VALACCHIA

Enciclopedia Italiana (1937)

VALACCHIA (romeno Valahia; A. T., 79-80)

Marina EMILIANI SALINARI
Angelo PERNICE

Regione della Romania confinante con la Transilvania e la Moldavia a N., la Bulgaria a S., la Dobrugia a SE., il Banato e la Iugoslavia ad O. I limiti di tale regione, che ha una superficie di 76.583 kmq., sono nettamente definiti a NO. dal gigantesco arco dei Carpazî che la separa dal Banato e dalla Transilvania, a sud dal Danubio che, con largo semicerchio, per circa 800 km. da Vârciorova a Brăila, segna il confine con la Iugoslavia, la Bulgaria e la Dobrugia. Entro questi limiti, è compresa una regione naturale, costituita da una serie di terrazze mioceniche e plioceniche, che l'erosione ha profondamente inciso, dando luogo a una regione di medie colline, che raramente oltrepassano i 600 m. A nord e ad ovest la regione collinare si appoggia, a guisa di anfiteatro, all'arco carpatico, degradando regolarmente a sud, verso le vaste pianure di alluvioni quaternarie che accompagnano la riva sinistra del Danubio. La fertile e popolosa valle dell'Olt segnò nella Valacchia il confine tra le due provincie storiche della Muntenia o Grande Valacchia (a est dell'Olt), e Oltenia o Piccola Valacchia (ad ovest). Queste due provincie, pur avendo comuni caratteri di rilievo, presentano aspetti fisici diversi, per cui il solco dell'Olt, oltre che frontiera politica delle due provincie, può anche considerarsi, all'incirca, come una divisione naturale tra le due regioni. Nell'Oltenia la regione collinare raggiunge il suo massimo sviluppo occupando circa i 2/3 dell'intera superficie; a nord una larga depressione, zona di antico popolamento e di notevole densità, separa la regione collinare dall'arco carpatico vero e proprio, mentre a sud le colline neogeniche degradano dolcemente sino a confondersi nella pianura, ristretta tra il piede delle colline e il Danubio. Nella Muntenia, invece, la regione collinare si riduce ad appena ⅓ della superficie totale; a nord si salda strettamente all'arco carpatico, dal quale difficilmente si distingue, mentre a sud, con brusco declivio, scende sulla pianura danubiana che ha qui la sua massima estensione. A tali vaste pianure, che raggiungono nella Muntenia orientale la loro maggiore ampiezza, si deve uno degli aspetti più caratteristici del paesaggio valacco; più del 65% dell'intera superficie della Valacchia è infatti al disotto dei 200 m. Costituite di alluvioni quaternarie, ricoperte da un potente strato di löss e di fertile terra nera, simile al černozem russo, e povere di acque, pur presentando in alcuni punti (Bărăgan) il carattere di vera steppa, esse sono particolarmente favorevoli all'agricoltura (cereali).

La regione collinare a nord e ad ovest trapassa nei Carpazî che, a occidente della Dâmboviţa (Alpi Transilvaniche), formano una poderosa muraglia, costituita da massicci cristallini ben individuati, dall'altitudine media assai elevata, raggiungenti le maggiori altezze dei Carpazî meridionali (Negoi, 2544 m., Vârful Mândra, 2929 m.). Poco popolata e dall'aspetto selvaggio, questa sezione occidentale costituisce una barriera difficilmente valicabile. Gli unici accessi sono dati dalle gole dei fiumi (Jiu, Olt) che, con le loro valli trasversali, costituirono fin dall'antichità le uniche vie di comunicazione tra la Valacchia e la Transilvania. Ad est della Dâmboviţa l'arco carpatico trapassa in una serie di catene montuose costituite di rocce sedimentarie del flisch cretacico (calcari, arenarie, conglomerati) dalle forme arrotondate, e dall'altitudine meno elevata, facilmente accessibili, attraverso numerose valli fertili e ben popolate (Ialomiţa, Prahova, Buzău).

Al Danubio confluisce tutta la rete idrografica della Valacchia, per mezzo di una serie di corsi d'acqua (Jiu, Olt, ArgeŞ Ialomiţa, Buzău) che scorrono, per lo più paralleli tra di loro, con direzione generale NO.-SE. La maggior parte di essi nasce al di là della catena carpatica che varcano con selvagge gole. All'uscita dei Carpazî, attraverso il materiale facilmente erodibile (marne, argille) delle colline subcarpatiche, tali corsi d'acqua hanno inciso valli ampie e profonde che si allargano verso sud sino a confondersi con la pianura danubiana. Le fertili terrazze alluvionali, che si estendono ai lati delle valli, formano zone di intenso popolamento nelle quali si raggiungomo densità superiori ai 100 ab. per kmq.

