MISTRALI, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)

MISTRALI, Vincenzo

Giuseppe Monsagrati

– Figlio di Francesco e di Anna Manganelli, nacque a Parma il 3 luglio 1780.

Di famiglia umile (il padre era calzolaio, la madre casalinga), era molto giovane quando trovò impiegò come scritturale presso un banco cittadino: poté così completare gli studi portati avanti fino ad allora in maniera sporadica e quasi da autodidatta prendendo nel 1802 la licenza in filosofia; inoltre si impratichì nelle materie economiche e fu notato dal conte Stefano Sanvitale, che prima lo assunse come istitutore del figlio Luigi e poi, nel febbraio 1806, appena nominato maire di Parma, gli diede un posto da segretario municipale. Ciò limitò molto ma non esaurì affatto la vocazione letteraria di impronta classicista fiorita nel M. con i primi componimenti poetici e proseguita pubblicando odi, carmi, versi d’occasione spesso contraddistinti da una nota d’impegno civile (una raccolta di sue Odi apparirà a Parma a cura del figlio Emilio nel 1869).

All’epoca Parma era già sotto la dominazione francese. Cresciuto in un ambiente permeato di pensiero illuminista e che risentiva ancora positivamente delle grandi riforme volute da G. Du Tillot, segretario di Stato tra il 1759 e il 1771, il M. assorbì molto di quella cultura settecentesca: studiò Étienne Bonnot de Condillac, lesse gli enciclopedisti, si appassionò a J.-J. Rousseau (in ricordo del quale diede ai due figli maschi i nomi di Giangiacomo ed Emilio). Era dunque culturalmente predisposto ad apprezzare lo stile di governo napoleonico e la sua efficienza burocratica: così, grazie a una personalità assai intraprendente cui non pesavano le condizioni sociali di partenza, scalò poco alla volta i gradini dell’amministrazione esibendo sin dall’inizio una formidabile capacità di lavoro. A questo aggiunse la tenacia con cui per esempio nel dicembre del 1809, per protestare contro le persecuzioni inflittegli da un prefetto francese, si mise in viaggio per Parigi: ne tornò con l’incarico di dirigere il deposito di mendicità di Livorno (dal 20 ag. 1810), mentre il prefetto veniva trasferito.

Poco più di un anno dopo, con decreto del 17 dic. 1811, fu nominato sottoprefetto di Grosseto: a procurargli il favore di Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone e granduchessa di Toscana, erano state la raccomandazione di alcuni funzionari francesi, che lo avevano definito una «tête forte» e, si disse, una missione ad Ajaccio (giugno 1811) durante la quale il M. aveva contratto alcuni prestiti bancari, forse per conto della stessa duchessa. Una successiva mostra della produzione industriale e agricola del Grossetano da lui organizzata con successo e alcune iniziative volte a incoraggiare lo sviluppo dell’agricoltura o a bonificare il territorio non fecero che ribadire la fiducia della sovrana in lui.

Mentre si trovava in Corsica, il M. ne approfittò per visitare la casa natale di Napoleone e per scrivere in suo elogio, nella stanza in cui l’imperatore era venuto al mondo, un’ode, La camera in Ajaccio, che confermò come non avesse perso il vizio della poesia: di qui il commento dell’amico Carlo Botta che si rallegrava con lui «che in mezzo a tanto viluppo di cose troviate tempo e modo di conversare con le muse» (Clerici, p. 596). Furono appunto questa buona vocazione letteraria e l’ammirazione per Napoleone a procurare al M. l’amicizia e la stima di alcuni tra i maggiori esponenti della cultura parmense, primi tra tutti A. Mazza e P. Giordani, che poco dopo ebbe a definirlo «attivo assai e di vigoroso carattere» (Giordani, I, p. 72).

Con il crollo del sistema napoleonico, il M. seguì la Baciocchi a Parigi: qui, in previsione di un prossimo ritorno a Parma, ottenne udienza dall’imperatore Francesco I d’Austria che, in vista dell’assegnazione del Ducato a Maria Luigia, moglie di Napoleone, richiese a lui e a un altro funzionario, F. Magawly Cerati, un «trattatello» (Cognetti de Martiis, 1932, p. 217) sul sistema amministrativo parmense e un progetto che ne introducesse il riordinamento. La logica su cui si imperniava il progetto era quella della monarchia amministrativa, ma il M. si sforzò di mantenere in vita quanto più possibile dell’ordinamento francese. Quando il lavoro fu terminato, si recò a Vienna, illustrò le linee del suo piano e ne ottenne l’approvazione. Con l’occasione rese anche omaggio a Maria Luigia che nell’agosto del 1814 lo autorizzò a tornare in patria portando con sé la nomina a governatore di Parma e Guastalla. Di pochi mesi successiva (marzo 1815) fu la nomina a consigliere di Stato onorario, carica da lui ambita ma oggetto di forti critiche da parte di alcuni membri dell’aristocrazia locale cui pareva inaccettabile che il figlio di un calzolaio arrivasse a tanto. Per aggirare l’ostacolo anche per il futuro, il 29 marzo 1816 la duchessa pensò bene di conferire al M. il titolo di barone; nel frattempo era stata da lui sventata una manovra – forse promossa dal Magawly – per inviarlo come governatore a Piacenza, l’altra città del Ducato.

