MALVEZZI, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 68 (2007)

MALVEZZI, Vincenzo

Andrea Daltri

Nacque a Bologna il 22 febbr. 1715 da Pietro Paolo, appartenente al ramo dei conti della Selva, antica famiglia del patriziato cittadino, e da Maria Caterina Leoni.

In quanto cadetto, fu destinato alla carriera ecclesiastica ed educato dai gesuiti nel collegio dei nobili di S. Francesco Saverio. Entrato successivamente in seminario e ammesso agli ordini maggiori, celebrò la prima messa nella chiesa dei padri della certosa e il 25 febbr. 1736 fu nominato canonico della chiesa metropolitana di S. Pietro, carica alla quale rinunciò il 2 dic. 1738.

In un periodo caratterizzato dalla profonda opera di rinnovamento della Chiesa e del clero bolognese intrapresa dal cardinale P. Lambertini, il M. condivise gli orientamenti riformatori dell'arcivescovo e cooperò in qualità di ausiliario alla riorganizzazione della diocesi, fondata sulla riunificazione delle pievi ai vicariati foranei (con il duplice scopo di evitare conflitti di giurisdizione e di favorire la saldatura tra l'azione pastorale e la gestione amministrativa), e alla riforma in senso rigoristico della vita religiosa, che incentivò sia l'aggiornamento culturale dei parroci, sia lo sviluppo delle missioni popolari e di altre pratiche devozionali.

Dopo l'elezione al soglio pontificio del cardinale Lambertini (25 ag. 1740) con il nome di Benedetto XIV, il M. fu chiamato da questo a Roma. Nominato canonico della basilica di S. Maria Maggiore, nel 1743 divenne maestro di camera del papa e il 26 nov. 1753 fu creato cardinale. Nel successivo concistoro del 10 dicembre il papa gli assegnò il titolo dei Ss. Marcellino e Pietro e lo ascrisse alle congregazioni del S. Uffizio, del Concilio, dei Vescovi e regolari, della Visita apostolica e di Propaganda Fide. La nomina cardinalizia preludeva alla successione nell'arcivescovado bolognese, la cui titolarità era stata fino a quel momento detenuta dal pontefice, e nelle intenzioni di Benedetto XIV rispondeva all'esigenza di garantire la continuità della linea di riforma ecclesiale che aveva contraddistinto il suo episcopato.

Il 14 genn. 1754 il M. fu preconizzato arcivescovo di Bologna, il 22 gennaio il cardinale legato G. Doria prese possesso dell'arcidiocesi in suo nome, il 19 marzo ebbe luogo la sua consacrazione. Giunto in città il 31 maggio, celebrò il suo primo pontificale nella metropolitana di S. Pietro il 29 giugno. Il 9 agosto dello stesso anno conseguì il dottorato in utroque iure presso lo Studio bolognese e fu aggregato al Collegio civile e a quello canonico. Secondo A. Giacomelli (p. 111), già durante il suo soggiorno romano si era addottorato in legge alla Sapienza. Con breve del 15 giugno 1756 il papa gli concesse la facoltà di consacrare nuovamente la metropolitana di S. Pietro, cerimonia avvenuta il 15 agosto dello stesso anno.

Tra i provvedimenti emanati nei primi anni di episcopato si segnalano le istruzioni sulla fabbrica e le suppellettili delle chiese (1755), le regole dirette ai parroci e agli ufficiali delle compagnie e dei luoghi pii sulla corretta amministrazione patrimoniale (1756), l'istruzione pastorale sulla cautela nella lettura dei libri (1760), la notificazione sulle sepolture (1762). Sul piano pastorale il M. promosse la formazione del clero e incentivò lo sviluppo della vita religiosa nelle parrocchie. Rispetto all'episcopato del predecessore, accentuò ulteriormente i tratti rigoristici, ai quali non era estranea una più esplicita tendenza giansenizzante, e intraprese una serie d'interventi moralizzatori tesi a riaffermare il primato religioso ed etico del potere vescovile. Sul versante del culto si schierò contro le false devozioni e i comportamenti superstiziosi, abolendo per esempio la pratica di coprire con un velo bianco l'immagine della Madonna di S. Luca quando veniva trasportata in città allo scopo di celarla allo sguardo dei fedeli. Sul versante del costume s'impegnò a contenere gli scandali nella vita privata e fu protagonista di un'agguerrita persecuzione delle prostitute. Se questa linea rigoristica gli attirò le simpatie della maggior parte del clero, per converso, malgrado la sua dichiarata propensione per l'autonomia e il giurisdizionalismo cittadino, essa originò anche una serie di tensioni con il Senato e la società civile bolognese.