Il clima è prettamente continentale con forti escursioni annue e diurne (Bucarest: media annua 10°,6; massima 22°,9; minima −3°).

Le precipitazioni, scarse nelle pianure, dove non superano i 500 mm. annui, aumentano sensibilmente da E. ad O., cosicché nell'Oltenia la media annua è superiore a quella della Muntenia (Craiova 680 mm.; Bucarest 583 mm.). Copiosissime sono, invece, le precipitazioni nei Carpazî, dove raggiungono medie superiori ai 1200 mm.

In Oltenia le piogge sono prevalentemente primaverili (massimo in maggio), mentre nella Muntenia cadono in prevalenza d'estate. Tali contrasti sono dovuti al comportamento del regime dei v enti dominanti nella Valacchia e cioè dell'austru, ventti umidti del sud-est apportatore di pioggia, e del crivăţ, vento freddo di nord-est.

La Valacchia, che nel 1930 contava 554.477 abitanti, è, dal punto di vista etnico, una delle regioni romene più compatte: infatti il 93,3% dell'intera popolazione è rappresentato da Romeni; l'elemento alloglotta, ristietto nei soli grandi centri, è costituito di Ebrei (4%), numerosi nei dipartimenti di Ilfov e Râmnicul-Sărat; di Bulgari, in numero considerevole nel dipartimento di Prahova e nelle terrazze danubiane dell'Oltenia, e di un piccolo numero di Zingari sparsi in tutta la regione. La densità media della Valacchia è di 69 ab. per kmq. (densità media del regno 61 ab. per kmq.); i distretti più popolosi, eccettuato quello di Ilfor, in cui sorge Bucarest, sono quelli di Prahova (478.047 ab.), Dâmboviţa (487.355 ab.) e Buzău (309-425 ab.). La zona di più antico popolamento, nella quale la densità si è mantenuta sempre notevolmente elevata, è rappresentata dalle pendici meridionali delle colline subcarpatiche (podgoria) al contatto di queste con la pianura. Nella podgoria di PloeŞti, ad esempio, alla fine del sec. XIX, prima del gmnde incremento dovuto all'industria petrolifera, si raggiungevano già densità superiori ai 120 ab. per kmq. Le grandi vallate dei fiumi (Prahova, Buzău, Olt, ecc.) rappresentano anch'esse zone di intenso popolamento (più di 100 ab. per kmq.). Scarsissima è, invece, la densità nei Carpazî valacchi (circa 5 ab. per kmq.) e nella vallata danubiana malsana e acquitrinosa (Balta). Le recenti riforme agrarie hanno notevolmente mutato l'aspetto delle pianure valacche e, in special modo, quello delle pianure steppose ad est di Bucarest (Bărăgan) nelle quali, da densità minime (da 2 a 4 ab. per kmq.), si è passati a una media di oltre 27 ab. per kmq.

La popolazione, dedita in maggioranza all'agricoltura, è accentrata in grossi villaggi, sorti lungo le più importanti vie di comunicazione rappresentate dalle vallate dei fiumi. I centri principali sorgono di preferenza sul Danubio, quali porti lluviali, o si allineano sul bordo meridionale delle colline là dove facili si presentano le comunicazioni con la pianura e con la montagna. Oltre Bucarest (v.), la capitale, sono da ricordare PloeŞti (77.325 ab. nel 1930), importante nodo ferroviario sulla via internazionale di Predeal e notevolissimo centro industriale; Brăila (68.310 ab.), uno dei maggiori mercati di cereali romeni e attivissimo porto danubiano; Craiova, il centro più importante della Valacchia occidentale e antica capitale dell'Oltenia (36.115 ab.); Buzău (36.115 ab.), notevole mercato agricolo; Giurgiū (30.348 ab.), sorta su un importante passo danubiano e attivo porto petrolifero; TârgoviŞte (22.482 ab.), PiteŞti (19.630 ab.), Turnu-Măgurele (17.359 ab.), Turnu-Severin (21.073 abitanti).

La Valacchia è una regione a economia prevalentemente agricola; la coltura di gran lunga più importante è quella del grano alla produzione del quale sono particolarmente adatte le terre nere che ricoprono le vaste piane alluvionali. Il mais è coltivato in particolar modo nella regione collinare; importanza notevolissima ha inoltre la vite, coltivata in tutta la podgoria e nelle vallate dell'Olt e del Jiu, e il tabacco, il cui prodotto costituisce circa un terzo della quantità totale prodotta in Romania. Molto estesa è anche la coltura del prugno, il cui frutto, distillato, è utilizzato per la fabbricazione della ţuica. La superficie forestale, benché ridotta alle pendici carpatiche, occupa tuttora il 20% dell'area totale. Notevole è l'allevamento bovino, equino ed ovino esercitato ovunque.

