorientale e centrale. 5. Considerazioni generali sugli Ominidi mio-pleistocenici in Africa. 6. I primi Ominidi al di fuori del continente africano. 7. Le origini del linguaggio. 8. Le origini dell'uomo moderno. □ Bibliografia.

1. Introduzione

Nell'ultimo quarto del XX secolo i nuovi metodi di datazione e i risultati che questi hanno prodotto, i nuovi criteri di analisi filogenetica, in particolare la cladistica, e le nuove valutazioni su base molecolare hanno rivoluzionato l'approccio e la metodologia della paleoantropologia. Hanno acquistato maggiore importanza le indagini relative all'ecologia e alla demografia del passato, come pure gli studi che mirano a chiarire i processi di trasformazione ai quali vanno incontro le ossa dopo la morte (tafonomia) e come queste si accumulino in depositi sedimentari fluviali e lacustri o all'interno di caverne; sono state intraprese inoltre più sofisticate analisi statistiche e multivariate dei caratteri metrici delle ossa fossili. I reperti ossei sono stati sottoposti a nuovi metodi d'indagine, quali la scansione tomografica computerizzata e la creazione di immagini virtuali di fossili incompleti e imperfetti, nonché, in rari casi, l'estrazione dell'acido desossiribonucleico (DNA). Anche i reperti ossei più antichi sono stati sottoposti a nuove analisi con i più avanzati strumenti e tecnologie biomedici o fisico-chimici; è stato così possibile studiare i fossili con il microscopio elettronico a scansione, e non più solo con l'ausilio di una semplice lente d'ingrandimento o di un microscopio bioculare.

Nello stesso tempo, è continuata senza sosta la ricerca di altri fossili di Ominidi, nella speranza di trovare campioni più numerosi e più rappresentativi così da confrontare e contrapporre la variabilità intraspecifica con quella interspecifica. È proseguita anche la ricerca di reperti sempre più antichi che potessero portare gli studiosi più vicini al magico punto di divergenza degli ultimi antenati comuni di scimpanzé e Ominidi, separatisi nella linea (o linee) evolutiva che ha condotto all'uomo e in quella (o quelle) che hanno originato gli scimpanzé e i bonobo (una volta chiamati scimpanzé pigmei). La ricerca di ulteriori fossili simili all'uomo ha portato a una vera e propria caccia a nuovi siti e nell'ultimo decennio è stata scoperta una dozzina di nuovi giacimenti di fossili umani nella sola Africa.

2. Il cambiamento del concetto di 'ominide'

Fino alla seconda metà del XX secolo era prassi comune classificare gli attuali esseri umani, i loro antenati e collaterali nella famiglia Hominidae, da cui è derivato il termine colloquiale 'ominide', e raggruppare invece nella famiglia Pongidae (Pongidi) le grandi scimmie antropomorfe attualmente viventi (scimpanzé e gorilla in Africa, oranghi in Asia). Benché Harris H. Wilder (intorno al 1926) avesse fatto la radicale proposta di includere nella famiglia Hominidae le scimmie senza coda (nonché alcune specie fossili tra cui Homo erectus e Australopithecus africanus), solo nella seconda metà del Novecento, quando i biologi molecolari hanno dimostrato lo straordinario grado di somiglianza tra il DNA dell'uomo moderno e quello delle attuali scimmie antropomorfe, ha acquistato legittimità l'idea di includere tra gli Ominidi le grandi scimmie antropomorfe africane e asiatiche.

Esiste una gerarchia delle categorie di classificazione: superfamiglia (Hominoidea), famiglia (Hominidae), sottofamiglia (Homininae), tribù (Hominini), genere (ad esempio Australopithecus, Homo), sottogenere (ad esempio Paranthropus) e specie (ad esempio Homo habilis, H. ergaster, H. erectus, H. neanderthalensis, H. sapiens). Nell'ultimo decennio è stata proposta una classificazione ampiamente accettata, ma non ancora completamente condivisa, che colloca l'uomo e i suoi antenati e collaterali non soltanto nella stessa sottofamiglia (Homininae), ma addirittura nella stessa tribù (Hominini) degli Ominidi. Il termine colloquiale per designare un membro della sottofamiglia Hominini è 'ominine', termine divenuto d'uso frequente, soprattutto tra gli scienziati anglofoni, in sostituzione di 'ominide'. Alcuni fautori di una radicale revisione della tassonomia vorrebbero addirittura includere Australopithecus e altri generi umanoidi arcaici, così come le grandi scimmie antropomorfe dell'Africa e dell'Asia, nel genere Homo!

Si è prodotta una molteplicità di usi tassonomici senza che si sia riusciti a raggiungere alcun accordo internazionale o interlinguistico. E tuttavia un gruppo di scienziati, tra cui spicca la figura dello spagnolo Camilo Cela-Conde di Maiorca, sostiene che, dal momento che migliaia di libri, monografie e articoli hanno usato i termini Hominidae e Ominidi, si dovrebbe fare il possibile per continuare a utilizzare questi termini per designare le linee evolutive della specie umana (senza includere le scimmie antropomorfe). Essi affermano che sostituendo il termine 'ominide' con 'ominine' o 'Homo' si provocherebbe una gran confusione, e poiché la classificazione è uno strumento che deve risultare utile agli studiosi della materia, tale sovvertimento non farebbe né chiarezza, né comodo, anche se le prove molecolari della stretta parentela tra esseri umani e scimmie antropomorfe sono schiaccianti (v. Cela-Conde e Ayala, 1998; v. Cela-Conde e Altaba, 2002).

Alla fine del XX secolo questo problema di classificazione non era ancora stato risolto. Molti studiosi hanno optato per una linea di compromesso, decidendo di continuare a utilizzare 'ominide' in senso tradizionale almeno finché non si sarà raggiunto un ampio consenso internazionale su quale sistematica alternativa utilizzare. In questo articolo viene quindi impiegata questa nomenclatura temporanea. Tuttavia, è stato universalmente riconosciuto, sulla base delle evidenze genetiche, che la famiglia Pongidae in cui in passato erano incluse tutte le grandi scimmie antropomorfe di Asia e Africa, non ha più ragione d'essere e per tale motivo questo termine non verrà utilizzato in questo articolo.

Le continue controversie sulle denominazioni da utilizzare per i nuovi fossili di Ominidi inducono a chiedersi se il sistema di Linneo sia ancora il modo più utile e più sensato dal punto di vista biologico per classificare le forme di vita. Il sistema di Linneo fu creato per classificare le piante e gli animali viventi in un periodo (1735) nel quale la nomenclatura e la sistematica delle forme di vita fossili non rappresentavano ancora un problema, ma lo sarebbero divenute di lì a poco. Alcuni studiosi hanno proposto persino di sostituire il sistema di Linneo con un sistema di tassonomia numerica, ma tale approccio non ha trovato grandi consensi. Non sorprende, dunque, che uno dei primi congressi paleoantropologici del 2000 sia stato dedicato alla tassonomia degli Ominidi. Osservatori e studiosi della storia dei fossili spesso hanno fatto riferimento alla straordinaria quantità di tempo che gli esperti sembrano dedicare (o sprecare) in discussioni sulla nomenclatura e sulla sistematica dei fossili, e in effetti questa disciplina non è certo esente da questa debolezza!

