Vino

Libro dell'anno 2002

Vino

"Guarda il calor del sol che si fa vino/

giunto a l'omor che de la vite cola"

(Dante)

La qualità del vino italiano

di Luigi Veronelli

11 aprile

Si apre a Verona Vinitaly, il Salone internazionale del vino e dei distillati, rassegna organizzata con lo scopo di presentare agli specialisti e al pubblico i vini migliori dei diversi paesi. Anche in questa occasione ha modo di evidenziarsi l'alto livello qualitativo raggiunto dalla produzione enologica italiana, che nel novembre 2001, per il secondo anno consecutivo, ha ricevuto un prestigioso riconoscimento: nella classifica mondiale dei vini più pregiati stilata dalla rivista americana Wine Spectator il primo posto è stato assegnato a un rosso toscano.

Esperienze di uno scrittore enoico

"C'era una volta un giovane cui la vita pareva avesse concesso quasi tutto; in particolare, un padre ricco e intelligente, una sorella e un fratello simpatici e intelligenti, e soprattutto, a lui in persona, oltre al normale buon senso, la dote del prevedere enoico e, con la preveggenza, la facoltà di dare utili consigli. Giunto a maggior età quel giovane, anzi quell'uomo, si innamorò (è noto che l'amore ha pur le sue cadute di buon senso) del vino, c'est à dire dei vini e dei loro produttori. Per anni e anni e anni, forte solo della ricchezza lasciatagli dal padre, della preveggenza e dell'amore, quell'uomo inondò il paese di Chissà di messaggi, con ogni possibile mezzo - giornali, libri, radio, televisione - tutti tesi al fine che i vignaioli facessero vini sempre più belli e buoni. Tanti e tanti e tanti furono quei messaggi - senza merito peraltro dell'uomo che la fortuna aveva dotato di preveggenza - che i vini del paese di Chissà divennero i migliori del mondo e i suoi vignaioli - pressoché tutti, all'inizio, poverissimi - quantomeno benestanti".

La favola è banale e troppo trasparente; andava tuttavia raccontata all'inizio di queste mie note sulla qualità 2002 dei vini d'Italia. È dal 1956 che - lasciati gli studi filosofici e la rivista Il Pensiero, i politici e la rivista I Problemi del Socialismo - mi occupo, pressoché in esclusiva, dei vini. Sono stati comunque un personaggio, non italiano, e una data, il 20 maggio 1983, a darmi prova: la nostra enologia si era avviata in modo deciso e inequivocabile al meglio. Il principe André Tchelistcheff è stato l'optimus oenologus del 20° secolo. Non posso dimenticare quel mio antico - anni Settanta - viaggio in California alla ricerca di quei vini lontani di cui m'era stato detto un gran bene. La verifica fu, a dir poco, sorprendente. Non v'era cantina ch'io visitassi, senza l'assaggio di una, due, tre bottiglie eccellenti. Alla mia domanda - ripeto: stupefatta - su chi avesse curato quel vino, la risposta era, pressoché sempre, André Tchelistcheff. Logico, lo volli conoscere. Lo incontrai all'Università di Davis, ove teneva cattedra; ne nacque una lunga, commossa amicizia. Da dove mai veniva Tchelistcheff? Si tratta - ahimè, si trattava - di una delle famiglie più aristocratiche della Russia. Più volte si ritrova il nome nella storia di quel paese, sempre a fianco degli Zar. André era nato a Mosca, nel novembre 1900; sarebbe divenuto, secondo tradizione, un militare, ma nel 1917, lui diciassettenne, scoppia la Rivoluzione d'Ottobre. La famiglia riesce a sfuggire ai massacri bolscevichi e si rifugia in Dresda, ov'è la più nordica tra le scuole di enologia. André vi si laurea a pieni voti; è assunto come enologo nella fortunata Champagne. Vi rimane per anni e anni: principe ma 'liberal', all'instaurarsi del regime nazista, si trasferisce in California.