Le risorse minerarie sono basate soprattutto sullo sfruttamento dei ricchissimi giacimenti petroliferi situati nella Muntenia orientale, tra il corso superiore della Ialomiţa e quello del Buzău nei distretti di Prahova, Dâmboviţa e Buzău. Questi distretti forniscono dal 70 al 90% della produzione totale del petrolio romeno. Alla testa è il distretto di Dâmboviţa che produsse nel 1933, 3.934.000 tonnellate di petrolio, mentre in leggera diminuzione è quello di Prahova, 3.318.000 tonn. Moderni e attrezzatissimi stabilimenti provvedono al raffinamento e alla distillazione del petrolio: i soli stabilimenti di Prahova occupano più di 20.000 operai. A mezzo di oleodotti, che fanno capo a Giurgiu, si effettua il trasporto del petrolio greggio e del petiolio illuminante. Notevoli sono, inoltre, i giacimenti di salgemma nella valle dell'Olt (Ocnele Mari) ed a Slănic, e di lignite localizzati presso la regione petrolifera.

Tra le industrie, siiluppatissime sono quelle meccaniche a PloeŞti (attrezzi di sondaggio) e alimentari a Brăila, Craiova e Bucarest.

Le principali vie di comunicazione si dirigono dai porti danubiani verso la regione montuosa seguendo le valli degli affluenti danubiani (Jiu, Olt, ArgeŞ, Ialomiţa, Buzău che costituiscono comodi passaggi verso la Transilvania; altre si irradiano da Bucarest. Tra le più importanti sono da ricordarsi le longitudinali Bucarest-PloeŞti-Predeal-BraŞov (valle della Prahova); la Corabia-Sibiu (valle dell'Olt); la Craiova-Târgu-Jiu e la trasversale Bucarest-Craiova-Vârciorova.

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Storia. - Le invasioni barbariche in nessuna parte operarono un così profondo rivolgimento politico ed etnico come nella regione carpatica e nella penisola balcanica. Qui Roma con la sua opera di incivilimento aveva assimilato le popolazioni traco-illiriche creando una latinità orientale i cui confini si trovavano nella Macedonia meridionale, dove cominciava il mondo ellenico. Il flusso degl'invasori, in quelle regioni, dal sec. III al sec. XIII non ebbe mai sosta: alcuni di essi lasciarono poche tracce del loro dominio; ma altri vi si fissarono stabilmente. La conseguenza più immediata di queste invasioni e di questi stanziamenti fu il disgregamento della latinità orientale. Il latinismo, tuttavia, non scomparve e già sin dal sec. IX sono segnalate, prima nella regione a sud del Danubio, poi in quella carpatica, genti di lingua latina che conservano viva la tradizione della loro origine romana. Con nome che indica appunto la loro appartenenza alla latinità, essi son detti Vlahi (Olachi, Walati), cioè Valacchi, e la regione da loro abitata Vlahia, Valacchia. Nel sec. XII si trovano gruppi più o meno numerosi di Valacchi: nella Tessaglia, che è chiamata Grande Valacchia; nell'Etolia e nell'Acarnania, dove si trova una Piccola Valacchia; nell'Epiro settentrionale, detto anche Valacchia Superiore; nella Bulgaria, dove costituiscono un elemento politico imporiante durante il secondo impero bulgaro al quale diedero la dinastia regnante degli Assanidi (v. bulgaria); al di là del Danubio, nella Cumania, che verso la fine del sec. XIII, per l'estendersi della sovranità dei re Magiari è detta Ungro-Vlahia, cioè Valacchia ungherese; nella Transilvania, detta dai Valacchi Ardeal; nella regione posta più a oriente, fra i Carpazî e il Nistro (Dnestr), che poi prese il nome di Moldavia. Di questi gruppi, quello della pianura fra i Carpazî e il Danubio, cioè quello dell'Ungro-Vlahia, che poi fu chiamata senz'altro Valacchia, fu il primo a scuotere il dominio straniero e a costituire uno stato proprio facendosi centro di vita politica e nazionale valacca, che è quanto dire romena (v. romania). Ciò avvenne agli inizî del sec. XIV per opera di Bassarab, un capo locale che aveva la sede in Câmpulung, sul versante meridionale dei Carpazî.

In quel tempo quella regione si trovava sotto la sovranità dei re d'Ungheria che a colonizzarla vi avevano chiamato i cavalieri dell'Ordine Teutonico, ed era contemporaneamente tributaria del khān dei Tatari; ma né questi né quelli l'occupavano o governavano direttamente. Essa era retta da magistrati locali detti in lingua romena judici (lat. judices), in lingua slava cniezi e voevodi, la cui posizione di fronte ai sovrani d'Ungheria era analoga a quella dei vassalli rispetto al re nelle monarchie feudali.

