VEIO

Enciclopedia Italiana (1937)

VEIO

Luisa Banti

Antica città etrusca, situata su un'altura naturalmente fortificata, vicino all'odierna Isola Farnese, e circondata dai Fossi di Formello e dai Due Fossi, che, riunendosi, formano il Fosso Valchetta, l'antico Cremera, affluente del Tevere.

I sepolcri più antichi sono pozzetti a incinerazione, con o senza rivestimento di pietre o custodia cilindrica di tufo, chiusi da una pietra e contenenti il tipico ossuario villanoviano biconico o, nei pozzetti più recenti, un'olla d'impasto; l'ossuario o l'olla sono coperti da una ciotola o, più raramente, da un elmo d'impasto o di bronzo; le urne a capanna sono rare. Contemporanee ai pozzetti più recenti sono le fosse di inumati, alcune anche di cremati, dapprima semplici, poi con loculo sepolcrale o votivo e con corredi che si vanno facendo sempre più ricchi a mano a mano che ci si avvicina al periodo orientalizzante. Le fosse più recenti sono molto ampie e annunziano le tombe a camera, che cominciano nel sec. VII a. C. Queste hanno una o più camere, coperte da tumulo o scavate nel tufo. Le camere sono quadrangolari, con soffitto piano o a vòlta, porta leggermente rastremata in alto con archivolto, chiusa da blocchi di tufo: le più conosciute sono la tomba Campana, l'unica veiente con decorazione parietale dipinta, e la tomba di Formello, dove furono trovati l'oinochoe Chigi e il bucchero con l'alfabeto etrusco. Più tarde sembrano essere le tombe a camera con gradini di accesso e loculi per inumati o cremati: questi ultimi sono più recenti dei primi (sec. V-IV a. C .). Oltre a queste, dopo il sec. V, si hanno solo rare tombe a camera o a fossa, che sembrano dimostrare il quasi completo abbandono della città. Di età romana sono i sepolcri ad opera quadrata o reticolata, i colombarî, gl'ipogei a stucchi. Le più antiche abitazioni sull'altipiano di Veio furono gruppi di capanne di materiale deperibile - legno o strame - contemporanee ai pozzetti a cremazione e alle fosse più antiche: abitazioni anteriori non sono sufficientemente provate. Non si aveva un unico centro, ma raggruppamenti separati.

La città etrusca, la più grande come superficie di quante conosciamo, fu particolarmente fiorente nei secoli VIII-VI a. C.: occupava tutto l'altipiano ed aveva l'arce, sembra, nella cosiddetta Piazza d'armi. Sono state ritrovate alcune case a blocchi squadrati di tufo e a varî ambienti; avanzi delle mura a costruzione isotomica, e di ponti, un tempio sull'acropoli, un altro in località Portonaccio - detto dell'Apollo - a tre celle, con ogni probabilità dedicato alla triade etrusca; nel recinto furono trovate la bellissima statua fittile di Apollo e le altre sculture, pure fittili, facenti parte del gruppo di Apollo ed Ercole in lotta per la cerva cerinite, oltre ad alcune antefisse a testa di Gorgone (antefissa, III, tav. a colori). Una grande piscina era vicina al tempio, forse dovuta all'esistenza di acque salutari. Dopo la distruzione di Veio un tempio continuò forse ad esistere in località Macchia Grande (resti di una stipe votiva del sec. IIIII a. C.). Della città romana, molto più piccola dell'etrusca, abbiamo resti di fabbricati con pavimenti a musaico, di bagni, fontane, statue, tratti di vie lastricate; dalle iscrizioni si deduce anche l'esistenza di un teatro e di templi.

All'inizio delle guerre con Roma, Veio appare una città ricca e potente, collegata a Fidene dalla comunanza d'interessi ed abitata da un popolo che parlava la lingua etrusca. Le iscrizioni provenienti dal tempio di Portonaccio mostrano alcune particolarità grafiche che le avvicinano a quelle di Tarquinia e del territorio capuano. Era governata da re. Di culti di età etrusca sono sicuri quelli di Giunone Regina e di Minerva. Ebbe nel sec. VI a. C. una scuola di artisti, uno dei quali, Vulca, è ricordato quale autore delle statue fittili che ornavano il tempio di Giove Capitolino a Roma. Forse Veio ebbe una fabbrica locale di buccheri; non sembra che ne abbia avute di vasi a figure rosse e nere.

