BRUNETTI, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)

BRUNETTI, Vincenzo

Rita Cambria

Nacque a Bologna il 23 febbr. 1761 da Gaetano e Maria Maddalena Lapi. Conseguita la laurea in giurisprudenza, esercitò con successo la professione di notaio fino al 1795, quando fu chiamato come lettore di notariato all'università. All'arrivo dei Francesi (1796) il B. aderì subito con sincero entusiasmo alle nuove idee e intraprese la carriera politica. Il Senato lo nominò membro della giunta incaricata di compilare la costituzione di Bologna, il Saliceti, dal canto suo, lo scelse come uno dei trentasei rappresentanti bolognesi al primo Congresso cispadano, convocato a Modena dal 16 al 18 ott. 1796. Qui il B. fu nominato, in un primo momento, segretario del Congresso; avendo rinunciato, non partecipò attivamente ai lavori. Compilata la nuova costituzione, da lui sottoscritta, il B. fu nominato fra i sei segretari incaricati di redigere gli atti dei comizi da tenersi a Bologna il 4 e il 5 dicembre; questi lo elessero fra i rappresentanti bolognesi al Congresso cispadano tenutosi a Reggio dal 27 dic. 1796 al 9 genn. 1797.

Qui gli interventi del B. ebbero un gran peso nello svolgimento dei lavori: fu lui infatti a proporre la formula della "Repubblica una e indivisibile" secondo il modello francese; a battersi per la pubblicità del Congresso, a opporsi a una proposta che garantiva ai deputati il privilegio dell'inviolabilità. Con gli altri Bolognesi, il B. sostenne che la costituzione della sua città doveva essere applicata in attesa di quella cispadana: atteggiamento, questo, che lo coinvolse nelle accuse di particolarismo rivolte dai deputati delle altre città al "partito bolognese", ma che non gli impedì, in realtà, di tenere una condotta autonoma.Neppure al successivo Congresso di Modena, tenutosi dal 21 gennaio al 31 marzo 1797, il B. rinunciò a una presenza attiva e consapevole.

Egli intervenne infatti ripetutamente su temi di grande importanza: così, riguardo alla divisione dipartimentale, si preoccupò che la costituzione cispadana non fissasse criteri troppo rigidi e fondati esclusivamente sul dato numerico della popolazione; per la scuola primaria richiese un preciso impegno a una penetrazione capillare nel tessuto sociale; per le amministrazioni locali, ritenne necessaria una definizione delle competenze, specie tributarie, che garantisse lo snellimento dell'amministrazione centrale. Su taluni problemi, come quello della libertà di culto, il B. condivise le cautele dominanti nell'assemblea; e a proposito della questione dei rapporti con l'esercito francese, si dimostrò convinto della necessità di tenere conto delle direttive del Bonaparte, fino a proporre, d'accordo con la maggioranza, che una delegazione lo consultasse sulla reale autorità del Congresso. In altri casi, invece, non esitò a sostenere posizioni minoritarie o addirittura molto avanzate: così si oppose alla instaurazione di un sistema elettorale a tre gradi e sostenne la maggiore rappresentatività di quello a due gradi; giunse infine a proporre che la sanzione obbligatoria delle leggi fosse affidata ad un consiglio numeroso, eletto dal popolo, diviso in sezioni ripartite nei distretti della Repubblica, secondo uno schema ancor più radicale di quello francese del '93.

Il prestigio acquistato ai Congressi cispadani e la stessa nomina a senatore non valsero al B. l'elezione al Corpo legislativo. Il 30 maggio 1797 fu invece nominato commissario di governo per il dipartimento del Reno, e nel settembre gli venne affidata l'amministrazione dei beni nazionali già appartenenti all'Ordine di Malta. Quando venne proclamata l'unione della Cispadana alla Cisalpina, il Bonaparte, il 9 nov. 1797, lo nominò rappresentante del dipartimento del Reno al Consiglio de' iuniori. Anche qui il B. partecipò attivamente ai lavori ed esercitò un'influenza spesso decisiva nella formazione della legislazione cisalpina. Il 19 febbr. 1798 venne nominato presidente dell'assemblea; il 6 marzo fu proposto per la riconferma, ma egli rifiutò parendogli ciò contrario alla legge.

