DANDOLO, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

DANDOLO, Vincenzo

Paolo Preto

Nato a Venezia il 26 (o 22) ott. 1758 da Abram Uxiel, ebreo battezzato con nome di Marc'Antonio Dandolo, e Laura Steffani, si laureò giovanissimo all'università di Padova e dal padre, chimico di professione, ereditò un vivace interesse per le scienze applicate ed in particolare per la nascente chimica moderna.

Ad occasionali scritti di geometria (Pensieri dell'ab. F. Boaretti sulla trisezione dell'angolo confutati da V. Dandolo, veneto, Venezia 1793; La fine della faccenda sopra la nuova scoperta dell'ab. Boaretti sulla trisezione dell'angolo, s.l.né d.) accompagnò ricerche sui nuovi sistemi di produzione della china rossa peruviana (Memoria o dissertazione sopra la nuova china del regno di S. Fè nell'America meridionale cioè alcune riflessioni sopra la medesima fatte dal dott. don F. Asti con due lettere di V. Dandolo...,Venezia 1791), che egli riuscì a produrre in notevoli quantità e a prezzi largamente concorrenziali. Nella sua farmacia di S. Adamo ed Eva a S. Fantino impiantò moderni laboratori chimici, fonte di rapidi e ingenti profitti, e raccolse un eletto manipolo di amici, attratti dalle recenti scoperte scientifiche non meno che dalle nuove idee filosofiche e politiche provenienti dalla Francia dei lumi.

Fu lui a curare la divulgazione in Italia della "nuova chimica" francese che superava le vecchie teorie del "flogisto": per primo tradusse in italiano il Trattato elementare di chimica di A.-L. de Lavoisier (Venezia 1791 e dopo varie edizioni; stampò poi [ibid. 1792] un Supplemento con due dissertazioni inedite del chimico francese) ampiamente diffuso e curò la versione dell'Esamedelle Affinità chimiche di tutti irelativi sistemi de' più celebrichimici d'Europa di L.-B. Guyton de Morveau (Venezia 1791),della Filosofia chimica o veritàfondamentali della chimica moderna di A. F. Fourcroy (Venezia 1794 e succ. ediz.) e del Saggio di statica chimica di D. L. Berthollet (Como 1804).La sua opera di divulgazione trovò coronamento nei Fondamenti della scienza chimico-fisica applicati alla formazione de' corpi ed ai fenomeni della natura esposti in due dizionari che comprendono il linguaggio nuovo e vecchio, vecchio e nuovo de' fisico-chimici (Venezia 1793 e successive edizioni), ai quali si deve la rapida affermazione in Italia della nuova nomenclatura chimica, e nel rifacimento degli Elementi di fisica sperimentale di Giuseppe Saverio Poli (Venezia 1793),che nella nuova versione, purgata degli errori e aggiornata secondo le teorie più moderne, incontrò un eccezionale successo di pubblico (18.000copie in tre successive edizioni secondo il Compagnoni, Memorie storiche, p. XXIV). Mise al servizio della collettività e di uno Stato, che pure non amava, le sue conoscenze di fisica e chimica in alcuni opuscoli tecnici sul miglioramento dei pozzi e delle cisterne della laguna e del Lido di Venezia (Breve ragguaglio sopra i pozzi del lido e le cisterne di Venezia, Venezia 1796).

Crollata la Repubblica veneta sotto l'incalzante avanzata delle armate napoleoniche, il D. fu subito, nel 1797, "fra i primi degli uomini nuovi" (Nani Mocenigo, Del dominio..., p. 21) a guidare in posizione di primo piano la neonata e gracile Municipalità provvisoria; membro del Comitato di salute pubblica intervenne ripetutamente alle sedute con proposte in materia economica e fiscale, segnalandosi per la faconda irruenza, l'estremismo verbale e l'aspro rancore verso la "tirannide" della cessata aristocrazia (cfr. i Verbali delle sedute della Municipalità provvisoria di Venezia). Il 14 ott. 1797 rappresentò, insieme con Gaetano Benini, la città di Venezia al Congresso nazionale veneto e poco dopo fu inviato col Battaglia al campo di Passariano a seguire le trattative per l'ormai imminente pace di Campoformio. Non riuscì a impedire al Bonaparte la cessione del Veneto all'Austria e allora, alla fine di ottobre, progettò, su mandato della Municipalità, un viaggio a Parigi per un estremo tentativo di indurre il Direttorio a modificare le clausole del trattato di pace; bloccato a Milano, ebbe col Bonaparte un tempestoso colloquio che non convinse il giovane generale a tornare sulle sue decisioni ma instaurò tra i due un reciproco rapporto di stima e di fiducia.

