MACCHI, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2006)

MACCHI, Vincenzo

Giuseppe Monsagrati

Nacque a Capodimonte (diocesi di Montefiascone), nel Viterbese, il 31 ag. 1770 da Giovan Nicola e Maria Anna Gilda Vagni, entrambi provenienti da famiglie di piccoli possidenti ed enfiteuti. Nel 1783 entrò nel seminario Barbarigo di Montefiascone, ove compì gli studi; uscitone nel 1791, frequentò a Roma i corsi della Sapienza: qui si laureò il 16 dic. 1801 in diritto canonico e civile. Intanto, le relazioni familiari gli avevano garantito la protezione del cardinale G. Garampi, titolare della diocesi di Montefiascone e Corneto, e il 20 sett. 1794 era stato ordinato prete.

L'esperienza di nove anni come apprendista e poi aiutante di studio dell'avvocato A.M. Tassoni gli insegnò a esaminare le cause e a stendere le sentenze, e forse gli sviluppò anche l'attitudine alla prudenza e alla riservatezza cui si sarebbe sempre attenuto. Nel 1801, grazie alle buone relazioni strette con la Curia, ottenne il primo ufficio pubblico come uditore e abbreviatore presso la nunziatura di Lisbona, dove arrivò nel 1802 al seguito del nunzio L. Caleppi; poi, nel 1808, la partenza di questo per il Brasile al seguito della corte espulsa dai Francesi, indusse la segreteria di Stato a rispedire in Portogallo il M. (che nel frattempo, allarmato dall'invasione francese, era tornato in patria), cambiando il suo precedente incarico in quello di internunzio e delegato apostolico, che mantenne fino al 1816, quando fu richiamato a Roma.

Il M. stesso avrebbe molti anni più tardi ricordato come, mentre era a Lisbona, si fosse dovuto far carico da lontano delle disavventure finanziarie della sua famiglia versando di suo "molte somme di denaro" (Angeli, p. 286) e avesse dovuto anche provvedere all'educazione dei nipoti. Dove avesse trovato i soldi per far fronte ai suoi impegni lo avrebbe rivelato nel 1835 Stendhal che, allora console a Civitavecchia, avrebbe scritto al suo ministro degli Esteri che il M. aveva ricavato dall'attività d'ufficio della nunziatura (dispense, processi ecc.) 2 milioni di franchi, limitandosi a versarne al ritorno a Roma soltanto 400.000.

Al ritorno a Roma il M. fu eletto arcivescovo titolare di Nisibi (1818) e di lì a poco fu posto alla testa della nunziatura di Lucerna. Vi restò poco più di un anno, impiegando il tempo a visitare chiese e conventi e a offrire pranzi ai deputati della Dieta federale. A Roma lo attendeva una nuova missione diplomatica certamente più prestigiosa e delicata delle precedenti: si trattava di riavviare la nunziatura di Parigi, secondo quanto stabilito dal concordato del 1817. Il M. ebbe l'incarico il 22 nov. 1819 e restò a Parigi fino al 1826, ossia negli anni centrali della Restaurazione borbonica e mentre a Roma Leone XII succedeva a Pio VII.

Le istruzioni fornitegli prima della partenza dalla segreteria di Stato indicavano la linea della lotta a oltranza contro il gallicanismo, e in effetti fu da qui che gli vennero le maggiori preoccupazioni, rafforzate dalla constatazione di come la classe dirigente d'Oltralpe fosse attaccata al principio della supremazia dello Stato sulla Chiesa. In quello che complessivamente non fu un periodo di grande difficoltà anche per la piena sintonia in cui si trovò con Carlo X (succeduto a Luigi XVIII nel settembre del 1824), come lui convinto sostenitore dell'alleanza tra trono e altare, i momenti di maggiore vivacità furono costituiti dalle esplosioni polemiche della dottrina del primo Lamennais, che il M. ebbe in grande considerazione e i cui testi cercò di mettere in buona luce nei dispacci a una segreteria di Stato, allarmata del resto dall'idea che un appoggio all'abate bretone indisponesse l'episcopato e il governo francesi.

A conclusione della missione parigina il M. ottenne da Leone XII l'elevazione al cardinalato (2 ott. 1826, titolare della basilica dei Ss. Giovanni e Paolo). Uomo di Curia ben più di quanto, almeno inizialmente, fosse portato alla vita pastorale, con una sua singolare ma ben fondata vocazione per le funzioni amministrative e per i problemi dell'economia e dell'ordine interno, dopo le esperienze in diplomazia gli toccarono quelle di legato apostolico, prima a Ravenna (16 giugno 1828, e fino al 1829 anche a Forlì), poi dal 5 luglio 1836 e fino al 1841 a Bologna, dove già da un anno era commissario apostolico straordinario per le quattro Legazioni.

