GENTILONI, Vincenzo Ottorino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000)

GENTILONI, Vincenzo Ottorino

Francesco Malgeri

Nacque a Filottrano, nell'Anconetano, il 13 ott. 1865, dal conte Isidoro e dalla contessa Maria Segreti.

La famiglia, tra le più illustri di Filottrano, apparteneva a un'antica nobiltà. Il padre, ufficiale della milizia pontificia, aveva anche partecipato, con il grado di capitano, alla battaglia di Castelfidardo nel 1860.

Insieme con il fratello primogenito, Edgardo, il G. ricevette una severa educazione ispirata alla solida tradizione religiosa coltivata in famiglia. Frequentò a Filottrano gli studi elementari e ginnasiali, sotto la guida di don E. Bianchi, direttore del locale ginnasio. Proseguì a Roma gli studi liceali, presso il liceo statale E.Q. Visconti al Collegio romano, a fianco del quale operava anche la Congregazione della Scaletta, dei padri gesuiti, che il G. frequentò insieme con altri giovani studenti cattolici. Si iscrisse, quindi, alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Roma, ove conseguì la laurea con pieni voti all'età di ventuno anni.

Avviatosi alla carriera forense, il G. fece il tirocinio presso C. Palomba, celebre penalista romano. In seguito aprì un proprio studio, nel palazzo De Dominicis, nei pressi del Pantheon, affermandosi come uno dei più noti avvocati della capitale. Nel corso della sua attività professionale non mancò di difendere personalità del mondo cattolico coinvolte in accuse e processi relativi alla loro attività sociale, politica e giornalistica.

Nel 1898, di fronte alla dura repressione operata dai governi Rudinì e Pelloux, il G. difese R. Passamonti, direttore del periodico Il Lazio cattolico, ed E. Filiziani, direttore de La Vera Roma. Difese anche il quotidiano bolognese l'Avvenire d'Italia e i dirigenti del circolo cattolico S. Giuliano di Macerata.

La sua attività professionale, tuttavia, cominciò a cedere il posto all'impegno organizzativo e direttivo in seno al movimento cattolico, soprattutto grazie al rapporto di amicizia e di collaborazione che instaurò con mons. G. Radini Tedeschi, cui era stato affidato, nel 1897, da G.B. Paganuzzi, presidente dell'Opera dei congressi, il compito di rivitalizzare l'organizzazione del movimento cattolico nelle Marche e in Umbria. Un anno dopo Radini Tedeschi riusciva a costituire il comitato regionale marchigiano dell'Opera, del quale il G. tenne la presidenza dal 1900 al 1903.

Fu tra i relatori di numerosi congressi cattolici, nazionali e locali, e tenne conferenze e dibattiti in molte località del paese. Altri rilevanti incarichi direttivi ebbe a Roma, divenendo, tra l'altro, presidente dell'Unione cattolica. Fu mons. Radini Tedeschi a celebrare, l'8 sett. 1900 a Roma, le nozze del G. con Elena Teresa Calderai, in occasione delle quali Leone XIII volle nominarlo cameriere di cappa e spada.

La crisi e il successivo scioglimento dell'Opera dei congressi, operato da Pio X nel 1904, indussero il G. ad abbandonare la militanza attiva in seno al movimento cattolico. Tra l'altro il suo orientamento ispirato a una linea moderata, tradizionalista, di piena e convinta adesione alle direttive della gerarchia ecclesiastica, lo portò in forte conflitto con l'emergente movimento della democrazia cristiana, guidata da R. Murri, che auspicava un più incisivo impegno dei cattolici, sulla base di un programma sociale e politico e di un organismo autonomo dai controlli e dalle direttive delle gerarchie ecclesiastiche. Il G., dunque, abbandonò per il momento la partecipazione alle iniziative del cattolicesimo organizzato per dedicarsi ad attività di altra natura, quale presidente di una società produttrice di ceramica, l'Eretum di Monterotondo.

Dopo lo scioglimento dell'Opera dei congressi, Pio X, nel 1905, aveva deciso di riorganizzare l'Azione cattolica (enciclica Il fermo proposito) sulla base di tre Unioni (popolare, economico-sociale ed elettorale), con compiti di preparazione, formazione e indirizzo da espletarsi anche sul piano sociale e politico. Nel luglio 1909, il pontefice convinse il G. a rinnovare il suo impegno politico e lo nominò presidente dell'Unione elettorale cattolica italiana (UECI), in sostituzione di F. Tolli. Pio X volle anche conferirgli la commenda di S. Gregorio Magno.

Tornato a contatto con i problemi, anche organizzativi, dell'Azione cattolica, il G. si dedicò con particolare attenzione al problema della partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche, dopo molti anni di astensionismo sancito dal non expedit di Pio IX. Sul piano della partecipazione elettorale dei cattolici, i primi anni del Novecento avevano segnato una svolta significativa: infatti la ristrutturazione dell'Azione cattolica da parte di Pio X era stata accompagnata anche dalla prima parziale partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche a sostegno di candidature liberali, dato che il papa, a partire dalle elezioni del 1904, aveva loro consentito di andare a votare in quei collegi nei quali, a giudizio dei vescovi, esisteva il pericolo di un successo socialista o di candidati della sinistra radicale e anticlericale.

Il G. condivideva questa impostazione e sollecitava un più ampio e articolato intervento alle urne da parte dei cattolici. Parlando al XX congresso nazionale cattolico svoltosi a Modena dal 9 al 13 nov. 1910, auspicò una più efficace organizzazione elettorale, tale da consentire ai cattolici di far valere il peso della loro forza numerica. "Il cattolico", affermò, "che per indifferenza o per tradizionale lasciar fare, non intende la importanza del voto, non si studia di impegnarsi a far argine alla marea montante, tradisce la causa della Chiesa e della patria. […] I cattolici sono la maggioranza numerica della nazione. I cattolici son sempre gli sfruttati, i derisi, i conculcati. Da che cosa dipende tutto questo? Dal fatto che i cattolici, nella maggior parte, non sono consci della propria forza, non comprendono il loro dovere, non pensano a organizzarsi sul serio" (Grossi Gondi, p. 33).

Il G. si mise all'opera per intensificare l'attività organizzativa dell'Unione elettorale, trasformando il suo studio di avvocato, in via A. Depretis a Roma, in sede degli uffici di presidenza e di segreteria dell'Unione. Cominciò a viaggiare per tutta Italia, soprattutto nelle regioni meridionali, quali le Puglie, la Basilicata e la Calabria, nelle quali risultava difficile avviare attività di azione cattolica. Proseguì, inoltre, l'iniziativa, già avviata dal suo predecessore, di convocare annualmente a congresso i deputati e i consiglieri comunali e provinciali cattolici eletti in tutta Italia. Grazie a questo impegno, il G. riuscì a rivitalizzare l'organizzazione dell'UECI, che alla fine del 1911 poteva contare su 177 associazioni aderenti. Ma il momento più significativo della presidenza del G. si ebbe in occasione delle elezioni politiche del 1913.

L'anno precedente il Parlamento aveva approvato l'introduzione del suffragio elettorale maschile che allargava notevolmente il corpo elettorale da 3 a 8 milioni e mezzo di elettori circa. Era chiaro che se i cattolici, con il nuovo sistema, si fossero recati alle urne alla spicciolata, la massa dei loro voti si sarebbe dispersa in vario senso, smarrendo quel minimo di unità di intendimento e di azione che la Chiesa riteneva necessaria per difendere i suoi programmi.