Annesso il Veneto all'Austria il D., che troppo si era compromesso col precedente governo, raggiunse Milano, divenuta capitale di quella Repubblica Cisalpina verso cui convergevano i patrioti di tutta Italia. Il 9 nov. 1797 fu designato dal dipartimento dell'Olona tra gli iuniori del Corpo legislativo: a Varese infatti, con le ingenti ricchezze portate da Venezia e con fortunati e talvolta spericolati acquisti di beni nazionali (quasi 3.000 pertiche in pochi mesi), acquisì una vasta tenuta e costruì una villa padronale ("l'Annunciata") in cui, in seguito, raccolse amici, agronomi, scienziati, esuli politici.

La sua partecipazione alla tumultuosa vita politica della prima Cisalpina fu intensa, ricca di ardente passione e sorretta da ottimistica volontà di riforme e di progresso. Oratore brillante, interveniva sistematicamente ai lavori del Gran Consiglio, di cui fu anche segretario, e delle varie commissioni con proposte, ordini del giorno, mozioni, che miravano a dotare il nuovo Stato di un'organizzazione efficiente, moderna, ispirata ai principi di una "moderata" democrazia e soprattutto a dare alla neonata Repubblica una solida base di consenso popolare: così si batté per solide garanzie alla libertà di stampa, l'estensione della cittadinanza ai patrioti italiani perseguitati, il prestito forzoso a carico dei cittadini più ricchi, un equo sistema fiscale, la vendita dei beni ecclesiastici, l'abolizione dei dazi di consumo e la libertà di commercio, l'adozione di un nuovo sistema di pubblica istruzione, la divisione dei beni comunali.

Molti suoi discorsi venivano offerti alla conoscenza dell'opinione pubblica dalle colonne del Monitore cisalpino diretto dal suo amico Giuseppe Compagnoni, ma, nonostante la vastità degli interessi, la sincerità dei propositi e la costanza dell'impegno, egli non riuscì ad emergere come leader nel governo della Repubblica, del resto agitata da contrasti e da frequenti colpi di Stato pilotati dalla Francia.

La controffensiva del Suvarov in Italia costrinse nel 1799 il D., che nel frattempo si era accostato ai patrioti "anarchistes" favorevoli ad una repubblica unitaria italiana (Vaccarino, I patrioti..., pp. 171 s., 174, 176), a fuggire a Genova e poi a Parigi dove, influenzato dalla colonia italiana, si spostò per un attimo su posizioni filosofico-politiche assai radicali, come testimonia la sua attiva collaborazione col Compagnoni nella stesura dell'opera Les hommes nouveaux ou solution du probléme: comment d'après les principes posés dans la nouvelle régéneration politique, peut-on, dans la pratique, opérer parmi les individus une régéneration morale? (Paris 1799), che comparve addirittura col suo nome, nonostante a lui si debba solo l'idea fondamentale ed il titolo. La battaglia di Marengo e la formazione della seconda Cisalpina videro il D. di nuovo a Milano; il 12 genn. 1802 fu scelto tra i membri del Collegio elettorale dei dotti della Repubblica italiana e il 5 ottobre tra i componenti dell'Istituto nazionale, ma nel complesso la sua partecipazione alla vita pubblica del nuovo Stato fu marginale, forse anche per la manifesta ostilità dell'onnipotente Melzi d'Eril. Anche gli inizi del Regno Italico lo trovarono defilato dall'attività politica: più che a Milano visse nella tenuta dell'"Annunciata" a Varese dove iniziò una operosa attività di imprenditore agricolo moderno e innovatore, attento alle scoperte tecniche d'Oltralpe e sempre pronto a partecipare al pubblico proposte e novità colturali.

Nel 1802 iniziò l'appassionante avventura delle pecore "merinos" spagnole: convinto che l'allevamento di questa pregiata razza potesse avere in Italia un grande avvenire, ne acquistò un gregge, lo incrociò con razze indigene e cercò di convincere privati allevatori e autorità pubbliche della convenienza economica dell'iniziativa.

