CORONELLI, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORONELLI, Vincenzo

Augusto De Ferrari

Nacque a Venezia il 16 ag. 1650 (non a Ravenna, come affermano alcuni biografi) secondogenito di Maffio, sarto, e Caterina.

Il fratello maggiore Francesco era nato nel 1639 e fu il capostipite di un ramo ravennate dei Coronelli, tra cui si ricorda un Vincenzo Maria, religioso, nato a Ravenna nel 1687 che può aver dato origine all'equivoco dei biografi sul luogo di nascita del C.; nacquero poi la sorella Barbara, che risulta vivente ancora nel 1713, ed un'altra sorella di cui s'ignora il nome.

La famiglia era di condizioni economiche piuttosto modeste; si sa che il C. da ragazzo fece l'apprendista falegname e che a Ravenna fu avviato all'arte dell'intaglio, ospite del fratello mercante. Al ritorno a Venezia, nel 1665, entrò come studente nel convento dei minori di S. Nicolò della Lattuga, destino assai comune ai giovani di sveglia intelligenza e di pochi mezzi. Dimostrò il suo precoce ingegno fin dal 1666, quando pubblicò a Venezia un almanacco, Calendario perpetuo sacro profano, che ebbe moltissime ristampe. Aggregato alla chiesa dei Frari, fu mandato dai superiori a studiare a Roma, nel collegio di S. Bonaventura. In soli tre anni si laureò in teologia e l'anno dopo era già segretario provinciale ed assistente del maestro di tutto il territorio della Terraferma di Venezia. Nel 1677 lasciò tale carica, probabilmente per dedicarsi interamente agli studi di geografia, pur godendo ancora del privilegio di potere intervenire ai capitoli provinciali. In effetti già prima del 1680 risulta essersi recato a Parma, dove costruì due globi, oggi perduti, per il duca Ranuccio Farnese, di 5 piedi di diametro (m 1,75). Fu poi a Parigi, chiamato dall'ambasciatore francese a Roma, cardinale César d'Estrées, e vi si trattenne dal 1681 al 1684; nel 1683 costruì per Luigi XIV due famosi globi di 15 piedi (m 4,87 di diametro), uno celeste e uno terrestre, divenuti presto anche oggetto di curiosità come i globi più grandi costruiti fino ad allora. Sono conservati alla Biblioteca nazionale di Parigi (nel 1980 sono stati esposti al Centro Pompidou in una mostra di "Cartes et figures de la Terre") e costituiscono certo la più nota, se non la più importante, realizzazione cartografica del C., il quale costruirà in seguito altre sfere, come quella del 1700 di 10 piedi (m 3,25) per il pontefice Innocenzo XII, oggi perdute, per l'imperatore, per la British Academy ecc., fino ai globi tascabili costruiti nel 1693 e nel 1697, di 4 e 2 once (cm 12 e 6 di diametro).

Ritornato a Venezia, fondò nel 1684 l'Accademia cosmografica degli Argonauti, la più antica fra quelle di carattere geografico, promossa dal patrizio G. B. Donà e posta sotto la protezione del doge Marcantonio Giustiniani.

Ampio fu il favore incontrato fin dall'inizio dall'Accademia, che nel 1693 contava duecentosessantuno aderenti sparsi anche fuori d'Italia, dall'Inghilterra alla Polonia, tra cui il re Giovanni Sobieski, scienziati, ecclesiastici, patrizi e molte biblioteche europee. Singolare accademia, senza statuti né regolari adunanze, sì che si può piuttosto definire un'organizzazione di diffusione della produzione coronelliana: i soci erano informati per posta, dalla sede centrale sita presso la chiesa dei Frari, delle novità editoriali del C., concesse a prezzi di favore.Eletto padre provinciale per l'Ungheria, carica rivestita solo per un anno, nel 1685 il C. fu nominato cosmografo pubblico della Repubblica di Venezia, titolo col quale si fregiò in quasi tutte le sue opere e che costituì per lui motivo di particolare orgoglio, con il privilegio di stampare un grande atlante. Il materiale raccolto nel frattempo su invito del governo venete venne ordinato e pubblicato a Venezia nel 1685 nelle Memorie istoriografiche del Regno di Morea e Negroponte e nell'edizione ridotta Conquiste della Repubblica in Dalmazia, Epiro e Morea.

