Vedere

Enciclopedia Dantesca (1970)

vedere

Domenico Consoli

Verbo ad altissima frequenza, presente in tutte le opere dantesche, con funzioni espressive di particolare rilievo.

Quanto alle forme, notiamo: vedestù per " vedesti tu " (Vn XXII 14 7, XXIII 20 26, If VIII 127), védeisi per " vi si vede " (Pg XXII 112), vediesi per " si vedeva " (Pd XVI 51), ve' per " vedi " imperativo (Pg V 4, Fiore CXLI 9), vei per " vedi " indicativo (Pd XXX 71, in rima), ve' per " vede " (Rime dubbie XXVI 3: " troncamento poco dantesco " secondo il Contini); l'alternanza veggio e veggo, vedrai e vederai, vedrà e vederà, vedrete e vederete, vedrebbe e vederebbesi, viddi (If VII 20, in rima; cfr. Parodi, Lingua 259) e vidi, vegghi (Fiore LXIII 11) e veggi, vedendo (Rime LI 11) e veggendo, viso (Pd VII 5, nell'espressione latineggiante fu viso), veduto e visto.

Sul piano lessicale v. si associa spesso a ‛ guardare ', secondo un rapporto che lega ‛ guardare ' al momento iniziale del processo visivo, di cui v. rappresenta il naturale esito: guardai e vidi Amore (Rime LXXII 8); E certo i' credo che così li guardi / per vederli per sé quando le piace (LXXX 18); lo villanello... / si leva, e guarda, e vede la campagna / biancheggiar tutta (If XXIV 8); Guarda s'alcun di noi unqua vedesti (Pg V 49).

È da notare tuttavia che i significati fondamentali di v. comprendono a loro volta il " percepire con la vista ", ricevendo l'immagine di un oggetto, e l'intenzionale " mirare ", " rivolgere lo sguardo " su qualche cosa per coglierne le caratteristiche e riconoscerla. Le due categorie semantiche non sempre sono agevolmente distinguibili, anche se il v. intenzionale è di norma preceduto da verbi di volontà o desiderio (If III 85 Non isperate mai veder lo cielo), o è incluso in proposizioni finali (XXII 17 per veder de la bolgia ogne contegno), o posto in seconda persona singolare o plurale, o all'imperativo.

Il verbo può essere usato assolutamente, con complemento oggetto, con complemento predicativo; può essere seguito da ‛ che ' e proposizione oggettiva, da altre subordinate, da infinito. Ammette costruzione riflessiva e talvolta si presenta unito a ‛ si ' passivante. Il soggetto, comunemente personale, in casi più rari è costituito da entità astratte. Si hanno anche occorrenze di v. come infinito sostantivato.

L'importanza del vocabolo sta, per la maggior parte delle attestazioni, nel suo configurarsi a mediatore tra il mondo interno di D. e il vasto e vario paesaggio che si offre alla sua esperienza, sia durante la stagione della Vita Nuova, sia in tempi di più intensa meditazione culturale. La stessa Commedia si qualifica essenzialmente come un vedere (o mente che scrivesti ciò ch'io vidi, If II 8, e cfr. oltre) e sul verbo v. fa perno sia l'annuncio virgiliano portatore di salvezza (vedrai li antichi spiriti dolenti, I 116; vederai color che son contenti / nel foco, v. 118), sia il rinfrancato proposito del poeta: ch'io veggia la porta di san Pietro (v. 134).

Ai fini di una graduazione semantica considereremo innanzi tutto la circostanza di una semplice relazione visiva: tosto 'l saluta come 'l vedi (Rime LXIII 2: soggetto è ‛ il sonetto '); Di donne io vidi una gentile schiera (LXIX 1); talora vedemo cadere l'acqua mischiata di bella neve (Vn XVIII 5); chi guarda col viso con[tra] una retta linea, prima vede le cose prossime chiaramente; poi, procedendo, meno le vede chiare; poi, più oltre, dubita; poi, massimamente oltre procedendo, lo viso disgiunto nulla vede (Cv III III 13); vidi venir un gran villano / con una mazza (Fiore VI 11); Quand'i' vidi i marosi sì 'nforzare / per lo vento (XXXIII 1), e sono questi solo alcuni esempi dei moltissimi possibili.