Le conoscenze tecniche e pratiche sull'allevamento delle pecore in generale e delle "merinos" in particolare, i risultati delle esperienze sue e dei proprietari cui aveva fornito capi in esperimento, i generali vantaggi per l'industria tessile lombarda e la bilancia dei pagamenti derivanti dall'incremento della popolazione ovina, egli tradusse in un grosso volume Del governo delle pecore spagnuole e italiane edei vantaggi che ne derivano (Milano 1804),cui fece seguire il più tecnico trattatello Delle malattie delle pecore, de' mezzi di prevenirle e degli indizi delle loro malattie (Padova 1806) e infine l'opuscolo Dell'introduzione dei merini nel Regno d'Italia, del miglioramento delle pecore indigene e dell'influenza di questo miglioramento sull'interesse dei coltivatori e sull'aumento dei prodotti d'industria agraria e manifattrice (Milano 1813). Dopoun promettente inizio, testimoniato dai nuovi allevamenti sorti un po' dovunque e anche dal successo delle lane all'esposizione di Brera del 1805,l'iniziativa, che pure godeva dell'approvazione e dell'attivo appoggio delle autorità, si arenò e verso la fine del Regno Italico si esaurì quasi completamente.Sempre in questo periodo il D. scrisse per la prima volta a favore dell'introduzione in Lombardia della patata (Sulla coltivazione dei pomi di terra, Milano 1806), della privatizzazione dei beni comunali (Dei mali economici, politici e morali che derivano alla Nazione dall'esistenza dei beni comunali, ibid. 1806); dell'uso dei letami e dell'industrializzazione del Regno (Sui letami, Sulla necessità di creare nuove industrie nel Regno, Milano 1806). I principali scritti sulle pecore, le patate, la polverizzazione fondiaria e i beni comunali riunì poi in un ampio volume di Discorsi sulla pastorizia, sull'agricoltura e su vari oggetti di pubblica economia (Milano 1806).

Alle cure dell'agricoltura lo strappò nell'estate del 1806 la nomina improvvisa da parte di Napoleone (che non a caso nel 1797 aveva esclamato che "il y a en Italie dix-huit millions d'hommes, et j'en trouve à peine deux, Dandolo et Melzi") a provveditore della Dalmazia da poco annessa al Regno Italico.

Nei tre anni del suo governo (luglio 1806-dicembre 1809) in quella regione, lasciata dai Veneziani nella miseria e nel generale abbandono, il D. dimostrò capacità amministrative, volontà riformatrice e una dedizione assoluta al bene pubblico non meno che agli interessi politici di Napoleone: riordinamento della giustizia, riforma agraria, ristrutturazione del sistema fiscale, costruzione di strade, istituzione di un moderno sistema di istruzione pubblica, di una gendarmeria morlacca, di un giornale bilingue italo-croato (Il Regio dalmata), innovazioni in campo amministrativo ed ecclesiastico ed un ambizioso tentativo di rilancio dell'agricoltura e dell'artigianato rurale costituirono il bilancio positivo del suo intenso triennio di amministrazione a Zara. Della sua instancabile attività riformatrice, che trovò peraltro insormontabili ostacoli nei contrasti con l'autorità militare del generale Marmont, nel brigantaggio politico alimentato dall'Austria e nelle rovinose operazioni militari della quinta coalizione, egli informava in resoconti mensili ed annuali Eugenio Beauharnais a Milano e Napoleone a Parigi: queste relazioni, in parte pubblicate dal Luzzatto in parte tutt'ora inedite, costituiscono una testimonianza preziosa delle condizioni della regione dalmata nei brevi ma decisivi anni del governo napoleonico.

Tra il 1809 e il 1813 il D. visse in modo appartato gli anni d'oro dell'Impero napoleonico: membro di numerose accademie italiane ed europee, senatore del Regno, cavaliere di seconda classe dell'Ordine della Corona ferrea, insignito di varie onorificenze e riconoscimenti simbolici, alla vita politica attiva, cui del resto né il Beauharnais né il Melzi d'Eril desideravano chiamarlo, preferì ancora una volta le sue pecore varesine ed un rinnovato impegno di imprenditore agricolo. Ritornò a proporre ai contadini la coltivazione delle patate (Nuovicenni sulla coltivazione dei pomi di terra e applicazioni a vantaggio sì delle famiglie che dello Stato, Milano 1810), suggerì al governo come surrogato dello zucchero di canna un estratto d'uva (Cenni sulla fabbricazione dello sciroppo d'uva, Como 1810) e studiò utili miglioramenti alla produzione dei vini con un trattato di Enologia (Milano 1812, 2 ediz. 1820) destinato a così fortunata accoglienza che nel 1819 ne diede alle stampe un compendio intitolato Istruzioni pratiche sul modo di ben fare e conservare il vino costantemente buono e di farlo viaggiare senza pericolo di alterazione (Modena 1819).

