PIGNATELLI, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PIGNATELLI, Vincenzo

Renata De Lorenzo

PIGNATELLI, Vincenzo. – Nacque a Napoli l’8 febbraio 1777. Patrizio del ramo dei Pignatelli di Monteleone, era figlio di Salvatore, principe di Strongoli, e di Giulia Mastrilli, figlia del duca di Marigliano e di Giovanna Caracciolo Capriglia.

Il padre, esponente della più dinamica feudalità calabrese, aveva lasciato la carriera militare per dedicarsi agli studi e all’amministrazione del patrimonio, nell’ottica di riqualificare le funzioni militari della nobiltà. Vincenzo, ultimo di quattro fratelli maschi (Ferdinando, Mario, Francesco), ebbe la prima educazione nella casa paterna e fu destinato allo stato ecclesiastico benché non avesse la vocazione (SNSP, Manoscritti, XXVI.C.7bis). Secondo altre fonti fu invece allievo del Real collegio Ferdinando alla Nunziatella, che forniva un’educazione militare.

Le vicende dei fratelli rimandano a un’entourage familiare legato alla massoneria e ai cospiratori e patrioti, attivi negli anni Novanta. Ferdinando e Mario, coinvolti nelle denunce della cospirazione giacobina del 1794-95, poi indultati, erano fuggiti da Napoli; arruolatisi nelle truppe cisalpine, con questi reparti parteciparono alla campagna napoletana del 1798 al seguito del generale francese Jean-Étienne Championnet.

Vincenzo, capitano dello stato maggiore dell’Armata, «ma ritirato» (Ceci, 1919, p. 300), nel gennaio 1799 raggiunse a Capua e Caserta il generale, inviato dal Direttorio, ma regista di una campagna autonoma e favorevole a un ingresso pacifico a Napoli. Gli consegnò una lettera, fingendosi uno degli Eletti della città, per convincerlo ad affrettare la marcia sulla capitale in modo da salvare gli abitanti dagli eccessi del popolo, ma recepì anche le condizioni da lui poste, che Castel S. Elmo fosse tolto di mano dei lazzari e consegnato «ai galantuomini», che dovevano opporsi ai disordini. Ferdinando IV, infatti, si era rifugiato in Sicilia, lasciando come vicario a Napoli lo zio di Vincenzo, Francesco Pignatelli, che negoziò con Championnet l’armistizio di Sparanise (11 gennaio 1799). Egli invece, appartenente alla «parte moderata» (ibid., p. 299) del patriziato napoletano, testimone e narratore dell’assalto dei lazzari alle case di famiglie filofrancesi, fu tra i 31 repubblicani napoletani che facilitarono l’entrata dei francesi a Napoli, liberando il 21 gennaio 1799 da soldati e lazzari la fortezza, occupata senza alcuna resistenza da una colonna comandata da François-Étienne Kellerman e guidata, tra gli altri, dal fratello Francesco. Ritrovò quindi i fratelli, prima Mario e poi, il 22 gennaio, Francesco e Ferdinando, ritornati con l’Armata francese.

Il 20 febbraio 1799 sposò la ballerina venticinquenne Francesca Barazzi (Parazzi, Paracci) che, compagna di tutta la vita, lo seguirà in esilio, anche se egli stesso si riteneva «leggero e dedito bastantemente agli intrighi galanti» (Ceci, 1921, p. 99). Da lei ebbe la figlia Giulia (1819-1889), che nel 1838 sposò Ferdinando Pastina, e il figlio Salvatore, morto precocemente (1820-1821).

Vincenzo, ascritto alla guardia nazionale con il ruolo di capitano, indi maggiore della cavalleria, fu impegnato nella repressione dei disordini presto scoppiati nelle province: in aprile avrebbe dovuto recarsi nel Cilento con il fratello Francesco, ma le operazioni si fermarono a Vietri perché la spiaggia era battuta dalle navi inglesi; in maggio, come capitano della guardia nazionale. partì con Ferdinando per Foggia, per riordinare una legione di cavalleria, ma ritornò indietro in quanto la città era nel frattempo passata ai realisti; il 12 e 13 giugno con i fratelli Mario e Ferdinando combatté contro le masse sanfediste del cardinale Fabrizio Ruffo al borgo S. Antonio. Con la fine della Repubblica i tre fratelli, portati in catene su navi inglesi, indi ricondotti a terra e chiusi in Castelnuovo, furono processati dalla Giunta di Stato. Vincenzo, poi giudicato dalla Giunta di guerra dei generali, in un primo tempo fu condannato con Ferdinando a morte, e Mario all’esilio, ma la pena capitale fu poi inflitta invece a Ferdinando e Mario. La madre, sorella del diplomatico Marzio Mastrilli, marchese del Gallo, implorò la grazia per i tre figli, ma le fu concesso di ottenerla solo per uno. Ella, tramite un’amica, fece pressioni su uno dei giudici, mentre un altro fu comprato con 400 ducati (ibid., p. 94).

