MARENCO, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARENCO, Vincenzo

Andrea Merlotti

MARENCO (Marenco di Castellamonte), Vincenzo. – Nacque a Dogliani, nell’Albese, il 23 dic. 1752, dal conte Francesco Amedeo e da Cristina Appiani della Torre.

La sua era una tipica famiglia della piccola nobiltà piemontese: Giovan Battista Marenco, antenato del M., dopo aver fondato una commenda mauriziana a Dogliani (1653), aveva acquistato parti di giurisdizione sul feudo di Castellamonte, nel Canavese. Il raggio d’azione della famiglia fu quello del governo urbano di Dogliani e dei ranghi medi dell’esercito. La madre proveniva da un ramo naturale degli Appiani d’Aragona stabilitosi in Piemonte nel Cinquecento.

Terminati gli studi superiori, fu inviato a studiare legge all’Università di Torino. Fallito il tentativo del padre di ottenergli una borsa al Collegio delle province, il M. frequentò ugualmente l’Università e, anzi, compì brillantemente gli studi conseguendo la licenza il 5 dic. 1771 e la laurea il 6 luglio 1772. I compagni dei corsi lo apprezzarono al punto da proporlo al sovrano come candidato della facoltà di legge alla carica di rettore.

Fra i suoi compagni di studi e amici più stretti era il monregalese G.V. Ferrero, e fu forse per suo tramite che il M. conobbe lo studente savoiardo L.-J.-P. Dunand, insieme con il quale fu coinvolto in uno dei primi scandali che agitarono il Piemonte durante il regno di Vittorio Amedeo III. Massone d’un certo rilievo, Dunand era un protégé del segretario agli Esteri G.A.M. Carron marchese d’Aigueblanche e, soprattutto, del suo potente segretario P.-G. Vuy, per cui aveva svolto fra il 1772 e il 1774 una vera e propria attività di colporteur di libri proibiti. Nel dicembre del 1774 Dunand pubblicò, anonima, La mascarade du colporteur français, un’opera in cui prendeva di mira i costumi delle nobildonne torinesi e faceva ambigui riferimenti massonici ad alcuni membri del governo sabaudo. Tuttavia, presto riconosciuto come autore del libro, fu incarcerato per diversi mesi e infine allontanato dalla capitale. In una memoria difensiva inviata a Vittorio Amedeo III, Dunand raccontava d’aver a lungo frequentato gli studenti inglesi, russi e tedeschi della Reale Accademia insieme con Ferrero e col M., e lasciava intendere, pur se in modo ambiguo, di aver parlato loro della Mascarade. Questa, poi, s’apriva proprio con un sonetto del M., anche se non è chiaro se esso fosse realmente frutto della sua penna o a lui attribuito da Dunand. In ogni caso, il M. riuscì a non farsi travolgere dalla vicenda. Alla fine del 1775, anzi, mentre Dunand si trovava al confino, il M. pubblicò la sua prima opera, il poemetto Le vacanze, in cui mostrava una sostanziale adesione alla critica dei Lumi del barnabita G.S. Gerdil (potente a corte, dove era precettore del principe ereditario), schierandosi su posizioni di conservatorismo illuminato. Il poema non è di grande valore letterario, ma si segnala soprattutto per le parti dedicate alla nascita mitologica del pallone al bracciale, di cui il M. fu appassionato giocatore.

Tra i protagonisti della scena letteraria piemontese negli anni di Vittorio Amedeo III (1773-96), il M. fu accolto in quasi tutte le accademie che si andavano allora costituendo. Nell’autunno 1776 fu tra i fondatori della torinese Accademia Sampaolina (alle cui riunioni presero parte B. Robbio di San Raffaele, G.F. Galeani Napione e, seppur saltuariamente, C. Denina e V. Alfieri) e nel 1777 dell’Accademia di filosofia e belle lettere di Fossano, voluta da V.A. de’ conti Valperga marchese d’Albarey, fra i maggiori esponenti della massoneria in Piemonte. Nel 1783 Vittorio Amedeo III fondò l’Accademia delle scienze di Torino e nominò il M. suo «primo impiegato» e poi, nel 1784, sottosegretario. Dietro a questa nomina fu probabilmente il conte P. Balbo, che nel 1785 chiamò il M. a far parte anche della Patria Società letteraria (detta anche Filopatria), un’accademia letteraria torinese che riuniva esponenti di una generazione più giovane di quella della Sampaolina, dimostrando una maggiore apertura alle suggestioni dei Lumi. Nel 1789 fu, infine, tra i fondatori dell’Accademia degli Unanimi, ideata da C.M.F. Arnaud, nipote di Denina, che dopo aver avuto sede in provincia (tra Savigliano e Chieri), dal 1790 si stabilì a Torino. Il 5 sett. 1788 il M. fu creato cavaliere dell’Ordine Mauriziano.

