VERONA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

Vedi VERONA dell'anno: 1966 - 1997

VERONA (Verona)

L. Beschi

Una tra le più significative città romane della Venetia (Strab., v, 213; Martial., xiv, 195, 1) nell'antichità e tra le più considerevoli, oggi, per l'entità dei monumenti conservati.

Per posizione geografica, passaggio obbligato delle comunicazioni tra l'oriente e l'occidente della Padana superiore, punto di incontro di culture diverse e centro strategico di particolare importanza. Nella preistoria (a V. finora scarsamente documentata, nonostante l'importanza delle stazioni preistoriche del suo territorio) il guado del fiume doveva avvenire laddove sorse in età romana il Ponte della Pietra. Sul colle di S. Pietro, che lo domina, pare molto probabile esistesse il primo nucleo urbano, di cui solo scarse tracce si sono conservate a causa della ripetuta e profonda sopralavorazione dell'area. Tre popolazioni gravitavano in prossimità di questa testa di ponte: gli Euganei prima e i Veneti poi, da oriente; i Galli Cenomani, dalla vicina Brescia; le popolazioni retiche alpine che, in epoca storica, si ridurranno nell'isolamento del pagus Arusnatium (a N-O di V.). Quando la città, nell'89 a. C., diventa colonia di diritto latino (la V. di C. Valerio Catullo) e nel 49 a. C. municipio romano (la V. di Emilio Macro), dovette accogliere dal centro urbano maestranze architettoniche, artisti e artigiani. Ma ben presto dovettero formarsi scuole locali alimentate, per la felice centralità di una posizione dove si incrociavano la vecchia via Postumia (148 a. C.), la via Gallica e la cosiddetta Claudia Augusta (15 a. C.-47 d. C.), da influssi centroitalici, adriatici e padani. Alla data di creazione della Postumia risale probabilmente il primo manufatto monumentale di V.: un ponte nel sito di quello della Pietra, oggi irriconoscibile nelle sue strutture originarie a causa dei numerosi rifacimenti. Esso è un fatto certo anteriore all'impianto urbanistico della città ad assi ortogonali, che è del 49 a. C. Dopo questo momento fondamentale nella vita cittadina, la storia di V. si svolge senza fatti singolari. Quando nel 69 d. C. divenne teatro delle lotte tra Flaviani e Vitelliani (Tac., Hist., iii, 8, 1), nel suo aspetto dovevano già essere presenti tutti i maggiori monumenti architettonici conservatisi, sorti in poco più di un secolo. Allorché invece nel 265 d. C. i barbari premono ai confini e Gallieno con materiale di reimpiego ricostruisce in pochi mesi (dal 3 aprile al 4 dicembre) la cinta muraria (C.I.L., v, 3329), V. doveva già essere avviata ad un progressivo decadimento. Sarà nuovamente teatro di battaglia nelle lotte tra Costantino e Massenzio del 312 (Pan. Lat., ix, 8, 3) così da essere celebrata su un pannello scolpito della fronte meridionale dell'Arco di Costantino a Roma. Ma verso la fine del IV sec. una epigrafe (C.I.L.,v, 3332) testimonia ormai il triste abbandono anche di un monumento sacro e centrale come il Capitolium. Si dovrà attendere Teodorico (Il Dietrich von Bern delle cronache tedesche è il Teodorico di Verona) perché si riveda a V. un fervore di costruzioni architettoniche analogo a quello che aveva caratterizzato il suo rapido sviluppo romano.

1. Architettura. Del Ponte della Pietra, oltre alla sua probabile appartenenza al tratto urbano della via Postumia prima dell'impianto urbanistico tardo-repubblicano, poco si può dire che non esca da limiti ipotetici. Già in età romana il primitivo ponte repubblicano dovette subire un notevole restauro la cui epoca può essere segnata, data l'estrema severità del manufatto e l'assenza di modanature, dalla chiave di vòlta di una arcata a valle decorata da una divinità, forse fluviale, in uno stile provinciale tardo, posteriore al II sec. d. C. Al 49 a. C. risale almeno il progetto della fondazione della città secondo le consuetudini degli impianti ortogonali, con isolati di m 77 × 77. L'area interessata fu quella compresa e difesa a N dall'ansa dell'Adige; a S si elevarono due settori di mura di mattoni, alte circa 13 m. Il cardo e il decumanus maximus entravano in città da porte in tufo e mattoni, con due fornici e due piani di ronda a finestre. Una tabella iscritta (C.I.L., v, 3434) sulla parte rimasta di una di esse, esistente dietro il prospetto marmoreo di Porta dei Leoni, ricorda i nomi dei quattuorviri che assieme alle porte curarono la costruzione delle mura e delle cloache (cioè del reticolo viario), ossia dei fondatori di Verona. Connessa con questo momento dell'edilizia veronese dovette essere la costruzione di un nuovo ponte allineato (a differenza di quello della Pietra) sul decumanus maximus; di esso appaiono tracce visibili nel letto del fiume in momenti di magra. E dipendente da questo momento dovette anche essere il progressivo riempimento con costruzioni nuove della scacchiera urbana e dell'area circostante. Una delle prime tra esse fu probabilmente il teatro, tra i più imponenti dell'alta Italia, adagiato parzialmente contro il colle di S. Pietro che, con le due passeggiate superiori, fu trasformato in un prospetto scenografico di particolare effetto che ricorda le note sistemazioni monumentali dei santuarî laziali dell'ultimo secolo della Repubblica. Tra i caratteri che individuano il teatro veronese, databile per motivi storici, tipologici, tecnici e stilistici nell'età augustea, sono: la frons scaenae a nicchioni, una tribuna imperiale, due salite di gradinate all'esterno del paramento decorativo delle sostruzioni della cavea che si spengono contro le pendici del colle, un interessante loggiato o ambulacro in summa cavea. Un particolare gusto cromatico contraddistinse la scelta dei materiali impiegati. Due lunghe terrazze artificiali rivestite nella parete di fondo da paramenti di tufelli articolati in nicchioni, finte porte e finestre segnavano il passaggio alla sommità del colle dove un tempio (forse alle divinità alessandrine), concludeva il complesso monumentale. Di qualche decennio posteriore al teatro è l'erezione di un arco onorario alla gens Gavia, nota a V. per benemerenze pubbliche quali la costruzione di un acquedotto (C.I.L., v, 3402). Il suo architetto, L. Vitruvius Cerdo, fu educato, a giudicare dai caratteri strutturali e stilistici dell'opera, in un ambiente che doveva comporre elementi di tradizione ellenistica (quali la costruzione isodomica, siglata, la copertura piatta del soffitto) con altri di evidente tradizione romana. Col teatro esso appartiene ancora a quelle espressioni artistiche di V. che sono da intendere strettamente dipendenti dal centro direttivo romano e chiude il periodo giulio-claudio di essa. Un secondo momento, molto fervido, coincide con la magna Verona di Marziale (xiv, 195): i fatti più notevoli sono rappresentati da una ricostruzione o meglio da un rivestimento in pietra locale dei prospetti delle porte repubblicane della città e l'erezione di un grande anfiteatro, appena fuori le mura. La prima delle due imprese è stata fatta, quasi certamente, per iniziativa municipale, per adeguare al mutato carattere del gusto e al fasto imperiale gli ingressi della città. E come l'iniziativa fu locale sul piano amministrativo, così sembra esserlo stata come espressione artistica. Resta oggi il prospetto verso l'agro della cosiddetta Porta dei Borsari e mezzo prospetto della facciata verso città della cosiddetta Porta dei Leoni. La decorazione è ricca e minuziosa; i vuoti e i pieni sono distribuiti secondo schemi ordinati e simmetrici. Ciononostante manca alle due opere veronesi, databili tra la metà del I sec. e l'età flavia, l'equilibrio delle costruzioni urbane. Più discutibile una valutazione e una datazione dell'Anfiteatro, il terzo d'Italia, noto comunemente col nome di Arena. Mancano espliciti accenni nelle fonti, la tematica decorativa è molto sobria nel giro esterno del prospetto, conservato nel tratto dell'Ala, e la tecnica edilizia non è rigorosamente datante. I restauri medievali e moderni sono numerosi: il più notevole è rappresentato dalle gradinate della cavea ricomposte già nel '500 alterando o coprendo una situazione archeologica che poteva permettere, in sede di studio, la ricognizione della originaria sistemazione degli ordini. Solo in base all'evoluzione delle strutture anfiteatrali dal semplice al complesso e ad un rapporto di relatività con il carattere degli altri monumenti veronesi e con la storia della città pare probabile una datazione attorno alla metà del I sec. d. C. In rapporto a questo monumento doveva essere il ludus publicus noto solo epigraficamente (C.I.L., v, 3408) come altri monumenti cittadini di grande impegno: le thermae Iuventianae restaurate con la cospicua elargizione di 400.000 sesterzi (C.I.L., v, 3342; Not. Sc., 1891, p. 216) agli inizi del III secolo. Del Capitolium, oltre ad una notizia epigrafica (C.I.L., v, 3332), sono stati individuati i resti in prossimità del Foro: un alto podio sagomato (alto m 4,40) con favisse interne che lasciano indovinare la forma dell'alzato. Vicino ad esso un'altra grande costruzione di carattere pubblico ha lasciato pochi resti: forse la Basilica, di età flavia. Dalla stessa area proviene un fastoso elemento architettonico di età severiana, che testimonia con la notizia del restauro delle thermae Iuventianae, una ripresa edilizia della città prima della decadenza del 265. Pochi i resti di costruzioni private: tra i più notevoli quelli di una casa, con pavimenti musivi e resti di affresco, trovata alcuni anni fa in Valdonega, nella immediata periferia cittadina. Alcuni resti significativi segnalano un carattere peculiare anche nell'architettura funeraria di V.: costruzioni architettoniche vere e proprie, piccoli mausolei, dovevano alternarsi con le aree a gruppi di due o tre stele tra loro complementari. Tipico nell'architettura romana di V. l'impiego dei coloriti materiali locali: la pietra bianca di Valpantena, il marmo rosso di Valpolicella, i tufi teneri delle colline della periferia della città. Caratteristica in varî monumenti l'alternanza di tecniche provenienti dal centro Italia (come l'opus reticulatum, il latericium, il mixtum) con altre di tipo locale o tutt'al più padano (come i ricorsi di grossi ciottoli fluviali inseriti nel magma cementizio a spina di pesce).