Nella Commedia torna con particolare insistenza il vid'i' o il vid'io descrittivo in bocca di D.: quivi vid'io Socrate e Platone (If IV 134); Qui vid'i' gente più ch'altrove troppa (VII 25); Allor vid'io maravigliar Virgilio (XXIII 124); e quindi XXV 142, XXXII 70, Pg II 130, III 85, XII 22, XXIX 64, Pd III 16, V 103, X 145, XVI 29, XIX 37, XXI 136, XXIII 28 e 82, XXIV 20, XXV 22 e 106, XXVII 30 e 70, XXXI 131.

Ancora più numerose le presenze di io vidi o del semplice vidi: Quando vidi costui nel gran diserto (If I 64); vidi gente a la riva d'un gran fiume (III 71); vidi quattro grand'ombre a noi venire (IV 83); la sequenza di If IV 121-140 (nove presenze); Io vidi più di mille in su le porte (VIII 82); vidi gente attuffata in uno sterco (XVIII 113); Io vidi un, fatto a guisa di lëuto (XXX 49); io vidi due ghiacciati in una buca (XXXII 125); vidi ombre con manti / al color de la pietra non diversi (Pg XIII 47); vidi spirti per la fiamma andando (XXV 124); Io vidi più folgór vivi e vincenti / far di noi centro e di sé far corona (Pd X 64); vidi cento sperule che 'nsieme / più s'abbellivan con mutüi rai (XXII 23); io vidi / ambo le corti del ciel manifeste (XXX 95). Altre occorrenze: If VIII 15, XII 52 e 121, XIV 19, XVI 130, XVII 122, XIX 13, XXIII 82, XXV 17, XXVIII 23 e 118, Pg VI 19, VIII 22, XIII 100, XIX 71, XXIV 28, 31 e 106, XXIX 73, XXX 64, XXXII 16, 82, 96, 112, 118, 125, 131 e 152 (esempi relativi alla processione mistica), Pd XVIII 37, 55 e 107, XX 146, XXI 31, XXII 139 e 143, XXVI 81, XXX 71.

Correlate alle precedenti le attestazioni di vedrai, in genere con funzione introduttiva di annunci da parte delle guide dantesche: vedrai le genti dolorose (If III 17); Letè vedrai (XIV 136); Tu vedrai Anteo (XXII 100); omai vedrai di sì fatti officiali (Pg II 30); tu la vedrai di sopra, in su la vetta (VI 47); Tu li vedrai tra quella gente vana / che spera in Talamone (XIII 151); assai illustri spiriti vedrai (Pd XXII 20).

Tra i tanti altri luoghi della Commedia contrassegnati dall'uso di v. destano interesse quelli riflettenti personali ricordi del poeta, sebbene possa agire in essi una componente topica: Io vidi già cavalier muover campo, / e cominciare stormo e far lor mostra, / e talvolta partir per loro scampo; / corridor vidi per la terra vostra, / o Aretini, e vidi gir gualdane, / fedir torneamenti e correr giostra (If XXII 1, 4 e 5); Io vidi già nel cominciar del giorno / la parte orïental tutta rosata, / e l'altro ciel di bel sereno addorno (Pg XXX 22); i' ho veduto tutto 'l verno prima / lo prun mostrarsi rigido e feroce, / poscia portar la rosa in su la cima; / e legno vidi già dritto e veloce / correr lo mar per tutto suo cammino, / perire al fine a l'intrar de la foce (Pd XIII 133 e 136).

