PIGNATELLI, Valerio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PIGNATELLI, Valerio

Giuseppe Parlato

PIGNATELLI, Valerio. – Nacque a Chieti il 19 marzo 1886 da Michele e da Emilia Valignani.

Fu tenente di cavalleria nella guerra italo-turca, ufficiale di ordinanza del maresciallo Caviglia e capitano degli Arditi della prima guerra mondiale, quindi inviato come addetto militare presso l’ambasciata italiana a Budapest nel 1919, durante la rivoluzione di Béla Kun. Nel 1920 si arruolò nell’‘Armata bianca’ di Pëtr Nikolaevič Vrangel, che combatté in Russia contro i bolscevichi.

Negli anni Venti si recò in Messico, dove fu proclamato imperatore di una piccola regione del Sud, in virtù degli stessi principi dinastici che avevano consentito la medesima nomina a Massimiliano d’Asburgo (Pignatelli era principe del Sacro Romano Impero); a differenza dell’Asburgo, dopo solo dieci giorni dalla nomina – rimasto vedovo, il 18 dicembre 1925, della prima moglie, la cugina principessa Maria Gloria Pignatelli Aragona Cortès che aveva sposato il 29 novembre 1924 – riuscì a fuggire negli Stati Uniti, dove fece fortuna sposando Patricia Hearst, figlia di un magnate dell’editoria.

Negli anni Trenta, abbandonata la moglie, tornò in Italia e si iscrisse al Partito nazionale fascista (PNF) pur professando sempre idee eterodosse, in particolare contro l’ex segretario nazionale del PNF Roberto Farinacci, con il quale si batté a duello.

Successivamente combatté nel 1935 in Etiopia come comandante dei «Dubat» (X battaglione eritreo), quindi fu volontario nella guerra civile in Spagna dalla parte fascista, prima come comandante di un battaglione di carristi e poi del battaglione d’assalto «Frecce Nere». Poté ‘vantare’ sette ferite di guerra e cinque medaglie d’argento al valor militare.

Pubblicò diversi romanzi nella collana Romantica della Sonzogno, tentando una narrativa popolare che mancava nella nostra letteratura, come ebbe a notare Antonio Gramsci in Letteratura e vita nazionale. Tra i titoli che allora risultarono più noti: I cadetti dell’Alcazar, L’ultimo dei moschettieri, Il dragone di Buonaparte, Il ventesimo Dragoni, Il corriere dello Zar, La pattuglia segreta, tutti editi fra il 1932 e il 1940. Nel 1942 sposò Maria Elia.

Maria Elia era nata a Firenze il 24 marzo 1894 dall’ammiraglio e conte Giovanni Emanuele Elia, inventore della torpedine da blocco, largamente usata nel primo conflitto mondiale, e da Beatrice Benini. Sposò giovanissima il marchese Giuseppe de Seta, figlio del prefetto di Palermo, e giunse in Calabria nel 1919 diventando un’importante esponente dell’élite socioculturale del Mezzogiorno. Esercitò la sua attività nella villa di Buturo in Sila e nella sua casa di Sellia Marina (presso Catanzaro). Nel 1923 diresse la scuola femminile di avviamento al lavoro di Catanzaro, specializzata nel settore serico, antica arte locale.

Nei salotti del palazzo Forcella de Seta a Palermo e nella sua casa romana di piazza Farnese Maria Elia intrattenne rapporti culturali e di amicizia con molti personaggi illustri del periodo: da Filippo Tommaso Marinetti a Michele Bianchi, da Benito Mussolini a Gabriele d’Annunzio, da Massimo Bontempelli a Mario Missiroli. D’Annunzio nell’Alcione la definì «Madonna silana» per la sua bellezza. Dal 1937 al 1940, il palazzo de Seta fu sede della Galleria Mediterranea, di cui Maria de Seta fu animatrice: alle varie mostre furono esposti quadri di Mario Sironi, Felice Casorati, Fausto Pirandello, Carlo Carrà, Gino Severini, Corrado Cagli, Masssimo Campigli e Renato Guttuso. Si occupò attivamente di archeologia, seguendo nelle campagne di scavi Paolo Orsi, Umberto Zanotti Bianco ed Edoardo Galli. Ebbe quattro figli de Seta: Francesco, Vittorio, Emanuele e Bona.