Al Consiglio cisalpino il B. si preoccupò innanzitutto della definizione dei poteri che si stavano strutturando nella nuova Repubblica: difese le prerogative del Corpo legislativo contro gli arbitri del Direttorio; si interessò alla definizione dei compiti delle municipalità e si preoccupò dell'indipendenza e del corretto funzionamento degli organi giudiziari centrali e locali. Nel corso dei lavori intervenne ripetutamente sul problema dei beni nazionali: si preoccupò che il Corpo legislativo definisse, contro ogni possibilità d'arbitrio, l'entità dei beni nazionali alienabili e che non venissero alienati quelli appartenenti alle piccole comunità agricole e pastorali; si fece promotore di disposizioni che garantissero l'effettivo sostentamento degli ecclesiastici, fissando come criterio nelle retribuzioni le loro personali disponibilità economiche. Rivelò inoltre un preciso interesse per i problemi tributari: sulle sue proposte, infatti, il Consiglio decise di abolire i dazi interni e di semplificare e uniformare le imposte in tutto il territorio della Repubblica; il suo intervento contro il criterio progressivo nella riscossione delle imposte dirette contribuì a orientare il Consiglio in questa materia; d'altra parte, egli si batté vivacemente per l'abolizione dei dazi, come quello sul macinato, che gravavano specialmente sui meno abbienti e si sforzò di indicare nuove forme di imposte dirette, come la mercimoniale, o indirette, sui consumi di lusso, che ad un tempo garantissero una maggiore equità fiscale e risolvessero la grave situazione finanziaria della Repubblica. Anche nel Consiglio cisalpino, infatti, il B. si fece assertore di una politica di pieno accordo con la Francia, che tenesse conto delle sue esigenze militari: quando si giunse a discutere il trattato di alleanza e di commercio, egli, a differenza dell'Aldini, di cui era amico, lo appoggiò, e, pur preoccupandusi di circoscrivere la limitazione alla libertà di stampa, si fece anzi promotore di una legge contro chi "spargesse diffidenza sulla lealtà e buona amicizia della Grande Nazione verso la Repubblica cisalpina".

Il 7 luglio 1798 il nome del B. fu posto in ballottaggio per la nomina a membro del Direttorio. Gli fu preferito l'Adelasio; poco dopo, tuttavia, il 10 luglio 1798, il Direttorio lo nominò ministro di Polizia generale. Dopo la riforma, del Trouvé, il B. fu riconfermato al Corpo legislativo e nella sua carica di ministro: furono allora posti sotto l'ispezione della polizia anche i fogli periodici e molti fra quelli più avanzati furono in questo periodo sospesi o soppressi. Il B. emanò inoltre norme severe contro i gruppi sospetti di atteggiamento antifrancese, fino a chiudere, il 25 agosto, i circoli costituzionali in tutta la Repubblica e si adoperò attivamente a preparare il paese ai comizi elettorali che dovevano ratificare la nuova costituzione.

Col successivo colpo di Stato del generale Brune, il 19 ott. 1798, il B. venne nominato membro del nuovo Direttorio al posto dell'Adelasio. La nomina dei tre nuovi direttori "amici del popolo" non mancò di suscitare le speranze di qualche organo democratico: in realtà il B., come i suoi nuovi colleghi, era un convinto assertore della nuova costituzione e difese contro le fiere critiche di taluni oppositori, come il Custodi, la legittimità dei comizi elettorali indetti il 25 ottobre per sancirla. D'altra parte i nuovi direttori apparivano sospetti alle autorità francesi per la liberalizzazione che la riforma del Brune aveva introdotto in molti settori della vita pubblica. In tali condizioni, l'attività del B. fu molto circoscritta e riguardò principalmente l'avocazione alla nazione dei beni appartenenti alle mense vescovili. Col successivo colpo di Stato del Rivaud del 7 dic. 1798 il B. venne destituito dalla carica di direttore e non venne neppure confermato al Corpo legislativo; quindi fu addirittura denunziato dal ministro di Polizia, in due rapporti del 15 e del 17 dicembre, come sospetto di cospirazione antifrancese. Rimase per qualche mese lontano dalla vita pubblica, senza che si abbiano notizie sicure sul suo conto. Anche per il periodo dell'invasione austrorussa non restano che cenni contraddittori: non venne, però, perseguitato e probabilmente ritornò nella sua città.