Anche se qualche dubbio è stato avanzato sulla effettiva paternità coronelliana di tali opere, che mirarono ad illustrare ai Veneziani i territori da loro conquistati nelle campagne del 1684-85, è certo che esse nacquero nel suo laboratorio col materiale da lui ricercato e raccolto. Le due opere, che rispondevano ad una richiesta di notizie assai diffusa e che contribuirono, più di ogni altra, alla diffusione del nome del C. presso un largo pubblico, ebbero una vasta eco anche all'estero (quindici edizioni in due anni; tradotte in francese, tedesco, inglese, fiammingo), ma anche non poche critiche; in effetti si tratta di opere occasionali, poco originali anche se utili e ben illustrate, per fornire gli strumenti della conoscenza geografica al seguito dell'espansionismo veneziano, in un momento di eccezionale ripresa della fortuna delle armi della Serenissima. Il C. sembra seguire giorno per giorno il Morosini nelle sue battaglie con carte e tavole come un giornalista di guerra, tanto che le successive edizioni risultano continuamente aggiornate sui fatti d'arme svoltisi nel frattempo.

La raccolta del materiale per il suo atlante e la cura dell'edizione francese della Morea nel 1686 lo spinsero nuovamente in Francia, dove Luigi XIV gli concesse un privilegio di quindici anni per la stampa delle sue opere. A Parigi fu in contatto con i più famosi geografi del tempo e si dedicò ad un'intensa attività cartografica: tornato a Venezia (nel 1687), poté offrire nel 1688 al nuovo doge Francesco Morosini, il vincitore della Morea, una serie di nuovi globi ed una raccolta di carte di grosso formato.

Nel 1688 uscirono a Venezia altre due sue opere, Il Mediterraneo descritto, una raccolta di tavole in parte già presenti in opere precedenti, e due volumi di una serie (non continuata) sulle isole del mar Egeo, intitolata Arcipelago: Isola di Rodi e Regno di Negroponte, compilati con il padre Antonio Parisotti per la parte storica e ricchi di notizie storico-geografiche, tavole, carte, documenti inediti, oltre a una parte dedicata all'Accademia degli Argonauti.

Istituita, anche per merito di questa accademia, l'università alle Procuratie, il C. vi ebbe nel 1689 la cattedra di geografia ed iniziò un periodo di straordinaria fecondità editoriale, dall'apparizione del primo volume dell'Atlante veneto (Venezia 1690), un in folio di tavole geografiche e di testi esplicativi. In effetti sotto il nome di Atlante veneto va tutta la raccolta di tredici opere composte nell'arco del decennio successivo, dall'Isolario (ibid, 1696-98, in due volumi) al Portolano o Specchio del mare Mediterraneo (ibid. 1698), ma in realtà solo alcune di tali opere possono definirsi atlante, e sono di valore assai disuguale, dato che si passa da opere originali e fondamentali come quelle citate o il Corso geografico (di sessantotto tavole, ibid. 1689-92; di centosettantatré tavv., ibid. 1692; di duecentosessanta tavv., ibid. 1694-97) ad opere di compilazione o semplici raccolte di vedute, come il Teatro delle città (ibid. 1696-97). Ma nel complesso, con le sue milleduecento tavole, di cui circa duecento carte geografiche di formato imperiale (cm 72 × 50), l'opera può ben definirsi un atlante nel senso moderno. Tale complessa pubblicazione fu anticipata dall'uscita, a Venezia nel 1689, di Isole città e fortezze più principali dell'Europa, in due tomi, con duecentoquaranta tavole e vedute.

L'Atlante veneto vero e proprio, ristampato nel 1691 e nel 1695, si colloca accanto alle opere analoghe dei cartografi olandesi, ed ebbe un vasto successo anche al di fuori dell'Accademia degli Argonauti, dato che si trattava della prima opera italiana del genere, nonché favorevoli riconoscimenti in Francia, Olanda e Germania. È vero che molte carte sono riprese da analoghe opere del tempo, ma le numerose carte originali tengono conto delle più recenti relazioni di viaggio e recano rilievi spesso molto precisi. Dedicata al Morosini, l'opera è insieme un trattato di geografia generale, con interessanti pagine sui sistemi cosmografici, sulla costruzione di carte, sulle recenti scoperte geografiche, sull'astronomia. Segue una descrizione dei vari Stati del mondo, con accenni alle città, ai popoli, ai costumi, ecc. Una parte abbastanza ampia viene dedicata alle acque (oceani, mari, fiumi, mezzi di navigazione e di pesca ecc.), la più nuova e originale dell'intero volume, che si conclude con la cosiddetta "geografia sacra", cioè l'elenco di patriarchi, vescovati e arcivescovati. Delle trentacinque carte geografiche, a volte approssimative ed inesatte, disegnate secondo la proiezione di Mercatore, ortografica o stereografica, sono ritenute di maggior interesse quella dell'Asia, del corso del Danubio (in sei fogli), dell'Oceano Pacifico, dell'America settentrionale.