Bassarab governava, agl'inizî del sec. XIV, appunto in questa regione. Approfittando dei disordini scoppiati in Ungheria all'estinzione della dinastia degli Arpád e dell'indebolimento della potenza tatarica, fra il secondo e il terzo decennio del sec. XIV, Bassarab riuscì a imporre la sua autorità ai numerosi giudici e voevodi della pianura a oriente e a occidente dell'Olt, assumendo il titolo di gran voevoda e gli atteggiamenti di principe indipendente. Nel 1330 l'angioino Carlo Roberto, diventato re d'Ungheria, intraprese contro di lui una spedizione, ma fu sconfitto nelle vicinanze di ArgeŞ e dovette accettare il fatto compiuto. Bassarab, da parte sua, riconobbe l'alta sovranità della corona ungherese sui territorî soggetti al suo dominio. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1352, la sua opera fu continuata dai suoi discendenti: Nicola Alessandro (1352-1364); Vladislav o Vlaim (1364-1374); Radu I (1374-1385); Dan I (1385-86); Mircea l'Antico (1386-1418), nei primi anni del quale lo stato raggiunse la sua massima estensione comprendendo tutta l'Ungro-Valacchia, la contea di Amlas e FăgăraŞ, il banato di Severin, i territorî lungo le due sponde del Danubio fino al Mar Nero con la città di Silistria e la Dobrugia e "le parti tatariche", cioè la parte meridionale dell'attuale Bessarabia, e che trasportò la capitale da Curtea de ArgeŞ a TârgoviŞte.

Di pari passo che alla conquista i Bassarabidi avevano proceduto all'ordinamento dello stato. Subordinati, da un lato, alla sovranità dei re d'Ungheria, legati, dall'altro, con vincoli di parentela, ai dinasti della Serbia e della Bulgaria, due influssi essi avevano subito agl'inizî della loro opera: quello cattolico ungherese e quello ortodosso slavo-bizantino. I principi, accanto al titolo bulgaro di gran voevoda, presero quello bizantino di autocrate, ma si dissero anche, con parola latina: domnii, cioè domini; la corte fu modellata su quella bizantina e gli alti funzionarî ebbero nomi prevalentemente slavi; i diplomi della cancelleria erano dati tanto in latino quanto in slavo; Nicola Alessandro sposò una nobile ungherese cattolica, Clara, e consentì che si istituisse un vescovato cattolico in Curtea de ArgeŞ, ma nello stesso tempo, per accordi col patriarca di Costantinopoli, fondò nella stessa ArgeŞ, la metropolia ortodossa dell'Ungro-Valacchia chiamando ad occuparne la sede il greco Giacinto Critopulos. Questo dualismo, in fondo, corrispondeva alla realtà etnica del paese che era abitato principalmente da Latini (Valacchi) e da Slavi; ma non si mantenne. La lotta di liberazione combattuta contro la corona ungherese e la circostanza che l'elemento latino locale era entrato già da parecchi secoli nell'orbita della fede ortodossa e, dal punto di vista politico e culturale, pur costituendo la maggioranza, era in condizioni d'inferiorità rispetto all'elemento slavo, fecero col tempo prevalere l'influsso orientale. Si arrestò in tal modo sin dagl'inizî il processo di formazione della nazione valacca.

All'avvento di Mircea l'opera di organizzazione politica era abbastanza progredita, ma lo stato non aveva raggiunto ancora né una salda coesione interna né forme di vita superiore. Il principe si era tuttavia affrancato dai suoi obblighi feudali verso la corona ungherese e aveva raggiunto la pienezza del potere sovrano. Capo dell'esercito, giudice supremo, egli si considerava il padrone non solo della vita dei sudditi ma anche di tutte le terre sottoposte alla sua sovranità. Era assistito da una corte numerosa; ma la pratica di governo era ancora rudimentale. Mancava un organico sistema amministrativo e legislativo. Il paese era diviso in giudicati (rom. judeţi) e città (rom. oraŞi) con consuetudini locali varie; le imposte erano ripartite inegualmente e percepite in natura. Basi della vita economica erano l'agricoltura e la pastorizia: scarso il commercio e quasi esclusivamente in mano dei Sassoni dell'Ardeal, e degl'Italiani, specialmente Genovesi. La popolazione si divideva, all'ingrosso, in due classi: quella dei boiari, formata dagli alti funzionarî e dai maggiori proprietarî del suolo, e quella dei contadini, piccoli proprietarî fittuarî o salariati; ma fra gli uni e gli altri non esisteva, al tempo dei Bassarabidi, una netta divisione sociale. Al di sotto v'era la classe degli schiavi i quali erano detti rumâni, cioè: romeni. Semplici erano i costumi, scarse le manifestazioni intellettuali, limitate solo alla vita religiosa e influenzate dall'impronta snaturatrice degli Slavi e dei Greci di Bisanzio.