Nel 1776 lesse alla Filopatria Lo spirito di patriottismo riguardo alle scienze ed alle lettere appresso alle nazioni, che pubblicò sette anni dopo a Torino. Fortemente segnato dall’influsso di Denina e moderato filoilluminista, il M. elogiava l’impresa dell’Encyclopédie e difendeva l’importanza del ruolo degli intellettuali nella società contemporanea, esortando colleghi e amici piemontesi a osare di più, liberandosi di ogni eccessiva sudditanza verso gli «antichi». Egli riprese tali tesi, pochi anni dopo, nel Saggio sopra la cagione dell’origine, progresso e decadenza delle scienze e delle arti appresso le nazioni (in Prose e poesie dedicate a Vittorio Amedeo III dalla Colonia arcadica fossanese, Torino 1780), letto all’Accademia di Fossano lo stesso anno in cui ne fu nominato segretario perpetuo. Sul tema tornò ancora nel poemetto La patria (ibid. 1783), scritto per le nozze dell’amico A.M. Durando di Villa. Gli anni Ottanta furono caratterizzati da un notevole impegno letterario: oltre a curare gli Ozi letterari, sorta di rivista ufficiale della Filopatria, il M. collaborò ai due principali periodici editi allora in Piemonte, la Biblioteca oltremontana (1787-93) e il Giornale scientifico letterario e delle arti (1789-90).

Nel novembre 1792, allo scoppio della guerra contro la Francia, il M. chiese d’entrare all’Ufficio generale del soldo, l’ente da cui dipendeva la gestione economica delle truppe. Vittorio Amedeo III acconsentì e un anno più tardi, il 30 nov. 1793, gli concesse il titolo di viceintendente con uno stipendio annuo di 600 lire. Fra il 1792 e il 1796 il M. scrisse diversi progetti e memorie sulla situazione dell’esercito (fra cui, nel 1794, un Progetto di certo V. M. circa i mezzi da adottarsi per assicurare nelle attuali circostanze tutta la sussistenza delle armate quanto quelle de’ pubblici in occasione di guerra: in Arch. di Stato di Torino, Corte, Materie militari, Ufficio generale del soldo, m. 4, f. 14). Svolse, inoltre, diversi incarichi nelle retrovie, occupandosi della gestione degli ospedali militari e ricoprendo ad interim la carica di commissario della divisione militare di Cuneo. Finita la guerra con la sconfitta del Regno sardo, lasciò l’Ufficio generale del soldo e dal febbraio 1797 riprese il posto di sottosegretario dell’Accademia delle scienze. Durante la prima occupazione francese, fra dicembre 1798 e maggio 1799 e la successiva piccola restaurazione, il M. sembra essersi defilato, forse attendendo che le drammatiche vicende dello Stato sabaudo prendessero una chiara direzione; la battaglia di Marengo e il ritorno dei Francesi lo indussero ad aderire al nuovo regime.

Nel settembre 1800 fu nominato direttore generale degli Ospedali (con uno stipendio annuo di 3300 lire) e l’11 ott. 1800 fu chiamato a far parte della Commission d’instruction publique, incaricata dal governo provvisorio di riformare l’Università di Torino. Diretta da C. Bossi, la Commission fu attiva sino alla fine d’ottobre, quando passò i propri poteri a un Conseil d’instruction publique in cui il M. non fu più coinvolto.

Il 27 genn. 1801 la Commissione esecutiva del secondo governo provvisorio piemontese decretò la nascita, sulle ceneri dell’Accademia delle scienze, dell’Accademia nazionale di scienze, letteratura e belle arti che, a differenza della precedente, era dotata anche d’una classe di scienze morali nella quale furono cooptati alcuni animatori dell’accademismo piemontese dell’età di Vittorio Amedeo III, fra cui il M. – che l’11 febbraio ne fu nominato segretario –, E. Bava di San Paolo e G.F. Galeani Napione. Fu, inoltre, incaricato di esporre i lavori della classe di scienze morali nella prima seduta pubblica dell’Accademia, il 9 ag. 1801.

Nella primavera del 1801 il M. e altri membri della soppressa Commission diedero vita alla Société libre d’instruction publique de Turin i cui lavori furono aperti il 5 giugno 1801 da P.T. de Laboulinière, segretario del generale J.-B. Jourdan, amministratore generale del Piemonte. Negli stessi mesi il M. fu tra gli ideatori del Lycée, una «société particulière» aperta il 6 dic. 1801 a palazzo Carignano col compito di organizzare in senso filofrancese il consenso dei ceti dirigenti dell’ex capitale sabauda. Accanto ad attività che rimandavano alle caratteristiche forme di sociabilità (balli, serate di gala, letture pubbliche), il Lycée organizzava anche corsi di materie scientifiche e letterarie. Fra i docenti erano C.I. Giulio, A. Vassalli Eandi, B.C. Bonvicino e il M., che si riservò il corso di letteratura italiana. Nel maggio 1802, in seguito all’istituzione delle nuove scuole secondarie superiori previste dal governo francese e denominate licei, la società di palazzo Carignano assunse il nome di Salon de réunion de Turin (Journal de Turin, 6 maggio 1802).

