SPUMANTE, VINO

Enciclopedia Italiana (1936)

SPUMANTE, VINO

Giovanni Dalmasso

Perché un vino possa qualificarsi "spumante" bisogna che contenga una quantità d'anidride carbonica sufficiente a produrre una spuma quando si stappa la bottiglia che lo contiene, lasciando così libero sfogo al gas, che prima vi si trovava in gran parte disciolto sotto una pressione superiore a quella atmosferica. Per questo motivo, l'apertura della bottiglia normalmente s'accompagna a un'esplosione più o meno fragorosa.

Si preparano tipi svariati di vini spumanti: bianchi, rosati e rossi, aromatici (moscati) e non aromatici; naturali e artificiali. Quest'ultima distinzione deve però essere chiarita, in quanto che, se anche è d'uso comune, è imprecisa. Infatti, gli spumanti artificiali dovrebbero più propriamente essere definiti (così come prescrivono le vigenti disposizioni di legge) "spumanti gassificati artificialmente". Ciò perché si tratta di vini naturali, che di artificiale non hanno che la spuma. Questa però anche negli spumanti naturali può avere origine diversa, pur provenendo sempre dall'anidride carbonica che si svolge dalla fermentazione alcoolica, o meglio da una "rifermentazione" dei vini stessi. E siccome può variare anche la tecnica di lavorazione degli spumanti naturali, così risultano numerose categorie di detti vini: donde l'opportunità d'una loro classificazione. La più recente e, per più motivi, tra le più razionali è quella proposta da E. Garino-Canina, che qui riproduciamo. Essa è duplice, tenendo conto tanto del criterio biologico quanto di quello tecnico:

a) Classificazione degli spumanti per quanto si riferisce alla biologia della lavorazione: 1. spumanti ottenuti con uve a sapore semplice, rifermentati per azione dello zucchero e del lievito aggiunti; 2. spumanti ottenuti da uve aromatiche, rifermentati con lo zucchero residuante da vinificazioni speciali.

b) Classificazione degli spumanti per quanto si riferisce alla tecnica di lavorazione: 1. lavorazione champenoise classica, rifermentazione nella stessa bottiglia, eliminazione del deposito per mezzo del dégorgement allo stato liquido o solido (dégorgement à la glace), 2. rifermentazione in bottiglie con eliminazione del deposito per mezzo di opportuni dispositivi di filtrazione; 3. lavorazione in grandi recipienti chiusi, filtrazione e imbottigliamento isobarometrico.

Qui ci limiteremo a brevissimi cenni sui casi più importanti contemplati dalla predetta classificazione.

Un primo caso è quello dei vini spumanti bianchi, ottenuti da uve a sapore semplice, rifermentati in bottiglia previa aggiunta di zucchero (saccarosio) e di lievito, e successivamente liberati dal deposito feccioso per mezzo del cosiddetto dégorgement. È questa la classica lavorazione champenoise, così chiamata appunto perché adottata dapprima nella sola Champagne per la lavorazione di quei famosissimi vini spumanti, e successivamente diffusasi un po' in tutte le regioni dov'è sorta un'industria di vini spumanti naturali. Così in Italia essa è da oltre mezzo secolo fiorente soprattutto in Piemonte, per la produzione di quei "gran spumanti" che possono gareggiare con i migliori prodotti francesi. Rimandando alla voce champagne per quanto più specialmente si riferisce agli spunanti francesi, qui ci occuperemo più particolarmente di quelli italiani.

Anch'essi, come quelli francesi, sono preparati essenzialmente con le uve dei varî Pinots (neri, grigi e bianchi), e in misura molto minore anche con altre uve nere o bianche; fra queste le Malvasie non aromatiche. Tra le uve nere si prestano bene il Barbera e il Nebbiolo (v'è in Piemonte anche una specie di Nebbiolo bianco, detto Arnese, che è molto ricercato per farne spumanti).

Naturalmente, usando uve nere e dovendosi preparare vini bianchi di colore molto pallido (paglierino chiaro), come sono i buoni spumanti, si deve cercare di evitare per quanto possibile, durante la pigiatura e la torchiatura, di far uscire le sostanze coloranti dalle cellule della buccia, in modo da ottenere il cosiddetto "mosto fiore" (quello che i Francesi chiamano cuvée) quasi incolore. Se esso riuscisse invece alquanto colorato, si provvederà a decolorarlo, specialmente con carbone animale.

Il mosto viene quindi sottoposto a defecazione entro tini aperti, ma appena accenna a mettersi in fermentazione si passa in botti di legno, per lo più piccole, in locali a temperatura moderata, e ivi lo si lascia fermentare, ricorrendo spesso a buoni lieviti selezionati e a prudenti aggiunte d'anidride solforosa.

Terminata la fermentazione, e divenuto il vino pressoché asciutto (cioè senza zucchero residuale), si fa un primo travaso, per lo più in dicembre. Durante l'inverno, e prima dell'inizio della primavera, si cerca di spogliare al più possibile il vino di ogni materia sospesa o dei componenti poco stabili, sia ricorrendo all'azione del freddo, sia ad apposite chiarificazioni a base di vera ittiocolla di Russia (da 2 a 3 grammi per ettolitro), previa un'aggiunta di di tannino in dosi eguali o lievemente superiori.