A impedire e a ritardare la naturale evoluzione del popolo romeno sopravvennero, prima ancora che i due stati di Valacchia e di Moldavia (v.) si consolidassero, le guerre con i Turchi.

La guerra cominciò nei primi anni del regno di Mircea l'Antico. Rotta la coalizione balcanica a Kosovo (Cossovo, 1389) e sottomesse la Serbia e la Bulgaria, nel 1394 i Turchi varcarono il Danubio e invasero la Valacchia. Mircea, battuto a Rovine, presso il fiume Jiu, si rivolse per aiuti al re d'Ungheria, Sigismondo, del quale riconobbe l'alta sovranità sul suo principato, e, sostenuto da lui, batté le milizie turche a Turnu-Măgurele, ma non poté aver ragione del suo rivale Vlad - un boiaro passato ai Turchi e dal sultano nominato gran voevoda - né rioccupare tutto il paese. La grande crociata promossa nel 1396 dal papa e da Sigismondo non migliorò la situazione. Dopo la vittoria di Nicopoli, i Turchi ripresero gli attacchi contro la Valacchia ampliando le loro posizioni. L'avanzata dei Mongoli nell'Asia Anteriore e le lotte dinastiche seguite fra gli Ottomani dopo il disastro di Angora e la morte di Baiazet (1403) allentarono per alcuni anni la pressione turca; ma appena Maometto I, spenti i suoi rivali, raccolse nelle sue mani tutto il potere, la guerra riarse con più violenza. I Turchi s'impadronirono non solo della Dobrugia con la città di Silistria, che già avevano occupata nel 1394, ma anche del banato di Severin e delle più importanti posizioni del basso Danubio fra cui Giurgiu, assicurandosi in tal modo il passaggio del fiume. Per conservare il trono, negli ultimi anni della sua vita, Mircea si indusse a fare atto di sottomissione al sultano obbligandosi al pagamento di un tributo annuo. Premuti dalle formidabili forze in contrasto, i successori di Mircea cercarono di destreggiarsi piegando ora dalla parte degli Ungheresi ora da quella dei Turchi; ma, dato il continuo variare delle sorti della guerra, essi si trovarono sempre esposti alle vendette degli uni e degli altri. Dal 1418 al 1526 ben venti voevodi si succedettero sul trono di Valacchia e tutti morirono tragicamente o furono abbattuti poco dopo la loro elezione, chi dai Turchi, chi dagli Ungheresi o dai voevodi di Moldavia, chi dai boiari guadagnati dagli uni o dagli altri. Questo stato di guerra venne a cessare nel 1526, quando i Turchi, sconfittì i cristiani nella decisiva battaglia di Mohács, occupati Buda e il banato di Temesvar (TimiŞoara), fatto della Transilvania un principato vassallo, portarono la linea di attacco contro l'Europa centrale sul medio Danubio e a nord dei Carpazî nel cuore dell'Ungheria. Si aprì allora per la Valacchia un periodo di pace esterna che doveva durare per circa sessant'anni. Ma fu una pace oppressiva e piena di umiliazioni. I Valacchi, certo, non ebbero a subire la presenza di milizie d'occupazione e di funzionarî turchi e conservarono la loro autonomia; ma furono vessati in tutti i modi con imposizioni di ogni genere. I voevodi divengono in tutto sottomessi ai voleri del sultano; la minima resistenza ai suoi voleri o il minimo sospetto sono puniti con la morte o con la destituzione: Radu VII Paisie (1535-45) è esiliato in Egitto; Pietro III Cercel (1583-85) è gettato nel Bosforo; Mihnea II, che regnò a due riprese dal 1577 al 1583 e dal 1585 al 1591, sfugge alla morte facendosì maomettano.

Contro questo umiliante servaggio insorse Michele il Bravo, che, salito al trono nel 1593, iniziò subito la lotta di liberazione uccidendo tutti i Turchi insediati in Bucarest, e aderendo alla lega cristiana promossa dal papa Clemente VIII e dall'imperatore Rodolfo II. Combatté dapprima insieme con Sigismondo Báthory, voevoda di Transilvania, e con il suo aiuto riuscì a ricacciare dal paese un grande esercito turco comandato dal visir Sinan pascià e ad espugnare l'importante fortezza di Giurgiu sul Danubio (in questa impresa si segnalò una schiera di combattenti toscani inviati come istruttori militari dal granduca Ferdinando I). Essendosi poi ritirato dalla lotta Sigismondo, Michele ebbe la ventura di occupare per proprio conto la Transilvania e la Moldavia riunendo in tal modo, per la prima volta, sotto un unico potere, tutti i Romeni. Purtroppo l'assenza di un sentimento di solidarietà fra i nobili dei tre principati, le gelosie delle vicine potenze cristiane - Polonia e Austria - che pure erano alleate di Michele, la politica seguita dallo stesso Michele nei riguardi della classe dei contadini, cioè dell'immensa maggioranza dell'elemento romeno, che furono ridotti alla condizione di servi della gleba, impedirono che l'unione, la quale sola avrebbe potuto offrire la possibilità di una valida resistenza al ritorno offensivo dei Turchi, si mantenesse. Nel 1600 si sollevarono contemporaneamente la nobiltà magiara della Transilvania e i Moldavi sostenuti dai Polacchi, mentre i Turchi, alleati con i Tatari, penetravano nella Valacchia. Michele, sconfitto a Mirislau, si rivolse all'imperatore e con i suoi aiuti riprese la campagna; ma poco dopo, venuto a conflitto con il comandante delle forze imperiali, l'albanese Giorgio Basta, fu assassinato (19 agosto 1601).