Nel primo caso se la cavò bene stabilendo un buon rapporto con la popolazione, intercedendo in suo favore in qualche episodio di insubordinazione e dando l'impressione di una mitezza che temperava la rigidità del suo legittimismo; non fu oggetto di particolari polemiche e qualche liberale perseguitato gli diede atto di una "buona disposizione dell'animo suo" (E. Fabbri, Sei anni e due mesi della mia vita, a cura di N. Trovanelli, Roma 1915, p. 209). Tra l'altro, il 23 maggio 1830 ottenne l'aggregazione al patriziato di San Marino (la famiglia era già ascritta a quello viterbese). Come legato di Bologna non ebbe remore a segnalare il malcontento delle popolazioni per gli abusi dei volontari pontifici, un corpo speciale adibito alla lotta contro i settari con disappunto delle stesse forze di polizia; né omise di mettere l'accento sui ritardi nell'amministrazione della giustizia e sulla lentezza dei processi.

In parallelo, il M. aveva intanto accumulato alcune significative presenze nelle congregazioni: in quella del S. Uffizio, in cui era entrato come membro nel 1831, e nella congregazione del Concilio che dall'11 dic. 1834 lo aveva avuto come prefetto. Gliene derivò una certa visibilità i cui effetti si videro già nel conclave del 1831, dopo la morte di Pio VIII: qui i pochi voti confluiti sulla sua persona nel precedente conclave, il 3 genn. 1831 diventarono 23; a questo punto però arrivò sul suo nome l'esclusiva della Francia, causata, si disse, dai buoni rapporti intrattenuti in passato con i Borboni appena deposti e da una sua propensione al nepotismo. Sembra che analoghe considerazioni sulla prevedibile ostilità della Francia bloccassero subito dopo la sua nomina a segretario di Stato, che l'appena eletto Gregorio XVI non avrebbe visto male: la scelta cadde invece sul cardinale T. Bernetti, contro il quale tra il 1832 e il 1833 il M. mise in piedi con altri cardinali (G.A. Sala, P. Zurla e L. Lambruschini) un'opposizione sorda ma sterile, malgrado alla base della loro critica non mancassero motivi assai seri, quali una gestione troppo personale e poco collegiale del potere e l'insufficienza dei provvedimenti in campo amministrativo.

Frustrato nelle sue aspirazioni al potere, al M. non restò che dividersi tra le funzioni di legato, la vita delle congregazioni e l'episcopato, quest'ultimo nella diocesi suburbana di Palestrina, affidatagli il 14 dic. 1840, poi, dal 22 genn. 1844 in quella di Porto, Santa Rufina e Civitavecchia, e infine, dall'11 giugno 1847, in quella di Ostia e Velletri in sostituzione del cardinale L. Micara la cui scomparsa gli aveva conferito anche il titolo di decano; poco prima di lasciare Civitavecchia vi aveva celebrato, all'inizio di giugno, il sinodo diocesano. Tra i nuovi impegni nelle congregazioni (come prefetto della Segnatura di giustizia nel periodo 1841-54 e della congregazione del Cerimoniale dal 1851; come segretario del S. Uffizio tra il 1844 e il 1860), quello che forse lo gratificò di più fu, tra il 1832 e il 1835, la presidenza della congregazione per la revisione dei conti che gli assegnò un peso notevole nella politica governativa soprattutto nell'adozione delle misure intese a sanare il debito e a rilanciare l'economia. Quando nel 1844 si dovette mettere ordine nei conti del Banco di S. Spirito, lo si inserì in una commissione di tre cardinali scelti allo scopo; ciò non vuol dire che fosse solo dedito al lavoro, e anche in età avanzata non era raro trovarlo ospite delle serate mondane dei Borghese.

Con l'avvento di Pio IX il M. fu uno dei cardinali più consultati nella fase delle riforme, anche per la sua capacità di moderare gli slanci eccessivamente innovativi del nuovo pontefice; a pochi giorni dall'elezione fu chiamato a far parte della congregazione di sei cardinali che dovevano assisterlo nelle riforme, e il 27 luglio 1846, nella sua qualità di sottodecano, gli rivolse un discorso nel quale affermò che la Chiesa aveva voluto eleggere con lui "un tal papa che [(] fosse come un muro di bronzo e una colonna di ferro da Dio stabilita per la felicità pubblica e per iscorno degli empi" (Martina, 1974, p. 109). Timoroso delle fughe in avanti, la sua non fu però un'opposizione astiosa né pregiudizialmente contraria alle novità; consigliò prudenza, e così facendo non evitò qualche pasquinata né si salvò dalla voce che lo disse coinvolto nella congiura sanfedista del 15 luglio 1847. Dopo l'assassinio di P. Rossi, si affrettò a raggiungere la sua diocesi e di qui il 28 nov. 1848 seguì Pio IX a Gaeta. A Velletri tornò solo un anno dopo e lo stato in cui trovò la diocesi, insieme con le notizie che gli venivano da Roma, lo indusse a sconsigliare al papa un ritorno troppo precipitoso.