Parimente da porre in rilievo, in un più complesso campo di considerazioni, certi nodi narrativi stretti attorno a v., da cui si dipartono episodi poeticamente intensi o comunque strutturalmente fondamentali: Quando vidi costui nel gran diserto, / " Miserere di me ", gridai a lui (If I 64); vidi e conobbi l'ombra di colui / che fece per viltade il gran rifiuto (III 59); Vedi là Farinata che s'è dritto (X 32); Dintorno mi guardò, come talento / avesse di veder s'altri era meco (X 56); vidi presso di me un veglio solo (Pg I 31); vidi cose che ridire / né sa né può chi di là sù discende (Pd I 5); rimira in giù, e vedi quanto mondo / sotto li piedi già esser ti fei (XXII 128), col completamento: vidi questo globo / tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante (v. 134).

Tra gli usi traslati ricorderemo l'attribuzione del v. al sole ('l sole, girando lo mondo, non vede alcuna cosa così gentile come costei, Cv III VI 1; cfr. anche II XIII 9), alla notte (Tutte le stelle già de l'altro polo / vedea la notte, If XXVI 128), al lido del Purgatorio (Venimmo poi in sul lito diserto, / che mai non vide navicar sue acque / omo, che di tornar sia poscia esperto, Pg I 131), a un ramo (fin che 'l ramo / vede a la terra tutte le sue spoglie, If III 114; per la variante rende e la fonte latina della lezione a testo, v. Petrocchi, ad l.), ai fiumi testimoni della gloria militare di Cesare (E quel che fé da Varo infino a Reno, / Isara vide ed Era e vide Senna, ecc.: Pd VI 59), a un clivo (come divo in acqua di suo imo / si specchia, quasi per vedersi addorno, XXX 110).

La frase di Virgilio, allusiva a D. (Questi non vide mai l'ultima sera, Pg I 58), per un rapido trapasso dal piano proprio a quello figurato, suggerisce a un tempo l'idea della morte corporale e di quella spirituale, l'una e l'altra non avvenute, la seconda tuttavia sfiorata così da vicino che il peccatore ha per poco evitato un danno che sarebbe stato irreparabile.

A proposito delle ‛ visioni ', siano o no favorite dal sonno, il vocabolo vanta una lunga tradizione classico-biblica; per la sua peculiare situazione espressiva è, in questo senso, spesso attenuato dal verbo ‛ parere ': Ne le sue braccia mi parea vedere una persona dormire nuda (Vn III 4); me parve vedere ne la mia camera lungo me sedere uno giovane (XII 3); vedere mi parea donne andare scapigliate piangendo per via... e pareami vedere lo sole oscurare (XXIII 5); pareami vedere moltitudine d'angeli li quali tornassero in suso (§ 7); vidi cose dubitose molte, / nel vano imaginare ov'io entrai (§ 23 43); mi parve vedere questa gloriosa Beatrice con quelle vestimenta sanguigne co le quali apparve prima a li occhi miei (XXXIX 1); apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta, ecc. (XLII 1); Ivi mi parve in una visïone / estatica di sùbito esser tratto, / e vedere in un tempio più persone (Pg XV 87); ma visïone apparve che ritenne / a sé me tanto stretto, per vedersi (Pd III 8). Si vedano su questo piano anche Pd XXXII 127 quei che vide tutti i tempi gravi, / pria che morisse (dove il riferimento va a s. Giovanni per l'Apocalisse); If X 97 El par che voi veggiate, se ben odo, / dinanzi quel che 'l tempo seco adduce (qui l'intera espressione vale " prevediate ").

Normale l'impiego in profezie: Io veggio tuo nepote che diventa / cacciator di quei lupi in su la riva / del fiero fiume (Pg XIV 58); Tempo vegg'io, non molto dopo ancoi, / che tragge un altro Carlo fuor di Francia (XX 70); e cfr., nel medesimo canto, i vv. 80, 86, 88, 89 e 91; inoltre XXIV 83.

Un v. attraverso la memoria si registra in Rime dubbie XVI 17 io veggio sempre quel ch'io vidi allora.

