SABATINI, Venturino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

SABATINI, Venturino.

Marco Pantaloni

– Nacque a Napoli il 25 ottobre 1856 da Domenico e da Chiara Stella Giancristofaro.

Dopo aver frequentato l’istituto tecnico, continuò i suoi studi all’Università di Napoli e nella Scuola di applicazione, laureandosi in ingegneria civile nel 1879. Conseguì poi la laurea in matematica pura, con diploma di magistero per l’insegnamento delle matematiche.

Il 18 ottobre 1884 venne assunto in ruolo come allievo ingegnere presso il Regio corpo delle miniere e inviato per specializzarsi all’École des mines di Parigi. Sabatini frequentò sia il Service de la carte géologique de France guidato da André-Eugène Jacquot, sia il Collège de France dove insegnavano Ferdinand André Fouqué e il suo supplente, poi successore, Auguste Michel-Lévy; fu anche in contatto con Ernest-François Mallard e Charles Barrois. Viste le specializzazioni dei suoi maestri, non sorprende che Sabatini intraprese a Parigi studi petrografico-mineralogici, vulcanologici e sismologici. Nel novembre del 1886 fu nominato ingegnere geologo di terza classe e, dal 1893, venne destinato al Regio Ufficio geologico, dove raggiunse il ruolo di ingegnere capo.

Tra il 1888 e il 1892 eseguì il rilevamento dei fogli geologici, in scala 1:100.000, Potenza, Bari, Mola di Bari, Monopoli, Ostuni, Trinitapoli e Gravina in Puglia, collaborando con Luigi Baldacci e Michele Cassetti. Grazie alla presenza nell’Ufficio geologico di moderni laboratori riuscì ad approfondire la caratterizzazione petrografica e mineralogica delle diverse regioni vulcaniche d’Italia, in particolar modo dell’Italia centrale. L’eccezionale robustezza fisica permise a Sabatini di raccogliere ed elaborare una vasta mole di dati, completata da una serie di analisi petrografiche e petrogenetiche.

Nel 1892 pubblicò, in collaborazione con Emilio Cortese, il suo primo lavoro scientifico descrittivo: la monografia Descrizione geologico-petrografica delle Isole Eolie (in Memorie descrittive della carta geologica d’Italia, 1892, vol. 7, pp. 74-131), mentre l’anno successivo pubblicò la Descrizione geologica delle Isole Pontine (in Bollettino del R. Comitato geologico d’Italia, 1893, vol. 4, pp. 228-267, 309-329), lavori che gli aprirono una lunga stagione di studi sul vulcanismo italiano.

Nella sua Relazione del lavoro eseguito nell’anno 1895 sui vulcani dell’Italia centrale e loro prodotti (ibid., 1896, vol. 27, pp. 400-405), cominciò a esporre le sue osservazioni, confrontandole con le ipotesi avanzate dai vulcanologi del suo tempo. Grazie a una serie di analisi petrografiche, caratterizzò alcune colate laviche dei Colli Albani confrontandole con la ‘famosa’ colata di Capo di Bove, attribuendole quindi a eruzioni provenienti dal vulcano Tuscolano-Artemisio. Iniziò anche a studiare il complesso vulcanico Sabatino, ponendosi il problema, avanzato dubitativamente da Gerhard von Rath, che si trattasse di un ‘cratere da sprofondamento’. Seguendo una ipotesi formulata da Giuseppe Ponzi, Sabatini ritenne trattarsi, invece, di un enorme vulcano, poiché si trovava all’intersezione della «frattura tirrena principale» (monte Amiata, Bolsena, Vico, Bracciano, Vulcano Laziale, Roccamonfina, Vesuvio) e della «frattura trasversale» (p. 403; Sacrofano, Camporciano, Baccano, Martignano, Braccino, Monte Virginio).

Sempre nel 1895 cominciò il rilevamento geologico nell’area del complesso Cimino, collaborando con il paleontologo Giovanni Di Stefano (Sopra un calcare pliocenico dei dintorni di Viterbo, ibid., 1899, vol. 30, pp. 346-352). Riuscì a concludere la prima parte del suo progetto pubblicando la memoria I vulcani dell’Italia centrale (in Memorie descrittive della carta geologica d’Italia, 1900, vol. 10), dedicata al Vulcano Laziale.

Tutto il lavoro verteva sul presupposto che il doppio recinto di un edificio vulcanico derivasse dalla distruzione parziale dell’edificio originario e dalla successiva crescita, con minore energia, dell’edificio interno, seguendo la teoria dei ‘crateri di sollevamento’ formulata da Élie de Beaumont e da Leopold von Buch. Sabatini determinò le diverse bocche eruttive, studiò i materiali vulcanici emessi e la loro distribuzione sul terreno, realizzando tavole descrittive e una carta geologica alla scala 1:75.000.

Alcuni anni dopo completò anche la seconda parte dell’opera, pubblicando I vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti: Vulcani Cimini (ibid., 1912, vol. 15). Il piano di lavoro di Sabatini partiva dallo studio dei complessi vulcanici a miglior grado di conservazione (Vulcano Laziale, Vulcani Cimini), passando per quelli parzialmente demoliti (Vulsini, Sabatini) o senza tracce esterne di apparati (Monti della Tolfa, Sasso), per finire con quelli appartenenti a regioni vulcaniche secondarie (Capraia, Amiata, Radicofani, Ernici, San Venanzo, Coppaeli). Il lavoro si sarebbe dovuto concludere con lo studio del substrato sedimentario della regione, allo scopo di identificare le cause dell’attività endogena. La terza parte, relativa al complesso Vulsino, fu pubblicata postuma e solo parzialmente (L’unità del Sistema Vulsinio, in Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 1921, vol. 30, pp. 22-24).