Erano queste le prime avvisaglie dell’ostilità che l’operato del M. avrebbe suscitato nei funzionari imperiali inviati da Vienna e insediati a corte per controllare il buon andamento degli affari di governo e rafforzare il dispositivo militare austriaco: furono prima il generale conte A.A. von Neipperg, dal 1821 marito morganatico della duchessa, poi il barone J. von Werklein, uomo del principe di Metternich come il Neipperg e segretario intimo di Gabinetto. La loro ingombrante presenza si fece sentire quando si trattò di preparare un nuovo testo del codice civile.

Il lavoro era cominciato nel 1816, con la nomina di una Commissione legislativa che aveva steso un progetto, poi sottoposto a un analogo organismo nominato dall’imperatore e con sede a Milano che operò alcuni cambiamenti. Per volontà di Maria Luigia la decisione finale sul testo del Codice fu demandata il 23 febbr. 1817 a una Commissione di revisione composta di giuristi parmensi con il mandato di «fondare le basi della pubblica felicità» (Cognetti de Martiis, 1917, p. 38) e con l’incarico di lavorare solo su quegli articoli che la Commissione milanese aveva modificato: pur non essendo un giurista, il M. fu chiamato a farne parte in considerazione della sua già notevole esperienza della vita dello Stato e della qualità della sua scrittura: gli si chiedeva infatti di «ridurre ed ordinare in unità di stile l’opera di revisione compiuta» (Id., 1920, p. 180). Fu appunto il M. che, legato alla tradizione amministrativa francese e forte della sua conoscenza del codice napoleonico, improntò i lavori della Commissione a un’apertura di stampo riformista che nello stesso tempo, mediante una tutela accorta della lingua, si distinguesse per la sua italianità: così partì da lui l’impulso a introdurre nel Codice il principio della pari condizione della donna nelle successioni intestate. Il principio passò, ma questo non fece che scatenare la controffensiva del governo di Gabinetto il quale, sostenendo che la Commissione di revisione aveva perso tempo e aveva finito per presentare un testo che si riduceva «ad una compilazione del Codice francese» (Id., 1917, p. 111), ne ottenne dalla sovrana lo scioglimento (agosto 1819).

Il testo finale promulgato il 1° luglio 1820 uscì dunque depurato di quella che era parsa una piena derivazione da un codice sostanzialmente repubblicano e in quanto tale inaccettabile da un regime monarchico, specialmente per le norme relative al diritto di famiglia, alla tolleranza religiosa, a una certa laicità dello Stato. Questo esito, attribuito in gran parte all’intervento di Neipperg, amareggiò molto il M. che vide nell’ingerenza della burocrazia di corte, e nell’appoggio fornitogli da qualche collaboratore interessato a soddisfare così le proprie ambizioni frustrate (tale il caso di F. Melegari e di F. Cocchi), l’espressione di un metodo dispotico quanto violento e comunque destinato a fare a lungo scuola, con cui un organismo legalmente costituito veniva privato arbitrariamente dei poteri che gli erano stati riconosciuti in virtù delle sue specifiche competenze. Crebbe però la sua fama di elemento liberale, tanto da giustificare l’ipotesi, avanzata da uno storico, che Stendhal si ispirasse a lui nel disegnare il personaggio del conte Mosca nella Certosa di Parma.

Sorte non diversa da quella del codice toccò al progetto di regolamento dell’amministrazione comunale, che nel novembre del 1820 Werklein affidò al M., il quale ancora una volta volle tener presente il modello francese: il risultato fu che, tramite una frammentazione amministrativa del territorio in 14 commissariati, la giurisdizione del M., nominato delegato di Parma, fu molto ridotta. Lo compensò in parte il prestigio anche sociale ottenuto con l’ammissione al Consiglio di Stato di cui a partire dal 1821 diresse la sezione amministrativa.