3. Nuove prospettive sulla datazione della comparsa dell'uomo sulla Terra

Fino a poco tempo fa l'ipotesi di un antenato comune a Ominidi e scimpanzé sembrava trovare un concorde riscontro nelle analisi di biologia molecolare, le quali parevano anche confermare che la separazione dei presunti ultimi antenati comuni in due grandi linee evolutive, quella degli Ominidi e quella degli scimpanzé, si fosse verificata nel tardo Cenozoico, tra 7 e 5 milioni di anni fa. Nell'ultimo quarto del XX secolo, questa stima dell'epoca in cui si era verificata la separazione degli ultimi antenati comuni era diventata una sorta di dogma, che sarebbe rimasto indiscusso fino a quando non si fossero trovati fossili di Ominidi o di proto-scimpanzé databili entro quel periodo di tempo. Sino alla fine del secolo fossili di Ominidi così antichi non erano stati scoperti, né resi noti.

L'intervallo di tempo compreso tra 7 e 5 milioni di anni dal presente era stimato in base al cosiddetto 'orologio molecolare', calibrato su divergenze evolutive molto più antiche di gruppi di animali fossili, come quella tra scimmie Catarrine e Platirrine, o quella tra Cercopithecoidea (scimmie del Vecchio Mondo) e Hominoidea (Ominidi e scimmie antropomorfe). In altri termini, l'orologio molecolare era a sua volta calibrato sui reperti fossili. Tale calibratura era accettabile fintantoché i punti di calibrazione stessi fossero stati validi.

Fino agli anni novanta né i paleontologi, né i biologi molecolari avevano messo in discussione la validità di quell'intervallo di tempo (7-5 milioni di anni), ma nel periodo a cavallo tra il XX e il XXI secolo si sono verificati in entrambi i campi alcuni sviluppi talmente eccezionali che molti paleoantropologi hanno avuto difficoltà ad assimilare le nuove informazioni e le loro implicazioni.

In primo luogo, nuovi ritrovamenti in Etiopia, Kenya e Repubblica del Ciad hanno portato alla luce una serie di presunti fossili di Ominidi, risalenti a un periodo compreso tra oltre 5 milioni e quasi 7 milioni di anni fa. Se questi fossili recentemente scoperti fossero effettivamente di Ominidi, e se la loro pretesa datazione fosse corretta, si dovrebbe assumere che la comparsa degli Ominidi è anteriore al periodo di 7-5 milioni di anni per lungo tempo accettato come loro data di origine.

Sempre all'inizio del XXI secolo, e indipendentemente dai ritrovamenti fossili, alcuni studiosi di evoluzione a livello molecolare, in particolare lo svedese Ulfur Arnason e i suoi colleghi dell'Università di Lund hanno messo in discussione i punti di calibratura dell'orologio molecolare. Alla luce delle evidenze più recenti sulla datazione di questi punti, essi hanno sostenuto che l'orologio molecolare era stato calibrato in modo erroneo. Questi studiosi hanno utilizzato tre punti di calibrazione riferiti ai Mammiferi per i quali vi era un solido sostegno paleontologico: 1) la divergenza tra i Ruminanti artiodattili e i Cetacei, che risale a circa 60 milioni di anni fa; 2) la divergenza tra la famiglia degli Equidi (Equidae) e quella dei Rinocerontidi (Rinocerotidae), databile a circa 50 milioni di anni fa; 3) la divergenza tra i Cetacei Odontoceti (provvisti di dentatura) e Misticeti (le balene), avvenuta circa 33 milioni di anni fa. Servendosi di questi tre punti di calibrazione, Arnason (v. Arnason e altri, 2000) colloca la divergenza tra grandi scimmie antropomorfe e Ominidi a una distanza temporale dal presente circa doppia rispetto a quella tradizionalmente accettata: 13,0-10,5 milioni di anni fa anziché 7-5 milioni.

La nuova 'datazione molecolare' proposta è coerente con l'esistenza di Ominidi tra i 7 e i 5 milioni di anni fa, quali quelli recentemente scoperti in Etiopia, Kenya e Ciad. In realtà, se l'orologio molecolare ricalibrato sulla base dei nuovi criteri fosse corretto, gli studiosi non dovrebbero stupirsi di trovare fossili identificabili come Ominidi risalenti a un periodo compreso tra i 7 e i 10 milioni di anni fa. Secondo l'attuale punto di vista, le linee evolutive di Ominidi e scimpanzé, dopo la separazione dell'ultima popolazione di loro antenati comuni, si sarebbero progressivamente diversificate l'una dall'altra fino a raggiungere il grado di differenziazione presentato dai loro attuali discendenti. Di conseguenza, se verranno scoperti fossili risalenti a 7-10 milioni di anni fa, quanto più questi saranno antichi, tanto più difficile sarà distinguere tra i primi Ominidi, i primi proto-scimpanzé e i loro ultimi antenati comuni.

4. Le recenti scoperte di Ominidi fossili in Africa

Tutte le scoperte di Ominidi fossili effettuate nell'ultimo decennio confermano l'indicazione che gli Ominidi sono 'figli' dell'Africa. Per i primi 8 milioni di anni (secondo la nuova datazione di Arnason) dalla loro comparsa sulla Terra, essi rimasero confinati in questo continente, mentre solo a partire da circa 2 milioni di anni fa si cominciano a trovare alcuni riscontri della loro presenza al di fuori dell'Africa.

a) Sudafrica

Sino al 1992 i siti sudafricani di ritrovamenti di Ominidi fossili del Plio-Pleistocene erano i seguenti: Taung (dove, nel 1924, venne scoperto il primo esemplare di Australopithecus africanus), Sterkfontein, Kromdraai, Makapansgat, Cooper's Cave e Swartkrans; quattro di questi sei siti sono concentrati nella provincia sudafricana di Gauteng. Nell'ultimo decennio del XX secolo a questa lista si sono aggiunte altre tre località: Gladysvale, Drimolen e Gondolin, tutte e tre nei pressi di Sterkfontein, sempre nella provincia di Gauteng. Taung rimane il sito storicamente più importante, perché ha avuto il merito di dirigere l'attenzione verso l'Africa, piuttosto che verso l'Asia, come culla dell'umanità.