L'atteggiamento da assumersi in vista di queste elezioni venne affrontato in un documento del 2 apr. 1912, redatto dal G. e sottoscritto anche dagli altri presidenti delle Unioni cattoliche. In esso si affermava che l'allargamento del suffragio elettorale rafforzava "l'obbligo di tutti i cattolici di impedire il male e rafforzare il bene", che era alla base delle deroghe pontificie al non expedit. Tanto più di fronte al rischio che le "masse operaie" venissero condizionate da "una propaganda assidua e perniciosa fatta dai nemici della religione" (Grossi Gondi, p. 64). La questione fu ripresa nel corso di un'adunanza generale dell'Unione elettorale bergamasca, guidata da R. Alessandri e N. Rezzara, svoltasi a Bergamo il 26 ag. 1912. Alla riunione era presente anche il G., il quale ribadì l'esigenza di individuare una strada al fine di fare maggiormente pesare il voto dei cattolici.

Altre riunioni si ebbero a Milano, anche con la presenza di F. Meda, che dopo aver tentato di dare vita a un partito politico di ispirazione cristiana, collaborò attivamente con il G. nella definizione degli strumenti da utilizzare per far pesare il voto dei cattolici. Si giunse alla conclusione di redigere un "eptalogo" nel quale erano indicati i punti programmatici che stavano a cuore ai cattolici e che i candidati che desideravano il voto dei cattolici dovevano accettare, dandone "sicure garanzie o privatamente per iscritto o con la esplicita inclusione di tali punti nel pubblico programma agli elettori". I sette punti riguardavano la difesa della libertà di coscienza e di associazione e l'impegno di opporsi "a ogni proposta di legge in odio alle congregazioni religiose"; difesa dell'insegnamento privato, "fattore importante di diffusione e di elevazione della cultura nazionale"; difesa del "diritto dei padri di famiglia di avere pei propri figli una seria istruzione religiosa nelle scuole comunali"; difesa dell'unità della famiglia e "assoluta opposizione al divorzio"; riconoscimento su un piano di parità di "tutte le organizzazioni economiche e sociali indipendentemente dai principii sociali o religiosi ai quali esse si ispirano"; riforma degli "ordinamenti tributari e degli istituti giuridici", attraverso l'"applicazione dei principii di giustizia nei rapporti sociali"; infine si chiedeva "una politica che tenda a conservare e rinvigorire le forze economiche e morali del paese, volgendole a un progressivo incremento dell'influenza italiana nello sviluppo della civiltà internazionale" (Grossi Gondi, p. 67). Il G. si affrettò anche a trasmettere il testo dell'accordo alle personalità e organizzazioni cattoliche italiane, invitandole a sostenere quei candidati "i quali, ritenuti personalmente degni dei nostri suffragi", avevano accettato i sette punti programmatici indicati dai cattolici.

Questo accordo, che prese il nome di patto Gentiloni, rappresentava, in un certo senso, il presentimento, in modi, però ancora informi e balbettanti, della necessità per il mondo cattolico di avere, nella nuova fase storica apertasi con l'allargamento del suffragio elettorale, un proprio partito. L'esito elettorale non fece che confermare il peso del voto cattolico nel quadro politico nazionale.

Tuttavia, l'operazione compiuta dal G. non trovò unanimi consensi in seno al movimento cattolico, soprattutto da parte di coloro, come L. Sturzo, che auspicavano l'ingresso dei cattolici nella vita politica non a sostegno del moderatismo liberale ma come espressione di una forza politica autonoma con una propria organizzazione e un programma ispirato alle istanze del pensiero democratico cristiano. Pur non trascurando il fatto che il patto Gentiloni convogliò i voti dei cattolici a sostegno della maggioranza ministeriale giolittiana e che da quelle elezioni non uscì una forza organica di cattolici, risultò comunque evidente che se i cattolici si fossero costituiti in forza organizzata avrebbero potuto incidere profondamente e in maniera decisiva nella vita pubblica del paese.