Il territorio di Veio si estendeva a sud fino al Tevere, dove confinava con Fidene e Roma; ad ovest fino al mare; a nord comprendeva probabilmente il Lago Sabatino. Le lotte con Roma ebbero inizio sotto Romolo; nuove lotte avrebbero avuto luogo sotto Tullo Ostilio, Anco Marcio, forse Tarquinio Prisco e Servio Tullio. I territorî presi a Veio sarebbero stati restituiti da Porsenna e riconquistati da Roma dopo la battaglia di Ariccia. Per quanto queste prime lotte siano leggendarie, è arbitrario negare assolutamente conquiste romane a nord del Tevere durante il periodo regio. Le guerre ricominciarono nel 485 o nel 483 a. C.: un primo periodo di lotte ebbe per episodî salienti la vittoria dei consoli Cn. Manlio e M. Fabio e l'episodio dei Fabî (v.). I Veientani avanzarono fino al Gianicolo, mettendo Roma in serio pericolo, ma furono vinti a Porta Collina e obbligati a ritirarsi; vinti negli anni seguenti, furono nel 474 costretti a far pace con Roma per quarant'anni. Nel 438 a. C. Veio spinse Fidene a ribellarsi, ma fu vinta ed il suo re, Tolumnio, ucciso. Una nuova incursione di Veienti e Fidenati terminò con la presa di Fidene e una nuova tregua, rotta nel 426: Fidene fu saccheggiata e distrutta, Veio costretta a far pace per vent'anni. Ne1 407, secondo Livio, nel 406, secondo Diodoro, ebbe inizio l'ultima lotta contro Veio, il cui assedio sarebbe durato dieci anni e terminato dal dittatore M. Furio Camillo nel 396 con la distruzione della città. Dei numerosi episodî raccontati da Livio, salvo pochi fatti reali, tutto il resto sembra dovuto a motivi stereotipati.

La città distrutta non fu ricostruita; dopo la sconfitta dell'Allia fu discusso se trasportarvi Roma. Nel 387 a. C. dal territorio furono formate quattro nuove tribù. In seguito Veio è ricordata solo in occasione di prodigi, tuttavia sembrerebbe dimostrata l'esistenza di un tempio - o almeno di un culto - in località Macchia Grande. Forse Cesare vi dedusse una colonia di veterani; sotto Augusto ed in seguito fu municipio, appartenente alla tribù Tromentina, con a capo duumviri, assistiti da un collegio di centumviri; vi conosciamo anche due questori. Di saeerdoti sono ricordati un flamine, un sacerdote della Fortuna Reduce (?), gli Augustali. Erano praticati antichi culti di Giove Ottimo Massimo, di Castore e Polluce, della Pietà, di Cerere, del Genio e dei Lari, della Fortuna e dei Penati, di Apollo, Minerva e la Vittoria, di Ercole. E stato supposto che le are Mucie, ricordate da Plinio (Nat. Hist., II, 211), fossero a Monte Musino, dove è stata trovata un'iscrizione a Giove Tonante ed Ercole Musino. V. etruschi, XIV, tav. LXXIX.

Bibl.: Bullet. Instit. Corr. Arch., 1843, p. 69 segg.; Ann. Instit., 1856, p. 118; Notizie Scavi antich., 1882, p. 291 segg.; 1889, p. 10 segg., 29 segg., 60 segg., 154 segg., 238 segg.; 1901, p. 238 segg.; 1910, p. 241 segg.; 1913, p. 164 segg., 384 segg., 1919, p. 3 segg., 13 segg.; 1922, p. 206 segg., 215 segg., 379 segg.; 1923, p. 95 segg., 163 segg.; 1927, p. 371 segg.; 1929, p. 325 segg.; 1930, p. 45 segg.; 302 segg.; 1933, p. 422 segg.; 1935, p. 35 segg.; 329 segg.; S. Campanari, Descrizione dei vasi rinvenuti nelle escavazioni fatte nell'Isola Farnese (antica Veio)..., Roma 1839; G. Dennis, Cities and cemeteries of Etruria, Londra 1907, I, p. 81 segg.; L. Canina, L'antica città di Veii, Roma 1847; id., L'antica Etruria Marittima, I, ivi 1846, p. 79 segg.; J. Sundwall, Zur vorgeschichte Etruriens, in Acta Acad. Aboensis, Åbo 1932, p. 80 segg.; F. v. Duhn, Ital. Graeberkunde, I, Heidelberg 1924, p. 386 segg.; Ake Akerstroem, Studien über die etruskischen Kammergraeber, in Acta Inst. Rom. Sueciae, III, p. 13 segg.; H. Nissen, Ital. Landeskunde, II, i, Berlino 1902, p. 356 segg.; Corp. Inscript. Lat., XI, i, p. 556 segg.; Addit., p. 1354 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, II, Torino 1907, p. 125 segg.; E. Pais, Storia di Roma, II, ivi 1927, p. 65 segg., 320 segg.; G. Q. Giglioli, in Ant. Denkmäler, III, 5, Berlino 1926.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata