Vicenza

Enciclopedia Dantesca (1970)

Vicenza (Vincenza)

Nicolò Mineo
Pier Vincenzo Mengaldo

Non è tra le città più presenti alla memoria o agl'interessi di valutazione etico-politica di D., pur facendo parte di quella Marca Trevigiana e di quel mondo storico-geografico prima ezzeliniano e poi scaligero così rappresentato nella Commedia e, il secondo, sublimato al livello del mito. Neanche si sono scoperti nell'opera del poeta o in testimonianze esterne elementi tali da far fondatamente ipotizzare una sua conoscenza diretta della città.

V. ebbe origini preromane, e quindi fu municipio romano, ed ebbe una crescente importanza economica per la sua posizione geografica che rendeva facili le comunicazioni sia con la val d'Adige che con la laguna veneta; fu comunque inferiore alle vicine Padova e Verona.

Alla calata dei Longobardi, V., che dal sec. VI era sede vescovile, divenne sede di un ducato, quindi di un comitato franco e, dal sec. X, fu parte della Marca di Verona. Il vescovo vi doveva godere una notevole autorità causa di frequenti lotte, mentre la città maturava una certa autonomia; nel 1122 è infatti ricordato il consolato. Nelle guerre fra i comuni e il Barbarossa, V. strinse con Padova e Verona una lega, detta veronese, che nel 1167 si fuse con quella lombarda. Già nel 1175 abbiamo notizia di un podestà forestiero a V., il cui potere si alternò per un certo tempo con quello consolare finché le discordie fra le famiglie dominanti portò al prevalere dei da Romano: nel 1211 infatti Ezzelino II tenne la podesteria della città. Ci fu quindi un avvicendarsi al potere di vari partiti, finché, nel 1236, essendo podestà Azzo VII d'Este, la città fu presa d'assalto e saccheggiata da Federico II ed Ezzelino III che la ebbe in suo potere fino al 1259, senza tuttavia mai abolire le istituzioni comunali. V., che nel 1264 si era data dei nuovi statuti, fu dal 1266 sotto l'egemonia padovana, a cui fu contesa da Verona; tale predominio fu esercitato mediante l'imposizione degli organi di governo, e resse fino al 1311 allorché V. fu conquistata da Cangrande della Scala (15 aprile) che l'anno successivo ne otteneva il vicariato da Enrico VII. Vi furono ancora due tentativi padovani di riconquistare la città (1314, 1317), che però rimase sotto la signoria scaligera fino alla caduta di questa (1387).

L'interesse dantesco per V. ha il suo fulcro nel periodo in cui la città passò sotto la signoria di Cangrande al quale, nell'intestazione dell'Ep XIII, il poeta si rivolge come al " in urbe Verona et civitati Vicentiae vicario generali ", probabilmente non solo in funzione della definizione ufficiale del suo rango, ma anche per sottolinearne la potenza dato che il controllo della città era segno e garanzia del predominio nella Marca. Alla lotta che i Padovani intrapresero contro Cangrande per riimpossessarsi di V., e in particolare alla battaglia del 17 dicembre 1314, si riferisce, secondo la maggior parte degl'interpreti antichi e moderni, la profezia di Cunizza in Pd IX 46-48 ma tosto fia che Padova al palude / cangerà l'acqua che Vincenza bagna, / per essere al dover le genti crude. Nel contesto generale delle parole di Cunizza, la sconfitta dei Padovani assume un valore di simbolo: è la punizione del disordine morale e politico che degrada la Marca e tal disordine s'identifica con la politica guelfa di opposizione all'imperatore e ai suoi rappresentanti. Così D. fa un buon servizio a Cangrande, implicitamente bollando come contraria al piano provvidenziale di ordine terreno l'ideologia antitirannica, giustificativa della posizione antiscaligera, di cui i Padovani si erano fatti assertori.

D. inoltre ricorda V., in forma sineddotica, in If XV 113, allorché Brunetto Latini denuncia la presenza tra i sodomiti del vescovo Andrea de' Mozzi, declassato da Bonifacio VIII (ma non per la colpa, dubbia del resto, di sodomia) dalla sede di Firenze a quella vicentina: dal servo de' servi / fu trasmutato d'Arno in Bacchiglione, il fiume appunto che passa per la città.

Un legame indiretto di V. col mondo di D. è rappresentato dal fatto che Pietro, figlio del poeta, ivi fu giudice e legato del podestà bolognese Bernardo Scannabecchi, negli anni 1343-1344.

Nella biblioteca Civica Bertoliana è conservato un manoscritto abbastanza importante della Commedia, segnato 138, esemplato nel sec. XIV. La sola edizione dantesca stampata a V. sembra quella della Commedia curata dal vicentino Francesco Trissino " col testo originale a riscontro ad utilità e comodo degli studiosi della sublime poesia " (1857-58).

Bibl. - aa.vv., D. e v., Vicenza 1865; Basserman, Orme 435-436. Per altri studi ottocenteschi, rimandiamo alle indicazioni fornite alla voce Bacchiglione. Importanti, per un quadro d'insieme, G. Petrocchi, La vicenda biografica di D. nel Veneto, in aa.vv., D. e la cultura veneta, Firenze 1966, 13-27 (rist. in Itinerari danteschi, Bari 1968, 119-141); G. Arnaldi, La Marca Trevigiana " prima che Federigo avesse briga ", ibid., 29-38; R. Manselli, Cangrande ed il mondo ghibellino nell'Italia settentrionale alla venuta di Arrigo VII, ibid., 39-50; E. Raimondi, D. e il mondo ezzeliniano, ibid., 51-70; R. Weiss, La cultura preumanistica veronese e vicentina del tempo di D., ibid., 263-272. V. anche G. Billanovich, Tra D. e Petrarca. Umanesimo a Padova e a Verona e umanesimo a Avignone, in Atti del Congresso internazionale di studi danteschi, II, Firenze 1966, 349-376, e la bibliografia che correda la voce Padova.

Lingua. - La città è sorprendentemente accostata da D. a Verona e Brescia (VE I XIV 5) per definire un sottogruppo (caratterizzato per D. dall'uso dell'avverbio magara) del gruppo dialettale lombardo-veneto yrsutum et yspidum, " rudemente aspro ", mentre le nostre conoscenze dialettologiche indicano la stretta affinità del vicentino col padovano, e la sensibile differenza invece di entrambi rispetto al veronese. E si noti che può aver agito su D. solo la vicinanza geografica, non il criterio politico, perché fino al 1311 V. è ancora sotto l'egemonia carrarese, non scaligera.

Va comunque ricordato a titolo di cronaca, sebbene sia molto difficile far credito a D. di questa sottigliezza dialettologica, che da studiosi moderni come il Battisti e G.B. Pellegrini è stata formulata l'ipotesi che parte del territorio vicentino appartenesse in antico a un'area dialettale ‛ atesina ' abbracciante Trento e Verona. V. VERONA.

Bibl. - C. Battisti, in Atti del III Congresso nazionale di arti e tradizioni popolari, Roma 1936, 63-75; G.B. Pellegrini, in " Studi Mediolatini e Volgari " XIII (1965) 153 ss.; ID., in D. e la cultura veneta, Firenze 1966, 95 ss.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

TAG

Cangrande della scala

Andrea de' mozzi

Marca trevigiana

Municipio romano

Brunetto latini