Usufrutto

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Diritto reale di godere della cosa altrui, immobile o mobile, comprese tutte le accessioni della medesima, e di trarne ogni utilità con il rispetto della sua destinazione economica e salvo le limitazioni imposte dalla legge.

Diritto romano

L’u. appartiene alla categoria degli iura in re aliena ed è tradizionalmente qualificato come servitù personale: ma questa qualifica, se è esatta per il diritto giustinianeo e quello comune, è inesatta per il diritto classico (che non la conobbe) e per le codificazioni. Con funzione tipicamente alimentare, che conserva in tutta la sua storia, l’istituto sorge, in età relativamente recente, nella prima metà del 2° sec. a.C., a Roma. Soggetti ne sono persone fisiche o giuridiche, oggetto cose corporali inconsumabili. Si costituisce, nel diritto classico, per in iure cessio, adjudicatio, legato per vindicationem, deductio, e sui fondi provinciali per cautio et stipulatio, in diritto giustinianeo per legato, deductio, traditio, e, in dati casi (tipico l’u. del pater sui bona adventicia del figlio) anche per legge. Si estingue nel diritto classico per in iure cessio (questa volta in favore del proprietario), consolidatio (riunirsi, nella stessa persona, dei titoli di usufruttuario e di proprietario), non uso, morte, o capitis deminutio, dell’usufruttuario, perimento della cosa; nel diritto giustinianeo per rinuncia, non uso, morte (trascorrere di 100 anni, se si tratti di persona giuridica), capitis deminutio (a esclusione della minima), perimento della cosa. L’u. è, in conformità alla sua funzione economica, un diritto strettamente personale: come si estingue per morte o capitis deminutio, così non si può cedere ad altri, ma se ne può cedere solo l’esercizio. L’usufruttuario ha poteri molto limitati in diritto classico: fa suoi i frutti quando li raccoglie (perceptio); non può apportare modificazioni alla destinazione economico-sociale della cosa. Ma su questo secondo punto il diritto giustinianeo è assai più largo. Quasi u. è un diritto avente per oggetto cose consumabili (per es., denaro): è solo di nome simile all’u., perché importa trasferimento di proprietà sulla cosa. Non vi è u. di cose incorporali: tuttavia si ammette che, se il testatore leghi l’u. di una servitù o di un credito, il legatario possa in fatto godere dei benefici della servitù e degli interessi prodotti dal credito. Nel diritto comune è notevole, sotto l’aspetto teorico, la decisa configurazione dell’u. come pars dominii (di cui tracce si trovano presso i Romani) e, sotto l’aspetto pratico, l’allargamento dei poteri dell’usufruttuario.

Diritto civile

Nel diritto vigente, la durata dell’u. non può eccedere la vita dell’usufruttuario o il periodo di 30 anni se esso sia costituito a favore di una persona giuridica (art. 979 c.c.). L’usufruttuario può anche cedere il proprio diritto per un certo periodo o per tutta la sua durata; egli tuttavia è tenuto a notificare detta cessione (art. 990 c.c.). L’u. può essere legale o volontario, cioè costituito per volontà della legge o dell’uomo (art. 978 c.c.). È legale quello sui beni del minore (che, per l’art. 324 c.c., modificato dalla l. 151/1975, spetta a entrambi i genitori). È volontario quello che è costituito con un contratto (a titolo gratuito od oneroso) o con atto mortis causa (legato di u.). L’usucapione è riconosciuta come titolo di acquisto dell’u. (art. 1153, ultimo comma, c.c.). I diritti dell’usufruttuario consistono, dopo aver conseguito la disponibilità della cosa, nel conservare la cosa stessa, godendone i frutti naturali e civili (art. 982 e 984 c.c.), avendo riguardo alla natura della cosa nell’eseguire le addizioni ritenute utili, purché non tali da alterare l’originaria destinazione economica (art. 986 c.c.). Per quanto concerne le cose consumabili, l’usufruttuario può servirsene, ma assume l’obbligo di pagarne il valore al termine dell’u. secondo la stima convenuta, ovvero, in difetto di quest’ultima, il valore al tempo in cui ha fine l’u., ovvero ancora assume l’obbligo di restituirne altre in uguale quantità e qualità (art. 995 c.c.). Se fra le cose costituenti l’oggetto dell’u. ne esistono anche di deteriorabili, l’usufruttuario ha diritto di servirsene secondo l’uso al quale sono destinate, assumendo conseguentemente l’obbligo di restituirle alla fine nello stato in cui si trovano (art. 996 c.c.). Se oggetto dell’u. sono impianti, opifici o macchinari aventi destinazione produttiva, l’usufruttuario è obbligato ad assicurarne il regolare funzionamento, provvedendo alle riparazioni e sostituzioni necessarie: tuttavia se egli è stato costretto, al fine di assicurarne il regolare funzionamento, a sopportare spese che eccedono quelle delle ordinarie riparazioni, il proprietario, al termine dell’u., è tenuto a corrispondere un’adeguata indennità (art. 997 c.c.). Le scorte vive e morte di un fondo debbono essere restituite in uguale quantità e qualità: l’eccedenza o la mancanza debbono essere valutate in denaro, secondo il loro valore al termine dell’u. (art. 998 c.c.). Gli obblighi dell’usufruttuario sono: predisporre l’inventario dei mobili e la descrizione degli immobili, fornire l’idonea garanzia di godere della cosa con la diligenza del buon padre di famiglia (se la garanzia non sia prestata o sia insufficiente, sono dettate alcune disposizioni particolari: art. 1003 c.c.); sopportare le spese di custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria, i carichi annuali (imposte, canoni, rendite fondiarie e altri pesi che gravino sul reddito); rendere note al proprietario le pretese di terzi sulla cosa, rispondendo in difetto dei danni che possano derivare al proprietario (art. 1012 c.c.). Durante l’u., il nudo proprietario ha il diritto a non vedere alterata la destinazione economica della cosa, a far proprio il tesoro eventualmente scoperto (salvo il diritto dell’usufruttuario quale ritrovatore), a far propri gli alberi di alto fusto, divelti, spezzati o periti accidentalmente (art. 990 c.c.); il proprietario ha tuttavia l’obbligo di eseguire le riparazioni straordinarie (art. 1005 c.c.), e di sopportare i pesi gravanti sul nudo diritto di proprietà. L’u. si estingue per la morte dell’usufruttuario, per lo spirare del termine, per il non-uso ventennale, per il perimento totale della cosa, per rinunzia, per abusi dell’usufruttuario (avendo presente che in quest’ultimo caso il giudice può anche dare provvedimenti diversi dall’estinzione: art. 1015 c.c.). Effetto dell’estinzione è la consolidazione dell’u. nella nuda proprietà, operante automaticamente senza bisogno di pronuncia al riguardo. Derivano dall’estinzione obblighi dell’usufruttuario (restituzione della cosa, restituzione delle scorte ecc.) e diritti (indennità per i miglioramenti e le riparazioni straordinarie, diritto di ritenzione per il recupero delle spese incontrate ai sensi dell’art. 1011 c.c.), corrispondenti ad analoghi diritti e obblighi del proprietario.

Particolari specie di u. su beni immateriali sono il diritto di autore nelle sue manifestazioni economiche, i diritti di brevetto e l’u. di azienda. Quest’ultimo è disciplinato dall’art. 2561 c.c., secondo cui l’usufruttuario di azienda deve gestirla sotto la ditta originaria senza modificarne la destinazione e in modo da conservarne l’efficienza.

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