Per abbondanza di reperti (tra cui quattro o cinque scheletri incompleti) primeggia Sterkfontein, con un elenco di oltre 700 esemplari di Ominidi. Lo scavo di questa immensa e profondissima caverna è continuato nel corso dell'ultimo decennio. Fino al 1994, tutti gli esemplari di Ominidi erano stati ritrovati nei Membri 4 e 5 dei sei complessivi che costituiscono la formazione di Sterkfontein. Il Membro 4 era il più ricco di fossili di A. africanus ed è stato la fonte più importante di reperti di questa specie, datati all'incirca tra i 3,1 e i 2,1 milioni di anni fa. Fra i reperti del Membro 4 vi sono due scheletri incompleti e diversi altri gruppi di ossa associate. Il Membro 5 è risultato eterogeneo: oltre a brecce contenenti artefatti litici rispettivamente dell'Olduvaiano e dell'Acheuleano, esso ha fornito un cranio con alcuni denti di Homo che presentava alcune affinità con H. habilis e un certo numero di denti e mandibole di Australopithecus (Paranthropus) robustus. Studi recenti non hanno avallato i dubbi avanzati sull'appartenenza di questo cranio a un esemplare di Homo e sulla sua collocazione stratigrafica.

Il Membro 2 di Sterkfontein, uno dei più antichi di tale formazione, è stato esplorato sin dal 1978, ma solo nel 1994 Ronald J. Clarke, esaminando le scatole contenenti le ossa scoperte nel 1980, individuò quattro piccole ossa di un piede sinistro la cui appartenenza a un ominide in precedenza non era stata riconosciuta. Clarke e Phillip V. Tobias hanno dimostrato che queste ossa erano sostanzialmente quelle di un bipede eretto, dotato però di un alluce mobile e divergente che indicava il permanere di un adattamento alla vita arborea (v. Clarke e Tobias, 1995). Clarke, coadiuvato da Nkwane Molefe e da Stephen Motsumi, scoprì poi uno scheletro quasi completo che giaceva prono nel Membro 2, databile a 3,3 milioni di anni fa (v. Clarke, 1998 e 1999). Non solo era il più antico ominide mai trovato in Sudafrica, ma anche il più antico scheletro di ominide le cui ossa avevano mantenuto la loro posizione anatomica. Questo individuo, caratterizzato da un cervello di dimensioni ridotte e da un cresta ossea sulla parte superiore del cranio, sembrava essere un membro del genere Australopithecus, ma ancora nel 2002 la sua specie non era stata identificata. Studi più recenti, che hanno utilizzato come metodo di datazione anche lo studio dei nuclidi cosmogenici, hanno dimostrato che queste e altre ossa di ominidi fossili nel complesso di Sterkfontein risalgono a circa 4,1 milioni di anni fa.

Swartkrans, una caverna di calcare dolomitico di epoca più recente rispetto ai Membri 2-4 di Sterkfontein, è seconda solo a quest'ultima per ricchezza di fossili di Ominidi che vi sono stati rinvenuti (v. Brain, 1993). Per la maggior parte i resti portati alla luce appartengono ad Australopithecus (Paranthropus) robustus, caratterizzato da un cervello di dimensioni ridotte, da una cresta sulla parte superiore del cranio e da grossi denti. Un piccolo numero di fossili contemporanei a questi appartengono al genere Homo, anche se ci sono state notevoli divergenze d'opinione sulla specie a cui assegnare i reperti. Swartkrans è uno dei numerosi siti in cui sono stati trovati resti di australopitecine e di Homo coevi e simpatrici; gli altri sono il Membro 5 di Sterkfontein, Drimolen, i livelli I e II di Olduvai e diversi siti nel nord del Kenya e nel sud dell'Etiopia. Se questa 'coesistenza pacifica' è stata una sorpresa quando cinquant'anni fa venne dimostrata per la prima volta da John T. Robinson, è divenuto ben presto chiaro che, a partire da circa 2,4 milioni fino a 1,5-1,0 milioni di anni fa, gli ultimi rappresentanti di A. robustus sopravvissuti erano contemporanei a una o più specie dei primi appartenenti a Homo. Alla fine del Novecento era noto che in Africa ogni deposito con fossili di Ominidi risalenti a quel periodo poteva fornire reperti di entrambi i generi.

Makapansgat, circa 300 km a nord di Johannesburg, si segnala per aver fornito i fossili più antichi della specie A. africanus. Nel 1995 Jeffrey K. McKee, basandosi su un'analisi approfondita della fauna di una serie di depositi plio-pleistocenici, confermò che il Membro 3 era il più antico deposito sudafricano contenente fossili di A. africanus (v. McKee, 2000). Egli scoprì inoltre che i resti di A. africanus trovati nel Membro 4 appartenevano a un esemplare di cui esisteva solo un altro reperto di questa specie altrettanto antico. Le analisi della fauna fossile effettuate da Elisabeth S. Vrba hanno confermato i risultati di McKee. Sulla base di una calibratura aggiornata dei risultati paleomagnetici, il Membro 3 è stato datato tra i 3,2 e i 3,1 milioni di anni fa. Si trattava della datazione più antica attribuibile a A. africanus (lo scheletro di 'Little Foot' risalente a 3,3 o forse addirittura a 4,1 milioni di anni fa rinvenuto nel Membro 2 di Sterkfontein non era ancora stato assegnato ad alcuna specie).

Negli anni novanta la maggior parte degli studiosi aveva ormai riconosciuto che A. (Paranthropus) robustus - come era stato denominato il primo esemplare scoperto nel 1938 a Kromdraai da Robert Broom - presentava caratteristiche derivate o specializzate che indicavano una divergenza dalla linea evolutiva che avrebbe portato al genere Homo. E tuttavia, curiosamente, l'accorciamento della base del cranio e diversi altri caratteri morfologici di A. robustus somigliavano ad analoghe caratteristiche di Homo. Secondo alcuni questi caratteri comuni costituivano esempi di omoplasia, ossia di evoluzione parallela di A. robustus e Homo. Secondo altri si trattava invece di sinapomorfie, ossia di caratteri comuni derivati dalla morfologia dell'ultimo antenato comune delle australopitecine robuste e di Homo, ritenuto da alcuni come una forma di A. africanus più modificata rispetto a quella di Sterkfontein e di Makapansgat.

Cooper's Cave, considerata la 'cenerentola' dei siti sudafricani, è venuta recentemente alla ribalta con l'identificazione, avvenuta nel 1989, di un incisivo superiore centrale di ominide rinvenuto probabilmente negli anni quaranta o cinquanta. Nel settembre del 1998 altri frammenti di Ominidi sono stati individuati da Christine Steininger nel Museo del Transvaal, determinando l'allestimento di un nuovo scavo nel sito.