Le polemiche che seguirono i risultati elettorali del 26 ottobre - 2 nov. 1913, suscitarono vivaci contrasti nel paese. Luigi Albertini, in un articolo sul Corriere della sera (25 ott. 1913), aveva denunciato "il pericolo immenso di questo intervento diretto di un conte Gentiloni in nome del Papa nelle più delicate elezioni della penisola". Molti deputati liberali, alcuni dei quali noti per il loro orientamento anticlericale e per la loro appartenenza massonica, risultarono eletti con il voto dei cattolici, ma cercarono di negare la loro adesione al patto. Il G., di fronte a questi atteggiamenti, intervenne, concedendo una intervista al giornalista A. Benedetti, pubblicata sul Giornale d'Italia del 7 nov. 1913.

Il G. vi affermava che ben 228 deputati erano stati eletti con il voto dei cattolici, sottolineando lo straordinario successo dell'operazione da lui guidata e precisando che era stato "tolto il non expedit in 330 collegi", era stata "mantenuta l'astensione più assoluta in 178 collegi", mentre i candidati sostenuti dai cattolici erano stati sconfitti solo in 100 collegi. Il G. prendeva in esame anche aspetti particolari della tornata elettorale, in primo luogo definendo il patto "un vero e proprio programma di libertà, tanto che alcuni candidati liberali che lo chiesero e lo firmarono si sono meravigliati che si domandasse loro così poco in compenso dell'appoggio leale, disinteressato e fattivo dei cattolici". Rivendicava alcuni successi - quali la mancata rielezione del socialista G. Podrecca e di esponenti dell'anticlericalismo quali A. Campanozzi e L. Caetani - e si soffermava in particolare sulla mancata elezione di R. Murri, presentatosi nel collegio di Montegiorgio e battuto dal candidato dei cattolici G. Falconi: "La democrazia", affermava il G., "ha combattuto la più bella battaglia a favore dell'ex sacerdote ammogliato, diventato a un tratto il puro vessillifero dei più sublimi ideali. I buoni contadini, fedeli alla religione degli avi, obbedienti al più scrupoloso clero, in tre ore hanno fatto giustizia di un pallone gonfiato". L'intervista fu seguita da pesanti polemiche; come sottolineò il direttore del Giornale d'Italia, A. Bergamini, "ogni nome fu scrutato, indagato, discusso. Con ironia si commentava che la gran parte dei duecento, noti per le loro inclinazioni areligiose o miscredenti, ligi alla massoneria, avevano consentito a combatterla in quel modo drastico. Mai io avevo assistito a tanto strepito giornalistico e parlamentare" (p. 99).

Le molte polemiche che questa operazione provocò in campo giornalistico e parlamentare finirono per fare del G. il personaggio più in vista e più discusso della vita politica italiana sul finire del 1913. A qualche mese dalle elezioni politiche, il G. si mise, comunque, di nuovo al lavoro per preparare le successive elezioni amministrative comunali e provinciali. In una circolare emanata il 3 febbr. 1914, invitava le associazioni e gli elettori cattolici a impegnarsi al fine di realizzare, nei vari organismi amministrativi locali, "l'onesta e saggia amministrazione, l'elevamento morale delle classi inferiori, e soprattutto il rispetto alla religione cattolica che è il patrimonio più prezioso della grande maggioranza degli italiani" (Grossi Gondi, p. 75).

Tuttavia, anche in seno al movimento cattolico le polemiche che avevano accompagnato le elezioni del 1913 avevano creato una corrente ostile al G., il quale, con lo scoppio della prima guerra mondiale, la morte di Pio X e l'ascesa al soglio pontificio di Benedetto XV decise, nel gennaio 1916, di rassegnare le dimissioni da presidente dell'Unione elettorale cattolica; il pontefice le accettò, nominando al suo posto il conte C. Santucci.

Benedetto XV, tra l'altro, gli scrisse una lettera di elogio e di ringraziamento, conferendogli l'onorificenza di commendatore dell'Ordine Piano.

Colpito da un attacco di cuore, il G. morì a Roma il 2 ag. 1916.

