Vena

Universo del Corpo (2000)

Vena

Gabriella Argentin
Paolo Fiorani
Maurizio Taurino
Claudia Maggiore
Red.

Le vene sono vasi sanguigni nei quali scorre il sangue in direzione centripeta, ossia dalla periferia al cuore. Costituiscono oltre la metà di tutto il sistema circolatorio e contengono circa il 75% del sangue circolante (v. vol. 1°, II, cap. 3: Apparati e sistemi, Apparato circolatorio).

Anatomia

Il sistema venoso ha origine dai capillari venosi; questi confluiscono in vasi di calibro maggiore (vene postcapillari) che spesso si anastomizzano, formando reti dalle quali il sangue passa poi in tronchi di calibro progressivamente crescente a mano a mano che si avvicinano al cuore. Si distinguono vene del piccolo circolo (vene polmonari), che trasportano il sangue dai polmoni al cuore, e vene del grande circolo, divise in due grandi sistemi: quello della vena cava superiore, che drena il sangue della metà superiore del corpo, e quello della vena cava inferiore, che drena il sangue venoso al di sotto del diaframma. Tra i sistemi della vena cava superiore e inferiore vi sono plessi venosi anastomotici; altri plessi si trovano tra le vene del grande e del piccolo circolo. In particolari distretti anatomici come il fegato e l'ipofisi è presente un sistema venoso caratteristico denominato portale. Il sistema portale epatico è costituito da un insieme di vasi venosi che raccolgono il sangue dalla rete capillare del canale gastroenterico e dalla milza per convogliarlo nella vena porta che si suddivide nel fegato; da qui il sangue filtrato viene immesso nella vena cava inferiore. Il sangue contenuto nelle vene è scuro, povero di ossigeno e carico di prodotti catabolici, a eccezione di quello delle vene polmonari che, provenendo dai polmoni, conducono al cuore sangue ossigenato. Rispetto alle arterie, le vene presentano pareti meno spesse, calibro maggiore e capacità all'incirca doppia. Le pareti delle vene maggiori sono strutturate, dall'interno all'esterno, in tre tuniche: intima, composta da uno strato di endotelio e uno sottoendoteliale con scarse fibre elastiche e fibrociti; media, in cui sono presenti una componente connettivale ricca di fibre di collagene e una componente muscolare; avventizia, costituita da tessuto connettivale contenente fibre elastiche. Nelle tre tuniche il collagene e le fibre muscolari sono disposte a spirale; le cellule muscolari lisce forniscono il tono attivo, l'elastina e il collagene l'elasticità passiva. Le pareti delle piccole vene, invece, presentano una disposizione più semplice, potendo essere costituite da uno strato endoteliale sostenuto da una membrana di fibre collagene. Il sistema venoso, a differenza di quello arterioso che per la spinta impartita dalle contrazioni cardiache è ad alta pressione, ha pressione relativamente bassa, in quanto questa viene dissipata durante il passaggio attraverso i capillari. Quindi, soprattutto nei vasi venosi localizzati a livelli inferiori rispetto a quello cardiaco, la pressione supera a fatica la forza di gravità e il ritorno del sangue venoso al cuore è assicurato dall'azione di compressione ritmica esercitata dai muscoli scheletrici sulla parete delle vene e dalla presenza, nella parete stessa, di tessuti muscolari ed elastici e di strutture valvolari che impediscono il flusso retrogrado (v. valvola). Non sono presenti valvole nella vena cava e nelle vene polmonari, dato che le modificazioni pressorie nella cavità toracica aiutano lo spostamento del sangue verso il cuore.

