Valdismo

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valdismo Movimento religioso originato in Francia nel 12° sec. e confluito successivamente nella Riforma protestante.

Le origini

Il movimento valdese trae origine dall’attività di un mercante lionese, Valdo (o Valdesio), nato verso il 1140. Nel 1176 un avvertimento celeste avrebbe indotto Valdo alla conversione: avendo chiesto a un teologo quale fosse la via perfetta alla salvezza, si sentì ripetere la consegna di Gesù al giovane ricco: «se vuoi essere perfetto, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi» (Matteo 19-21). Valdo cedette alla moglie i beni immobili che possedeva, restituì ciò che riteneva di avere indebitamente ricevuto e distribuì il suo capitale liquido al popolo. Si diede quindi a predicare il suo ideale di povertà tra le classi più umili, diffondendo in pari tempo fra esse il Vangelo nella traduzione volgare dovuta a Bernardo Ydros e Stefano d’Anse. Presto numerosi seguaci (i Poveri di Cristo o Poveri di Lione) si strinsero intorno a lui e cominciarono a predicare la parola di Dio nella campagna e nelle città vicine. Invitato dall’arcivescovo di Lione, Guichard, ad astenersi da ogni forma di predicazione e di spiegazione delle Scritture, Valdo rifiutò e, con tutti i suoi seguaci, fu espulso dalla diocesi di Lione (1177). Però una separazione netta dalla Chiesa ufficiale si ebbe solo dopo la nomina del nuovo arcivescovo di Lione, Giovanni de Bellesmains (1181). Considerati come ribelli e cacciati nuovamente da Lione, i valdesi furono esplicitamente condannati dal sinodo di Verona (1184).

Il movimento valdese non ha alle origini alcun atteggiamento esplicito di rivolta contro la Chiesa: è un movimento laico di liberi predicatori, che intende portare la parola di Gesù a diretto contatto delle classi più umili e più povere, e, come tanti altri movimenti contemporanei, vuol essere prima di tutto rinuncia totale a ogni ricchezza attraverso il voto di povertà. Ciò che costituisce il tratto distintivo del v. originario di fronte al francescanesimo è l’insistenza sul diritto alla predicazione per i laici.

Gli sviluppi

Durante il 13° e il 14° sec. il v. mantenne intatto il suo carattere di movimento evangelico e rifiutò ogni sistema filosofico-teologico, mostrando anzi una singolare ripugnanza a ogni innovazione di carattere dogmatico. Muovendo da una libera interpretazione del Vangelo, diffondeva nel popolo precetti di morale pratica, positiva, e prospettava come esempio da seguire la vita degli apostoli: i valdesi predicavano la povertà e l’astensione dal lavoro; vivevano d’elemosina; condannavano come illeciti la menzogna, il giuramento e ogni forma di giudizio; praticavano la continenza, non in odio alla materia creata, ma per desiderio di perfezione. Proclamavano inoltre l’uguaglianza di tutti i fedeli nell’ambito della Chiesa e il sacerdozio universale fondato unicamente sul merito individuale (affidato a tutti, uomini e donne) e non sopra una consacrazione esteriore: rifiutavano i sacramenti, impartiti dagli ecclesiastici; praticavano la confessione l’un con l’altro; negavano la transustanziazione e la validità della Messa; rifiutavano la venerazione dei santi e la preghiera per i defunti, non ammettendo la comunione dei santi, né il Purgatorio. Perseguitati accanitamente, dopo due secoli e mezzo, erano praticamente scomparsi dall’Austria, Germania, Francia, Spagna.

Il gruppo valdese destinato a sussistere e a mantenersi intatto attraverso i secoli fu quello che si venne raccogliendo, fin dal 13° sec., in alcune valli delle Alpi Cozie. Questi nuclei furono da principio bene accolti dai signori locali, specialmente dai conti di Luserna, ma già dal 1220 si andò creando una situazione di ostilità aggravatasi nei secoli successivi, che culminò nella persecuzione del 1370-78, condotta dal francescano Francesco Borelli per ordine di Gregorio XI, e in quella del 1487, guidata dall’arcidiacono Alberto Cattaneo per ordine di Innocenzo VIII. In questo periodo, anteriore all’adesione dei valdesi alla Riforma, non si può parlare di vere e proprie comunità valdesi nelle valli.

Il movimento valdese acquistò una totale autonomia di fronte alla Chiesa cattolica solo con l’adesione alla Riforma, decisa nel sinodo di Chanforan presso Angrogna (12 settembre 1532), nel quale si decise anche l’istituzione del culto pubblico: fu bandita ogni forma di simulazione e di compromesso riguardo alla partecipazione dei valdesi alle cerimonie del culto cattolico e fu infine accettata una formula di fede che implicava l’adesione dei valdesi alle idee dei riformatori svizzeri in merito alla predestinazione, alle opere buone, al giuramento, alla confessione fatta a Dio soltanto, al riposo domenicale, al digiuno non obbligatorio, al matrimonio lecito anche ai ministri, al riconoscimento di due soli sacramenti: battesimo ed eucaristia. L’adesione alla Riforma segnò l’inizio di lunghe persecuzioni che, salvo brevi interruzioni, durarono due secoli.

La definitiva emancipazione dei valdesi, propugnata tra gli altri da V. Gioberti e da M. d’Azeglio, fu sancita da Carlo Alberto con l’editto del 17 febbraio 1848. La situazione riconosciuta ai valdesi dallo Statuto del regno e dalla l. 24 giugno 1929 sui culti ammessi non differiva da quella di tutti gli altri culti non cattolici e come tale è passata nella Costituzione italiana.

La Chiesa valdese

L’organizzazione attuale della Chiesa valdese è di tipo presbiteriano. L’Assemblea legislativa è il Sinodo, composto di tutti i pastori e di altrettanti membri laici eletti dalle chiese. L’autorità rappresentativa e amministrativa è la Tavola eletta dal Sinodo. È composta di un presidente che ha il titolo di moderatore, di vari pastori, ciascuno dei quali è sovrintendente amministrativo di uno dei distretti della Chiesa e di alcuni membri laici. Una funzione particolare nell’organizzazione spetta al corpo dei pastori (presieduto dal moderatore), il quale ha il compito di vegliare al mantenimento della sana dottrina.

Dal 1967 la Chiesa valdese (con la Chiesa metodista, l’Unione battista, la Chiesa evangelica luterana e la Comunità ecumenica di Ispra, Varese) aderisce alla Federazione evangelica italiana, costituita formalmente in quell’anno. Nel 1975 le Chiese valdese e metodista hanno approvato un patto di integrazione, completato nel 1979: le comunità di base rimangono distinte, ma fanno capo a un Sinodo unico, che elegge un’unica Tavola.

Nel 1984 la Tavola valdese ha firmato con il governo italiano un’intesa in cui si dichiara la non applicabilità alle Chiese da lei rappresentate della legislazione sui ‘culti ammessi’, e si definisce la separazione del momento religioso da quello civile in materia di assistenza religiosa, di effetti civili del matrimonio religioso, di insegnamento religioso, prevedendo inoltre che le attività di assistenza religiosa e degli enti ecclesiastici siano senza oneri per lo Stato. Con una integrazione firmata nel 1993, le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese hanno definito in materia finanziaria la defiscalizzazione delle offerte volontarie e l’utilizzazione della quota dell’8‰ dell’imposta sulle persone fisiche ai soli scopi sociali e umanitari.

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