Quasi tutte le sue opere godevano della protezione ufficiale del governo che ne curava la pubblicità sui periodici del Regno, a cominciare naturalmente dagli Annali d'agricoltura di Filippo Re, e la diffusione attraverso i prefetti nei vari dipartimenti. La sua attività di promozione dell'agricoltura e dell'industria nazionali (si veda, ad esempio, il suo tentativo di importare macchine dalla Francia) fu peraltro quasi integralmente vanificata dalla politica protezionistica dell'Impero francese, che bloccò sul nascere lo sviluppo dell'economia lombarda.

Quando ormai, dopo Lipsia, la fortuna di Napoleone volgeva al tramonto, il D., che del regime napoleonico colse e valorizzò sempre (nonostante malcelate riserve sugli eccessi militaristici e cesaristici) gli elementi di modernità e di progresso civile e sociale, si trovò per l'ultima volta coinvolto, quasi contro la sua volontà, in due brevi ma tormentate esperienze politiche. Accettò nel periodo novembre 1813-febbraio 1814 una missione nei dipartimenti marchigiani del Tronto, Musone, Metauro per conoscere i sentimenti della popolazione verso il regime, scoprire società segrete, facilitare gli approvvigionamenti delle truppe di Murat, accelerare le pratiche dell'amministrazione ed in particolare il pagamento delle tasse ed il reclutamento dei soldati; anche in questa occasione si fece apprezzare per il senso del dovere, lo spirito di sacrificio, la dedizione al pubblico bene e nei suoi appunti di viaggio, purtroppo perduti, formulò numerose proposte per il miglioramento dell'agricoltura, industria e viabilità delle Marche. Parte decisiva ebbe anche nei convulsi avvenimenti dell'aprile del 1814 che segnarono la caduta del Regno Italico: contro il partito della corte guidato dal Melzi, che premeva per affidare la corona ad Eugenio Beauharnais, sostenne nella seduta del 17 aprile la convenienza di emarginare il figliastro di Napoleone e trattare direttamente con le potenze alleate. Questo atteggiamento equilibrato non lo salvò, nei drammatici giorni funestati dal massacro del Prina, da accuse di filofrancesismo e da un tentativo di assalto e saccheggio della villa varesina. Dal governo austriaco il D. non ebbe fastidi di sorta: ritiratosi completamente a vita privata trascorse operoso e sereno gli ultimi anni della sua vita nelle tenute varesine. La sua attività di moderno imprenditore, costantemente impegnato a suggerire a privati e autorità innovazioni nelle tecniche agricole, gli valse da parte del nuovo regime rispetto e considerazione.

La pace riconquistata e la libertà di navigazione facevano temere in Europa un'eccessiva abbondanza di derrate agricole, favorita anche dall'importazione di grani dal Mar Nero, e un conseguente svilimento dei prezzi: in un vasto trattato Sulle cause dell'avvilimento delle nostre granaglie e sulle industrie agrarie riparatrici dei danni che ne derivano (Milano 1820), pubblicato postumo dal figlio Tullio, il D. tracciò un ampio panorama dell'economia agraria negli anni del Regno Italico, del quale non tacque la rovinosa politica doganale ma rivendicò i momenti di innovazione e progresso, e individuò, in nuove colture, lino, canapa, seta, patate e nello sviluppo della zootecnia e delle industrie di trasformazione agraria, le linee di sviluppo dell'agricoltura lombarda. Alla vigilia della carestia che tormentò le popolazioni italiane negli anni 1816-1817 rilanciò alle autorità e ai contadini il suo Grido della ragione per la più estesa coltivazione dei pomi di terra (Milano 1815) e dimostrò in un trattato ricco di dati e raffronti con altre colture (Della coltivazione dei pomi diterra considerata nei suoi rapporti colla nostra agricoltura, col benessere delle famiglie coloniche, dei possidentie dello stato. ibid. 1817) l'importanza fondamentale della patata nell'alimentazione umana e animale.