Filogenesi

La storia filogenetica del sistema venoso è resa complessa da una lunga serie di trasformazioni che risultano strettamente correlate alle modificazioni intervenute nel sistema respiratorio con il passaggio dalla respirazione acquatica a quella aerea. Nei Vertebrati a respirazione acquatica, Pesci e larve di Anfibi, il sangue, refluo dai vari organi, si incanala in un sistema venoso che lo conduce all'atrio del cuore per mezzo di alcuni tronchi principali, le vene cardinali posteriori e anteriori e i dotti del Cuvier. La circolazione è, in questo caso, semplice e completa: semplice perché il sangue attraversa una sola volta il cuore che contiene sangue non ossigenato, completa perché il sangue ricco di ossigeno, a livello delle branchie, non si mescola mai con quello povero di ossigeno proveniente dai tessuti. L'introduzione della respirazione polmonare implica il passaggio dal cuore di sangue di due tipi differenti (venoso dai tessuti e ossigenato dai polmoni) che devono essere mantenuti, per quanto possibile, separati. La modificazione della circolazione venosa si riscontra già in alcuni ordini di Pesci, come i Dipnoi, che vivono negli stagni delle regioni tropicali e subtropicali soggetti al disseccamento durante la stagione estiva e sono in grado di respirare anche l'ossigeno atmosferico, per mezzo di polmoni che vicariano più o meno completamente le branchie come organi respiratori. Nei Dipnoi il sangue refluo dai polmoni viene immesso nel lato sinistro del cuore dalle vene polmonari indipendentemente dai tronchi venosi che portano il sangue impoveritosi di ossigeno a livello dei tessuti. Il cuore tende dunque a dividersi longitudinalmente in due metà e la circolazione a divenire doppia; rimane però imperfetta, in quanto, per l'incompleta divisione del cuore, il sangue del circuito polmonare si mescola a quello del circuito sistemico. Nei Dipnoi, inoltre, si verifica un altro cambiamento che si riscontrerà poi in tutti i Tetrapodi, a partire dagli Anfibi: la vena cardinale posteriore destra, situata dietro il cuore, è sostituita da un nuovo tronco venoso, la vena cava posteriore. Nel sistema venoso dei Pesci è presente una caratteristica destinata a persistere fino ai Rettili, il sistema porta-renale: il sangue proveniente dalla parte posteriore del tronco e della coda non ritorna direttamente al cuore, in quanto le vene cardinali si spingono indietro fino al polo craniale dei reni; dai capillari che circondano i tubuli renali, il sangue confluisce in nuovi vasi che lo trasportano in avanti nelle cardinali posteriori e da qui al cuore. In questi animali, dunque, il sangue che lascia il cuore è costretto a percorrere tre letti capillari (a livello delle branchie, dei tessuti e del sistema portale), perdendo in ciascuno di essi una parte significativa della sua pressione. Con la riduzione del sistema porta-renale nella maggioranza dei Rettili e la sua scomparsa nei Mammiferi, l'efficienza della circolazione aumenta notevolmente, dal momento che soltanto la circolazione intestinale passa attraverso due reti di capillari. Il sangue proveniente dalle altre regioni torna direttamente al cuore, incontrando un unico sistema capillare a livello dei tessuti.

Ontogenesi

Nello sviluppo del sistema venoso embrionale, in fase precoce, esistono due coppie di vene extraembrionali, che, pur derivando dallo zigote, non prendono parte alla formazione dell'embrione vero e proprio: si tratta delle vene ombelicali, provenienti dall'allantoide e, quindi, dalla placenta, e delle vene onfalomesenteriche, che raccolgono le vene vitelline provenienti dal sacco vitellino. Queste ultime si suddividono precocemente in una trama vascolare; il tratto sovraepatico dell'onfalomesenterica di sinistra regredisce, mentre quello destro forma la porzione epatica della vena cava inferiore. Delle vene ombelicali si conserva solo quella di sinistra, che dà origine a un dotto che scarica direttamente il sangue nella cava inferiore. Il sistema venoso intraembrionale attraversa vari stadi di sviluppo. Si forma dapprima il sistema delle vene cardinali, poco dopo compaiono le subcardinali, che sboccano nelle cardinali posteriori, e in corrispondenza del mesorene si slargano stabilendo anastomosi fra loro: quella di sinistra scompare, mentre quella di destra dà origine al tratto renale della vena cava inferiore. Le due vene cardinali comuni, per lo spostamento del cuore, assumono un decorso verticale, diventando le vene cave superiori; presto si forma un'anastomosi, per cui la cava di sinistra si scarica in quella destra. Il tratto a valle dell'anastomosi della vena cava superiore sinistra diventa il seno coronarico.