Condannato al sequestro dei beni e a 25 anni di esilio il 19 novembre 1799, Vincenzo si recò a Tolone e a Marsiglia. Arruolatosi nella Legione italiana del generale Giuseppe Lechi, ritornò in Italia come capitano e poi maggiore nel reggimento dei cacciatori a cavallo, prese parte nel 1800 alla campagna napoleonica in Piemonte e Lombardia, indi alla campagna di Toscana come maggiore del 2° reggimento degli ussari della Repubblica Cisalpina, con la divisione del generale Domenico Pino, con la quale combatté a Siena il 14 gennaio 1801 e a Roma, contro i napoletani guidati da Joseph Élisabeth Roger de Damas. Espulso da Roma, tra la seconda metà del 1801 e l’inizio del 1802, non avendo più fiducia nell’aiuto francese, si era convinto della necessità di cacciare i Borboni e di ottenere con forze nazionali l’indipendenza d’Italia. Partecipò quindi a varie azioni e cospirazioni antiborboniche, cercò in Romagna e a Roma di preparare l’invasione del Regno contattando in Abruzzo i capomassa Mammone e Sciabolone, ma la congiura andò a vuoto per opposizione di Napoleone e per merito del preside di Teramo Giovan Battista Rodìo. Nel 1803 era in Francia. Rientrato in Italia, si unì a Bologna alla Grande Armata napoleonica e nel 1804 fu tenente colonnello del reggimento dei dragoni di Napoleone, nuovo nome del reggimento degli ussari.

Con il riaccendersi della guerra europea con Austria, Svezia, Regno di Napoli e Russia schierate contro la Francia nella terza coalizione (1805), prese parte nell’autunno alle campagne del Veneto e del Trentino. Rottisi i rapporti tra l’imperatore e i Borboni, nel 1806 con l’Armée de Naples partecipò all’invasione del Regno napoletano. A metà febbraio 1806, poco dopo l’ingresso di Giuseppe Bonaparte a Napoli, si occupò della formazione del 1° reggimento di fanteria leggera, poi fu nominato colonnello del 1° reggimento dei cacciatori a cavallo e prese parte all’assedio di Gaeta (fine febbraio-luglio) da parte dell’Armata francese, comandata da Andrea Massena. Destinatario di vari incarichi (Shamà, 2009, p. 147; Ilari - Crociani - Boeri, 2007, II, pp. 110, 116; SNSP, Manoscritti, XXVI.C.7bis).

Espresse il suo maggiore impegno nella repressione del brigantaggio, soprattutto nelle zone di confine, dove il fenomeno si era ampliato in seguito alla sconfitta del generale Jean-Louis Reynier nella battaglia di Maida (4 luglio 1806) da parte delle truppe inglesi provenienti dalla Sicilia, dimora del re Ferdinando IV di Borbone in esilio. Fu infatti nel 1808 incaricato della distruzione della banda di Sabatiello (o Sabatino) Ferrante, in Terra di Lavoro; comandante militare in Basilicata il 12 luglio, continuò a operare nell’inverno e nell’estate 1809. A causa della recrudescenza di agitazioni, nel maggio 1810 prese parte alla spedizione in Calabria dove il 29 luglio 1810 Charles-Antoine Manhès fu nominato comandante della 6a divisione militare (Due Calabrie e Basilicata); fino a ottobre, come maresciallo di campo, fu a capo del distretto di Rossano. Ebbe poi il comando della difesa della riva sinistra del golfo di Napoli e dal marzo 1811 della divisione degli Abruzzi.

Tale lavoro, documentato dettagliatamente in ciò che resta delle Memorie, con narrazioni di congiure, complotti, brillanti azioni militari, affermazioni unilaterali di un brigantaggio completamente distrutto, lo pose a contatto con alcuni dei più famosi briganti del periodo (Ferrante, Panetta, Acciaioli in Terra di Lavoro, Gigante, Bonaguro, Francesco Saverio Senitelli, Conzabotte in Basilicata, i Carminantonio al confine con la Puglia, i fratelli Pagnotta e Scarola in Calabria, i fratelli Sciabolone negli Abruzzi). Erroneamente vengono attribuite a lui in questo periodo alcune onorificenze tributate al fratello Francesco (SNSP, Manoscritti, XXVI.C.7bis); i decurioni del comune di Rossano gli diedero, invece nel 1810 una medaglia d’oro per aver in poco tempo sterminato il brigantaggio. Con decreto 1° gennaio 1811 Murat gli conferì il titolo di barone.