Per approfondire le proprie conoscenze scientifiche visitò tutte le regioni vulcaniche italiane. Si recò anche in Messico dove, nel 1907, visitò il Volcán de Colima (Il vulcano Colima, in Bollettino del R. Comitato geologico d’Italia, s. 4, 1908, vol. 39, pp. 279-292), il Pico de Orizaba, il Jorullo, il Popocatépetl. Nel suo lavoro le Osservazioni sulla profondità dei focolari vulcanici (ibid., 1902, vol. 33, pp. 26-45), ribadì la sua opinione sull’assenza di crateri di sprofondamento (le attuali caldere), se non in rari casi dovuti a fenomeni superficiali. Proprio la supposta assenza di sprofondamenti nell’area laziale lo portò a considerare impossibile la presenza di camere magmatiche superficiali e ad affermare la presenza di condotti vulcanici più profondi.

Sabatini si occupò anche di sismologia e produsse alcuni lavori divulgativi, tra i quali Vulcani e terremoti (in Rivista d’Italia, 1902, n. 9, pp. 353-379), illustrando le concezioni dell’epoca sull’origine dei sismi e sulla loro propagazione. Ipotizzò l’asismicità delle zone europee centrali, dei Paesi baltici, delle pampas americane e delle steppe russe come dovute a enormi spessori di terreni incoerenti, che hanno l’effetto di ‘smorzare l’urto’. Indicò tra i fattori sismogenetici anche le dislocazioni tettoniche, che attribuiva a contrazioni della crosta terrestre.

Nel 1908 fu incaricato di studiare i fenomeni franosi del territorio calabrese; nel 1909 collaborò con la Commissione reale per la designazione delle zone più adatte alla ricostruzione degli abitati colpiti dal terremoto di Messina e Reggio di Calabria del 28 dicembre 1908. In seguito ai rilievi compiuti, pubblicò una Contribuzione allo studio dei terremoti calabresi (in Bollettino del R. Comitato geologico d’Italia, 1909, vol. 10, pp. 235-345) nella quale analizzò gli effetti al suolo del sisma (oggi detti cosismici) correlandoli ai danni agli edifici, anticipando i principi della zonazione sismica attualmente in uso dalla comunità scientifica, ed evidenziando che i caratteri specifici del suolo aumentano l’azione del terremoto (p. 252).

Dopo il terremoto di Acireale del 1914, nacque un’accesa discussione scientifica tra Sabatini e il fisico Giuseppe Martinelli, responsabile della sezione sismica del R. Ufficio centrale di meteorologia e geofisica. La polemica, sviluppata su riviste scientifiche, verteva sull’affermazione da parte di Sabatini di una duplicità di ipocentri, opinione fortemente contestata da Martinelli, e nella definizione fisica dell’ipocentro, che Sabatini riteneva non potesse essere puntuale.

A partire dall’anno accademico 1909-1910 divenne professore libero docente di vulcanologia e petrografia generale presso la facoltà di geologia e mineralogia dell’Università di Roma.

Durante la sua carriera, Sabatini prese parte ad alcuni congressi geologici internazionali. Nel 1897 partecipò al VII Congresso di San Pietroburgo (Bollettino del R. Comitato geologico d’Italia, 1897, vol. 28, pp. 277-283). Durante l’VIII Congresso, tenutosi a Parigi nel 1900, illustrò i risultati dei suoi studi sullo Stato attuale delle ricerche dei vulcani dell’Italia centrale e mostrò la sua ipotesi sull’origine del lago di Bolsena, ritenendo fosse dovuta «ad una serie di crateri avviluppanti» (crateri a sfoglie). Evidenziò inoltre come le valli fluviali siano tutte di tipo radiale e taglino i recinti vulcanici successivi (Congresso geologico internazionale. Parigi 1900, in Rassegna mineraria, 1900, vol. 13, pp. 149-151). Partecipò anche al X Congresso geologico di Città del Messico del 1906, durante il quale descrisse nuovi fenomeni apparsi nell’eruzione vesuviana dell’aprile 1906, la più importante del secolo, per la quale pubblicò il resoconto L’eruzione vesuviana dell’aprile 1906 (in Bollettino del R. Comitato geologico d’Italia, 1906, vol. 7, pp. 169-299).

Sabatini pensava di candidarsi alla direzione scientifica dell’Osservatorio vesuviano di Napoli, con il proposito di trasformarlo secondo moderne vedute, facendolo diventare una scuola di vulcanologia di scala mondiale. Il difficile periodo politico che coinvolse l’Italia e l’Europa nel primo ventennio del XX secolo pose un freno al progetto. Una grave quanto rapida malattia, probabilmente l’influenza spagnola, uccise sia Sabatini, il 19 gennaio 1922, sia la moglie Luigia Fava, il giorno 25.

Alla sua morte l’intera comunità scientifica internazionale espresse un profondo cordoglio, testimoniato dalla vasta mole di telegrammi e lettere di condoglianze conservate presso l’Archivio storico del Servizio geologico d’Italia.

Fonti e Bibl.: Presso l’Archivio storico del Servizio geologico d’Italia sono conservati anche manoscritti, carte geologiche e appunti di campagna di Sabatini.

A. Portis, Necrologio del professor V. S., in Annuario della R. Università degli Studi di Roma, Roma 1922, pp. 125-127; A. Polizzi, V. S., in Zeitschrift fur Vulkanologie, 1923, vol. 7, pp. 87-92; G. D’Achiardi, V. S., in Bollettino del R. Ufficio geologico d’Italia, 1932, vol. 57, pp. 1-9.

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