Fisiopatologia

Le variabili anatomiche dell'abbondante rete venosa, la pressione e il flusso costantemente mutevoli, la suscettibilità a molti fattori locali ed esterni rendono difficoltosa la valutazione delle proprietà fisiologiche delle vene, anche se negli ultimi quarant'anni del 20° secolo è stato dato un importante contributo allo studio della fisiopatologia venosa. Al fine di comprendere i meccanismi fisiopatologici è necessario chiarire l'emodinamica di base, a partire dai fenomeni di pressione-flusso che si verificano nelle vene, dagli effetti della gravità sulla pressione venosa e dalle relazioni esistenti tra pressione, volume e flusso. La pressione intravascolare è composta dalla pressione dinamica, esercitata dal ventricolo sinistro, dalla pressione idrostatica, determinata dal peso della colonna di sangue, e da quella statica di riempimento, correlata all'elasticità della parete venosa. La componente dinamica all'interno del sistema venoso è moderatamente bassa, aggirandosi intorno ai 15-20 mmHg a livello venulare, per arrivare a 0-6 mmHg nell'atrio destro. Quindi in qualsiasi posizione diversa da quella orizzontale la pressione idrostatica supererà di gran lunga la pressione dinamica. In un soggetto alto circa 180 cm, la pressione venosa a livello della caviglia aumenta di circa 100 mmHg in stazione eretta. A causa dell'aumento della pressione intravenosa si verifica una dilatazione delle vene declivi e un conseguente accumulo di sangue. Durante l'esercizio fisico la contrazione dei muscoli scheletrici fa aumentare temporaneamente la pressione periferica e il flusso venoso, consentendo così un rapido svuotamento dei compartimenti di accumulo e favorendo il ritorno verso il cuore. Il ritorno venoso dagli arti avviene attraverso un sistema superficiale o soprafasciale e un sistema profondo o sottofasciale. Si hanno quindi vene superficiali, con parete relativamente spessa e ricca di elementi muscolari, che contraggono anastomosi reciproche attraverso le vene comunicanti, e vene profonde, con parete sottile, che si accompagnano sempre alle arterie. Tali sistemi sono in connessione tra loro attraverso vene transfasciali dette perforanti. Oltre a svolgere il compito di assicurare il ritorno del sangue venoso al cuore, le vene assumono un ruolo rilevante nella termoregolazione e nella regolazione della circolazione generale mediante la funzione di serbatoio, esercitata attraverso sistemi vasomotori bioumorali e fisici. Tali funzioni sono strettamente legate alle loro peculiari caratteristiche anatomiche. La capacità venosa, ovvero l'attitudine della vena a contenere un determinato volume di sangue, è estremamente flessibile; ciò consente al serbatoio venoso normale di accettare grosse quantità di liquidi o perdite improvvise di sangue senza che si modifichi significativamente il valore della pressione venosa centrale. Questo fenomeno di adattamento è strettamente legato allo stato di contrazione della muscolatura della parete venosa, cioè al tono venomotorio che gioca un ruolo importante nella regolazione del volume venoso. La costrizione venosa può essere determinata da alcuni stimoli, come il dolore, l'emozione, l'iperventilazione, la respirazione profonda. Il freddo determina la costrizione venosa sia direttamente sia come risposta generale; il calore provoca una dilatazione indiretta annullando la venocostrizione. Il sistema venoso assume un ruolo importante anche nella regolazione della temperatura corporea: esso svolge questa funzione mediante un sistema di vene superficiali situate appena sotto la cute; tali vene consentono un'agevole trasmissione di calore dall'interno del corpo alla superficie cutanea. La vena può passare da una forma appiattita e collassata a una ellittica e circolare a seconda del suo stato funzionale in relazione alla pressione in essa vigente. Gli improvvisi cambiamenti di volume del sangue circolante, che possono comportare mutazioni riflesse del tono venoso, hanno effetto sulla conformazione del vaso. Finché la sezione non assume forma circolare, la vena è in grado di accogliere una quantità crescente di sangue senza un significativo aumento della pressione intraluminale; un'ulteriore crescita del volume, oltre la propria capacità di distensione, è associata a uno sproporzionato aumento pressorio con conseguenti danni alla parete (dilatazione e riduzione del tono venoso). Le valvole situate all'interno delle vene hanno la funzione primaria di mantenere e dirigere il flusso in direzione centripeta, cioè di mantenere un regolare ritorno venoso al cuore e di favorire il flusso dal sistema venoso superficiale a quello profondo. Esse presentano due cuspidi