All'inizio della primavera si procede alla caratteristica pratica del tirage (avvertiamo che in questo caso la terminologia francese è giustificata dall'origine di questa tecnica caratteristica). Si tratta, in poche parole, di passare il vino dai fusti, in cui si trovava, alle bottiglie, aggiungendogli però quanto occorre per produrre la spuma: cioè dello zucchero e dei fermenti capaci di farlo fermentare. Occorre però ben determinare la dose di zucchero da usare, perché essa deve essere sufficiente a produrre nelle bottiglie tanta anidride carbonica che possa assicurare una buona spuma, ma non eccessiva, per non sviluppare in esse una pressione esagerata, che potrebbe causarne la rottura.

Il calcolo di detto quantitativo di zucchero ha presentato non poche difficoltà per un complesso di ragioni sulle quali qui dobbiamo sorvolare: ci limitiamo a ricordare come in generale si aggiungano da 24 a 26 grammi di zucchero per litro di vino (supponendo che questo al momento del tirage sia perfettamente asciutto), capaci di sviluppare, fermentando completamente, una pressione di circa 5 atmosfere nell'interno della bottiglia.

Lo zucchero che si deve usare è saccarosio purissimo (oggi, per gli spumanti fermentati in autoclave, va diffondendosi anche l'uso di buoni mosti concentrati). Contemporaneamente si aggiungono dei lieviti di razze particolari di fermenti alcoolici, capaci di sopportare forti pressioni, e di dare depositi caseosi, che non s'incollano al vetro della bottiglia.

La fermentazione dello zucchero aggiunto avviene in locali a temperatura diversa, a seconda che si vogliano spumanti più o meno fini: quanto più bassa è la temperatura, più lenta sarà la fermentazione, ma più perfetto riuscirà il prodotto.

Le bottiglie, ben tappate, con sugheri fermati da apposite staffe d'acciaio (agrafes), vengono all'uopo accatastate in posizione orizzontale, a strati sovrapposti, separati da listerelle di legno.

Quando la fermentazione è finita, e il vino ha preso la spuma, si rende necessaria un'altra serie di operazioni, che debbono eliminare dalle bottiglie i depositi fecciosi originatisi in seguito alla fermentazione, in modo da non disperdere se non in minima parte l'anidride carbonica in esse accumulatasi, e la conseguente pressione.

Secondo il metodo champenois l'intento si raggiunge ponendo anzitutto le bottiglie sopra speciali leggii di legno (pupitres), portanti una quantità di fori, entro i quali s'infilano le bottiglie inclinate, col tappo in basso. Operai specialisti iniziano allora un'operazione molto delicata, che è il remuage, destinato a fare scivolare a poco a poco tutte le fecce dalla pancia al collo della bottiglia, in modo che le fecce stesse finiscano con accumularsi tutte in prossimità del tappo.

A questo punto entra in funzione un altro operaio specialista, che è il dégorgeur, il quale, tenendo la bottiglia inclinata con il collo in basso, con rapida mossa fa saltare il tappo, e con esso il deposito feccioso accumulatosi nel collo, provvedendo subito dopo a una chiusura momentanea della bottiglia per evitare una dispersione d'anidride carbonica e di liquido (quest'operazione, detta dégorgement, si fa oggi anche con il sussidio del freddo artificiale, sì da solidificare il liquido feccioso che si deve eliminare).

Per ricolmare le bottiglie così liberate dalle fecce, si ricorre a un particolare liquido zuccherino-alcoolico (preparato con zucchero di canna candito disciolto in vino vecchio e cognac), detto liqueur d'expédition. Le proporzioni di liqueur che s'aggiungono (servendosi d'apposite macchine, dette dosatrici) variano a seconda che si vogliano ottenere degli spumanti più o meno dolci (la scala convenzionale delle varie gradazioni, a partire dal brut, che sarebbe lo spumante perfettamente secco, è: extradry, dry, demi-sec, doux).

Aggiunta la liqueur, si passa alla tappatura definitiva, con turaccioli sceltissimi, indi all'applicazione della gabbietta, che assicura il tappo alla bottiglia; e infine alla confezione delle bottiglie, che, trattandosi di prodotti di lusso, dev'essere sempre molto accurata.

Un secondo caso, fra quelli contemplati nella classificazione sopra riportata, è quello dei vini spumanti ottenuti da uve aromatiche: più precisamente con l'uva del vitigno moscato. È un'industria questa molto antica, e caratteristica soprattutto d'una plaga piemontese (Canelli). Mentre però verso la fine del sec. XIX la lavorazione di questi moscati spumanti era alquanto imperfetta, e tale da non permettere d'ottenere prodotti irreprensibili, oggi, per merito precipuo d'un enologo piemontese, Carlo Gancia, essa s'è di molto perfezionata, grazie all'introduzione, nella tecnica del moscato spumante, delle pratiche caratteristiche del metodo champenois, destinate a eliminare le fecce dalle bottiglie.

