CARRARI, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 20 (1977)

CARRARI, Vincenzo

Tiziano Ascari

Nato a Ravenna il 14 sett. 1539 da Mario e da Giovanna Andreoli, studiò leggi a Bologna, dove fu scolaro di Annibale de' Grassi e di Antonio Giavarino, e a Ferrara, dove ebbe maestro Ippolito Riminaldi ed ottenne la laurea in utroque.Tornato a Ravenna, si fece prete e divenne parroco di S. Maria in Coeliseo. Tenne diversi uffici e magistrature in patria e fuori. L'arcivescovo C. Boncompagai lo mandò oratore a papa Gregorio XIII a proposito di certe divergenze con l'arcivescovo di Bologna, card. G. Paleotti. Fu promotore del concilio provinciale tenuto dal Boncompagni nel 1583. Nel 1584 ebbe un canonicato nella cattedrale ravennate. Fu socio molto attivo dell'Accademia dei Selvaggi. Morì a Ravenna nel 1596.

Secondo il Crescimbeni il C. lasciò manoscritte delle Consultazioni legali;tuttavia, si dedicò soprattutto agli studi letterari e di erudizione storico-antiquaria. Fu un poligrafo fecondissimo, ma la maggior parte delle sue opere rimaste inedite è andata perduta. Nel 1572 fu stampata a Bologna una sua Orazione per l'elezione di papa Gregorio XIII.

è un discorso pieno di reminiscenze bibliche, storiche e mitologiche: molto erudito (anche se di una erudizione non sempre controllata), ma piuttosto disorganico. All'orazione fanno seguito alcuni sonetti di vari autori tra i quali uno suo.

Nel 1577 e nel 1578 furono stampate, rispettivamente a Macerata e a Ravenna, una sua Esposizione della canzone del Petrarca "Quel che a nostra natura…" eduna Vita di mad. Cristina Racchi Lunardi.Infarcito di farraginosa erudizione, ma non senza qualche spunto apprezzabile, è il suo trattatello De medico atque illius erga aegros officio (Ravenna 1581). Della orazione Dell'utilità della morte, da lui scritta in occasione della morte del pittore Luca Longhi e stampata a Ravenna nel 1584, può interessare soprattutto l'ultima parte, in cui lo scrittore polemizza col Vasari, che non avrebbe riconosciuto il valore dell'artista, e critica la maniera vasariana di dipingere. Una brevissima Vita Desiderii Spreti historici Ravennatis, scritta dal C., è stampata in fondo alla opera dello Spreti De amplitudine, eversione et restauratione urbis Ravennae (Venetiis 1588). Parte di una epistola del C., De dendrophoris, si legge nell'appendice al De prisca Caesiorum gente diG. Giacoboni. Stampati sono anche, in varie raccolte, alcuni suoi sonetti.

Le più importanti opere del C. sono d'argomento storico. Appassionato genealogista, egli scrisse un'opera complessiva sull'origine delle famiglie ravennati e monografie sulle famiglie Spreti, Malatesta, Cesi, Varano, Pio, Famose e Guidi. Tutte queste opere sono andate perdute. Fu stampata solo la sua Historia de' Rossi parmigiani (Ravenna 1583) in cinque libri, dedicata ad Alessandro Farnese.

Il C., considerando la famiglia Rossi come discendente da quella romana dei Rosci, raccoglie tutte le notizie tramandate dagli scrittori latini sui Rosci medesimi; poi accumula notizie spesso fantastiche sulle vicende della famiglia nell'alto Medioevo. Ma quando viene a trattare dei tempi più recenti l'opera, che l'autore dice di aver mostrato, per riceverne consigli, a B. Tomitano, a G. Betussi e a C. Sigonio, è compilata su fonti molto più attendibili, sia letterarie che documentarie, ed è in complesso assai pregevole.

Il lavoro più vasto e forse più importante del C., cioè la Storia di Romagna, è rimasto in gran parte inedito.

Nel 1880 Olindo Guerrini e Corrado Ricci ne cominciarono l'edizione, per la casa Zanichelli. La pubblicazione usciva a dispense e si arrestò all'ottavo fascicolo, quando erano stati stampati solo i due primi libri. Nel primo il C. tratta degli antichi abitatori della Romagna (gli Etruschi, i Galli, da lui chiamati Francesi, e i Romani) e delle origini delle città di Bologna, Ferrara, Rimini, Cesena, Forlì, Faenza, Imola, Cervia, Comacchio, Forlimpopoli e Bertinoro. Nel secondo tratta del periodo che va dalle invasioni barbariche alla fine del 1200. Il resto, cioè circa tre quarti dell'opera, è rimasto inedito e ne costituisce la parte più valida. In forma annalistica (e gli annali si fanno sempre più ampi e diffusi quanto più ci si avvicina ai tempi dell'autore) vi sono narrati gli avvenimenti dal 1200 al 1522. Le fonti cronistiche e documentarie cui l'autore attinge sono molte. Dei documenti parecchi sono oggi andati perduti o dispersi, ma il riscontro con quelli che restano testimonia l'onestà e l'accuratezza dello storico. Manoscritti dell'opera si trovano nella Bibl. dell'Archig. di Bologna (A. 1935-36), nella Classense di Ravenna e nella Comunale di Forlì (2 B.D.). L'autogr. non esiste; l'archetipo è il cod. 691 della Classense, di mano di G. Morigi, letterato e poeta, concittadino e amico del Carrari. Il Ricci ha avanzato anzi l'ipotesi che il C. abbia lasciato solo le schede dell'opera e che il Morigi le abbia raccolte e sviluppate, non sempre esattamente e ordinatamente.

Bibl.: G. M. Crescimbeni, Istoria della volgar poesia, V, Venezia 1730, p. 245;G. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, II, Venezia 1734, p. 9; P. P.Gianni. Mem. storico-crit. degli scrittori ravennati, I, Faenza 1769, pp. 122 s.;G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., VII, Venezia 1796, p. 942; F. Mordani, Illustri ravegnani, in Giornale arcadico, LVI (1832), pp. 124 s.;C. Ricci, L'ultimo rifugio di Dante, Milano 1891, p. 3;F. Torraca, Prefazione a P. Cantinelli Chronicae, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XXVIII, 2, pp.XLIII ss.; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, I, p. 63; V, pp. 311, 39 s.; XXV, p. 118; XL, p. 48; XLVIII, p. 56.

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