che, quando sono aperte, fluttuano secondo l'asse longitudinale della vena stessa; in questo modo anche una minima quantità di sangue refluito nel seno venoso risulta sufficiente a spingere i lembi verso la linea mediana e assicurare la chiusura della valvola. Il ritorno del sangue dagli arti inferiori al cuore viene effettuato contro la forza di gravità e si basa essenzialmente su due meccanismi: la vis a tergo e la vis a fronte. La vis a tergo si esplica attraverso tre sistemi differenti. Il primo è l'energia dinamica esercitata dalla sistole cardiaca: nel soggetto in posizione ortostatica le vene raccolgono semplicemente il sangue dai capillari e lo trasportano passivamente al cuore; l'energia in questo caso è totalmente fornita dalla contrazione del ventricolo sinistro, nel senso che la pressione vigente all'interno di una vena del piede è quella residua dalla dispersione dell'energia cinetica dopo il passaggio attraverso le arterie, le arteriole e i capillari. Il secondo è la pompa muscolare: durante l'atto deambulatorio, la contrazione dei muscoli scheletrici comprime le vene intramuscolari e intermuscolari provocando un aumento della pressione venosa e spingendo così in maniera attiva il sangue in direzione cefalica, verso il cuore. È qui che la chiusura delle valvole, al di sotto della sede di compressione, impedisce il flusso retrogrado, contrapponendosi alla forza di gravità. Infatti, dopo alcune contrazioni muscolari (come nel cammino o nella corsa) la pressione venosa a livello della caviglia o del piede scende al di sotto dei 20 mmHg (pressione venosa deambulatoria). Il meccanismo della pompa muscolare è molto sviluppato negli arti inferiori, principalmente a livello del polpaccio, e genera durante la compressione una pressione che può superare i 200 mmHg; esso inizia con la contrazione dei muscoli del polpaccio all'interno della loro stretta guaina fasciale, tutto il sangue raccolto nei tronchi venosi profondi viene energicamente compresso e spinto nelle vene poplitea e femorale, dopo pochi secondi, quando il muscolo si rilascia, le valvole del tronco principale delle vene impediscono al sangue di refluire verso la gamba. I muscoli del polpaccio, pertanto, agiscono come una sorta di cuore periferico o come una pompa supplementare che accelera il flusso sanguigno nelle porzioni più distanti del sistema venoso ove la corrente ematica tende a divenire troppo lenta a causa dell'ampiezza del letto vascolare. Nonostante la pressione all'interno delle vene profonde superi quella delle vene superficiali, le valvole presenti nelle vene perforanti impediscono il reflusso dal sistema profondo a quello superficiale con meccanismo analogo a quello precedentemente descritto. Il terzo è la spremitura della suola venosa di Lejars: anatomicamente, la suola venosa di Lejars, è costituita da una fitta rete di sinusoidi, disposti a forma di spugna e localizzati nella pianta del piede. A ogni atto deambulatorio l'alternanza di pressione e di rilasciamento fa sì che tale apparato spugnoso venga letteralmente spremuto liberando tutto il sangue contenuto e costringendolo quindi in direzione centripeta. La vis a fronte è rappresentata da un fenomeno di aspirazione costituito dal gradiente pressorio vigente tra il letto venoso periferico e l'atrio destro e dalla pressione negativa endotoracica, che si determina come effetto della dinamica respiratoria. Un sistema venoso continente (cioè sano) e una pompa muscolare efficiente riducono inoltre l'accumulo di liquidi nelle parti più declivi del corpo. La semplice posizione verticale statica può essere in grado di aumentare il volume di ciascuna gamba di circa 250 ml: è quello che clinicamente viene descritto con il termine di edema malleolare. I malleoli edematosi sono una caratteristica clinica costante del paziente con insufficienza venosa cronica. Tale manifestazione è il risultato di un'alterazione emodinamica a livello capillare in cui gli equilibri tra pressione idrostatica e interstiziale non sono più bilanciati. In definitiva, un meccanismo apparentemente semplice, come è quello rappresentato dalla pompa muscolovenosa, permette di assolvere importanti funzioni, quali facilitare il deflusso del sangue nei muscoli durante l'esercizio fisico, imprimere alla circolazione venosa una direzione centripeta, nonché evitare la congestione nelle regioni più declivi. L'alterazione di una di queste funzioni può concorrere a determinare uno squilibrio emodinamico tale da produrre una significativa manifestazione clinica. La pompa muscolare costituisce il meccanismo determinante nell'economia generale del ritorno venoso. Numerose cause possono portare a una sua