Alcuni grandi vini californiani sono grandi per merito suo. Sono anche merito suo i grandi vini italiani. Convinsi Tchelistcheff - già consulente della famiglia Antinori - a un viaggio in Italia, così da confrontarsi con gli enologi del nostro paese che agivano, pressoché tutti, in modo opposto al suo, con la ricerca di vini facili e passanti, adatti alla massa, e non di vini problematici, adatti agli individui. Il 20 maggio 1983, in San Casciano, nella Tenuta degli Antinori, ci fu l'incontro decisivo. Il Maestro spiegò la sua teoria sull'uso della barrique, per lui necessario nella produzione di ciascun vino (fatta eccezione per il solo Riesling sia italico sia renano) che avesse l'ambizione e la possibilità di farsi grande. Al termine della conferenza, Piero Antinori mi volle provocare: "Come, Gino, ancora una volta vuoi introdurre un termine francese nella nostra lingua?". Gli risposi: "No, propongo - subito, ora - di non utilizzare la parola barrique, di sostituirla col termine 'carato'". Il barile di legno è utilizzato da secoli, ovunque nella nostra patria (chiamo patria, la terra che si conosce e si capisce). È troppo facile ricordare che Attilio Regolo fu ucciso dai cartaginesi rotolando da una collina, chiuso dentro un barile di legno chiodato.

Perché allora quel nuovo termine 'carato'? Per le sue solleticanti ambiguità auree e per essere l'abbreviazione maggiorativa e migliorativa di caratello, toscano, e di caratèl, veneto e friulano. Infatti, il carato è l'unità di misura per calcolare in quale proporzione l'oro fino è contenuto in 24 parti di lega (solo l'oro di 24 carati è purissimo). Proprio per ciò, 'carato' fu assunto dai nostri letterati antichi, al figurato, quale grado di perfezione, di bontà, di valore (così che leggiamo in Giovanni Dominici, nel 1300: "Non annoverano i carati della perfezione, e fuggono credendo di approssimarsi a Dio", o nella prosa blasfema dell'Aretino: "Ti dico sol questo, esse (le vedove) sono venti carati più fine puttane che le suore, e che le maritate, e che le cantoniere"). Ma già c'era l'uso tardo latino di definire carratum il fusto ligneo che si poteva porre sul carro, tenuto tra le braccia di un giovane e forte caricatore.

Reso certo dalle teorie del Maestro, scrissi che: primo, l'uso del carato richiede tecniche a livello artigianale del massimo rigore, diverse da luogo a luogo e per ciascun vino; secondo, proprio da tale uso sarebbe nata anche in Italia una meditata e redditizia enologia.

