URTO

Enciclopedia Italiana (1937)

URTO (fr. choc; sp. choque; ted. Stoss; ingl. impact)

Bruto CALDONAZZO
Bruno CASTIGLIONI

Le prime ricerche sull'urto dei corpi sono dovute a Galileo, che nella sesta giornata dei Discorsi tratta dell'"ammirabile problema della percossa", mettendo in rilievo, fra l'altro, che nell'urto diretto di due corpi interviene essenzialmente la velocità relativa dell'uno rispetto all'altro. Ulteriori tentativi di studio dell'urto sono dovuti al boemo Marcus Marci (1595-1667) e a Cartesio.

Il primo studio sistematico dell'urto fu proposto nel 1668 dalla Società reale di Londra, cui risposero, quasi contemporaneamente, J. Wallis (urto anelastico), Ch. Wren e Ch. Huygens (urto elastico). Un notevole contributo fu portato, pochi anni dopo, da Newton, che considerò il caso intermedio tra urto elastico e urto anelastico (urto fisico). Ebbe così inizio quella teoria che si può dire meccanica (più precisamente stereodinamica) dell'urto di due o più corpi, la quale riguarda questi come rigidi prima e dopo l'urto, teoria che ha trovato il suo assetto definitivo nella meccanica dei moti impulsivi (v. impulsivo, moto, XVIII, p. 946).

Tale teoria trascura però l'andamento del fenomeno durante l'urto e risulta troppo schematica per poter bastare a tutti i problemi che interessano tanto la meccanica quanto la fisica e specialmente la meccanica applicata. L'urto di due o più corpi non è istantaneo, pur essendo di breve durata, e provoca nei corpi, oltre che una deformazione, uno stato di vibrazione che persiste qualche tempo dopo l'urto. Lo studio dell'urto di corpi elastici, che tiene conto delle vibrazioni eccitate e del modo come esse vengono eccitate, si inquadra nella teoria dell'elasticità. Questo studio ha dato luogo a quella che si può chiamare teoria elastica dell'urto.

Teoria Meccanica. - La durata dell'urto, sperimentalmente molto breve, viene supposta infinitesima (urto istantaneo), ma infinitamente grandi le mutue azioni tra i corpi che si urtano, per cui determinato e finito risulta tanto l'impulso risultante I di queste azioni (v. impulso) quanto il loro momento M. Per effetto dell'urto restano inalterate le configurazioni dei corpi, mentre le velocità v dei singoli punti subiscono un brusco sbalzo. Detta v- la velocità anteriore all'urto e v + quella posteriore, lo sbalzo di v è Δv = v+ − v-. I corrispondenti incrementi della quantità di moto Q e del momento della quantità di moto K sono legati a I e a M dalle due equazioni cardinali dei moti impulsivi (v. impulsivo, moto)

Nel caso di un sistema con vincoli indipendenti dal tempo, reversibili e senza attrito, vale l'equazione simbolica dei moti impulsivi, dalla quale segue, quando non intervengano impulsi direttamente applicati, il teorema di Carnot. Il sistema, in causa degli urti interni, subisce una perdita complessiva − ΔT di forza viva, eguale alla forza viva Θ dovuta alle brusche variazioni delle velocità (velocità perdute).

Nel caso dell'urto di due corpi solidi, quando intervengono soltanto gli impulsi interni dovuti all'urto (e quindi sono nulli I e M), supposti noti gli atti di moto anteriori all'urto, le due equazioni cardinali del moto forniscono soltanto sei relazioni scalari per le dodici caratteristiche scalari, sei per ciascun corpo, dell'atto di moto posteriore. Perciò, se non intervengono ulteriori condizioni, il problema risulta indeterminato, con sei gradi di indeterminazione. Questi gradi possono essere ridotti dall'intervento di vincoli per i due corpi, quali ad es. potrebbero essere punti o assi fissi.

Nel caso classico, in cui gli atti di moto anteriore e posteriore sono traslazioni rettilinee, parallele alla retta Ox individuata dai centri di massa dei due corpi (urto centrale e diretto), vi è un solo grado di indeterminazione. Infatti se v1 e v2 sono le velocità scalari secondo Ox dei due corpi, le equazioni cardinali si riducono all'unica equazione (della conservazione della quantità di moto)

(m1 e m2 sono le masse dei due corpi), con incognite le due velocità dopo l'urto v1+ e v2+. Un criterio per determinare il problema è stato dato da Newton, con una ipotesi che riassume statisticamente gli effetti dell'urto fisico, effetti che la teoria stereodinamica non può considerare. L'ipotesi di Newton, entro certi limiti in sufficiente accordo con i risultati sperimentali, consiste nell'ammettere che la velocità relativa dei due corpi dopo l'urto sia una frazione di quella anteriore e di verso opposto:

dove e (coefficiente di restituzione) è un numero compreso tra 0 e 1, dipendente solo dalle caratteristiche elastiche dei due corpi. Questa seconda equazione, assieme alla precedente, determina il problema e permette di ricavare le velocità dopo l'urto:

avendo indicato con v la velocità del baricentro dei due corpi, velocità che non viene modificata dall'urto. La perdita di energia è data da

energia dovuta alle velocità perdute, secondo il teorema di Carnot, teorema che risulta verificato per e = 0 (urto anelastico, secondo Wallis), nel qual caso si ha la massima perdita di energia. Invece nell'altro caso estremo e = 1, tutta l'energia cinetica viene restituita dopo l'urto (ΔT = 0) e l'urto risulta completamente elastico (Wren, Huygens).