insufficienza, e quindi a un'insufficienza venosa. Malattie debilitanti o neurologiche, miositi e patologie osteoarticolari sono condizioni che conducono a un indebolimento muscolare e rapidamente all'immobilità. Quando il sistema venoso e le valvole sono sani, l'ipotonia muscolare, da sola, è raramente causa di insufficienza venosa, ma, se preesistono anomalie venose, l'insorgenza di una patologia clinicamente evidente diviene rapida. Di contro, un'anomalia venosa può generare deperimento muscolare. Un'ulcera varicosa dolorosa oppure l'anchilosi fibrosa della caviglia determinata da uno stato di insufficienza venosa cronica possono essere la causa di una claudicatio antalgica, cioè di una deambulazione non corretta che, se da un lato tende a evitare la sintomatologia dolorosa, dall'altro provoca un alterato funzionamento della pompa muscolare, come pure un'alterata spremitura della suola venosa plantare. Infatti la mancata contrazione del polpaccio, oltre a ridurre il trofismo e il tono muscolare, per il non uso, aggrava la stasi venosa e le complicanze che da essa derivano. Si viene così a creare un circolo vizioso, causa di un ulteriore deterioramento della cute e del tessuto muscolare. La presenza di un'estesa trombosi venosa profonda, che determini l'ostruzione definitiva di vene sia inter- sia intramuscolari, provoca ipertensione venosa, impossibilità di contenere tutto il sangue che vi giunge a ogni sistole, dilatazione compensatoria delle vene pervie residue e insufficienza valvolare secondaria di queste ultime. Se a tale insufficienza si aggiunge quella delle vene perforanti e delle vene comunicanti, l'efficienza della pompa viene considerevolmente ridotta, con la realizzazione di un moto centrifugo e non più centripeto dal circolo profondo a quello superficiale e non viceversa, la cui espressione clinica più comune è rappresentata dalle varici secondarie, ovvero circoli di supplenza che tentano di superare l'ostacolo mediante l'attivazione di vie collaterali di deflusso. La parete venosa è in questi casi assolutamente normale e il sovraccarico emodinamico profondo viene compensato da un aumento del tono venoso del sistema di supplenza. A lungo andare, però, la continua sollecitazione comporta una dilatazione della parete con comparsa di incontinenza valvolare e formazione della varice. Infine, lo sfiancamento totale della parete ne diviene un fattore aggravante. Uno sfiancamento primitivo si realizza quando la riduzione del tono venoso è strettamente legata a una meiopragia (ridotta resistenza) del tessuto elastico, che è una componente fondamentale della tunica media. Le varici dipendenti da questa condizione predisponente prendono il nome di varici primitive o essenziali; fattori favorenti sono rappresentati dall'obesità, dall'ortostatismo prolungato, dalla stipsi e dalla gravidanza. Tali fattori agiscono sostanzialmente sull'aumento della pressione laterale endovenosa, sia per aumento della pressione endoaddominale, sia per riduzione del tono elastico intrinseco del connettivo parietale per influenze endocrine (come nel caso della gravidanza). Ne consegue una diastasi dei lembi valvolari che divengono incontinenti e lasciano refluire centrifugamente il sangue. Questo reflusso porterà a un ulteriore aumento della pressione laterale e a un progressivo peggioramento dello stato parietale con l'abnorme distensione delle fibre elastiche, la dilatazione e l'assottigliamento della parete, sino all'assunzione della caratteristica forma serpiginosa e alla formazione dei cosiddetti gavoccioli varicosi. Nelle fasi iniziali della malattia il sistema venoso profondo supplisce agevolmente a questo sovraccarico, ma con il passare del tempo il sovraccarico si estenderà al sistema delle vene perforanti, che perderanno man mano l'efficienza dei loro apparati valvolari, dando origine a un continuo traumatismo impresso dal reflusso verso un zona meno protetta: il sottocutaneo. L'ipertensione venosa passiva si ripercuote infatti sul sistema venulare sottocutaneo dilatandolo e dando origine alle flebectasie perimalleolari. L'evento successivo alla dilatazione venulare è la comparsa di una marcata stasi venulare e capillare; quando questa raggiunge il limite critico di permeabilità capillare dà luogo a microemorragie sottocutanee e dermiche, evidenziate clinicamente dalla caratteristica colorazione brunastra della cute dei malleoli. La più temibile espressione clinica dell'ipertensione venosa è l'ulcera (v.). Una recente ipotesi postula che a livello delle estremità si verifichi un accumulo di globuli bianchi che nel corso degli anni svolgono un ruolo determinante nella genesi di tale lesione trofica.