La gastronomia è l'atto del giudizio che separa, nel campo degli alimenti e delle bevande, ciò che è buono da ciò che buono non è. Con parole più povere, si tratta della ricerca della qualità (o, addirittura, come vedremo, del pregio). Qualità è voce dotta dal latino qualitas, coniata da Cicerone sulla voce greca, e diffusa dalla scolastica già alla fine del 12° secolo. Qualità è ciò che concorre in qualche modo a caratterizzare una cosa (una sostanza, un corpo, un luogo ecc.). Dato l'assunto, con connotazione positiva. Io considero di aver avuto, quanto ai vini, come solo Maestro André Tchelistcheff. Rileggo uno dei suoi dettati: essere i grandi vini "il risultato di un'equazione che coniuga e contempla a un tempo eleganza, equilibrio, morbidezza, consistenza, complessità, possibilità di pronta beva e capacità di lungo invecchiamento" e affermo: non è mai stata scritta, e meglio non si può, una definizione altrettanto valida. E tuttavia non si tratta di un dogma. Ciascuno di noi conosce grandi vini che non sono, o non possono essere, considerati 'di pronta beva' - basti pensare allo Château Lafitte in Francia e al Brunello di Montalcino in Italia - così come ciascuno di noi sa di grandi vini che non sono 'capaci di lungo invecchiamento' (ripeto: la famiglia dei Riesling renani e italici). Oltre a ciò in Italia, ma anche in altri luoghi del mondo vitivinicolo si è discusso e si discute sui termini 'amaro' e 'amaritudine', che qualcuno vorrebbe sempre negativi in un vino di qualità. 'Amaro' è sempre negativo; 'amaritudine' è quasi sempre positivo, e addirittura - si pensi all'Amarone della Valpolicella - tipicizzante. L'amaritudine è proprio il piacevole convergere del sapore dolce e di quello amaro. Contro ogni previsione la fine del secolo appena trascorso ha segnato anche per il vino - presso l'uomo civile in quanto colto - l'affermazione, più ancora che della qualità, del pregio. Il pregio concerne la qualità più l'affezione e ha implicazione ed esplicazione di superba individualità. L'uomo civile, in quanto colto, esige, oggi e nel futuro, anche per il vino, il pregio (da praetium, che è pure - ahinoi, fortunati noi - "prezzo"), l'esasperazione delle sue qualità positive, da considerare, stimare, onorare, celebrare, encomiare, lodare, apprezzare, valutare, godere. Per tal uomo vivere - anche bere, anche mangiare (le considerazioni fatte per il vino potrebbero essere ripetute, con minimi mutamenti, per i cibi)- è pensare/pesare le qualità e separare (sarei tentato di scrivere secernere) il bello dal brutto, il buono dal cattivo, il vero dal falso. Il che sottolinea ancora una volta la necessità di disporre e usufruire dei propri sensi, attenti, educati ed esercitati, capaci quindi di formulare, attraverso la diretta conoscenza e la comparazione con i dati dell'esperienza, giudizi motivati, di fare scelte, di trarne il piacere e la gioia. In primis e soprattutto - per me, Luigi Veronelli - pregio è il riconoscimento. Mozart, Picasso, un vino (uno preciso, ben determinato), una mela renetta della Val di Rabbi, un'aringa di Bergen (magari 'addolcita' dalla musica di Grieg) e il risotto alla milanese di Alfredo Valli trovano la prima delle loro valenze proprio nella loro singolarità.

André Tchelistcheff è mancato novantacinquenne, sette anni fa, sino all'ultimo momento in superbe condizioni, capace di assaggiare e riconoscere ogni gran vino che gli fosse proposto. Ne osservava il colore, ne 'ascoltava' il profumo e a lungo lo tratteneva tra lingua e palato. Prima d'ogni altro giudizio ne dichiarava, soddisfatto, il nome. Anche per lui, il riconoscimento era il momento primo d'ogni enoica valutazione.

A chi mi chiede il perché del mio successo nel mondo del vino, rispondo, chiaro e netto: per il rispetto che porto al vino e a chi lo produce. Ricordo bene il giorno che ne bevvi, in un bicchiere, le prime due dita. Avevo ricevuto, assieme a mio fratello Gianni, gemello, dieci anni, la Prima Comunione. Mio padre ci porse il bicchiere e ci disse: "Siete divenuti grandi. Io vi do il vino… ma, attenti, dovete berlo con cura: c'è dentro la fatica di chi coltiva la vigna". Ho subito creduto nel dono confidente della mano paterna e sempre bevuto il mio vino con il massimo rispetto, guardandolo prima per conoscerne il colore, portandolo al naso per sentirne il profumo, e poi in bocca per gustarne il sapore. Ho così appreso che ogni vino ha una sua vicenda, fa un suo racconto diverso, che è la somma di secoli di lavoro.

Vini di qualità

C'è stato un tempo - tempo triste dagli anni Venti, suppergiù, agli anni Sessanta - in cui si è creduto che la parte pregnante della creazione di un vino fossero i lavori di cantina. A lungo si è puntato alla quantità. Bastava raccogliere una gran massa di uve, da ovunque provenissero, mescolarle così da ottenere una gradazione alcolica in ordine con la legge, e poi provvedere alla vinificazione con i correttivi necessari data l'estrema variabilità delle uve e le relative carenze. Fu il periodo in cui si è scommesso sui vini per le masse. Il vino doveva essere un alimento assai più che un piacere. Fu un grande errore. Il vino, il buon vino, è a un tempo alimento e piacere. Sempre più - data la crescente richiesta, nei paesi civili, di qualità della vita - si riduce la funzione alimentare e cresce quella edonistica e cognitiva. La gente vuole vini buoni, complessi, addirittura problematici, con cui dialogare. È questa la ragione per cui la vigna è tornata a essere l'elemento fondamentale nella produzione vinicola.