Tra gli scritti lasciati dal G., piuttosto scarsi, si segnalano soprattutto articoli pubblicata nella stampa cattolica (in particolare su La Settimana sociale, L'Allarme, L'Ora presente di Jesi); i discorsi pronunciati ai congressi di Modena (Atti del XX Congresso cattolico italiano. Modena 9-13 nov. 1910, Bergamo 1910) e di Napoli (Atti del III Congresso degli eletti dai cattolici, consiglieri comunali e provinciali e deputati aderenti all'Unione elettorale cattolica, Napoli 5-7 marzo 1910, Napoli 1911); un suo intervento in Atti del VII-VIII Congresso regionale marchigiano, Fabriano 1901. Una conferenza (Convulsioni sociali, Jesi 1897) è riprodotta in Grossi Gondi, pp. 101-113. Il G. è anche autore di un opuscolo in memoria di suo zio Vincenzo (In memoria di un prode, Roma 1910).

Fonti e Bibl.: Le carte del G. sono in gran parte disperse in differenti sedi. Per quanto riguarda la sua attività di presidente dell'Unione elettorale è possibile rintracciare alcuni documenti che lo riguardano nell'Archivio storico dell'Azione cattolica italiana presso l'Istituto per la storia dell'Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI a Roma. Alcune lettere sono conservate presso l'archivio della famiglia del conte P. Grizi di Jesi e presso l'Archivio vescovile di Jesi. Vedi anche: necr. ne Il Giornale d'Italia, 2 ag. 1916; Corriere d'Italia, 3 ag. 1916; L'Osservatore romano, 3 ag. 1916.

Unione elettorale cattolica, Un anno di presidenza, Roma 1911; F. Meda, I cattolici italiani e le ultime elezioni politiche, in Nuova Antologia, 16 genn. 1914, pp. 295-309; F. Aquilanti, Il patto Gentiloni: gli eletti con i voti dei cattolici alla XXIV legislatura, Roma 1914; R. Murri, Come vinsero i preti nel collegio di Montegiorgio, Roma 1914; E. Vercesi, Il movimento cattolico in Italia (1870-1922), Firenze 1923, passim; A. Grossi Gondi, Il conte V.O. G., Roma 1927; L. Albertini, Venti anni di vita politica, II, 1909-1914, Bologna 1931, pp. 243-265; G. De Rosa, L'Azione cattolica. Storia politica dal 1905 al 1919, Bari 1954, pp. 94, 201, 244 s., 261, 338-363, 438; P. Scoppola, Dal neoguelfismo alla Democrazia cristiana, Roma 1957, pp. 105-112; A. Bergamini, Giolitti e Sonnino, in L'Osservatore politico letterario, luglio 1958, pp. 89-114; G. De Rosa, F. Meda e l'età liberale, Firenze 1959, pp. 149-166; R. Molinelli, Il movimento cattolico nelle Marche, Firenze 1959, passim; G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, I, Dalla Restaurazione all'età giolittiana, Bari 1966, pp. 551-576; G. Spadolini, Giolitti e i cattolici, Milano 1971, pp. 202-251; G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma 1972, pp. 355, 358-369; C. Urieli, Cattolici a Jesi dal 1860 al 1930, Jesi 1976, passim; M.G. Rossi, Le origini del partito cattolico, Roma 1977, pp. 273 s., 361 s., 374; O. Confessore, Il clerico-moderatismo, in Storia del movimento cattolico in Italia, II, Roma 1980, pp. 159, 168, 170, 173; L. Osbat, L'Azione cattolica durante il pontificato di Pio X, ibid., pp. 215, 242; C. Urieli, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, II, Torino 1982, pp. 230-232; P. Gios, N. Rezzara e il movimento cattolico in Italia, Roma 1990, pp. 645-657; M.S. Piretti, Una vittoria di Pirro…, in Ricerche di storia politica, IX (1994), pp. 5-40.

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