Ma una differenza importante fra il metodo dianzi descritto e quello con cui si preparano i moscati di Canelli (noti anche col nome di Asti spumante) è la seguente: che in questi non si fa alcuna aggiunta di zucchero prima dell'imbottigliamento, essendo essi, al momento del tirage, ancora molto ricchi di zucchero d'uva residuale. Anzi: ne sono così ricchi che, qualora esso dovesse fermentare interamente, si avrebbero pressioni così elevate da provocare la rottura della maggior parte delle bottiglie. Se questo normalmente non si verifica è che, in seguito a una serie di pratiche caratteristiche di quest'industria (sopratutto d'una serie di filtrazioni e di chiarificazioni), si ottiene un impoverimento di sostanze azotate nel vino, tale da ostacolare la fermentazione, o meglio, da permetterla solo parziale.

Conoscendo perfettamente la tecnica di questa lavorazione, si riesce a ottenere una buona spuma, evitando le rotture. e conservando ancora una buona dose di zucchero indecomposto, ciò che, trattandosi d'un vino dall'aroma caratteristicamente delizioso, è molto importante.

La lavorazione, secondo il metodo champenois, che abbiamo descritto, ha però l'inconveniente di riuscire molto costosa per le molteplici, delicate operazioni che debbono venire ripetute su ciascuna bottiglia. Di qui i numerosi tentativi, che datano già dalla metà del secolo XIX, di trovare qualche semplificazione del metodo suddetto. Lo schema di classificazione dei vini spumanti qui riportato contempla due casi di tali semplificazioni, il primo dei quali è basato sull'eliminazione del deposito feccioso dalle bottiglie mediante opportuni dispositivi di filtrazione. È un espediente, questo, ideato da una delle maggiori case piemontesi di vini spumanti fin dal 1907, ma, perché brevettato, esso non uscì dagli stabilimenti di tale ditta.

L'altro caso - quello della lavorazione in grandi recipienti chiusi, anziché in bottiglia - s'è andato invece sempre più diffondendo negli ultimi tempi. La prima idea di questa semplificazione è dovuta al francese E. Maumené, che in un suo ben noto trattato del 1858 esponeva l'idea d'un apparecchio del genere, da lui denominato afroforo. Successivamente varî studiosi cercarono di tradurre in atto l'idea del Maumené, fra gli altri gl'italiani König e Martinotti; quest'ultimo costruì anzi un apparecchio che rappresentò una buona soluzione del problema. Una casa francese, la ditta Charmat, riuscì a fornire, alla grande e anche alla media industria degli spumanti, apparecchi veramente perfetti, che, ben adoperati, possono dare ottimi prodotti, non dissimili dagli spumanti ottenuti mediante la fermentazione in bottiglia.

Naturalmente, non per questo si deve credere che la tecnimca dei vini spumanti sia oggi alla portata di chiunque: ché, per la natura stessa di questi vini, essa è sempre molto delicata, e richiede competenza e abilità non comuni, soprattutto per evitare i facili intorbidamenti, o anche solo offuscamenti, dei vini in bottiglia: ciò che li deprezzerebbe gravemente.

E neppure è da credere che le difficoltà vengano eliminate ricorrendo alla gassificazione artificiale, anziché alla rifermentazione, per dare ai vini la spuma. Indubbiamente, la preparazione dei cosiddetti "spumanti artificiali" richiede minori complicazioni, e, in generale, impianti meno costosi, ma se si vogliono ottenere prodotti di qualche pregio, e sopra tutto che presentino una spuma non troppo effimera, o a grana troppo grossa, la gassificazione deve essere fatta con apparecchi molto perfezionati, e che siano in grado di suddividere al massimo possibile l'anidride carbonica che s'immette nel vino. Nei migliori apparecchi si adottano, all'uopo speciali artifici: così in quello Carpené (che è fra i più antichi, ma che è andato via via perfezionandosi) si ricorre a un dispositivo di porcellana porosa, attraverso il quale il gas esce estremamente suddiviso. Importa pure molto che la saturazione avvenga lentamente, e a temperatura molto bassa (essendo la solubilità dell'anidride carbonica nel vino inversamente proporzionale alla temperatura).

Bisogna infine tener presente che anche per gli spumanti gassificati artificialmente è indispensabile partire da vini più stabili che sia possibile, per evitare intorbidamenti dopo l'imbottigliamento: intorbidamenti che possono essere aggravati dalla stessa saturazione d'anidride carbonica..

Bibl.: E. Maumené, Travail des vins, II, Parigi 1890, pp. 1-146; P. Pacottet e L. Guittonneau, Vins de Champagne et vins mousseux, ivi 1918; A. Strucchi e G. Dalmasso, Vini spumanti, Casalmonferrato 1923 (in preparazione una nuova ediz. a cura di E. Garino-Canina).