Gladysvale, da tempo noto come un ricco sito paleontologico, nel 1992 è divenuto il primo nuovo sito di Ominidi fossili scoperto in Sudafrica dal 1948. I resti di Ominidi di Gladysvale erano scarsi, ma Lee R. Berger e i suoi collaboratori ne hanno riconosciute almeno due forme: una, rappresentata da due denti, mostrava affinità con A. africanus; l'altra, proveniente da una breccia apparentemente del Pleistocene medio, faceva pensare che si trattasse di un esemplare di Homo.

Un altro sito in cui sono stati portati alla luce nuovi fossili di Ominidi è Drimolen, nell'area di Sterkfontein-Kromdraai. Dal 1993 Andre Keyser, insieme a Rosalind Smith, Colin Menter, Dominique Gommery e José Braga, ha scoperto fossili di Ominidi in eccellente stato di conservazione attribuibili ad A. (Paranthropus) robustus, tra cui il primo cranio praticamente completo di un individuo di questa specie. A Gommery e Braga si deve il rinvenimento nel sito di due crani infantili, appartenenti, rispettivamente, a un bambino di circa 18 mesi e a uno di circa 8 mesi, i più giovani Ominidi primitivi mai rinvenuti. Questo sito ha fornito anche frammenti di Homo e alcuni manufatti di pietra e osso, rivelandosi un esteso e ricco deposito di Ominidi del primo Pleistocene e chiaramente il più importante dei tre nuovi siti sudafricani.

Infine, nel 1997 alcuni membri della squadra di Kevin Kuykendall hanno rinvenuto a Gondolin alcuni denti di ominide, uno dei quali era un secondo molare inferiore particolarmente grande. Le sue dimensioni superavano quelle di qualsiasi altro dente di A. robustus sudafricano, collocandosi tra i valori più alti della gamma di variabilità relativa agli esemplari della specie iper-robusta dell'Africa orientale, A. boisei. Questo campione potrebbe solo rappresentare un'estensione verso i valori più alti della gamma di variabilità per A. robustus, oppure costituire il primo esemplare di A. boisei in Sudafrica. Per stabilire quale di queste ipotesi sia corretta sarebbe necessario disporre di un maggior numero di campioni.

b) Africa orientale, nordorientale e centrale

Prima dell'ultima decade del XX secolo, erano stati rinvenuti Ominidi fossili plio-pleistocenici in Tanzania, Kenya ed Etiopia. Nel corso dell'ultimo decennio l'area geografica dei territori con depositi di Ominidi fossili si è ampliata grazie a una serie di scoperte fatte in Malawi, Ciad ed Eritrea. Il Malawi (ex Nyasaland), che si caratterizza per la presenza del Lago Malawi, si trova nella parte meridionale della Great Rift Valley africana. Lungo le sponde del lago sono stati trovati negli anni novanta resti di Ominidi in un'area più o meno a metà strada tra Olduvai Gorge, nel nord della Tanzania, e Makapansgat, nella Provincia settentrionale di Limpopo, in Sudafrica. A Uraha, nel 1991 e nel 1992, l'americano Timothy G. Bromage e il tedesco Friedeman Schrenk hanno trovato le due metà di una mandibola che essi hanno attribuito a una specie primitiva di Homo, H. rudolfensis, datata a circa 2,5 milioni di anni fa. Nel 1996 a Malema sono stati trovati resti di un australopiteco robusto identificato come A. (Paranthropus) boisei, anch'esso datato a circa 2,5 milioni di anni fa. Questi fossili hanno contribuito a individuare quello che Schrenk e Bromage hanno chiamato 'corridoio degli Ominidi', tra le regioni meridionali e orientali dell'Africa in cui sono concentrati i depositi di Ominidi fossili.

In Tanzania, Olduvai Gorge ha fornito alcuni nuovi frammenti che sono stati attribuiti a esemplari arcaici di Homo. Gli Ominidi che hanno abitato in questa zona sono stati generalmente classificati come appartenenti ad A. (Paranthropus) boisei e H. habilis, e questa classificazione ha superato la prova del tempo, benché talora sia stata riproposta la possibilità, avanzata quarant'anni fa, di collocare H. habilis nel genere Australopithecus. Questo punto di vista non ha trovato di recente molti sostenitori, anche perché al contempo vi è chi cerca di rilanciare un'altra proposta precedente, e cioè che Australopithecus vada collocato nel genere Homo.

Il famoso tracciato con le impronte scoperto a Laetoli da Mary Leakey è stato nuovamente ricoperto per lasciarlo ai posteri. È stata riproposta la tesi secondo cui tali impronte non avrebbero la stessa forma di quelle dell'uomo moderno: secondo Yvette Deloison, esse presentano un alluce divergente. Clarke e Tobias hanno invece sostenuto che anche le ossa dei piedi di 'Little Foot', trovato nel Membro 2 di Sterkfontein, presentavano un alluce divergente del tutto compatibile con una creatura in grado di produrre impronte simili a quelle di Laetoli.

Nel 1939, Ludwig Kohl-Larsen rinvenne a Garusi, vicino a Laetoli, alcuni scarsi resti fossili di Ominidi comprendenti un frammento di mascella destra con due denti premolari e un frammento occipitale (ora dato per perso). Herbert Ullrich aveva registrato tra i reperti provenienti da questo sito anche un incisivo laterale inferiore sinistro, il quale è rimasto non identificato per 45 anni nella collezione di Kohl-Larsen al Museum für Naturkunde di Berlino, finché nel 1986 Timothy D. White ne ha stabilito l'appartenenza a un ominide. Ullrich lo ha attribuito a un'australopitecina, probabilmente A. afarensis.

I fossili di Garusi furono in un primo tempo considerati appartenenti al genere Praeanthropus, nome proposto da Edwin Hennig, ma fu Muzaffer S. Senyürek a definirli più correttamente, dando loro un nome sia di genere sia di specie, cioè Praeanthropus africanus. Questa denominazione, a lungo trascurata, è stata preferita da Walter Ferguson e da altri a quella di A. afarensis, entrando così nell'attuale dibattito sui nomi dati ai taxa fossili.

Nel passato decennio sono state proposte tre nuove forme fossili: una nuova specie di Australopithecus e due nuovi generi. A Kanapoi e ad Allia Bay, vicino al Lago Turkana nel nord del Kenya, Meave Leakey e i suoi collaboratori nel 1995 hanno scoperto l'esemplare di una nuova specie di ominide, che hanno chiamato Australopithecus anamensis (anam significa 'lago' nella lingua dei Turkana). Secondo gli autori della scoperta, i quali ritengono che l'esemplare risalga a 4,2-3,9 milioni di anni fa, si tratterebbe del reperto fossile più antico del genere Australopithecus (v. Leakey e altri, 1995). Ominidi più antichi erano stati rinvenuti in Kenya, Etiopia e Ciad, ma era stato necessario creare tre nuovi generi per classificarli. Nel 2001, Meave Leakey e i suoi collaboratori hanno identificato alcuni resti di ominidi con il viso appiattito che hanno datato a circa 3,5 milioni di anni fa e attributo a un nuovo genere e a una nuova specie, Kenyanthropus platyops. Avendo ravvisato in questi resti alcuni caratteri che ricordavano (e sembravano anticipare) la specie che era stata chiamata H. rudolfensis e che altri avevano considerato come H. habilis keniano, hanno spostato la specie rudolfensis nel genere Kenyanthropus, da loro considerato progenitore di H. ergaster e H. erectus (v. Leakey e altri, 2001).