Il comportamento energetico nel caso intermedio, cioè per valori di e interni all'intervallo (0,1), è istruttivo dal punto di vista globale qualitativo anche per il caso di un urto qualsiasi. Più i corpi che si urtano sono elastici (più e si accosta ad 1) e più piccola è la perdita di energia. Se uno dei due corpi, prima dell'urto, è fermo, ad es., v2 = 0, l'energia perduta per unità di energia impiegata (m1 v1-2/2) è

che, a parità di e, e quindi di materiale di costruzione, e a parità di energia impiegata, suggerisce di prendere anche nel caso di un urto qualsiasi una massa m1 grande (e quindi v1 piccola) se si vuole una piccola perdita di energia, e al contrario una m1 piccola (e quindi v1 grande) se si vuole una grande perdita di energia, come ad esempio quando si voglia conficcare un chiodo a colpi di martello.

Supponiamo ora che il secondo corpo abbia una massa molto grande rispetto a quella del primo, cosicché sia m1/m2 trascurabile rispetto all'unità, come avviene quando il primo corpo urta contro il suolo o contro una parete, nel qual caso è anche v2- = 0. Si trova allora, in base ai risultati indicati sopra, v1+ = ev1- quale velocità di rimbalzo del primo, mentre il secondo sta fermo. Supposto che il corpo mobile cada per effetto del suo peso, nel vuoto, sul suolo orizzontale, da una altezza h e rimbalzi a una quot h′, è allora (assumendo Ox verticale ascendente) v1- = −

dalle quali, in base alla precedente relazione, si ricava

che permise già a Newton di valutare sperimentalmente e. Vel caso in cui il corpo che rimbalza è sferico e il suolo è dello stesso materiale della palla, per h = 40 cm. sono stati trovati ad es. i seguenti valori per e: legno 1/2, acciaio 5/9, avorio 8/9, vetro 15/16.

Nel caso di urto di corpi in rotazione il problema analogo al precedente è offerto da due corpi girevoli indipendentemente uno dall'altro intorno allo stesso asse e che a un certo istante vengono bruscamente messi a contatto, come si verifica spesso nelle macchine. Ancor qui le equazioni cardinali importano una sola equazione scalare, quella che esprime la conservazione del momento delle quantità di moto rispetto all'asse, con incognite le due velocità di rotazione dopo l'urto. Il grado di indeterminazione del problema si può togliere introducendo, con una ipotesi analoga a quella di Newton, un coefficiente di restituzione per le velocità relative di rotazione. Tutti i risultati precedenti si possono tradurre per questo caso sostituendo le masse con i momenti di inerzia J1 e J2 dei corpi rispetto all'asse, le velocità v con le velocità di rotazione w. Ad esempio il caso, molto frequente nella pratica, in cui il primo corpo in rotazione viene accoppiato col secondo in quiete mediante un manicotto a. frizione, per cui il sistema compie una rotazione d'assieme, corrisponde a un urto perfettamente anelastico del caso precedente (e = 0) e si trova per la velocità d'assieme

con la perdita di energia (perdita massima)

Speciale interesse presenta il caso di un corpo girevole intorno a un asse, che subisce un brusco impulso mediante una percossa, come avviene, ad es., nel pendolo balistico (v. impulsivo, moto).

Quando poi l'urto tra due corpi non avviene secondo la normale comune alle superficie nel punto di contatto (urto obliquo), come avviene, ad es., tra palla e sponda del bigliardo, si deve tener conto anche dell'eventuale attrito tra corpo e corpo. Uno studio sistematico di questo problema, anche con l'ausilio di rappresentazioni grafiche, è dovuto specialmente a E. J. Routh. Notevole il risultato che la perdita di energia importa sempre, quando l'attrito agisce staticamente, un angolo di riflessione maggiore di quello d'incidenza.