Di sole carte è invece il Corso geografico, che uscì, come s'è detto, in diverse edizioni con numeri diversi di carte, che venivano vendute anche separatamente, al ritmo di sei carte al mese per due anni (in realtà furono incise tra il 1688 e il 1692 nell'attrezzatissima officina cartografica del convento dei Frari, dove lavoravano anche incisori stranieri). Tra le tavole più interessanti si segnalano quella dei globi dello stesso C., quella del sistema delle costellazioni zodiacali (ristampata a parte tra il 1697 e il 1700 col titolo Idea dell'Universo), con molte indicazioni astrologiche, quella del golfo di Venezia, dei dintorni di Parigi, della Cina, del Rio delle Amazzoni.

Per mettere a frutto la sua abilità cartografica nella costruzione di globi, il C. pensò di mettere in vendita una serie di fogli incisi su rame da incollare su sfere per ricavarne globi di varie misure; l'opera, relativa sia al globo terrestre sia a quello celeste, conta quarantotto carte divise in dodici fusi ed uscì a Venezia nel 1697 col titolo Libro dei globi di misure differenti, riscuotendo un vasto riconoscimento di pubblico. Nel 1696, insieme con gli ambasciatori L. Soranzo e G. Venier, partì per un viaggio in Germania, Olanda, Inghilterra. Se lo scopo di esso era politico, il riconoscimento di Guglielmo d'Orange come re d'Inghilterra da parte di Venezia, il C. ne ricavò copioso materiale per una vasta pubblicazione in due volumi, Viaggio d'Italia in Inghilterra, Venezia 1697, una specie di guida turistica ricca di note di viaggio, di informazioni e notizie sulle città, sui commerci, sui modi di vita, con centoquindici tavole di vedute e piante di città, stemmi, costumi.

Sono descritte ampiamente le principali città attraversate durante il viaggio, da Venezia a Trento, da Augusta a Colonia, da Leida a Londra a Oxford (nella cui università il C. fu accolto con particolari onori), nei loro aspetti artistici e antropogeografici più significativi o curiosi.

Al suo ritorno a Venezia, il C. riprese il lavoro di edizione dell'Atlante veneto con il secondo e il terzo volume della collana, intitolati Isolario, prima (Venezia 1696) e seconda parte (1697), un singolare atlante delle isole di tutto il mondo, con grandi carte e un testo di carattere storico-geografico ad "uso della navigatione" e come integrazione dell'Atlas Major di J. Blaeu, con particolare riguardo alle isole veneziane e all'Inghilterra. Significative le carte e le descrizioni dell'Australia e delle isole del Pacifico da poco scoperte.

Non passò molto che il C. si dedicò completamente al progetto di una nuova grandiosa opera, la Biblioteca universale sacro-profana, antico-moderna, una vasta enciclopedia strutturata secondo l'ordine alfabetico, sul modello di analoghe opere del Bayle o del Moréri.

Per poter attendere a tale grandioso lavoro, gli fu concesso di restare a Venezia per molti anni, nonostante nel 1699 gli fosse stata affidata una missione a Costantinopoli. Per le brevi assenze del decennio successivo, dedicato alla pubblicazione della Biblioteca, si fece sostituire dal padre Giuseppe Frezza, dell'Accademia degli Argonauti, ma si può affermare con sicurezza che l'opera è tutta del C., anche se fu certamente aiutato da vari, anonimi collaboratori. Nel piano di lavoro, steso nel 1699, egli pensava a trecentomila voci distribuite in quarantacinque volumi, più vari volumi di supplementi, indici e tavole. Ma si trattava di un piano troppo ambizioso, dato che non c'erano finanziatori e i sottoscrittori erano poche centinaia; così l'effettiva pubblicazione non andò oltre il settimo volume, giunto alla lettera "C" con quarantamila voci. Del materiale certamente raccolto per gli altri volumi si è persa notizia. La presenza di osservazioni ed annotazioni non del tutto ortodosse gli guadagnò l'ostilità della Chiesa, ma nemmeno i dotti diedero giudizi molto favorevoli su quest'opera, considerata caotica e scarsamente documentata e imprecisa. Né, d'altra parte, era evitabile che un'opera così minuziosa e vasta, condotta da un uomo solo, sia pur con l'esperienza del C., e con pochi mezzi, presentasse genericità ed errori. Il primo volume, dedicato al papa Clemente XI, uscì a Venezia nel 1701; reca una vasta introduzione che offre le motivazioni culturali dell'opera ed un ampio elenco delle opere consultate (ma anche le singole voci recano interessanti bibliografie). I sette volumi, stampati (tolto l'ultimo) dalla tipografia veneziana di A. Tivani tra il 1701 e il 1709, sono in folio piccoli di circa 700-800 pagine ciascuno, e dovettero costare non poca fatica al C., anche per le travagliate vicende tipografiche degli ultimi due.