Principali patologie

Oltre alle frequentissime lesioni traumatiche, la patologia delle vene comprende principalmente processi infiammatori (flebiti e tromboflebiti) e degenerativi (varici). La flebite è un processo infiammatorio a carico di una vena al quale consegue di regola la formazione di un trombo; si preferisce quindi usare il termine tromboflebite, con il quale si intende l'occlusione del lume di una vena determinata da un trombo aderente alla parete del vaso, associata all'infiammazione, primitiva o secondaria, della parete stessa. La linea di demarcazione fra tromboflebite e flebotrombosi non è nettamente evidenziabile, anche se nella prima è presente una componente infiammatoria, assente o poco evidente nella seconda. La tromboflebite può avere cause diverse, agevolate in genere da numerosi fattori predisponenti (età avanzata, immobilità a letto, malattie cardiovascolari, obesità, parto ecc.). Si distinguono: tromboflebiti locali, che insorgono in una vena già alterata o malata; tromboflebiti secondarie, come reazione infiammatoria della parete alla formazione di un trombo conseguente a parto, interventi operatori, malattie infettive, malattie del sangue; tromboflebiti primarie, che colpiscono vene non precedentemente alterate e non in conseguenza di parti o interventi chirurgici ecc., a carattere recidivante o no. La sintomatologia appare contrassegnata dalla presenza di dolore, cute calda e arrossata, febbre. La flebotrombosi è una varietà di trombosi venosa consistente nella formazione di un trombo nel lume di un segmento venoso integro (e non infiammato come nella tromboflebite). L'assenza del dolore e della febbre e la facilità all'insorgenza di embolie polmonari possono essere caratteristiche cliniche tipiche di questa patologia. La cura è basata sugli anticoagulanti (per es., eparina, derivati dell'acido dicumarolico ecc.), sulla somministrazione di enzimi fibrinolitici oppure di attivatori del plasminogeno (come l'urochinasi) e, contrariamente a quanto si usava in passato, sulla mobilizzazione precoce del paziente previa fasciatura dell'arto realizzata con benda elastica. La varice è una dilatazione permanente di una vena con alterazione regressiva delle sue pareti. Le varici possono essere primitive, congenite o connesse con ipoplasia della tunica muscolare delle vene, oppure secondarie ad alterazioni generali o locali del circolo venoso, capaci di aumentare, con diverso meccanismo (compressivo, ostruttivo, chimicofisico: gravidanza, tromboflebite, cirrosi epatica), la pressione venosa distrettuale. Con relativa frequenza si sviluppano a carico delle vene superficiali degli arti inferiori, pur tuttavia possono assumere particolare rilievo clinico in altre sedi, dalla mucosa nasale a quella esofagea e gastrica, al funicolo spermatico (varicocele) ecc. A seconda della sede, del numero, del meccanismo di comparsa, della gravità e delle eventuali complicazioni che possono presentare le varici, i quadri clinici, gli approcci diagnostici e le misure terapeutiche sono molto diversi.

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