Una delle grandi sorprese del decennio scorso è stata la scoperta, alla fine del 2000, dei resti di un presunto ominide arcaico, risalente al tardo Miocene, in quattro diverse località presso la Lukeino Formation delle Tugen Hills in Kenya. Il ritrovamento si deve a un gruppo formato da studiosi del Collège de France di Parigi e dei Community Museums del Kenya, guidato da Brigitte Senut e Martin Pickford (v. Senut e altri, 2001). Ai depositi è stata attribuita un'età di circa 6 milioni di anni, e tale datazione è stata accettata dalla maggior parte degli studiosi. Più controversa è invece l'ipotesi, avanzata dagli autori della scoperta, secondo cui i fossili sarebbero attribuibili a un ominide ancora più antico dell'Ardipithecus rinvenuto in Etiopia e che essi hanno assegnato a nuovo genere e a una nuova specie, Orrorin tugenensis, soprannominandolo 'Uomo del Millennio', o 'Antenato del Millennio'. Con i suoi 6 milioni di anni, Orrorin sarebbe più vecchio di 1,5 milioni di anni rispetto ad Ardipithecus ramidus, considerato in precedenza il più antico ominide. L'ipotesi che questi resti appartenessero a un ominide arcaico si basava in gran parte sulla dentatura, piuttosto piccola e con uno spesso strato di smalto, e sui femori, che presentavano caratteri interpretati come adattativi alla locomozione bipede. Senut e Pickford si sono spinti ancora oltre, sostenendo che Orrorin potrebbe appartenere alla linea evolutiva diretta che, attraverso il genere Praeanthropus, ha condotto all'uomo moderno, mentre la maggior parte dei membri del genere Australopithecus non sarebbe collocabile in tale linea. Sia lo status di ominide di Orrorin, sia il posto attribuitogli dagli autori della scoperta nella filogenesi degli Ominidi, sono stati ben presto contestati. A priori, tuttavia, sulla base dell'orologio molecolare ricalibrato, non si può escludere che possano essere esistiti Ominidi già sei milioni di anni fa.

Due volte nel corso degli ultimi anni i fossili scoperti in Etiopia hanno spostato indietro nel tempo la data della comparsa dell'uomo sulla Terra. Questi fossili, come Orrorin in Kenya, sono stati fatti risalire all'ultimo milione di anni del Miocene e al primo milione di anni del Pliocene, un periodo all'inizio del quale il clima in Africa si fece più secco e più freddo. Secondo alcuni studiosi, come Elisabeth S. Vrba, tali cambiamenti climatici avrebbero causato dei mutamenti evolutivi, ma questo punto di vista è stato messo in discussione dalle analisi sulla fauna e dalle simulazioni al computer effettuate da McKee. Certamente in questo periodo si verificarono in Africa fenomeni di estinzione nella fauna e comparvero nuovi taxa, ma secondo McKee si deve stare attenti a non confondere le coincidenze con la causalità (v. Vrba e altri, 1995; v. McKee, 2000).

Nei pressi di Aramis, nel Central Awash Complex, in Etiopia, nel 1994 sono venuti alla luce i resti di un ominide risalente a 4,4 milioni di anni fa, più antico di diverse centinaia di migliaia di anni dell'Australopithecus anamensis di Meave Leakey. Gli autori della scoperta, Timothy D. White, Berhane Asfaw e Gen Suwa, inizialmente hanno chiamato la specie rappresentata da questi resti Australopithecus ramidus (v. White e altri, 1994), ma successivamente il ritrovamento di altri resti fossili li ha spinti a creare un nuovo genere, Ardipithecus ramidus, per quelli che sembravano essere i più antichi Ominidi finora scoperti. Nel luglio del 2001, l'etiope Yohannes Haile-Selassie ha pubblicato un resoconto preliminare su alcuni fossili ancora più antichi da lui rinvenuti in cinque siti a ovest del fiume Awash in Etiopia. Per caratteri morfologici questo gruppo di campioni ricordava i fossili di Aramis, ma i nuovi reperti erano più antichi di circa un milione di anni (5,8-5,2 milioni di anni fa). Haile-Selassie (v., 2001) ha attribuito tali antichissimi fossili - a suo parere inequivocabilmente Ominidi, nonostante presentino caratteri tipici delle scimmie antropomorfe - alla stessa specie, ma a una differente sottospecie, Ardipithecus ramidus kadabba, e i fossili di Aramis alla sottospecie Ardipithecus ramidus ramidus. Erano i primi Ominidi la cui età superava il limite di 5 milioni di anni in quell'intervallo temporale di 7-5 milioni di anni fissato per l'origine degli Ominidi in base all'orologio molecolare. Ma tale primato fu superato quasi immediatamente da Orrorin delle Tugen Hills del Kenya, che spostava il limite a 6 milioni di anni.

Un altro contributo fornito dall'Etiopia allo scioglimento del groviglio sempre più problematico degli alberi genealogici delle specie e delle famiglie di Ominidi è rappresentata dalla scoperta, da parte di Asfaw, White e collaboratori, di fossili molto simili per morfologia ed età a quelli dell'Australopithecus africanus del Sudafrica, ma che essi hanno assegnato a una nuova specie, A. garhi, risalente a circa 2,5 milioni di anni fa (la datazione di A. africanus in Sudafrica spaziava da circa 3,1 a 2,1 milioni di anni fa).

Dagli ultimi ritrovamenti effettuati in Etiopia e in Kenya era evidente già alla fine del XX secolo che il 'dogma', basato sull'analisi molecolare, secondo cui le linee evolutive di Ominidi e scimpanzé si erano separate tra i 7 e i 5 milioni di anni fa, non era più sostenibile.

Ma la Repubblica del Ciad aveva in serbo sorprese ancor più straordinarie. La prima è quella di un'australopitecina rinvenuta nel 1995 a Koro Toro da una spedizione franco-ciadiana guidata dal francese Michel Brunet. Il fossile venne datato a circa 3,5-3,0 milioni di anni fa e attribuito a una nuova specie, Australopithecus bahrelghazali (v. Brunet e altri, 1995). Il dato più significativo non era tanto l'età del fossile, quanto la sua collocazione geografica, in quanto il sito si trova circa 2.500 km a ovest della Great Rift Valley, dove in precedenza erano stati scoperti tutti i più antichi Ominidi africani (esclusi quelli del Sudafrica). Ed ecco un sito nel centro dell'Africa, migliaia di chilometri a ovest del Rift!