Fallito il tentativo di Michele, il giogo ottomano sulla Valacchia divenne più che mai oppressivo. Pochi principi poterono in queste condizioni governare con una certa dignità e ispirandosi agl'interessi del paese. Gli altri principi si mostrarono in tutto sottomessi al sultano. Nel desiderio di rendersi benevolo il Gran Signore i voevodi si fecero un dovere di imitare gli usi e i costumi della Sublime Porta, in ciò seguiti dai boiari, sì che all'influsso slavogreco ora venne ad aggiungersi quello turco. Nonostante questo asservimento, a partire dal 1716 la Porta, diffidando sempre dei nativi del paese, mutò il sistema di successione al trono di Valacchia (come già da qualche anno l'aveva mutato in Moldavia) avocando a sé il diritto di nomina e affidando il potere a stranieri - in generale Greci del Fanaro (v.) onde furono detti fanarioti - nominati non a vita ma solo per pochi anni. La Valacchia fu così ridotta a provincia ottomana.

Il periodo dei principi o gospodari fanarioti (1716-1821) segna per la Valacchia, come per la Moldavia, i cui destini da questo momento in poi sono legati, l'estremo limite della decadenza.

Non che i fanarioti fossero incapaci e per natura nemici del paese. Al contrario quasi tutti furono uomini intelligenti, abili e di bella cultura. Ma erano stranieri, non conoscevano il paese e disprezzavano gl'incolti e rozzi Valacchi: la cultura che promossero fu la greca, gli uomini di cui si circondarono furono greci, gl'interessi che favorirono furono, oltre ai proprî personali, quelli della Porta. Caricarono il popolo di balzelli, appoggiandosi unicamente sulle forze turche.

Con questo estremo di decadenza coincide l'inizio di un moto tendente alla liberazione dell'anima romena dalle soprastrutture straniere e al suo risorgimento nazionale. L'impulso venne principalmente dal di fuori e fu di doppio ordine: culturale e politico. Quello culturale è collegato alla propaganda svolta in Transilvania e attraverso la Transilvania in Valacchia sin dagl'inizî del sec. XVII dai protestanti e dai cattolici. Per arrivare al popolo sì gli uni che gli altri si servirono della lingua da esso parlata iniziando in tal modo il processo di sostituzione della lingua romena alla lingua slava che sola, prima di allora, era stata usata nella liturgia e nella stampa. Contemporaneamente, avendo l'Austria occupato la Transilvania (1699), si stabilivano diretti contatti fra l'Occidente e la Valacchia e mentre i giovani transilvani che il governo di Vienna inviava a studiare in Italia ritrovavano in Roma i segni della loro remota origine, e, tornati in patria, vi diffondevano la teoria della discendenza latina dei Romeni, molti Italiani portavano alla corte di Bucarest il gusto dell'arte e la cultura italiana. Sotto i gospodari fanarioti all'influsso italiano si aggiunse quello francese che diede, attraverso gli scritti di Voltaire, Montesquieu, Rousseau, e la propaganda rivoluzionaria, un indirizzo politico alla nascente cultura. Si svegliava, insieme con la coscienza della propria origine latina, il desiderio della libertà e con esso il bisogno dell'indipendenza.

Allo stesso risultato portavano i continui interventi dell'Austria e della Russia in Valacchia. Impadronitasi della Transilvania, l'Austria divenne stato confinante della Valacchia. La linea direttiva della sua espansione in Oriente sin da allora si volgeva verso sud, ma l'occupazione della Valacchia sarebbe stata importante dal punto di vista strategico in quanto le avrebbe dato la possibilità di premere sul fianco della resistenza turca sul Danubio. A questa preoccupazione si aggiunse poi quella di tagliare alla Russia la via verso Costantinopoli e l'Adriatico.