La morte di Benedetto XIV e l'elezione nel conclave del 1758 di Clemente XIII (C. Rezzonico) segnarono il ritornò a una difesa a oltranza delle prerogative della Curia romana, che inasprì la politica giurisdizionalista degli Stati, creando le premesse per uno scontro che s'incentrò in particolare nell'attacco alla Compagnia di Gesù. In questa situazione, l'arcivescovado bolognese divenne uno dei principali centri di opposizione agli indirizzi zelanti del nuovo pontefice, proseguendo la linea lambertiniana di dialogo e di mediazione con le corti e le nuove idee illuministiche.

Fautore della supremazia del potere vescovile sulle pretese autonomistiche dei diversi ordini religiosi, il M. si dimostrò diffidente verso la volontà di primato e la prassi missionaria spettacolare dei gesuiti. Questa posizione antigesuitica gli valse nel conclave del 1769 l'inserimento nella cerchia dei papabili sostenuti dalla Spagna e dalla Francia. L'elezione di Clemente XIV (L. Ganganelli), fortemente condizionata dalle potenze europee e appoggiata dallo stesso M., segnò il successo dei sostenitori di una riforma della Chiesa che ridimensionasse il ruolo della Curia romana a favore del pontefice e dei suoi più diretti collaboratori.

In questo contesto l'arcidiocesi di Bologna rappresentò il laboratorio privilegiato della strategia antigesuitica. Già nell'ottobre 1769 il M. aveva vietato ai gesuiti di confessare e predicare fuori dalle proprie chiese, privandoli inoltre del monopolio degli esercizi spirituali per il clero. Nominato con breve del 6 febbr. 1773 visitatore apostolico della Compagnia nella propria arcidiocesi con facoltà di controllarne i bilanci, investigarne i costumi religiosi e favorire l'avvicendamento dei superiori locali e la secolarizzazione dei professi, il M. intraprese la propria visita il giorno 22 dello stesso mese. Tra l'arcivescovo e i gesuiti bolognesi s'instaurò un lungo braccio di ferro: fermo il primo nell'esigere il rispetto delle istruzioni papali, altrettanto tenaci i secondi nel subordinare l'obbedienza agli ordini superiori a una diretta conoscenza delle disposizioni che li riguardavano.

La principale preoccupazione del M. appare quella di non derogare ai limiti stabiliti nel breve di nomina, evitando di sconfinare in una condotta arbitraria. All'iniziale provvedimento che ordinava di concentrare e apporre i sigilli agli archivi, fece seguito nei successivi mesi di marzo-giugno una serie di progressive limitazioni che si concretizzarono nella cosiddetta "presoppressione" e anticiparono il breve papale del 21 luglio 1773 che sanzionò la definitiva soppressione della Compagnia: la chiusura al pubblico della chiesa di S. Ignazio, l'intimazione ai novizi e ai chierici di deporre l'abito e abbandonare la città, la sospensione delle lezioni nelle scuole di S. Lucia, la diffida alle parrocchie di affidare ai gesuiti l'insegnamento della dottrina cristiana, il divieto di esercitare la predicazione nelle proprie chiese ancora aperte, la sospensione della facoltà di ascoltare le confessioni, la chiusura dei collegi di S. Luigi, S. Francesco Saverio e S. Lucia, l'espulsione dal territorio pontificio del rettore di quest'ultimo e degli altri padri della Compagnia.

Nominato cardinale prodatario il 14 giugno 1774, il M. lasciò Bologna per Roma, ma detenne la carica soltanto per pochi mesi, fino alla morte di Clemente XIV (22 sett. 1774). Prese parte al conclave nel quale il 15 febbr. 1775 venne eletto il nuovo papa Pio VI (G.A. Braschi) e il 20 marzo 1775 fece rientro nella sua diocesi.

In precarie condizioni di salute, si trasferì a Cento, dove morì il 3 dic. 1775. Le esequie furono celebrate nella metropolitana di S. Pietro, nella quale venne tumulata la salma.

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