Ma il quinquennio 1815-1819 era destinato a perpetuare il nome del D. imprenditore ed agronomo soprattutto per le sue innovazioni nell'allevamento dei bachi da seta, vera "miniera d'oro" dell'economia lombarda.

Dopo lunghi esperimenti perfezionò un nuovo sistema di coltivazione che consentiva il risparmio di metà e anche di due terzi della foglia di gelso, sveltiva e razionalizzava il procedimento di incubazione e sviluppo dei bachi; la sua nuova bigattiera, che da lui prese il nome di dandoliera, fu ben presto adottata in tutta Italia ed egli ne illustrò l'invenzione e le tappe della sperimentazione in due diari, Il buon governo dei bachi da seta dimostrato col giornale delle bigattiere (Milano 1816) e la Storia dei bachi da seta governati coi nuovi metodi (Milano 1816), che ebbe tre edizioni aggiornate (sempre a Milano) nel 1817, 1818, 1819. Nella tenuta di Varese aprì una vera e propria scuola agraria specializzata nell'allevamento dei bachi da seta, cui convenivano allievi da tutta l'Italia settentrionale: con loro, una volta tornati in sede, e coi loro padroni, egli intratteneva un fitto scambio di informazioni ed esperienze. Il trattato Dell'arte di governare i bachi da seta, pubblicato la prima volta a Milano nel 1815, con l'apporto dell'esperienza pratica sua e dei molti corrispondenti, si andò progressivamente arricchendo e conobbe così nel 1818 e nel 1819 due edizioni rivedute ed ampliate. Il D. meditava anche importanti innovazioni nella tappa successiva del processo di produzione della seta, la filatura e tessitura: nel 1819 pubblicò Brevissimi cenni sulla nuova filanda del sig. Locatelli e sul metodo di migliorare la tiratura della seta (Milano 1819) e sappiamo dal Compagnoni e dal figlio Tullio che stava sperimentando nuove macchine straniere e studiava migliorie tecniche a quelle allora in uso in Lombardia.

Il D. morì a Varese il 12 dic. 1819.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Archivio Aldini, cartt. 38, 39, 40, 41; Ibid., Agricoltura, parte moderna, buste 10, 21, 88 (fasc. 17); Ibid., Archivi napoleonici, Ministero della guerra, buste 13, 14; Ibid., Culto, parte moderna, buste 2725, 2909, 2942; Milano, Museo del Risorgimento naz., Archivio generale, reg. 36.870; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It. 291-294 (= 5774-5777): Governo della Dalmazia (la relazione del 1806 fu anche stampata a parte a Zara nel 1809); Ibid., Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 2941/IV/9, 2996, 3206 bis, 3417, 3644; Ibid., Fondazione Querini-Stampalia, Fogli volanti, IV, c.12; Bassano del Grappa. Bibl. comunale, ms. IV-315; Bologna, Bibl. dell'Archiginnasio, Collez. autogr. XXII-6523-6524, XXIII-6521; Ibid., Autogr. Pallotti X-583; Forlì, Bibl. comunale A. Saffi, AutografiPiancastelli, ad vocem; Verona, Bibl. civica, Carteggio Benedetto Del Bene, buste 277, 281 (fasc. B); la descrizione completa delle carte Dandolo conservate all'archivio di Zara è in A. De Benvenuti, Storia di Zara dal 1797 al 1918, Milano-Roma 1944, pp. 1-16; F. Re, Dizionario ragionato di libri d'agricoltura e di altri rami d'economia campestre, II, Venezia 1808, pp. 178-81; G. Compagnoni, Memorie storiche relative al conte V. D. e a' suoi scritti, premesse all'opera Sulle cause dell'avvilimento..., pp. XV-LXXVIII;Id., Memorie autobiografiche, a cura di A. Ottolini, Milano 1927, ad Indices; F. Coraccini-G. Valeriani, Storia dell'amministrazione del Regno d'Italia durante il dominio francese, Lugano 1823, pp. LXXXII, 167 s.; G. Lombardi, Elogio storico del conte V. D.,in Mem. di matematica e fisica della Società ital., residente in Modena, XX (1828), 2, pp. 28-42; M. Bonafous, Eloge historique de Vincent D., Torino 1839; T. 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