Sta per " visitare " in Rime CXVI 77 O montanina mia canzon, tu vai; / forse vedrai Fiorenza, la mia terra; If XXVIII 131 tu che, spirando, vai veggendo i morti; Pg XXVII 128 Il temporal foco e l'etterno / veduto hai, figlio, con forte pregnanza, alludendosi al viaggio dantesco per l'Inferno e il Purgatorio.

Il vocabolo dà luogo ad altra sezione semantica quando viene assunto nel linguaggio amoroso, sia secondo la specifica casistica dello Stil nuovo, a sottolineare l'incontro spirituale e nobilitante tra l'uomo e la donna attraverso l'incrociarsi degli sguardi o il posarsi dello sguardo di lui sul volto o la persona di lei, sia in accezione più generica: chi mi vede e non se ne innamora / d'amor non averà mai intelletto (Rime LXXXVII 6; parla la pargoletta bella e nova); Chi mi vedrà / lauderà 'l mio signore (LVI 9); io era in luogo dal quale vedea la mia beatitudine (Vn V 1: il sostantivo che designa la donna sembra togliere all'atto visivo il carattere più comune di semplice rilevamento percettivo); Ciò che m'incontra, ne la mente more, / quand'i' vegno a veder voi, bella gioia (XV 4 2); E quando trova alcun che degno sia / di veder lei, quei prova sua vertute, / ché li avvien, ciò che li dona, in salute (XIX 10 38); Vede perfettamente onne salute / chi la mia donna tra le donne vede (XXVI 10 1 e 2). A modi affini si rifanno Rime XC 55, Vn XIV 6, XIX 7 16, 8 28 e 9 35, XXVI 1, e le occorrenze relative alla Donna gentile (Vn XXXV 2 e XXXVII 1 li miei occhi si cominciaro a dilettare troppo di vederla).

Passando dal campo percettivo al campo intellettivo (dove il v. va integrato e inteso come un ‛ v. con la mente ') si dichiarano soprattutto due ordini di significati, l'uno immesso in un sistema ruotante attorno ai valori di " accorgersi ", " considerare ", " notare " (subordinatamente " indagare "), l'altro orientato verso un " conoscere-comprendere ".

Il primo di questi significati è palese in formule di tono discorsivo, quali vedete quanto è forte mia ventura (Rime LXXXIX 5); Vedete come conchiudendo vado (CVI 137); Vedi come cotale donna distrugge la persona di costui (Vn V 2); Vedi che sì desideroso vegno / d'esser de' tuoi, ch'io ti somiglio in fede (XXIII 27 77); noi vedemo che li poete hanno parlato a le cose inanimate (XXV 8); Vedi quanta virtù l'ha fatto degno / di reverenza (Pd VI 34); Ma vedi: molti gridan " Cristo, Cristo "... (XIX 106).

Questa particolare inflessione semantica impronta di sé alcuni sintagmi tipici del Convivio, data la forte struttura dimostrativa del trattato: ‛ sì come vedemo ' (III II 12 e 13, V 8, VII 6, IV IV 5, XII 3 e 19, XXIV 8 e 10, XXV 7); ‛ come si può vedere ', ‛ come può vedere ' (I IX 10, X 6, XII 3, II I 6, III 13 [due volte], XII 4, III II 17, IV XXII 11); ‛ è da vedere ' (I XII 12, II XII 9, XIII 6 e 8, XIV 1, III II 2 e 10, IV 3, VIII 4, XIII 3, IV II 5, VIII 16, XII 13, XVI 4, 9 e 10). Altri casi di v. unito a ‛ può ' o ‛ si può ' (anche al plurale): I I 6, III 10, IX 4, X 7, XIII 11, II III 4, IV 15, XI 9, XIV 8 e 21, XV 1 e 2, III II 19, V 13, 17, 18, 20 e 21, VIII 15, IX 11, XI 5, 6 e 15, IV I 9, II 4, IV 6, 10 e 13, VI 5, VIII 10, IX 14, XII 1 e 17, XIII 10, XVI 8, XX 1, XXIII 1, Pd XXVIII 109.