Gli eventi del 1848-49 e forse l'età ormai avanzata lo avvicinarono molto a Pio IX: era il solo d'altronde, in quanto decano, a poter vedere il papa in ogni circostanza. Nel declinare della vita la dimensione spirituale ebbe ulteriore risalto al cospetto di una società e di costumi morali che gli sembrava stessero decadendo: nel 1855 effettuò la visita pastorale a Velletri appunto per rendersi conto dello stato del sentimento religioso in provincia. Dell'antica passione per le condizioni dell'economia e del bilancio statale diede ancora prova negli anni Cinquanta, quando non ebbe remore a parlare di una crisi spaventosa per superare la quale suggerì anzitutto di ritirare la carta moneta, tagliare gli sprechi, ridurre le spese della pubblica amministrazione, colpire i consumi voluttuari: e su questo affermò che per dare il buon esempio sarebbe stato bene che i cardinali rinunciassero alle carrozze. Il 5 dic. 1853 Pio IX lo inserì insieme con i suoi colleghi C. Patrizi e V. Santucci in una speciale congregazione ideata per elaborare misure severe di risanamento: lentamente la situazione prese a migliorare, e nel 1859 fu raggiunto il pareggio del bilancio.

Il M., che nel 1855 aveva brillantemente superato una grave malattia, non se ne poté compiacere a lungo: morì a Roma il 30 sett. 1860, quando aveva toccato da un mese i novant'anni. Fu sepolto nella basilica dei Ss. Giovanni e Paolo di cui era stato titolare.

Alla carriera ecclesiastica si dedicò anche il nipote Luigi, nato il 3 marzo 1832 a Viterbo, dove la famiglia si era trapiantata all'inizio del secolo, da Oreste e da Veronica Cenci Bolognetti. Laureato in diritto canonico e civile all'Università Gregoriana di Roma nel 1854, prese gli ordini nel 1859 ed entrò in prelatura come referendario del supremo tribunale della S. Consulta divenendone poi ponente. Fece anche lui parte di varie congregazioni ma fu ben lungi dal possedere la personalità dello zio dal quale ereditò, moltiplicandola, una tendenza alla vita fastosa. Leone XIII lo creò cardinale l'11 febbr. 1889 e gli diede il titolo di S. Maria in Aquiro, che il 30 nov. 1896 mutò in quello di S. Maria in via Lata. Consultore della congregazione del Concilio e quindi prefetto della segreteria dei Brevi, dedicò molte della sue cure al riordino dell'Archivio e dei Musei vaticani e iniziò i restauri delle logge di Raffaello. Attivo negli anni Settanta nelle società cattoliche romane, di una delle quali fu assistente ecclesiastico, sul finire della vita si disse favorevole a un'intesa tra Chiesa e Stato in nome della lotta all'anticlericalismo. Morì a Roma il 30 marzo 1907.

Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Carte Macchi (cfr. Le Carte Macchi dell'Arch. segr. Vaticano. Inventario, a cura di O. Cavalleri, Città del Vaticano 1979; descrizione del fondo, costituito da 75 faldoni e 8 registri in cui sono conservati i rapporti del M. da Parigi passati all'Arch. della Nunziatura); Arch. della Nunziatura in Parigi, voll. 1-16; Arch. della Nunziatura in Lisbona, Div. I, b. 1, ff. 4-5, 4, f. 3; Segreteria di Stato, Spogli di cardinali e officiali di Curia, bb. 1-7; A. Frignani, La mia pazzia nelle carceri. Memorie, Parigi 1839, pp. 243-245, 253, 257; Stendhal, Correspondance, a cura di H. Martineau - V. Del Litto, II-III, Paris 1967-68, ad ind.; P. Dudon, Lamennais et le St-Siège, 1820-1854, Paris 1911, ad ind.; J. Schmidlin, Histoire des papes de l'époque contemporaine, I, La papauté et les papes de la Restauration, 2, Léon XII, Pie VIII et Grégoire XVI (1823-1846), Lyon-Paris 1940, ad ind.; E. Morelli, La politica estera di Tommaso Bernetti, Roma 1953, ad ind.; R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich, Brescia 1963, ad ind.; N. Del Re, I cardinali prefetti della S. Congregazione del Concilio dalle origini a oggi (1564-1964), in La S. Congregazione del Concilio: IV centenario della fondazione (1564-1964), Città del Vaticano 1964, p. 292; F. Macchi, I Macchi. Storia di una famiglia italiana, Milano 1968, pp. 379, 393-407; G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma 1974, ad ind.; Ch. Weber, Kardinäle und Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates, I-II, Stuttgart 1978, ad ind.; L. Pásztor, La segreteria di Stato e il suo archivio, 1814-1833, I-II, Stuttgart 1985, ad ind.; G. Martina, Pio IX (1851-1866), Roma 1986, ad ind.; Ph. Boutry, Souverain et pontife: recherches prosopographiques sur la Curie romaine à l'âge de la Restauration (1814-1846), Roma 2002, pp. 409 s.; N. Angeli, Famiglie viterbesi. Storia e cronaca, genealogia e stemmi, Viterbo 2003, pp. 205-208, 286; Annuario della nobiltà italiana, n.s., I (2000), vol. II, p. 1297; G. Moroni, Diz. d'erudizione storico-ecclesiastica, Indice generale alfabetico, IV, ad nomen; Enc. cattolica, VII, s.v.; Hierarchia catholica, VII-VIII, ad indicem. Sul nipote Luigi: F. Macchi, cit., pp. 407-414 e Hierarchia catholica, VIII, ad indicem.

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