Nel 1800, tornati i Francesi a Bologna, il B. fu chiamato al governo del municipio. In questo periodo si dedicò anche all'insegnamento universitario, tenendo un corso sulla "Storia dei costumi e delle leggi"; successivamente le cariche pubbliche lo tennero lontano dall'università. Il 24 giugno 1800 fu nominato dal Bonaparte membro della Consulta legislativa, nella sezione civile, e vi propose il piano di costituzione già adottato nella Cisalpina. Il 12 nov. 1801 fu insediato deputato ai Comizi nazionali di Lione. Anche qui partecipò ai lavori con proposte e interventi. Come membro della cessata Consulta, sottoscrisse la costituzione della Repubblica italiana e il 26 genn. 1802, nella sua qualità di segretario, lesse per intero la costituzione, che fu acclamata. A Lione il B. venne iscritto al Collegio elettorale dei dotti e fu nominato, il 23 gennaio, membro del Corpo legislativo per il dipartimento del Reno. Egli rinunciò tuttavia a questa carica quando il Melzi gli offrì una prefettura, dapprima quella del Panaro, poi, definitivamente, quella del Serio, cui venne nominato il 26 aprile 1802. Come prefetto il B. si conquistò la stima del Melzi, che pure era diffidente nei suoi confronti per i suoi trascorsi politici, dando prova di competenza e di impegno, tanto da essere giudicato da lui uno dei migliori funzionari disponibili. Il 9 maggio 1804 il B. fu trasferito al dipartimento del Rubicone, dove rimase fino al 23 luglio 1805. Il 6 giugno 1805, col terzo statuto costituzionale, venne nominato membro della censura; lo stesso anno gli giunse la nomina a prefetto dell'Adige, ma rinunciò quando l'Aldini lo volle con sé a Parigi come direttore degli uffici della Segreteria di Stato. In questa carica il B. ebbe modo di partecipare direttamente all'elaborazione della politica di Napoleone, che affidava alla Segreteria compiti della massima importanza. Negli ultimi mesi del 1806 il B. seguì l'Aldini in un viaggio in Germania e in Polonia; nel periodo successivo, fino all'agosto del 1807, sbrigò in sua assenza gli affari del ministero.

Già nominato commendatore della Corona di ferro nel 1805, nel 1808 il B. fu proposto dal viceré Eugenio per il Senato, ma la nomina non venne confermata. Tornò a Milano nel 1811, allorché venne chiamato, il 7 settembre, a sostituire il Birago come direttore generale del Censo e delle imposizioni dirette, e fu nominato, su proposta dell'Aldini, membro del Consiglio di Stato, fra gli auditori.

Alla direzione generale del Censo il B. poté dar prova dell'esperienza in materia tributaria maturata durante tutta la sua carriera politica e amministrativa: completò la strutturazione degli uffici incaricati di coordinare l'esazione dei tributi e di fornire le statistiche dei redditi fiscali in relazione alla situazione economica; mise a punto così un valido e moderno strumento, particolarmente importante per la realizzazione della politica finanziaria del Prina. A riconoscimento delle benemerenze acquisite in questo ufficio venne nominato conte del Regno italico.

Caduto il Regno, senza che il Censo venisse danneggiato nella sommossa milanese, il B. venne confermato dall'Austria nella sua carica. La tenne fino al 1825, quando egli stesso chiese di essere posto a riposo e si stabilì definitivamente a Bologna. Nella sua città il B. ebbe ancora una parte di rilievo negli avvenimenti del 1831. Il 26 febbraio, infatti, venne nominato dal governo provvisorio rivoluzionario di Bologna rappresentante all'Assemblea della Province unite italiane. Qui partecipò alla seduta in cui venne dichiarata la decadenza del dominio temporale del pontefice e partecipò ai lavori di una commissione; il 3 marzo fu proposto per la carica di ministro degli Interni, ma venne battuto al secondo scrutinio. Il 17 marzo si dimise per ragioni di salute; tuttavia il suo nome era stato già escluso dalla lista dei prefetti per la successiva assemblea da tenersi il 20 marzo. Dopo l'intervento austriaco, il B., che era uno dei più moderati fra i partecipanti alla rivoluzione di febbraio, fu chiamato a presiedere la guardia civica urbana. Il 13 apr. 1832 venne insediato nel Consiglio comunale; il 17 giugno venne nominato senatore di Bologna, massima carica del comune, tradizionalmente riservata ai membri dell'antica nobiltà, che egli tenne fino al 1836. Il 12 settembre, infine, venne nominato, egli solo col Grassi fra gli uomini coinvolti nei fatti del '31, membro del Consiglio provinciale di Bologna, che il 21 novembre presentò un ampio programma di riforme, riguardante tutti i campi della pubblica amministrazione e mirante a una profonda ristrutturazione dello Stato pontificio, programma che restò lettera morta. Nel 1837 il B. fa tra i fondatori e poi consigliere della Cassa di Risparmio di Bologna. Nel gennaio del '39 ricevette da Ferdinando d'Austria l'ordine imperiale di Leopoldo.

Morì a Bologna il 17 ott. 1839.

Secondo G. Casati (Diz. d. scritt. d'Italia, p. 73) il B.lasciò un'opera: Nuovo esame delle sorgenti della ricchezza sia pubblica che privata. Fupadre di Cesare, militare, che prese parte agli avvenimenti del 1831, e con cui è stato talvolta confuso.

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