Quanto al significato di " intendere ", " comprendere ", " conoscere ", esso è diffuso in tutta la produzione dantesca, ma, com'è naturale, trova più vasto e continuo impiego nel Convivio e nella Commedia, e specie nei passi connotati da energica tensione intellettuale e gnoseologica: cosa / che lo 'ntelletto cieco non la vede (Rime LXXXIII 44); Lo verace giudicio del detto sogno non fue veduto allora per alcuno (Vn III 15); A più latinamente vedere la sentenza litterale, ecc. (Cv II III 1); per difetto d'ammaestramento li antichi la veritade non videro de le creature spirituali (V 1); se potuto aveste veder tutto, / mestier non era parturir Maria (Pg III 38); Maestro, il mio veder s'avviva / sì nel tuo lume, ecc. (XXIII 10).

A rafforzare l'atto del v. intellettivo sopravviene talvolta l'avverbio ‛ bene ': tu vedrai ben perché da questi felli / sien dipartiti (If XI 88); Io veggio ben come le vostre penne / di retro al dittator sen vanno strette (Pg XXIV 58); Io veggio ben come ti tira / uno e altro disio (Pd IV 16); Io veggio ben che già mai non si sazia / nostro intelletto, ecc. (v. 124); Io veggio ben sì come già resplende / ne l'intelletto tuo l'etterna luce (V 7); Io veggio ben sì come tu t'annidi / nel proprio lume (v. 124); Io veggio ben l'amor che tu m'accenne (XXI 45).

Ciò che ‛ vede ' o aiuta a ‛ vedere ' è di volta in volta l'esperienza: secondo quello che per esperienza continuamente vedemo (Cv IV I 1); sì come per esperienza vedemo (IV IV 3); la dimostrazione: le... demonstrazioni, con le quali si vede la veritade (III XV 2); la ragione o l'intelletto: quel cotanto che l'umana ragione ne vede (II III 2); pare meraviglia come cotale produzione si può conchiudere e con lo intelletto vedere (IV XXI 6); come veggion le terrene menti / non capere in trïangol due ottusi (Pd XVII 14); Quanto ragion qui vede, / dir ti poss'io (If XVIII 46); quanto ragione umana vede (XIX 74); l'esperienza e la ragione: sensibilmente e ragionevolmente è veduto, e per altra esperienza sensibile (Cv II III 6); la ragione e la fede, in grado differente: vedemolo per fede perfettamente, e per ragione lo vedemo con ombra d'oscuritade (VIII 15), tutti momenti propedeutici a un più perfetto v. che si attua solo nel regno celeste: Io li credetti; e ciò che 'n sua fede era, / vegg'io or chiaro sì, come tu vedi / ogne contradizione e falsa e vera (Pd VI 20); ciò procede / da perfetto veder, che, come apprende, / così nel bene appreso move il piede (V 5).

A questo superiore livello sono prossimi quei passi in cui v., al limite della ‛ visio ' mistica, si apre a spettacoli soprannaturali o che in forme allegoriche rimandano a verità soprannaturali: Ciò ch'io vedeva mi sembiava un riso / de l'universo (Pd XXVII 4); vidi lume in forma di rivera (XXX 61); O isplendor di Dio, per cu' io vidi / l'alto trïunfo del regno verace, / dammi virtù a dir com'ïo il vidi (vv. 97 e 99); Da quinci innanzi il mio veder fu maggio / che 'l parlar mostra (XXXIII 55).

Il grado sommo del v. consiste naturalmente nella contemplazione di Dio, che è termine di struggente desiderio per le anime purgatoriali (fora / di vita uscimmo a Dio pacificati, / che del disio di sé veder n'accora, Pg V 57), realtà goduta per i beati del Paradiso: si fonda / l'esser beato ne l'atto che vede (Pd XXVIII 110); Lume è là sù che visibile face / lo creatore a quella creatura / che solo in lui vedere ha la sua pace (XXX 102).

