Valore lavoro, teoria del

Dizionario di Economia e Finanza (2012)

valore lavoro, teoria del

Andrea Fumagalli

Teoria sviluppata dagli economisti classici (➔ classica, economia), basata sulla misurabilità in termini oggettivi del valore (➔ ).

Le origini della teoria del valore lavoro

È con l’avvento del sistema capitalistico di produzione che si pone la necessità di formulare una teoria del v. in grado di spiegare il processo di accumulazione. Con il capitalismo nasce, infatti, l’esigenza di analizzare il rapporto tra il v. dei fattori produttivi e il v. del prodotto finale. Ed è ancora con il capitalismo che, di conseguenza, il tempo (sia logico, prima e dopo, sia storico, ieri e oggi) entra a tutti gli effetti nel processo di accumulazione e generazione di valore.

Valore lavoro e valore utilità

Esistono due principali teorie del v., quella del v. l. e quella del v. utilità. La prima, nata dai pensatori classici (➔ anche Marx, Karl; marxista, teoria), riconduce il v. delle merci al lavoro che direttamente o indirettamente è stato impiegato per produrle: essa viene anche definita ‘oggettiva’ in quanto il lavoro impiegato per produrre una merce dipende dalle tecniche di produzione adottate, supposte in ogni momento date e note. L’oggettività di tale approccio non è comunque assoluta, in quanto richiede che siano verificate due condizioni: una definizione condivisa del processo lavorativo e del rapporto che intercorre tra prestazione lavorativa e le tecniche di produzione e, in secondo luogo, l’esistenza di una unità di misura della prestazione lavorativa.

Gli economisti che fanno riferimento all’approccio storico in termini di economia monetaria di produzione, ritengono che la teoria del v. l. sia più adeguata per comprendere il processo capitalistico di produzione, mentre la teoria del v. utilità sia consona a una visione precapitalistica del processo di produzione. Ciò deriva dal fatto che la teoria del v. l. dipende dall’uso capitalistico delle macchine, ovvero dall’esistenza di un fattore produttivo – il capitale (fisico) – che è proprio della fase storica del capitalismo (sino a connotarlo etimologicamente).

Tale affermazione rimanda alla constatazione che il motore dell’attività di produzione è l’attività di investimento (accumulazione privata di capitale), frutto delle decisioni imprenditoriali e/o manageriali, in grado di modificare, in modo dinamico, il progresso tecnologico e l’utilizzo combinato dei fattori produttivi. L’investimento rappresenta la manifestazione del potere capitalistico, in quanto è da esso che si determina il livello di consumo e di risparmio. La possibilità di investire è una forma di ‘biopotere’ (la gestione del corpo umano nella società dell’economia e finanza capitalista, la sua utilizzazione e il suo controllo) nel momento stesso in cui da tale atto dipende il modo e la forma della prestazione lavorativa.

La teoria del v. l., proprio perché si basa sull’idea che sia il lavoro a determinare il v. di una merce, diventa così anche teoria dello sfruttamento (➔ sfruttamento del lavoro) e del comando sul lavoro. Nel contesto contemporaneo, dove la produzione immateriale ha assunto una notevole rilevanza, tuttavia, la possibilità di definire una unità di misura della prestazione lavorativa viene meno e gli elementi di oggettività si riducono a vantaggio della necessità di una riformulazione della stessa teoria del v. lavoro.

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