Frattanto il C. era stato chiamato a Roma per uno studio sul porto di Anzio, e nominato definitore generale dell'Ordine francescano. Di lì a poco, nel 1701, salì alla carica di generale dell'Ordine, il settantottesimo dopo s. Francesco, come sottolineava con orgoglio egli stesso nel frontespizio della Biblioteca universale. Il suo generalato non fu esente da difficoltà: dopo essersi recato ad Assisi per offrire un grande orologio in dono alla basilica, fu accusato dai francescani davanti al S. Uffizio come trafugatore di reliquie.

Il vero motivo di tali accuse va ricercato probabilmente nelle invidie e nelle inimicizie suscitate sia all'interno dell'Ordine, a causa delle spese per la stampa delle opere del C., sia all'esterno, da parte dell'arte dei librai di Venezia. Anche il papa, che in un primo tempo gli si era mostrato favorevole, finì per adirarsi con lui per il suo carattere indipendente; non sempre aveva tenuto conto dell'imposizione papale di consultarsi con la S. Sede prima di prendere ogni decisione.

Ad Assisi il papa gli aveva imposto di non lasciare lo Stato della Chiesa, ed invece nel settembre del 1704 egli ritornò a Venezia per attendere alla pubblicazione della Biblioteca universale. Non passarono due mesi che il C. fu deposto dalla carica di generale dell'Ordine, con una manovra non molto chiara (ma il titolo gli venne conservato ancora per quasi tre anni). Stabilitosi definitivamente a Venezia, lasciò ogni incarico pubblico per dedicarsi esclusivamente alla stampa delle sue opere. Oltre ai Procuratori di S. Marco (Venezia 1705), storia di tale magistratura dal Medioevo al 1700, pubblicò una Cronologia universale (ibid. 1707), che avrebbe dovuto servire da introduzione alla Biblioteca universale e segue i più importanti avvenimenti dal 4000 a. C. al 1706; il Teatro della guerra in quarantotto volumi (ma ne uscirono solo ventisette a Venezia tra il 1706 e il 1709, anche se recano diverse indicazioni), descrizione degli Stati coinvolti nella guerra di successione spagnola, con poche pagine di testo e molte tavole (circa duemila), non tutte originali. Notevoli per rarità e valore i volumi sulla Repubblica veneziana e i suoi domini nel Mediterraneo, sul Belgio, l'Olanda, le Isole Britanniche, ecc.

Una grande storia delle religioni nel mondo avrebbe dovuto essere Gli Ordini religiosi ed equestri (ibid. 1707-1715), di cui uscirono solo tre volumi a carattere compilatorio e descrittivo. Non diversi i cosiddetti Libri d'oro, cronologie su personaggi illustri come Armi e blasoni dei patrizi veneti (ibid. 1694), o Giornale veneto (ibid. 1714), una specie di annuario dell'amministrazione veneziana che avrebbe dovuto avere periodicità annuale. Non mancano anche almanacchi e guide di vario genere, segno di una certa stanchezza intellettuale al termine di una vita infaticabile di poligrafo e di editore: la sua produzione si aggira sui centotrentasette volumi.

Ancora nel 1717 fu chiamato a Vienna dall'imperatore Carlo VI, come commissario e direttore perpetuo del Danubio e di altri fiumi dell'Impero. Studiò il corso del Danubio e scrisse un trattato di idrostatica, Effetti naturali delle acque, pubblicato al suo ritorno a Venezia nel 1718. Qui morì il 9 dic. 1718.

Quasi tutti i suoi libri, i manoscritti, la sua corrispondenza, le lastre di rame per le incisioni andarono dispersi o furono venduti poco tempo dopo. Anche l'Accademia degli Argonauti non sopravvisse al suo fondatore.

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