Se tutto il viaggio di D. altro non è, come si è detto, che uno slancio ininterrotto a ‛ vedere ' (ancora una testimonianza di Beatrice in Pd XXV 56, correlata alla speranza: però li è conceduto che d'Egitto / vegna in lerusalemme per vedere, / anzi che 'l militar li sia prescritto), il canto conclusivo del poema, rappresentando il superamento di tutte le barriere fisiche opposte al disio del pellegrino terreno, è interamente sostenuto sulla fruizione più intensa della visione intellettuale (non sempre del resto resa attraverso il verbo v.), dalla preghiera di Bernardo (io, che mai per mio veder non arsi / più ch'i' fo per lo suo, XXXIII 28; Ancor ti priego, regina, che puoi / ciò che tu vuoli, che conservi sani, / dopo tanto veder, li affetti suoi, v. 36) al progressivo penetrare della vista dantesca nella luce che da sé è vera (vv. 52-54), al paragone con colui che sognando vede (v. 58), alle estreme conquiste dell'intelligenza: Nel suo profondo vidi che s'interna, / legato con amore in un volume, / ciò che per l'universo si squaderna (v. 85); La forma universal di questo nodo / credo ch'i' vidi, ecc. (v. 91); sino all'indagine, vanamente tentata, dell'ultimo mistero (veder voleva come si convenne / l'imago al cerchio e come vi s'indova; / ma non eran da ciò le proprie penne, v. 137), che invoca e ottiene l'intervento risolutore della grazia.

Da parte sua anche Dio è più volte designato con espressioni che s'incentrano sul concetto del v.: la luce che sola se medesima vede (Cv II V 11); avvegna che Dio, esso medesimo mirando, veggia insiememente tutto; in quanto la distinzione de le cose è in lui per [lo] modo che lo effetto è ne la cagione, vede quelle distinte. Vede adunque questa nobilissima di tutte assolutamente, in quanto perfettissimamente in sé la vede e in sua essenzia (III XII 11-12); Per che dire si può che Dio non vede, cioè non intende, cosa alcuna tanto gentile quanto questa (XII 14); Colui che mai non vide cosa nova (Pg X 94); ma quei che vede e puote a ciò risponda (Pd IV 123); Dio vede tutto e tuo veder s'inluia (IX 73).

Contestualmente il verbo può valere " chiarire ", " stabilire " (certe cose che sono mestiere a veder la diffinizione di nobilitade, Cv IV XVI 3); " imparare ", " trovare " con lo studio (con ciò fosse cosa che io avesse già veduto per me medesimo l'arte del dire parole per rima, Vn III 9); " distinguere " (non vede più da l'uno a l'altro stilo, Pg XXIV 62); " giudicare " (vede qual loco d'inferno è da essa, If V 10); " sperimentare " (me parve allora vedere tutti li termini de la beatitudine (Vn III 1); " controllare " (per veder se 'l vetro / li dice il vero, Pd XXVIII 7); " passare in rassegna " (Quasi ammiraglio che... / viene a veder la gente, Pg XXX 59).

L'espressione ella, che vedea me sì com'io (Pd I 85) ha il senso di " che leggeva il mio pensiero ", mentre il facean vedere di Pg XVI 108 è da intendere come " mostravano ".

Per il costrutto sul tipo di a udire e a veder giocondo (Pd XV 37), che esprime un'idea passiva, v. Rohlfs, Grammatica § 710; analogo il costrutto cintura / che fosse a veder più che la persona (XV 102).

Il passivo alla latina, sul modello di visus est (fu viso a me cantare essa sustanza, Pd VII 5), corrisponde a " sembrò ". Alcuni commentatori spiegano " apparve ", nel senso che D. ‛ vide ' cantare l'anima. Ma è probabile che il verbo esprima riserva, come sostiene il Mattalia: D. in effetti, connettendo il moto al canto, ritiene sia stato Giustiniano a cantare, pur non avendone la chiara percezione visiva.

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