Non mancarono le critiche. Rivelatasi inefficace l’iniziativa di reclutare i briganti nell’esercito francese, dove avevano dato cattiva prova di sé, Pignatelli teorizzò e praticò l’arresto delle loro famiglie, la confessione dei pentiti, la minaccia di distruzione di villaggi, l’uso di bande di malfattori indultati; nel 1810 ebbe milizie e ampi poteri garantiti da leggi speciali, spargendo il terrore, esautorando le autorità civili, autorizzando e tollerando nel distretto di Rossano pratiche molto violente, nonostante l’opposizione e le proteste del commissario di intendenza Domenico Vanni.

Da Barletta il 10 marzo 1807 Charles de Frégéville, comandante della cavalleria dell’Armée de Naples, lo aveva accusato di cattiva organizzazione (Ilari - Crociani - Boeri, 2007, II, p. 152; Rambaud, 1911, p. 286); si vociferò che la promozione del 1808 gli fosse stata data «per impedirgli di distruggere il reggimento» del 1° cacciatori (Ilari - Crociani - Boeri, 2007, II, p. 155). Nel 1809 partì da Matera senza avvisare l’intendente. Anche gli effetti della sua azione antibrigantesca furono contestati (Diario dal 1807, 9 sett. 1809, p. 62), mentre il fratello Francesco sostenne che egli avesse sgominato completamente la banda di Scarola a Chiaromonte (Cortese, 1927, I, p. 57).

L’azione nelle province si intervallò con altri incarichi nella capitale o per l’organizzazione dei reggimenti, in occasione della ripresa della guerra europea, nel marzo 1810 per comandare le truppe napoletane in Catalogna (incarico poi revocato e affidato al fratello Francesco) e per fronteggiare la minaccia dell’esercito anglo-siculo; nell’ottobre 1810, iniziata la spedizione murattiana per la conquista della Sicilia, ebbe il comando delle coste del Cilento, con il compito di proteggere il passaggio delle navi che portavano soldati, munizioni e approvvigionamenti verso Reggio e di provvedere all’armamento di batterie e forti.

Si preparavano per lui altre esperienze. Nominato il 26 aprile 1812 aiutante di campo di Murat, lo seguì nella campagna di Russia; il 25 luglio davanti a Ostrowno partecipò alla carica dell’ala sinistra contro i russi, con i carabinieri francesi guidati dal re di Napoli, per cui ebbe dall’imperatore il 15 settembre la promozione a tenente generale, con la Croce ufficiale della Legion d’onore. Partecipò all’occupazione di Mosca e poi da metà ottobre alla ritirata dell’Armata francese. Carico, come tutti, di un ricco bottino (oggetti preziosi, pellicce, sete cinesi e tè), lo perse durante il tragitto per l’imbizzarrirsi dei cavalli che trasportavano la carrozza, ma gli rimasero 13.000 franchi d’oro, portati da Napoli, che teneva cuciti in una fascia attorno alla cintura, e il baule con le ricche uniformi. Proseguì la marcia fino a Smorgoni, Oszmiana e Danzica, dove gli furono amputate per congelamento le falangi delle mani e dei piedi. Partito per Napoli il 16 gennaio 1813 Murat, che Napoleone nel tornare a Parigi aveva lasciato come luogotenente, rientrò anche Vincenzo. Per le mutilazioni ricevute fu costretto a mettersi a riposo per un anno ma, con il ritorno dell’imperatore, ebbe l’incarico di ispettore generale della cavalleria (SNSP, Manoscritti, XXVI.C.7bis). Nel luglio 1815 era a Napoli; nel dicembre 1816 fu richiamato, a mezzo soldo.

Nel 1820, scoppiata la rivoluzione per ottenere la Costituzione, il 15 luglio entrò a far parte della giunta incaricata di scrutinare gli ufficiali da tenente generale a maggiore; il 25 luglio fu nominato ispettore generale dell’arma di cavalleria, il 21 agosto giudice ordinario dell’Alta Corte militare.

Mentre Ferdinando I era al congresso di Lubiana, dove aveva chiesto l’intervento austriaco nei territori del Regno, ridestatosi il timore della guerra, Pignatelli fece parte del consiglio di difesa, che il reggente Francesco adunò l’11 febbraio 1821 (Colletta, 1970, a cura di N. Cortese, III, p. 228) e dell’esercito comandato dal generale Michele Carrascosa. Con la fine della rivoluzione la sua adesione al regime costituzionale gli costò il grado; radiato dall’esercito nel 1823 si ritirò a vita privata. Fu reintegrato solo con l’avvento al trono di Ferdinando II. Morì a Napoli il 10 luglio 1837, a causa dell’epidemia di colera.