Il M. partecipò alle feste del 1° vendemmiaio anno X (23 sett. 1801), anniversario della nascita della Repubblica francese, con l’ode Il tempio della gloria, musicata da L. Molino ed eseguita nel salone del palazzo Nazionale. Nel 1806 pubblicò il dramma eroico Alcide in Argo (Torino) e l’anno successivo il primo (e unico) volume delle sue Opere, raccogliendovi i principali lavori apparsi nel trentennio precedente. Sempre nel 1807 fu chiamato all’Università di Torino come supplente nella cattedra di eloquenza latina. L’arrivo a Torino nel 1808 del principe Camillo Borghese, nominato governatore del Piemonte, e di sua moglie Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone, segnò una svolta nella vita del M., designato dal principe al ruolo di professore dei paggi e poeta ufficiale.

I Borghese giunsero a Torino il 23 aprile e presero alloggio nel Palazzo reale (dal 1804 imperiale), dove nei giorni successivi ospitarono le principali autorità civili e religiose. Il 3 maggio il maire della città, G. Negro, organizzò una serata di gala per la coppia nel teatro Imperiale. In quell’occasione il M. scrisse l’ode anacreontica Nella presentazione di un canestro di fiori fatta da un coro di scelte fanciulle a S.A.I. la principessa Maria Paulina di Francia, recitata da giovani esponenti della nobiltà piemontese, pronte a riprendere il servizio a corte che le loro antenate avevano svolto per secoli, pur sotto una diversa dinastia. Paolina, tuttavia, si stancò presto di Torino, che lasciò dopo poco più d’un mese, senza farvi ritorno. Restò, invece, il principe Borghese. Il M. divenne allora una sorta di poeta di corte, autore dei componimenti ufficiali in tutte le principali festività napoleoniche. Nel 1809, per esempio, scrisse le odi Nel dì solenne di S. Napoleone, festeggiato in Torino li 15 agosto 1809 (Torino) e Per la pace conchiusa tra la Francia e l’Austria li 14 ottobre 1809 (ibid.).

Alla fine del 1809 il maire lo incaricò di scrivere l’ode che sarebbe stata cantata il successivo 26 gennaio in occasione dell’onomastico della principessa Paolina. Da allora e sino al 1813 tale cerimonia (che si svolgeva in assenza della celebrata) fu curata dal M.: nacquero così le cantate L’augurio concorde (1810), Le Grazie messaggere di Giove (1811), Gli auguri delle Muse (1812) e Nel giorno onomastico (1813), musicate ora da L. Molino, ora da B. Ottani. La più importante opera celebrativa del M. fu il poemetto epico Wilna liberata (Torino 1812), composto in occasione della festa di S. Napoleone del 1812.

In quegli anni la salute e le condizioni economiche del M. andarono progressivamente peggiorando. Per far fronte ai debiti crescenti dovette lasciare l’alloggio all’Accademia delle scienze e il 12 luglio 1812 si separò legalmente dalla moglie Caterina Maria Gozzellina, così da permetterle di salvare i propri beni (inclusa la dote ammontante a poco più di 16.000 lire). Nello stesso tempo, la disillusione per la politica francese lo portò a riavvicinarsi alla causa sabauda. Nel 1812 propose che l’Accademia imperiale delle scienze di Torino bandisse un concorso «al miglior pezzo di storia» che facesse da seguito alla storia militare di C. Saluzzo, ferma alle vicende della guerra di successione austriaca. La proposta fu rifiutata, perché ritenuta troppo pericolosa. Il M. lasciò allora il ruolo di poeta del principe Borghese, assunto da D. Bertolotti, e iniziò a comporre il poema L’Amedeide o Rodi salvata, dedicato alle gesta del conte Amedeo VI di Savoia.

Povero, malato e assistito solo dalla moglie e da pochi amici (fra cui il barone G. Vernazza e il conte P. Balbo), il M. morì nel quartiere di S. Salvario il 2 ag. 1814, poco prima del ritorno nella capitale di Vittorio Emanuele I.

Il M. lasciò il manoscritto dell’Amedeide a un fratello minore, abate. Da questo giunse, anni dopo, al saviglianese G. Turletti, che riprese i sette canti del M. terminando il lavoro, e pubblicandolo col titolo Rodi salvata (Carmagnola 1833). Ciò riportò l’attenzione sul M., di cui furono ristampate alcune opere, fra le quali un volume di Poesie postume (Torino 1843).

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