Ma nel luglio del 2002 la scoperta del 1995 è stata eclissata dal rinvenimento, sempre a opera della spedizione guidata da Brunet, di sei reperti di presunti Ominidi a Toros-Menalla, una località nel deserto del Djurab, nel Ciad settentrionale (v. Brunet e altri, 2002). Nel 2001 erano stati trovati un cranio, un frammento di mascella e alcuni denti, mentre nel 2002 sono venuti alla luce una mandibola e un altro dente isolato. I fossili presentavano una mescolanza unica di caratteri primitivi e derivati. Come ha sintetizzato efficacemente Bernard Wood, "il cranio da dietro assomiglia a quello di uno scimpanzé, mentre di fronte potrebbe passare per un'australopitecina progredita di 1,75 milioni di anni fa" (v. Wood, 2002, p. 134). Niente del genere era mai stato trovato in precedenza, ed è dunque ragionevole che Brunet e collaboratori abbiano classificato il gruppo di campioni in un nuovo genere e in una nuova specie, Sahelanthropus tchadensis (il Sahel è la regione dell'Africa che confina con la parte meridionale del deserto del Sahara in cui sono stati trovati i fossili). Non solo la morfologia era caratteristica, ma la datazione era assolutamente sorprendente: infatti, lo studio della ricca fauna associata a questi reperti e il confronto con i reperti faunistici datati con precisione di Lothagam e Lukeino in Kenya ha portato a concludere che il nuovo sito scoperto in Ciad doveva avere un'età compresa tra i 6 e i 7 milioni di anni. Questi fossili, perciò, erano anche più antichi dell'Orrorin del Kenya con i suoi 6 milioni di anni. Come era prevedibile, sono stati immediatamente espressi dubbi sul fatto che Sahelanthropus sia un ominide (nel senso in cui il termine viene usato in questo articolo). Benché l'età dei fossili sia assolutamente in accordo con la nuova datazione molecolare del tronco fondamentale degli Ominidi, ciò di per sé non costituisce una prova della loro appartenenza a questa famiglia. In ogni modo, le scoperte in Ciad stabiliscono che la presenza dei primi Ominidi non è confinata alla sola Africa orientale (e tanto meno al solo Sudafrica), ma è un fenomeno panafricano, come Tobias sostiene da tempo.

5. Considerazioni generali sugli Ominidi mio-pleistocenici in Africa

Nei cinque milioni di anni qui presi in considerazione, i fossili scoperti in Africa hanno fornito le prove che la famiglia Hominidae probabilmente esisteva già in un'epoca compresa tra 7 e 6 milioni di anni fa. L"orologio molecolare' recentemente ricalibrato indica che, sotto il profilo genetico, la famiglia degli Ominidi era comparsa alcuni milioni di anni prima, probabilmente in un'epoca compresa tra 10,0 e 13,5 milioni di anni fa. I fossili di presunti Ominidi risalenti al periodo compreso tra 7,0 e 4,5 milioni di anni fa sono stati classificati in tre generi, Sahelanthropus, Orrorin e Ardipithecus, ma ciascun genere è rappresentato da un numero esiguo di campioni estratti da un unico sito o, nel caso di Ardipithecus, da due siti. Inoltre, ciascuno di questi tre generi è monospecifico, anche se per Ardipithecus ramidus sono state individuate due sottospecie. Perciò è stata campionata solo una frazione minuscola della variabilità intragenerica e intraspecifica. Di conseguenza, ci si chiede se la proliferazione di presunti taxa di Ominidi in questo periodo sia un fenomeno biologico reale o piuttosto un artefatto dovuto ai metodi di campionamento e di analisi. In quest'ultimo caso, secondo alcuni un approccio di tipo più biodemografico e statistico probabilmente fornirebbe un quadro diverso, con un minor numero di specie e generi e una maggiore variabilità intraspecifica. Per ciò che riguarda la molteplicità dei taxa individuati, è chiaro che orientamenti diversi nella ricostruzione della filogenesi portano in direzioni opposte.

Nel periodo compreso tra 4,5 e 2,5 milioni di anni fa, gli Ominidi dominanti erano i membri del genere Australopithecus, che comprenderebbe cinque specie, A. anamensis, A. bahrelghazali, A. afarensis, A. africanus e A. garhi. Se si riuscisse a trovare campioni di dimensioni maggiori è probabile che alcune delle molte specie proposte risulterebbero invece costituire un'unica specie. Alla fine del XX secolo solo A. africanus e A. afarensis erano rappresentati da campioni di dimensioni abbastanza grandi da permettere una stima sufficientemente precisa della variabilità intraspecifica. La locomozione bipede era diffusa. I calchi endocranici, sia naturali che artificiali, dimostrano che gli encefali erano piccoli, in media poco più grandi rispetto a quelli dei moderni scimpanzé, ma più piccoli di quelli degli attuali gorilla. Lo schema delle circonvoluzioni cerebrali, nei casi in cui è identificabile, era essenzialmente del tipo di quello delle scimmie antropomorfe. Gli strumenti litici compaiono solo verso la fine di questo periodo. Benché alcuni studiosi sostengano la presenza di Australopithecus in Cina (in particolare nella forma di Hemanthropus peii), la maggior parte dei paleoantropologi concorda sul fatto che resti di Australopithecus sono stati trovati soltanto in Africa. Per la prima volta nella storia dei reperti fossili africani, importanti resti di Ominidi fossili appartenenti a questo periodo fanno la loro comparsa al di fuori dell'Africa centrale e orientale, e precisamente in Sudafrica (risalenti a circa 4 milioni di anni fa). Sempre in questo periodo di tempo compare un possibile secondo genere, Kenyanthropus, considerato contemporaneo alle tre specie di Australopithecus. Secondo alcuni, K. platyops sarebbe il progenitore di Homo, ma la maggioranza degli studiosi non ha accettato questo schema filogenetico.