Gli eserciti austriaci apparvero per la prima volta in Valacchia nella guerra del 1716-1718 finita con la vittoria dell'Austria. Nella pace di Passarowitz (Požarevac), che chiuse le ostilità, l'Austria ottenne, oltre al Banato, la Piccola Valacchia, la parte cioè della Valacchia posta a occidente dell'Olt. Rinnovatasi la guerra nel 1737, gli Austriaci invasero nuovamente la Valacchia, ma furono sconfitti e alla pace di Belgrado (1739) dovettero restituire alla Porta la Piccola Valacchia. Finora i Russi avevano limitato il loro intervento alla Moldavia; ma a partire dalla pace di Belgrado la loro azione si estese anche sulla Valacchia e su tutta la penisola halcanica. Scoppiata la guerra nel 1769, il generale russo P. A. Rumjancev invase la Moldavia e la Valacchia. Una delegazione del clero e dei boiari si recò a Mosca per prestare, in nome dei due paesi, il giuramento di fedeltà alla zarina Caterina II. Intorno alla definitiva sistemazione dei principati si ventilarono varî progetti fra cui quello di unirli in un unico regno che avrebbe preso l'antico nome di Dacia. L'intervento austro-prussiano indusse la Russia a evacuare la Valacchia e la Moldavia; ma nella pace di Kainarge (luglio 1774) il governo moscovita si fece riconoscere il diritto di mantenere proprî rappresentmti a Bucarest e a IaŞi e di tutelare presso il governo ottomano la chiesa ortodossa e gl'interessi dei due principati. La Russia negli anni che seguirono la pace di Küčük Kainarge trattò segretamente con l'Austria accordandosi con essa per procedere allo smembramento della Turchia. Quanto alla Valacchia si ripresentò, con qualche modificazione, il progetto della sua unione con la Moldavia. La guerra intrapresa a questo scopo nel 1787 si risolse in un insuccesso e Caterina II dovette firmare la pace di Iaşi (gennaio 1792) nella quale si ristabilirono gli accordi del 1774. Ma nel 1806, cogliendo il pretesto della deposizione dei gospodari C. Ipsilanti e C. Moruzi e della chiusura del Bosforo alle sue navi, lo zar Alessandro I rinnovò la guerra occupando improvvisamente i due principati e tenendoli fino al 1812. Le imposizioni dei Russi in questi sei anni di occupazione furono così gravi ed esose che l'antico entusiasmo dei Valacchi per gli zar si venne mutando in odio. Sorge nel paese una corrente antirussa che necessariamente, diffondendosi le idee di libertà, tende all'indipendenza nazionale.

Quanto questo movimento fosse diffuso nel popolo si vide nel 1821 allorché, di contro all'insurrezione di Alessandro Ipsilanti, preparata in Russia con l'appoggio segreto dello zar e diretta alla liberazione del mondo greco, scoppiò, in Valacchia, quella di Teodoro Vladimirescu. Vladimirescu domandava alla Porta che mettesse fine al governo dei fanarioti restituendolo a principi indigeni e concedesse al paese una costituzione in armonia con le sue tradizioni democratiche. Egli cadde vittima del risentimento di Ipsilanti; ma quando il moto etarista fu represso in Valacchia, il governo ottomano accolse in parte le sue rivendicazioni concedendo ai due principati l'autonomia amministrativa e affidandone il governo a nativi del paese scelti fra i boiari. La Russia non riconobbe queste modificazioni nel regime dei principati che riducevano la possibilità di un suo intervento nei loro affari interni; e prima impose alla Porta la convenzione di Akkerman (ottobre 1826) in cui, fra l'altro, si stabiliva che due commissioni locali, nominate in parte dai gospodari in parte dallo zar, procedessero all'elaborazione di un nuovo statuto nel quale fossero riconosciuti i suoi diritti di potenza protettrice; poi, nel 1828, mettendo fine alle schermaglie diplomatiche connesse all'insurrezione greca, ricorreva alla forza e, dichiarata la guerra alla Turchia, occupava la Moldavia e la Valacchia. Proposito della Russia, come appare da un progetto di spartizione dell'lmpero ottomano da essa sottoposto alla Francia sua alleata, era di annettersi i due principati; ma l'opposizione dell'lnghilterra e dell'Austria fece fallire il progetto e alla pace di Adrianopoli (1829) lo zar dovette accettare il principio della loro autonomia. La Russia, tuttavia, non abbandonò il proposito d'insediarsi in Moldavia e in Valacchia; e mentre, secondo quanto era stabilito nel trattato di Adrianopoli, due assemblee locali procedevano all'elaborazione di un nuovo statuto, il generale russo Kiselev, che intanto governava i due paesi, di adoperava a trasformarli in provincie vassalle di Pietroburgo. I suoi sforzi si urtarono contro la resistenza dei Romeni, sui quali le imposizioni e le pressioni russe sortirono l'effetto opposto a quello sperato dallo zar, intensificando il mnvimento per l'indipendenza, e contro l'opposizione dell'Inghilterra, della Francia e dell'Austria. Nel 1834 i Russi furono costretti a sgombrare il paese romeno, ma nel regolamento organico o statuto, che il Kiselev aveva egli stesso elaborato e imposto all'approvazione delle assemblee locali, c'erano disposizioni tali, che consentivano loro di continuare a immischiarsi negli affari interni dei due principati e ritornarvi a tempo opportuno provocandovi disordini. L'elemento della popolazione in cui la Russia contava il maggior numero di amici o di docili servitori era quello dei boiari. Nel regolamento esso fu favorito in tutti i modi acquistando una preponderanza assoluta nella vita politica ed economica del paese.

