FALISCI, Vasi

Enciclopedia dell' Arte Antica (1960)

FALISCI, Vasi

P. Mingazzini

Nell'ambito della ceramica etrusca del IV sec. a. C., occupa un posto distinto una classe di vasi dipinti, che può con grande probabilità essere assegnata al territorio dei Falisci, quindi alla città di Falerii. Un'altra possibilità, meno probabile, è che il centro produttore debba ricercarsi a Roma.

I più antichi prodotti di questa ceramica cominciano poco dopo l'inizio del secolo e sono nello stile, ossia nel disegno e nello spirito, assai vicini ai prodotti attici, al cui influsso nessuna ceramica d'Italia poté sottrarsi del tutto.

Mentre le tre altre regioni italiane che svilupparono il loro stile nel IV sec. - Apulia, Lucania, Campania - si può dire che praticamente non esistessero sul piano dell'arte prima di allora, la ceramica etrusca aveva già una esistenza di tre secoli; ma - a prescindere da poche eccezioni - solo nel IV sec. si sviluppò in modo originale; e questo tratto la ricongiunge alle ceramiche italiote.

La serie dei vasi f. si apre con quello che indubbiamente ne è il capolavoro, col grande cratere a volute del Museo di Villa Giulia a Roma, rinvenuto in una tomba presso Falerii, perfetto per la forma, per la decorazione, per le scene figurate. Il soggetto del quadro principale, altamente suggestivo di per sé, è stato poeticamente inteso dall'artista e tradotto in immagini ricche di intensa fantasia. Eos, l'Aurora, sulla quadriga tirata da candidi destrieri, sorge dalla superficie del mare (indicato da un delfino e da due animali fantastici: questi ultimi suggeriscono l'idea di un mondo lontanissimo, sito al di là di ogni paese abitato), preceduta da un efebo alato, che evidentemente personifica l'astro del mattino. Due oche, una delle quali con un ramoscello in bocca, trasvolando rapidissime, danno l'impressione della brezza mattutina; nello spazio sotto ad esse, impallidiscono le ultime stelle. Ma al centro del quadro, la dea stessa, non è rappresentata nel semplice e prosaico atteggiamento di stringere le redini dei cavalli, bensì nella beatitudine amorosa, in atto di stringere a sé il giovanissimo Cefalo, da lei sedotto, il quale la guarda con rapimento estatico.

Di mano dello stesso artista è forse un cratere a calice dello stesso museo, sul quale gli amori di esseri mitici sono espressi con atteggiamenti concreti e tuttavia lontani dal minimo accenno di volgarità. A sinistra, Leda scopre l'acerba bellezza del suo corpo giovanile aprendo il manto per accogliere, inconsapevole, Zeus cangiato in un cigno dall'aria inoffensiva; a destra, Afrodite stringe al petto il piccolo Adone risorto, che vola al suo abbraccio; un albero stilizzato, ma decorativamente perfetto, divide le due coppie divine.

La purezza delle linee colloca questi due vasi assai vicini allo stile attico; ma la passione amorosa, colta con tanto impeto, non è nello spirito di quell'arte, che fu tutta subordinata al senso della misura. Assai più si allontana dai modelli attici il pittore che dipinse la notte di Troia, il quale risente, molto invece, dei modelli àpuli. Le figure di Neottolemo che uccide il piccolo Astianatte, di Priamo caduto a terra e dei due Troiani che si difendono ancora con l'arco e con la spada, sono assai fiacchi ed anche i gruppi valgono, dal punto di vista compositivo, assai poco; ma la figura di Elena, che si volge con il viso stupito, come se non riuscisse a capire l'animazione del marito, e l'espressione energica di Afrodite che ordina a Menelao di lasciare la sua protetta, hanno vivace animazione.

Di particolare interesse sono le coppe, le cui iscrizioni, dipinte prima della cottura, hanno permesso, per la lingua che vi è usata, di assegnare questa fabbrica a Falerii. Si tratta di due coppe gemelle. Il soggetto - Dioniso giovanile, caratterizzato dal tirso, in atto di baciare una giovinetta nuda - non è nuovo; ma la composizione del gruppo è perlomeno strana ed una volta di più si pensa al desiderio di esprimere l'ebbrezza amorosa in un modo intenso, ma non volgare. La scritta, in dialetto falisco, dice: foied vino pipafo cra carefo "oggi berrò il vino, domani non ne avrò".

I vasi f. più antichi (ai quali andrebbe aggiunto uno stàmnos con alcune parole scritte in latino puro, le quali attestano l'influsso culturale di Roma, seppure non si vuole, sulla loro base, attribuire in blocco tutta la classe dei vasi f. a Roma) vanno collocati fra il 380 ad il 350 a. C. Fu breve fioritura. Alla fase ulteriore assegna il Beazley, nel suo studio sulla ceramica etrusca, alcuni altri vasi meno significativi (v. bonn, pittore falisco di; pittori di: berkley-hydria; foied; nazzano; ny carlsberg h. 153; vienna o 449; villa giulia 166o; villa giulia 1755; villa giulia 43969; villa giulia 43800; fluido, gruppo).

Bibl.: J. D. Beazley, Etr. Vase-paint., pp. 70-112; 149-162, con bibl. precedente; Annuario Sc. Arch. Ital. in Atene, N. S. VIII-X, (1948-1950), pp. 141-142; A. Rumpf, Malerei und Zeichnung (Handb. d. Arch., IV), Monaco 1953, p. 130.