Nel periodo compreso tra 2,5 e 2,0 milioni di anni fa, fecero la loro comparsa due nuovi tipi di Ominidi: il primo, Australopithecus robustus, viene talvolta attribuito a un nuovo genere, Paranthropus, e talvolta considerato come una specie politipica di Australopithecus, di cui sono state individuate diverse forme: A. (Paranthropus) robustus, A. (Paranthropus) aethiopicus e A. (Paranthropus) boisei. I reperti fossili testimoniano la presenza in Africa di queste tre forme robuste per circa 1,5 milioni di anni a partire da circa 2,5 milioni di anni fa. Il secondo tipo comparso nell'arco di tempo considerato è quello dei primitivi Homo: la prima specie a essere riconosciuta tale è stata H. habilis, presente tipicamente nell'Olduvai Gorge, nel nord della Tanzania; un'altra specie primitiva di Homo è, secondo alcuni studiosi, H. rudolfensis, un contemporaneo di H. habilis individuato in Kenya, mentre secondo altri si tratta semplicemente di una variante keniana di H. habilis. Recentemente è stato proposto un ulteriore cambiamento della nomenclatura, per cui H. rudolfensis dovrebbe essere attribuito al nuovo genere Kenyanthropus (K. rudolfensis). Una terza specie di Homo primitivo, H. ergaster, ovvero l'H. erectus arcaico africano, fece la sua comparsa all'inizio del Pleistocene, circa 1,8 milioni di anni fa. In queste forme primitive di Homo, le dimensioni del cervello - sia assolute che relative - presentano un primo incremento rispetto a quelle che avevano caratterizzato Australopithecus.

Nel periodo compreso tra 2 e 1 milioni di anni fa, i fossili rinvenuti appartengono alle ultime australopitecine robuste sopravvissute e a una molteplicità di specie di Homo - H. habilis/K. rudolfensis, i primi H. erectus/H. ergaster e in seguito H. erectus. È a partire da questo momento che nella documentazione fossile fanno la loro comparsa i primi Ominidi al di fuori dell'Africa.

6. I primi Ominidi al di fuori del continente africano

I primi fossili umani al di fuori dell'Africa sono stati individuati alla fine del XX secolo vicino a Orce nel sud-est della Spagna (risalenti a 1,5-1,0 milioni di anni fa), a La Sima de los Huesos e nella Sierra de Atapuerca nel nord della Spagna (1,0-0,3 milioni di anni fa), a Ceprano nell'Italia peninsulare (0,8 milioni di anni fa), a ᾿Ubeidiya in Israele (circa 1,4 milioni di anni fa); probabilmente sono umani anche i fossili rinvenuti a ᾿Erqel-Ahmar (circa 2,0 milioni di anni fa) in Israele, a Dmanisi nella Georgia orientale (1,8 milioni di anni fa), a Riwat in Pakistan (circa 2,0 milioni di anni fa), a Hat Pu Dai nel nord della Thailandia (datazione incerta), a Giava e Flores in Indonesia (rispettivamente da 1,8 e 0,8 milioni di anni fa), in Cina a Yuanmou (Provincia di Yunnan), a Xihoudi (Provincia di Shanxi) e nel sito di Gongwangling (Provincia di Shanxi), dove è stato rinvenuto l'uomo di Lantian (0,8-1,0 milioni di anni fa). Nella maggior parte di questi siti sono stati riportati alla luce resti ossei di Ominidi, ma in alcuni (᾿Erq-el-Ahmar, Riwat, Flores) è stato solo il ritrovamento di strumenti litici a indicarne la presenza. I rinvenimenti più antichi dimostrano che i primissimi spostamenti di popolazioni al di fuori dall'Africa si verificarono circa 2 milioni di anni fa.

Le scoperte di questi reperti fossili sono state rese note così di recente che non si è ancora riusciti a stabilire con certezza l'identità di questi primi emigranti dall'Africa, che potrebbero essere appartenuti ai primi H. erectus o H. habilis, oppure a un gruppo che mostra caratteristiche intermedie tra quelle di queste due specie (come a Dmanisi). Questo spostamento di Ominidi non si verificò al tempo degli A. africanus o degli A. garhi. Le australopitecine robuste non sono ancora state trovate nell'Africa meridionale e orientale, ma sulla base delle evidenze attuali non vi erano australopitecine tra i primi 'emigranti' dall'Africa.

Secondo alcuni ricercatori i primi spostamenti di esseri umani fuori dall'Africa potrebbero essere ricollegati alla comparsa degli strumenti litici dell'industria acheuleana, ma probabilmente questa è una visione semplicistica e parziale. Altri fenomeni importanti si erano verificati nel periodo precedente: un deterioramento del clima, cambiamenti nella flora e nella fauna, la comparsa di un tipo di ominide con un encefalo più grande e con circonvoluzioni cerebrali il cui schema, rispetto alle australopicine, ricordava meno quello delle scimmie antropomorfe e si avvicinava di più a quello umano, e con denti superiori (premolari e molari) di dimensioni piuttosto ridotte. I cambiamenti climatici, modificando la flora e la fauna che costituivano la loro fonte di sostentamento, possono aver indotto lo spostamento di alcune popolazioni di Homo fuori dall'Africa.

È ormai chiaro che i movimenti delle popolazioni non erano migrazioni vere e proprie, ma piuttosto spostamenti di piccoli gruppi umani che risiedevano in aree periferiche, ad esempio nell'Africa nordorientale, o in Nordafrica, oppure ancora nell'Africa nordoccidentale. Probabilmente questi gruppi si spostarono poco per volta alla ricerca di nicchie più ricche di risorse alimentari o con un minor numero di competitori. La vicinanza all'acqua dolce costituiva senza dubbio un fattore fondamentale nella scelta di nuove zone di insediamento.

In secondo luogo, gli spostamenti di questi gruppi fuori dall'Africa - avvenuti in modo intermittente a partire da circa 2 milioni di anni fa - non ebbero un carattere definitivo. Infatti, proprio come il collegamento di due terre in quello che attualmente è uno stretto appariva e scompariva con l'innalzarsi e l'abbassarsi del livello del mare, così le popolazioni umane devono essersi spostate avanti e indietro attraverso ponti temporanei di terraferma.

In terzo luogo, è probabile che questi viaggi attraverso diversi itinerari tra Africa ed Eurasia, nelle condizioni più diverse, siano stati bidirezionali, non a senso unico. Un fenomeno parallelo nel mondo animale è costituito dagli spostamenti dell'elefante asiatico, lo Stegodon, che dopo essere comparso, essersi diffuso e diversificato in Asia, si è spostato verso ovest in Europa, arrivando poi in Africa attraverso l'Asia sudoccidentale. Allo stesso modo, alcuni gruppi umani che si erano diversificati ed evoluti in Asia, potrebbero essersi spostati in Africa: si ritiene che ciò sia accaduto, ad esempio, per H. erectus nella sua forma definitiva. All'inizio del XXI secolo vi sono ancora due ipotesi divergenti sull'origine di H. erectus: secondo la prima esso sarebbe comparso in Africa e poi si sarebbe spostato in Asia, secondo l'altra sarebbe comparso in Asia (forse da un progenitore simile a H. habilis arrivato in Asia dall'Africa molto tempo prima) per spostarsi poi in Africa. Clarke ha avanzato l'ipotesi che H. erectus di Ceprano, in Italia, e di Olduvai Gorge, in Tanzania, molto probabilmente potrebbe essersi diffuso in Europa e in Africa a partire dal lontano Oriente (v. Clarke, 2000).

