COLASANTI, Veniero

Enciclopedia del Cinema (2003)

Colasanti, Veniero

Stefano Masi

Scenografo e costumista cinematografico e teatrale, nato a Roma il 21 luglio 1910 e morto ivi il 26 maggio 1999. Ha legato il suo nome ai kolossal storici degli anni Cinquanta e Sessanta, lasciando la propria impronta di colto conoscitore dell'arte romana e collezionista d'antichità soprattutto in imponenti film storici come Fabiola (1949) di Alessandro Blasetti e The fall of the Roman empire (1964; La caduta dell'impero romano) di Anthony Mann. Per un altro kolossal di Mann, El Cid (1961), anch'esso girato in Europa, venne candidato nel 1962 all'Oscar insieme al collega John Moore, con il quale condivise gli anni migliori della propria carriera.

Figlio del critico d'arte Ardeno, crebbe in un ambiente di noti artisti, architetti e musicisti, da M. Piacentini a P. Mascagni, da F. Cilea a U. Giordano. Frequentò i teatri e ascoltò le arie della migliore tradizione musicale italiana, grazie alla zia, la contralto Gabriella Besanzoni, una delle più famose cantanti liriche italiane d'anteguerra. Mosse i primi passi della carriera di scenografo in teatro, vincendo un concorso per le scene del Pelléas et Mélisande bandito per una tournée italiana dell'Opéra di Parigi. A partire dal 1935 lavorò nei principali teatri lirici italiani, dal Teatro alla Scala di Milano al Teatro dell'Opera di Roma. Solo alla fine degli anni Trenta si avvicinò al cinema, non a caso con un progetto di derivazione teatrale, una Tosca (1940) affidata al grande cineasta francese Jean Renoir, progetto stravolto a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale e portato poi a termine dall'aiuto regista dello stesso Renoir, il tedesco Carl Koch. Nello stesso periodo C. firmò i costumi di un film ricco di citazioni pittoriche, Caravaggio (1941) di Goffredo Alessandrini, interpretato da Amedeo Nazzari, per il quale disegnò poi i costumi del successivo Il cavaliere senza nome (1941) di Ferruccio Cerio e vestì Maria Mercader e Leonardo Cortese nella commedia di ambientazione storica Un garibaldino al convento (1942) di Vittorio De Sica, sullo sfondo di un Ottocento da operetta. Dopo la parentesi bellica tornò a lavorare per il teatro allestendo scene e costumi di due spettacoli diretti da Luchino Visconti, Il candeliere, non portato a termine dal regista, e Il matrimonio di Figaro, anche se questa collaborazione non ebbe ulteriori sviluppi. Vicino al produttore ed ex scenografo Salvo D'Angelo, venne scritturato per il grande progetto di Fabiola messo in cantiere dalla Universalia Film, uno dei capisaldi della storia del cinema italiano per quel che riguarda scenografia e costumi. Per umanizzare l'aspetto monumentale dell'antica Roma, C. stravolse le proporzioni dell'architettura imperiale (da lui ben conosciuta, in quanto docente di rilievo dei monumenti all'Università di Roma) e ridisegnò colonne e templi a misura d'uomo; stilizzò poi il disegno degli abiti della Roma imperiale della protagonista Michèle Morgan, alla sua prima prova in un kolossal storico, ricalcando la linea dei vestiti da sera in voga nella Francia di quegli anni. Per la Universalia Film intraprese anche la preparazione di un'opera di Robert Bresson su Ignazio di Loyola, poi bloccata per l'opposizione dei Gesuiti. Proprio in quel periodo Luigi Chiarini gli affidò la cattedra di costume al Centro sperimentale di cinematografia, già appartenuta allo scomparso Gino Carlo Sensani. Gli anni Cinquanta rappresentarono il periodo più florido della carriera di C., il quale firmò, da solo o in coppia con J. Moore, scene e costumi per spettacoli di prosa e varietà (vestendo, tra le altre, Wanda Osiris e Anna Magnani), lirica e balletti; nonché la sacra rappresentazione Resurrezione e vita, allestita da Orazio Costa al Teatro Verde di Venezia nel 1954; lavorò in un gran numero di film tra i quali spiccano Prima comunione (1950), Tempi nostri ‒ Zibaldone n. 2 (1954) e Amore e chiacchiere ‒ Salviamo il panorama (1957) di Blasetti, e in una serie di opere ambientate nell'antica Roma. A C. e Moore si rivolse il produttore indipendente americano Charles Bronston per allestire i kolossal storici che volle girare in Europa, El Cid, 55 days at Peking (1963; 55 giorni a Pechino) di Nicholas Ray e The fall of the Roman empire. Per Bronston i due scenografi prepararono anche un quarto kolossal sul tramonto e la decadenza dell'impero asburgico, che Frank Capra avrebbe dovuto dirigere, ma che poi rimase incompiuto. Negli ultimi anni della loro carriera, dopo A matter of time (1976; Nina) per Vincente Minnelli, si dedicarono esclusivamente al teatro, firmando per anni le scenografie e i costumi degli allestimenti degli spettacoli del Festival di Salisburgo.

Bibliografia

S. Masi, Scenografi e costumisti del cinema italiano, 2° vol., L'Aquila 1989, pp. 75-88.

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