2. Scultura. Gli stessi problemi segnalati dall'architettura si ripetono, in forma più evidente, anche se con documentazione meno ampia, nella scultura. Da un lato espressioni, spesso molto nobili, dell'arte cosiddetta colta. Copie di alto interesse documentario come l'Afrodite seduta fidiaca, il Serapide stante di Castel S. Pietro oggi a Ginevra, opere eclettiche come il gruppo delle statue iconiche femminili dall'area del Duomo, opere arcaizzanti come quelle del gruppo decorativo del teatro romano, sono sufficienti a documentare i varî aspetti di questa corrente colta nei primi due secoli dell'Impero. Vi si aggiungono alcuni ritratti. Il principe giulio-claudio trovato negli scavi della zona del Duomo, prescindendo dalle incertezze relative al suo problema iconografico, (che ne hanno fatto volta a volta Augusto giovane, Druso, Germanico, Gaio Cesare) è un capolavoro dell'arte del ritratto dei primi anni della nostra èra. Di notevole impegno anche un ritratto femminile con l'acconciatura dell'Ottavia, purtroppo di provenienza ignota. Ad una statua imperatoria di qualità analoghe a quelle del ritratto giulio-claudio doveva appartenere un torso loricato, scoperto recentemente, di finissima esecuzione. Non mancano ritratti di altre epoche, ma non escono dai limiti di un normale interesse. Significativo un ritratto bronzeo, trovato nel letto dell'Adige a S di V., che fonde modi tardo-repubblicani con elementi ormai giulio-claudî, in un'aria di ambiguità stilistica che forse si spiega con la fattura locale del pezzo, ma che ha fatto anche proporre una datazione rinascimentale. Non dovevano mancare a V. botteghe di bronzisti e di toreuti (C.I.L., v, 3428). La doppia erma femminile, varî bronzetti di collezioni locali, il ripostiglio di Montorio dalla periferia della città pongono V. in particolare risalto anche sotto questo aspetto, se non sempre come centro produttore, almeno come raffinato centro di raccolta. La scultura funeraria riecheggia questa confluenza di monumenti e di influssi di varia provenienza sia nella tipologia (stele a edicola con busti; stele con la raffigurazione completa della figura stante; rilievi orizzontali con serie di busti affiancati secondo un costume centroitalico) sia nelle forme stilistiche.

3. Pittura e mosaico. Poiché la città medievale e moderna ha sostituito molecolarmente, isolato per isolato, la struttura urbanistica romana conservando solo l'elevato di quelle opere architettoniche che potevano ancora assolvere ad una qualche funzionalità, i resti di mosaici e affreschi sono a V. piuttosto rari. Oltre a quelli già ricordati di Valdonega, pieni del fresco naturalismo dell'età flavia, meritano attenzione alcuni frammenti per lo più a decorazione geometrica, recuperati in varî punti della città. Notevoli illustrativamente e stilisticamente, due pavimenti musivi, provenienti rispettivamente dalle vicinanze di Porta dei Borsari e da piazza Bra: figurazioni del mondo dionisiaco compaiono nell'uno, scene dell'arena nell'altro. La datazione di ambedue è comprensibile tra la fine del I e gli inizi del II secolo. Altri notevoli mosaici sono stati trovati nell'agro veronese. Alla scarsità dei resti monumentali suppliscono in parte alcune notizie (Plin., Nat. hist., xxxv, 20; C.I.L., v, 3408) secondo le quali V. si distinse anche nell'arte della pittura.