In quarto luogo, molti gruppi umani rimasero in Africa, come dimostrano gli innumerevoli strumenti litici attribuibili a varie epoche e tecnologie trovati in tutta l'Africa e i resti di scheletri, molto meno frequenti, di coloro che li avevano fabbricati. In nessuna epoca l'Africa, culla degli Ominidi, è rimasta priva della loro presenza.

In quinto luogo, questa diffusione frammentaria degli esseri umani attraverso l'Asia e il sud dell'Europa, deve averli esposti a una varietà di nuovi ambienti, di pericoli per la loro sopravvivenza, di opportunità di sviluppare nuovi adattamenti culturali e morfologici, nonché a un processo di diversificazione genetica e culturale.

7. Le origini del linguaggio

Alla fine del Novecento vi erano ancora opinioni controverse su quando fosse nato il linguaggio parlato articolato: secondo alcuni esso si sarebbe sviluppato assai tardi, con la presunta fioritura della cultura umana negli ultimi 100.000 anni, secondo altri molto prima, all'epoca di H. habilis, circa 2 milioni di anni fa. La tesi avanzata nel 1979-1980 da Tobias, secondo cui i calchi endocranici mostrano che H. habilis possedeva le basi neurologiche del linguaggio, attestate dallo sviluppo delle aree di Broca e di Wernicke (v. Tobias, 1997), era ormai stata accolta da numerosi studiosi. Altri, soprattutto archeologi, ritenevano invece che il linguaggio articolato dovesse essersi sviluppato in concomitanza con la nascita del comportamento simbolico che a loro parere era riflesso in quella fioritura della cultura umana verificatasi in epoca assai tarda, 40.000 anni fa. Tuttavia, nell'ultimo decennio sono emerse evidenze molto più precoci di comportamento simbolico, quali ad esempio le incisioni intenzionali e regolari su ossa animali rinvenute a Schöningen, in Germania, risalenti al Pleistocene medio, cioè più o meno a 400.000 anni fa. D'altra parte, la manifattura intenzionale di strumenti secondo uno stesso schema prefissato era comparsa già 2,6 milioni di anni fa. Ciò, di per sé, rappresentava un grande passo avanti nell'evoluzione umana, uno dei molti che si verificarono nel periodo intercorso tra 2,6 e 0,1 milioni di anni fa. Con quale di questi progressi culturali si può correlare lo sviluppo, per quanto rudimentale, del linguaggio articolato?

8. Le origini dell'uomo moderno

Rimasta per lungo tempo trascurata nell'ambito della paleoantropologia, la questione delle origini dell'uomo moderno ha acquistato una nuova importanza negli anni ottanta e ha determinato un acceso dibattito protrattosi per tutto il decennio successivo. Negli anni settanta e ottanta diversi studiosi di paleoantropologia, quali il sudafricano Peter Beaumont e i tedeschi Reiner Protsch e Gunter Brauer, hanno riscontrato la presenza di caratteristiche tipiche dell'uomo moderno in diversi teschi africani assai più antichi dei primi reperti extra-africani che presentavano tratti analoghi. È stata quindi formulata l'ipotesi che queste caratteristiche siano comparse per la prima volta in Africa più di 100.000 anni fa. A partire dal 1987, i biologi molecolari hanno fornito le prove che il genoma dell'uomo moderno è apparso per la prima volta in Africa, diffondendosi poi in tutte le altre parti del mondo abitate da H. sapiens. L'introduzione dell'analisi del DNA mitocondriale e dei cromosomi Y negli studi comparativi sulle attuali popolazioni umane ha reso i metodi molecolari sempre più attendibili. Ogni nuovo metodo utilizzato sembrava indicare che l'Africa era il luogo d'origine dell'uomo moderno.

Tuttavia, le banche dati ottenute in laboratori differenti in base ai metodi molecolari fornivano datazioni molto variabili per l'origine dell'uomo moderno, da meno di 100.000 a più di 600.000 anni. Inoltre, gli antropologi ritenevano improbabile che una popolazione africana fosse prevalsa su tutte le altre popolazioni africane o le avesse sterminate per poi spostarsi dall'Africa soppiantando tutte le altre popolazioni. Molti studiosi che non accettavano questa ipotesi di una 'fuoriuscita dall'Africa' sottolineavano l'evidente continuità dei tratti morfologici nelle primitive popolazioni umane e nelle popolazioni più recenti della Cina e dell'Indonesia, che a loro avviso confuterebbero l'ipotesi dell'origine africana dell'uomo moderno.

Alcuni scienziati hanno scoperto che l'assunto fondamentale degli studi molecolari, secondo cui il DNA mitocondriale si trasmetterebbe esclusivamente per via femminile, non è corretto: almeno una porzione del DNA mitocondriale verrebbe ereditata attraverso la linea maschile, e ciò inficerebbe in parte le evidenze e le deduzioni basate sull'evoluzione molecolare.

Recentemente, l'ipotesi di una origine africana dell'uomo moderno - ipotesi basata sul ritrovamento in Africa e in Oriente di crani con caratteristiche anatomicamente moderne risalenti a circa 100.000 anni fa - è stata di nuovo messa in discussione da una scoperta effettuata nella Cina meridionale, nel sito di Liujiang nella Provincia di Guangxi; infatti è venuto alla luce un cranio che secondo nuovi studi stratigrafici e il metodo di datazione basato sugli isotopi dell'uranio avrebbe un'età comparabile a quella dei campioni afro-asiatici, 111.000-139.000 anni dal presente o ancor più. I risultati ottenuti dall'analisi di fossili rinvenuti in altre località cinesi sembrano indicare datazioni simili, risalenti al tardo Pleistocene medio. Gli scienziati cui si devono queste datazioni, Guanjun Shen e i suoi collaboratori, hanno sottolineato l'importanza delle implicazioni che tali datazioni potrebbero avere relativamente all'origine dell'uomo moderno (v. Shen e altri, 2002).

Alla fine dell'ultimo decennio del XX secolo non era ancora stato raggiunto alcun accordo sulla datazione, la posizione geografica o il meccanismo di diffusione della specie umana. La relazione tra evidenze genetiche ed evidenze paleontologiche, che era parsa così chiara negli anni ottanta, deve essere riesaminata. Le origini dell'uomo moderno rimangono tuttora un affascinante enigma.

Desidero esprimere la mia più cordiale riconoscenza al professor Michel Brunet, al dottor Ronald J. Clarke, al dottor Andre Keyser, al dottor Colin Menter, al dottor David Lordkipanidze, al professor Friedemann Schrenk, al signor Peter Faugust e alla signora Heather White.

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