Nel maggio 1943, persa l’Africa settentrionale, a Roma si riteneva possibile lo sbarco alleato; Mussolini diede così ordine di costituire la ‘Guardia ai Labari’, una struttura militare clandestina che potesse operare anche dopo un’invasione nemica. Tra i promotori vi era il vicesegretario del PNF, Alfredo Cucco, dirigente fascista siciliano. A guidarla fu scelto il principe Valerio Pignatelli, il quale era stato diverse volte espulso dal Partito per indisciplina, ma che comunque rappresentava una garanzia in fatto di fedeltà e di capacità di muoversi in situazioni particolarmente complesse. Inoltre, il nobile calabrese aveva anche entrature particolarmente significative in Vaticano, il che non guastava.

Pignatelli si mise subito al lavoro con la sua ‘rete’ e coinvolse immediatamente Francesco Maria Barracu, federale di Catanzaro e futuro esponente della Repubblica sociale italiana (RSI). Bloccato dalla caduta del regime, dopo il 25 luglio 1943 Pignatelli decise di trasferirsi con la moglie a Roma, per controllare meglio la situazione, e lì fu coinvolto dallo stesso Barracu in un progetto per liberare Mussolini. Il progetto si basava sul ruolo attivo di Ettore Muti, ma la sua eliminazione da parte del generale Pietro Badoglio fece sfumare il disegno.

Dopo la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso per mano tedesca, il principe Pignatelli e la moglie organizzarono al Sud una rete informativa e operativa per contrastare l’avanzata degli Alleati. Contemporaneamente ricevettero da Peter Rodd, governatore alleato della Calabria, l’invito a collaborare con i servizi segreti angloamericani. In Calabria la rete informativa fu particolarmente fitta, grazie anche all’aiuto di Luigi Filosa, che nel dopoguerra fu esponente del Movimento sociale italiano (MSI). Scoperti dalla polizia, i responsabili furono denunciati e arrestati e contro di loro fu celebrato, a Catanzaro nel febbraio 1945, un processo noto come ‘il processo degli ottantotto’, conclusosi con un sostanziale nulla di fatto nell’ottobre dello stesso anno, perché i pochi condannati (che, alla lettura della sentenza, intonarono Giovinezza senza che nessuno intervenisse) fecero immediatamente ricorso; il nuovo processo non fu mai celebrato e gli imputati dopo pochi mesi uscirono dal carcere beneficiando dell’amnistia Togliatti (promulgata il 22 giugno 1946).

A Napoli i coniugi Pignatelli avevano la sede operativa nel salotto tenuto da Maria in una casa sita sulla collina Monte di Dio, presso il collegio della Nunziatella, al ‘Calascione’. La zona era frequentata dalla migliore intellettualità liberale e antifascista. Proprio durante i numerosi ricevimenti, i Pignatelli traevano notizie sulla situazione politica e militare. Uno dei principali collaboratori fu Ferdinando Di Nardo, futuro deputato del MSI.

Nel marzo 1944 Valerio Pignatelli ricevette da Gargnano, sede del capo del governo della RSI, l’ordine di recarsi al Nord per concordare l’attività clandestina meridionale, ma non ottenne da Napoli un lasciapassare per il Nord e dovette inviare al suo posto Maria, la quale, in virtù dei suoi buoni rapporti con Maria Josè, moglie del principe Umberto, non ebbe difficoltà.

L’11 aprile 1944 Maria Pignatelli, aiutata da agenti dell’OSS (Office of Strategic Service, il servizio segreto americano), varcò le linee sul Volturno e fece la prima tappa sul Monte Soratte, quartier generale germanico: si incontrò con l’agente segreto e diplomatico tedesco Eugen Dollmann e con il generale Albert Kesselring, ai quali svelò la dislocazione delle truppe alleate e diede notizie sulle riserve di carburante e sulla disposizione delle forze navali in Sicilia, illustrando anche la diffusa rete informativa posta in essere dal marito.

Da Roma Maria Pignatelli andò al Nord, incontrò Mussolini e Barracu; come ha ricordato Giorgio Pini (Conti, 1979), uno dei più influenti consiglieri di Mussolini, il viaggio era stato deciso dalla coppia e non aveva avuto alcun avallo ufficiale dalla RSI di Salò. Terminata la missione sul lago di Garda, tornò a Roma dove si fermò presso la figlia, che era ospite di un’amica, Josephine Marincola di san Floro, sorella di Livingston Pomeroy, giornalista americano e agente dell’OSS. Anche uno dei figli di Maria Pignatelli, Emanuele, era vicino alla Resistenza monarchica romana, mentre l’altro, Vittorio, era internato militare in Germania. Il 25 aprile 1944 Maria tornò a Napoli riattraversando le linee, e ad attenderla vi era sempre un agente dei servizi americani.