Nonostante queste precauzioni, alla Russia non riuscì né in Valacchia né in Moldavia di frenare il moto verso l'indipendenza nazionale che di anno in anno si faceva più vigoroso (v. romania). Il contrasto fra questo moto e la politica che nei due principati svolgeva la Russia resero impossibile lo stabilirsi di un ordinato governo. Alessandro Ghica, nominato gospodaro della Valacchia nel 1834, si mantenne sul trono finché seguì le direttive di Pietroburgo; ma appena se ne discostò per avvicinarsi alla corrente nazionale, fu destituito (1842). Il suo successore, Giorgio Bibescu, cercò di soddisfare da un lato la Russia, governando in stretto accordo con i suoi rappresentanti, e dall'altro i patrioti romeni introducendo nello stato utili riforme e abolendo la barriera doganale fra la Valacchia e la Moldavia; ma non ci riuscì. Nel 1848, dopo avere inutilmente lavorato a guadagnare il principe alle loro idee, i patrioti, seguendo il moto insurrezionale che allora scuoteva tutta l'Europa, tentarono di raggiungere il loro fine con la forza. Proclamata, il 21 giugno a Islaz, una costituzione, i cui capisaldi erano: l'abolizione del regolamento organico, l'eguaglianza politica e civile, l'indipendenza amministrativa e legislativa sotto il solo controllo della Turchia e l'esclusione quindi di ogni ingerenza della Russia, promossero una dimostrazione di popolo a Bucarest per imporla al principe. Questi abdicò; ma la Russia prima invitò la Porta a inviare in Valacchia un esercito per ristabilirvi l'ordine; quindi, allorché si accorse che fra Turchi e Valacchi si stabiliva un'intesa, intervenne alla sua volta occupando Bucarest come già aveva occupato la Moldavia. I capi del movimento nazionale furono arrestati o espulsi; la giunta provvisoria disciolta e, in attesa di un nuovo ordinamento dei due principati, che doveva essere elaborato di comune accordo dalla Russia e dalla Sublime Porta, il governo veniva affidato nominalmente a Costantino Cantacuzino con il titolo di caimacan o luogotenente del principe ed effettivamente assunto dal residente russo, il generale Duhamel, che si comportò da padrone. I capisaldi del nuovo statuto, concordati nella convenzione di Balta-Liman (1° maggio 1849), segnano un regresso rispetto ai diritti già acquisiti dai Romeni. In virtù di questa convenzione al trono valacco fu nominato Barbu Ştirbei, che fu una specie di governatore russo.

Lo zar Nicola I, agl'inizî del 1853 proponeva all'Inghilterra un progetto di spartizione della Turchia. In questo progetto i principati danubiani avrebbero avuto l'indipendenza "sotto il protettorato della Russia". Avendo l'Inghilterra declinato l'offerta, lo zar si gettò da solo all'azione dichiarando la guerra alla Turchia (ottobre 1853). I principati, sgombrati due anni innanzi, furono nuovamente occupati; ma l'intervento anglo-franco-piemontese diede alla guerra una piega sfavorevole ai Russi; i quali, assaliti in Crimea, furono costretti a ritirarsi dalla Valacchia e dalla Moldavia, che furono provvisoriamente occupate da forze austriache (1854-56). Per la storia successiva, dalle deliberazioni del Congresso di Parigi alla proclamazione dell'unione dei due principati (11 dicembre 1861) che costituiscono il nuovo regno romeno, v. romania: Storia.

Bibl.: Per la bibl. della Valacchia, oltre a quella citata alla voce romania, vedi: D. Onciul, Originile principatelor române, Bucarest 1899; V. Draghiceanu, Curtea Domneasca din ArgeŞ. Note istorice Şi arheologice, in Buletinul Comisiunii monumentelor istorice (X-XVI), 1917-23; N. Bălcescu, Istoria lui Mihai Voda Viteazul, in Revista romîna, 1851; A. Pernice, Un episodio del valore toscano nelle guerre di Valacchia alla fine del sec. XVI, Firenze 1925; N. Jorga, Istoria lui Mihai Viteazul, voll. 2, Bucarest 1935.

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