4. Collezioni. Poche città hanno avuto, come V., una ricca serie di collezioni private sorte nei secoli scorsi e nutrite da quell'interesse storico-antiquario e storico-artistico che annovera i nomi di artisti come Falconetto e Palladio e di eruditi come Panvinio, Saraina e Maffei. Il materiale che le componeva era tuttavia solo in parte di provenienza locale. Due collezioni meritano un particolare ricordo. La Collezione Bevilacqua, assai apprezzata dal Goethe e distinta per una scelta serie di ritratti imperiali, non è più a Verona. Costituitasi nel XVI sec., fu venduta tra il 1810 e il 1811 a Ludovico I di Baviera e costituisce oggi una sezione notevole della Gliptoteca di Monaco. Un particolare carattere ebbe il Museum Veronense di S. Maffei, formato tra il 1714 e il 1750, e ancora conservato nell'ordinamento voluto dall'autore. Anche qui il materiale è di provenienza varia; molto è veronese, ma non mancano pezzi (come frammenti di monumenti funerari greci) acquistati sul mercato antiquario veneziano. Ma l'interesse del Museo Maffeiano non proviene dal materiale che esso raccoglie, quanto piuttosto dal criterio secondo il quale questo è esposto, a classi monumentali, tipologiche, per cui rappresenta una tappa nella storia dei musei e un singolare documento della cultura antiquaria settecentesca. Collezioni minori, in buona parte confluite nel Museo Archeologico del teatro romano, erano quelle Giusti, Malaspina, Moscardo, Sagramoso, Verità, Muselli. Da casa Alessandri proviene una buona replica del Menandro e nella Biblioteca Capitolare sono una testa di Omero e una lastra a mosaico col ritratto di Chilone. Di grande interesse è infine il ripostiglio monetario della Venera, uno tra i più importanti e più ricchi che mai siano stati trovati (50.591 pezzi), scoperto alla fine del secolo scorso nella campagna veronese e oggi conservato nel museo di Castelvecchio.

Bibl.: Sempre utile, per la messa a punto dei problemi archeologici veronesi, la consultazione della vecchia bibliografia locale dal '500 alla metà del secolo scorso (T. Saraina, A. Canobbio, O. Panvinio, S. Maffei, G. Orti Manara) raccolta nelle note bibliografiche delle opere e dei saggi più recenti di cui si ricordano i principali: A. Pompei, Studi intorno all'anfiteatro di V., Verona 1877; S. Ricci, Il teatro romano di V., Venezia 1895; A. L. Frothingham, Discovery of Capitolium and Forum of V., in Am. Journ. Arch., XVIII, 1914, p. 129 ss.; C. Anti, L'arco dei Gavi a V., in Architett. e arti decorat., I, 1921-22, p. 121 ss.; P. Marconi, Notizie sulle sculture antiche di V., in Madonna Verona, LXV-LXVIII, 1923; A. Avena, L'arco dei Gavi ricostruito dal comune di V., Verona 1932; G. Rodenwaldt, Goethes Besuch im Museum Maffeianum zu Verona, in Arch. Anz., 1932, c. 564; H. Kähler, Die römischen Stadttore von V., in Jahrbuch, L, 1935, p. 138 ss.; I. A. Richmond-W. G. Holdorf, Roman V., in Pap. Brit. Sc. Rome, XIII, 1935, p. 69 ss.; P. Marconi, Verona Romana, Bergamo 1937 (comprende referenze e citazioni di contributi minori precedenti); G. Rodenwaldt, in 102. Wincklemannsprogr., Berlino 1942. Bibliografia posteriore raccolta e segnalata in Verona e il suo territorio, I, Verona 1960 (a cura di F. Zorzi, G. B. Pighi, F. Sartori, L. Beschi, P. L. Zovatto). Successivi a tale opera: H. Möbius, in Ath. Mitt., LXXI, 1956 (pubbl. 1959), p. 113 ss.; G. Riccioni, in Arte ant. e mod., X, 1960, p. 135 ss.; L. Franzoni, in Nova Historia, XIII, 1961, p. 55 ss.; P. Gazzola, Ponte Pietra, Firenze 1963; L. Beschi, I bronzetti romani di Montorio veronese, Venezia 1962.