Due giorni dopo i coniugi furono arrestati dagli inglesi, i quali scoprirono la fitta rete informativa fascista e soprattutto il viaggio di Maria al Nord. Se i servizi inglesi arrestavano i Pignatelli, quelli americani li proteggevano. Grazie alla linea imposta da James Angleton, l’OSS aveva deciso di servirsi dei fascisti per creare una struttura che, dopo la guerra, potesse contrastare il pericolo comunista. A conferma di ciò vi fu anche la leggera entità della pena detentiva: dopo un periodo a Padula, nel primo grande campo di concentramento per i fascisti, Maria fu trasferita a Collescipoli, presso Terni, da dove fuggì, mentre Valerio fu rinchiuso nel carcere di Procida, da dove uscì nel 1946 grazie all’amnistia.

Maria Pignatelli scrisse un libro su tutta la vicenda del fascismo clandestino nel Sud, dal titolo un po’ curioso: OK. La resistenza fascista al Sud. Il volume non fu mai pubblicato e il dattiloscritto è andato perduto dopo la sua morte.

A quel punto, le strade dei due principi, apparentemente, si divisero. Maria costituì il Movimento italiano femminile (MIF) Fede e Famiglia il 28 ottobre 1946: fu il primo movimento organizzato e non clandestino del neofascismo italiano. Valerio invece si ritrovò, nel dicembre dello stesso anno, alla riunione costitutiva del MSI.

Il MIF nasceva a Roma, in zona extraterritoriale vaticana, con scopi ufficialmente assistenziali: la vasta rete delle amiche di Maria Pignatelli provvide a sostenere economicamente e spiritualmente i fascisti incarcerati fino alla metà degli anni Cinquanta. Tuttavia, è indubbio che questa rete abbia contribuito a porre le condizioni per la nascita del nuovo soggetto politico neofascista, a cominciare dai tanti contatti internazionali che Maria Pignatelli aveva e che consentirono prima al MIF, quindi al MSI, discreti sostegni economici provenienti dagli italiani emigrati in America Latina.

Alla fine del 1946 il principe Pignatelli si dedicò, insieme con altri (Pino Romualdi, Biagio Pace, Bruno Puccioni, Nino Buttazzoni, Arturo Michelini, Giorgio Pini, Ezio Maria Gray, Giovanni Tonelli) a costruire le condizioni per riunire il rissoso e poliedrico neofascismo in un’unica realtà organizzativa e legale, il MSI, che fu costituito il 26 dicembre 1946.

Come era successo per il fascismo, la vita di partito non si confaceva con il carattere impetuoso di Pignatelli: nonostante l’età, riuscì a litigare con Biagio Pace, l’archeologo di fama mondiale che fu uno dei più decisi a costituire il ‘partito della fiamma’, e abbandonò il Partito.

Valerio Pignatelli morì a Sellia Marina, in provincia di Catanzaro, il 6 febbraio 1965; Maria Elia Pignatelli morì in un incidente stradale nei pressi di Cosenza il 10 marzo 1968.

Fonti e Bibl.: Presso l’Archivio di Stato di Cosenza è conservato il fondo Movimento italiano femminile, contenente documentazione relativa a Maria Pignatelli; presso l’Archivio della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, a Roma, è conservata la parte dell’Archivio Bartolo Gallitto relativa al fascismo clandestino al Sud e all’attività del principe Valerio Pignatelli.

G. Conti, La Rsi e l’attività del fascismo clandestino nell’Italia liberata dal settembre 1943 all’aprile 1945, in Storia contemporanea, X (1979), 4-5, pp. 941-1018; G. Artieri, Mussolini e l’avventura repubblicana, Milano 1981, pp. 240-249; R. Guarasci, La lampada e il fascio. Archivio e storia di un movimento neofascista: il «Movimento Italiano Femminile», Reggio Calabria 1987; Id., Il fascismo dopo Salò. Storia del Movimento Italiano Femminile Fede e Famiglia, in Miscellanea di studi storici, VI (1987-1988), pp. 117-139; F. Tigani Sava, La resistenza fascista in Calabria. Il processo degli Ottantotto (1943-1945), Catanzaro 1992; F. Fatica, Mezzogiorno e fascismo clandestino 1943-1945, Napoli 1998, pp. 9-15, 45-74; Il dissenso clandestino 1943-1945 nelle regioni meridionali occupate dagli anglo-americani. Atti del convegno…, Napoli 1998; G. Parlato, Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia (1943-1948), Bologna 2006, pp. 37-42, 55-74.

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