Allo scoppio della rivoluzione del 1831 il M. fece parte del seguito di Maria Luigia che il 14 lasciò Parma per rifugiarsi a Piacenza. Prima cura della duchessa fu quella di spedire il M. a Milano per accelerare l’intervento militare nei suoi domini. Mentre avvenivano i primi scontri degli insorti con le truppe austriache, il 26 febbraio il figlio Emilio fu arrestato e tenuto in ostaggio dal governo provvisorio, ma la sua cattività non durò molto perché già il 14 marzo la città era in mano agli Austriaci. Al suo ritorno il M. non trovò più Werklein: investito dalla duchessa del titolo di commissario straordinario, il M. evitò di infierire sui ribelli (come del resto aveva fatto anche nel 1821, quando aveva chiesto che si usasse clemenza verso i carbonari sottoposti a processo) e fece in modo che pur nella severità si conservasse il carattere liberal-moderato delle istituzioni. Quando Maria Luigia assegnò la maggior responsabilità di governo a due presidenze, a lui spettò quella delle Finanze. Libero da ostacoli, il M. avviò allora un’opera di risanamento del bilancio statale istituendo la lista civile (distinse così il bilancio statale da quello della sovrana), contenendo le tasse doganali e le imposte dirette, ricostituendo il demanio con il recupero di beni che in precedenza erano stati alienati a basso prezzo, riducendo il debito pubblico, restituendo allo Stato l’esazione fiscale prima data in appalto a uno speculatore privato. La politica delle economie non gli impedì però di dare incremento ai lavori pubblici (aperture di strade, costruzione di ponti, progetto di una linea ferroviaria da Piacenza al confine estense, accrescimento dei musei e gallerie d’arte), di investire nelle strutture educative e di assicurare l’assistenza ai malati al tempo dell’epidemia di colera del 1835-36 (fu insignito con la medaglia d’oro dei benemeriti della salute pubblica). Non poté invece realizzarsi un’idea concepita dal M. sin dal tempo della sua permanenza a Grosseto e maturata poi, a contatto con gli esponenti del moderatismo fiorentino, sotto forma di aspirazione a una specie di unificazione legislativa con la vicina Toscana.

Morto nel 1829 Neipperg, scomparso di scena nel 1831 Werklein, dopo qualche anno di gestione quasi totale del potere il M. si trovò davanti il conte Charles-René de Bombelles, capace di esercitare un forte ascendente su Maria Luigia. Non era più disposto a tollerare ingerenze né umiliazioni, per cui, quando se ne sentì vittima (in un caso, nel 1844, fiorì contro di lui tutta una produzione di libelli e scritti satirici ispirati probabilmente dall’alto), non esitò a presentare le dimissioni. Lo fece tre volte (nel 1831, nel 1832 e nel 1841), e tre volte la sovrana lo pregò di restare al suo posto, nella consapevolezza che il Ducato non aveva mai attraversato un periodo così prospero.

All’inizio del 1846 il M. ebbe un attacco apoplettico. Nei mesi successivi ne subì altri due e non si riprese più inducendo P. Giordani a un’amara considerazione: «non gli rimane di vita se non quanta ce ne vuole per penare» (II, p. 213). Il M. morì nella sua casa di Parma il 14 maggio 1846.

Si disse da più parti che era morto povero e si fece notare come grazie a lui il debito pubblico fosse stato cancellato per due terzi. La duchessa volle che gli fossero tributati i funerali di Stato.

Fonti e Bibl.: Le Carte Vincenzo Mistrali, per un totale di 13 pezzi con materiale relativo al 1815-21, sono conservate presso l’Arch. di Stato di Parma: su di esse sono stati condotti vari lavori, fra cui in particolare: R. Cognetti De Martiis, Il governatore V. M. e la legislazione civile parmense (1814-1821), in Arch. stor. per le provincie parmensi, n.s., XVII (1917), pp. 1-183, e S. Notari, Le carte M. e i lavori preparatori dei codici parmensi, in Clio, XXVII (1991), pp. 105-149. Si vedano inoltre: T. Bazzi - U. Benassi, Storia di Parma, Parma 1908, pp. 364 s., 377, 381, 383-387; G.P. Clerici, Intorno a otto lettere inedite di Carlo Botta a V. M., in Il Risorgimento italiano. Rivista storica, II (1909), pp. 593-615; U. Mancuso, Cenni su V. M. ministro e poeta parmigiano (1780-1846) con 61 lettere di Maria Luigia d’Austria e altri documenti inediti, in Studi storici, XVIII (1909), pp. 3-108; R. Cognetti De Martiis, Pel centenario del Codice civile parmense (10 apr. 1820), in Aurea Parma, IV (1920), pp. 177-181; Id., Il ministro V. M. e la rivoluzione del 1831, in Arch. stor. per le provincie parmensi, n.s., XXXI (1931), pp. 77-93; Id., La corsa al potere di V. M., in Aurea Parma, XVI (1932), pp. 211-223: G. Micheli, La Corsica nei poeti parmensi del secolo scorso, in Arch. stor.di Corsica, X (1934), pp. 70-73; P. Giordani, Lettere, a cura di G. Ferretti, I-II, Bari 1937, ad ind.; R. Cognetti De Martiis, Personalità del Ducato parmense. Uomini di governo, V. M., Filippo Francesco Magawly, in Salsomaggiore. I centenario delle cure 1839-1939, pp. 199-214. Contesta l’immagine di un M. liberaleggiante vedendo in lui solo un «uomo desideroso di mantenersi sempre a galla» O. Masnovo, I moti del ’31 a Parma, Torino 1925, pp. 5, 9, 20, 27-29, 32-79, 86 s., 90, 92-96, 129, 131-133, 137, 157; A. Pescatori, Il declino di un Ducato (1831-1959), Parma 1974, pp. 13, 15, 76 s. Offre un elenco di componimenti in versi del M. la Bibliografia generale delle antiche province parmensi, a cura di Felice da Mareto, I: Autori, p. 367. G.B. Janelli, Diz. biogr. dei Parmigiani illustri, Genova 1877, pp. 268-271; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v. (E. Michel).

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