Teoria elastica. - Appena avviene l'urto tra due o più corpi elastici ha inizio una deformazione, per effetto della quale, dalla regione ove è avvenuto il contatto, si propaga in ciascuno dei corpi un sistema di vibrazioni, con velocità che dipendono dalle caratteristiche elastiche del corpo. La deformazione, dalla fase piogressiva, attraverso un massimo, passa successivamente a quella regressiva fino al cessare dell'urto. In generale però lo stato di vibrazione si spegne solo dopo la fine dell'urto. L'energia che i corpi comunicano al mezzo ambiente, in prevalenza sotto forma acustica, e quella assorbita, sotto forma termica, dai corpi stessi e spesa parte nel lavoro della deformazione propriamente detta e parte nella dissipazione interna delle vibrazioni, importano sempre una perdita, in senso meccanico, dell'energia cinetica che i corpi possedevano prima dell'urto. Astraendo dal mezzo ambiente, nel quale l'energia dispersa è trascurabile di fronte a quella posseduta dai corpi all'inizio dell'urto, il problema cinematico e dinamico si può impostare sulla teoria classica dell'elasticità. Un primo tentativo in questo senso è dovuto a S.-D. Poisson (1833); seguono quindi le ricerche di A.-J.-C. de Saint-Venant (1867), di F. Neumann e W. Voigt (1882), che studiarono l'urto longitudinale di sbarre elastiche sottili, dello stesso materiale, o l'urto subito da una sbarra percossa a un estremo, l'altro estremo essendo libero o no. All'inizio dell'urto si eccita in ogni sbarra un'onda longitudinale, che si propaga all'altro estremo, di dove si riflette fino all'estremo eccitato, influenzando l'urto, se questo non è ancora cessato.

Urti trasversali su sbarre, come si verifica, ad es., per la caduta di carichi improvvisi su di un ponte, oltre che dal De Saint-Venant furono studiati da J. Boussinesq (1883), da A.-A. Flamant e altri.

Questi problemi vengono impostati sulle equazioni dell'elasticità per il caso unidimensionale, con speciali condizioni all'inizio dell'urto e condizioni ai limiti sulla superficie libera o eventualmente vincolata dei corpi che si urtano. La durata dell'urto è legata ai tempi impiegati dalle onde elastiche a percorrere i corpi e a riflettersi. I risultati teorici non sono stati però sufficientemente confermati dai risultati sperimentali. Ad es., è stato trovato per la durata dell'urto longitudinale di due cilindri sottili di acciaio, di egual lunghezza l = 30 cm., il valore t = 6.10-4 sec., mentre la teoria dà il doppio. Inoltre, mentre secondo la teoria t dovrebbe crescere proporzionalmente a l, sperimentalmente si riconosce che t cresce molto più lentamente.

Più soddisfacente, per quanto riguarda la durata, risulta la teoria di H. Hertz (1884), che partendo dalla sua soluzione statica relativa alla deformazione di due corpi a contatto e alla forza con cui sono premuti uno contro l'altro, ha dedotto una teoria dell'urto che rientra, come caso limite, nella teoria generale elastica, in quanto Hertz ha supposto che la durata dell'urto sia grande rispetto al tempo impiegato dalle vibrazioni eccitate dall'urto a percorrere distanze dell'ordine di quelle dell'area di contatto. I risultati salienti di Hertz si possono riassumere nei due seguenti: nell'urto diretto di due corpi, la deformazione massima è proporzionale a v4/5 e la durata dell'urto è inversamente proporzionale a v1/5, v essendo la velocità relativa con la quale i due corpi inizialmente si urtano. I coefficienti di proporzionalità sono determinate funzioni delle masse, delle costanti elastiche dei corpi, oltre che della curvatura delle loro superficie nella regione del contatto. Nel caso in cui i due corpi sono sferici la durata è proporzionale al loro raggio. Per due sfere di acciaio delle dimensioni della Terra, che si urtano con la velocità di un cm. al secondo, la durata sarebbe di circa 27 ore.

I risultati sperimentali, sempre che l'urto risulti sufficientemente lento e quindi per v convenientemente piccole, sono in buon accordo con la teoria di Hertz. Non valgono più per urti non lenti. Tentativi furono fatti per estendere la teoria di Hertz, nel caso di urti non lenti, ai successivi periodi delle oscillazioni proprie dei corpi, agli urti quasi plastici. Nel caso di urti rapidi si cercò anche di modificare la legge che lega la forza, con cui due corpi vengono schiacciati uno contro l'altro, e la deformazione.

Però tutta la teoria elastica, anche se entro certi limiti si accorda con i risultati sperimentali, non risolve esaurientemente il problema, tanto che in certi casi risulta più soddisfacente la teoria meccanica, la quale del resto è stata posta a base della teoria cinetica dei gas e serve altresì per l'urto di nuclei e di elettroni. Le esigenze poi della tecnica moderna, specialmente per i casi in cui i cimenti ai quali vengono sottoposte le varie strutture di una macchina sorpassano i limiti pei quali l'una e l'altra teoria sono attendibili, hanno affinato gli apparecchi di ricerca sperimentale, nei quali si ricorre a procedimenti elettrici, fotografici, cinematografici per la misura di tutti gli elementi salienti degli urti, quali le deformazioni, le vibrazioni e le durate.

Bibl.: T. Levi-Civita e U. Amaldi, Lezioni di meccanica razionale, II, ii, Bologna 1926, cap. 12°; Encyckl. der math. Wiss., IV, articoli 1, 6, 9, 10, 24, 26; Handb. der Physik, VI, cap. 7°, Berlino 1928; Handb. der Experimentalphysik, III, Lipsia 1929, cap. 6°.

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