Opere. Pignatelli scrisse due volumi di Memorie, scomparsi dalla casa dell’amico Giovanni Fardella di Torrearsa, dove egli morì. Ne restarono solo due brevi indici e alcuni documenti militari nonché un volume autografo di 180 pagine Cenni biografici che mi riguardano concernenti gli imminenti pericoli corsi in mia vita fino al giorno in cui ho finito di scriverli (nel corrente novembre del 1832) non che varie fasi della mia carriera militare, che Ferdinando Ferrara, principe di Strongoli, recuperò e Alessandro Tommasino, marito dell’unica nipote per parte materna di Pignatelli, mise a disposizione di Giuseppe Ceci. Le memorie hanno carattere frammentario e sono interessanti, più che per il profilo politico, per le notizie di carattere militare sul Regno fra 1795 e 1815. Scrisse inoltre Progetto di ordinanza per la cavalleria, I-III, Napoli 1831-32, dedicato a Ferdinando II, ricostruzione a scopi didascalici della storia della cavalleria, con notizie su tecniche di combattimento, scrittori di cose militari, che devono molto alla sua personale esperienza ma anche alla lettura dei classici e della pubblicistica del settore.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Archivio Pignatelli di Strongoli, ove, f. 190, è anche il testamento aperto il 19 luglio 1837; Archivio Serra di Gerace, tav. 26/242, vol. I; Napoli, Società napoletana di storia patria (SNSP), Manoscritti, XXI.C.10, pp. 135-138, sulla famiglia; XXVI.C.7bis: Cenni biografici; XXIII.C.6: In difesa del generale V. P. Documenti inediti raccolti e ordinati dal generale Tommasi, testo inattendibile in quanto confonde Vincenzo con il fratello Francesco, il cui maggiore spessore politico e letterario è stato evidenziato da N. Cortese, Memorie di un generale della Repubblica e dell’Impero, I-II, Bari 1927. Tale confusione è frequente anche negli altri manoscritti e in vari testi. Molte delle date, relative a nomine, incarichi ecc., sono disomogenee, a cominciare da quella della nascita (1776 o 1777); si è seguita per quest’ultima l’indicazione di D. Shamà, L’ Aristocrazia europea ieri e oggi sui Pignatelli e famiglie alleate, Foggia 2009, p. 147.

Manca uno studio specifico sul personaggio, tranne M. Pignatelli, In memoria di V. P., Bari [dopo il 1921]. Il saggio fondamentale è quello di G. Ceci, Dalle memorie del generale V. P. di Strongoli, in Archivio storico per le province napoletane, n.s., V (1919), pp. 290-309, VII (1921), pp. 61-170, ristampati in Id., Un generale napoletano del Decennio, V. P. Strongoli, Napoli 1923. Sul profilo militare M. D’Ayala, Vite degl’Italiani benemeriti della libertà e della patria, con introduzione di G. De Martino, Napoli 1999, pp. 499, 505. Sul ruolo avuto nella Repubblica del 1799 e negli anni successivi, B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Bari 1912, pp. 29, 224, 401 s., 404, 408 s.; A. Simioni, Le origini del Risorgimento politico dell’Italia meridionale, I, Messina-Roma 1925, rist. anast. Napoli 1995, ad ind.; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1970, I, pp. 390, 404, II, pp. 230, 357, 378, III, pp. 169, 228; A.M. Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), Napoli 1992, pp. 414, 540; C. De Nicola, Diario napoletano 1798-1825, a cura di R. De Lorenzo, Napoli 1999. Per il periodo del ‘Decennio’ francese J. Rambaud, Naples sous Joseph Bonaparte, Paris 1911, pp. 283, 286; A. Valente, Gioacchino Murat e l’Italia meridionale, Torino 1965, p. 183; V. Ilari - P. Crociani - G. Boeri, Storia militare del regno murattiano 1806-1815, I-III, Invorio 2007, ad indicem. Sulla lotta antibrigantesca, che occupò buona parte della sua attività nel Decennio, prima della partenza per la campagna di Russia, cfr. Diario dal 1807 al 1815 di Giuseppe Mallardi, http://www.societaitalianastoriamilitare.org/libri %20in%20regalo/Diario%20Giuseppe%20Mallardi%20Capitano%20dei%20Lancieri%20di%20Murat.pdf (31 luglio 2015) che contraddice il trionfalismo di Pignatelli circa i risultati della sua lotta; F. Barra, Cronache del brigantaggio meridionale, Salerno-Catanzaro 1981, pp. 299, 322; G. Catenacci, Il colonnello V. P. e la repressione del brigantaggio in Terra di Lavoro nel 1808, in Archivio storico di Terra di lavoro, XVIII (2000-2001), pp. 17-43. Per la campagna di Russia, Coman do del Corpo di Stato Maggiore-Ufficio Storico, Gli Italiani in Russia, Città di Castello 1912, I, p. 327, II, pp. 193, 282.

CATEGORIE
TAG

Ferdinando iv di borbone

Repubblica cisalpina

Francesco pignatelli

Repubblica del 1799

Giuseppe bonaparte