Negli anni Cinquanta - quando ebbe inizio il mio 'missionariato' - mi piaceva percorrere le colline lombarde e, giunto in un paese, scegliere l'osteria più affollata e chiedere che mi fosse offerto il vino che quell'anno era risultato, nel luogo, il migliore. Poi chiedevo anche quello che, sempre in quel paese, per disavventura, fosse risultato il peggiore. Era più difficile ottenerlo. I contadini che s'erano venuti radunando, informati delle mie strane richieste, ne discutevano, ma finivano sempre per portarmene uno che, appunto per disavventura, non era venuto bene. Mi facevo allora portare un terzo bicchiere vuoto. Davanti all'assemblea dei vignaioli, ormai numerosa, versavo metà del bicchiere migliore e metà del peggiore in quel terzo bicchiere. Mi era facile dimostrare che n'era uscito un vino pressoché identico al peggiore. Proclamavo così che i modi nelle cantine sociali erano sbagliati e che si doveva vinificare non in massa, bensì vigna per vigna, proprio perché sempre, senza eccezione alcuna, nelle mescolanze di uve e di vini emergevano i difetti dei peggiori.

Le discussioni che nacquero! Gli odi che me ne vennero! Sta di fatto che avevo ragione. Il buon senso mi assicurava che sempre più nella nostra Italia, con l'aumento dell'età scolare e delle possibilità di cultura, sarebbero cresciute la volontà e la capacità di scegliere.

È questa la semplice, elementare ragione per cui la vigna ha ripreso la sua importanza primaria. La gente - proprio come accade per una musica o per un pittore, o per un giocatore di football, che si conoscono e riconoscono per le doti, i pregi, le caratteristiche individuali - chiede al vino la possibilità del riconoscimento. Prima regola per la ricerca della qualità è proprio di conoscerlo, il vino. Se io vedo passare una persona e non le do attenzione è certo che, a un secondo incontro, non la riconosco. Ma se le do attenzione e cerco di fissare nella memoria, quanto meno, la sua fisionomia avviene il contrario: la riconosco. Uguale per il vino… ripeto: meglio, per un vino. Se io ingollo quel che mi viene offerto senza chiederne il nome, senza osservarne il colore, senza sentirne il profumo, senza gustarne il sapore, è certo che di esso - di quel vino, dico - non avrò memorizzato nulla. Mi avrà dato, se mai, un attimo di piacere, mi avrà tolto la sete, nient'altro. Se invece ne ho chiesto il nome, osservato la trasparenza e il colore, sentito il profumo e gustato il sapore, allora l'ho memorizzato e sono in grado, se ne ho voglia, di richiederlo e di averlo. Questa possibilità di riconoscimento è tanto maggiore quanto più un vino è il prodotto di una singola vigna, bene lavorata e poi bene vinificata, per sé sola.

Mi è facile pronosticare che negli anni Duemila avranno spazio, certo nei paesi di buona cultura, solo i vini 'problematici', capaci di fare e sostenere il loro racconto, e che i vini facili - frutto delle vinificazioni di grandi partite d'uva, sottratte alle produzioni migliori, per il loro scarso pregio se non per i loro difetti - saranno riservati ai paesi terzi, di nuovo approccio al consumo vinicolo. Massima attenzione, quindi, dovrà adottare il vignaiolo moderno alla cura delle sue vigne, in primis proprio con le lavorazioni che si riferiscono ai movimenti della terra.

Nuto Revelli, un grande scrittore italiano che molto si è occupato dei problemi contadini, ha scritto, negli anni Cinquanta, in un libro importante, Il mondo dei vinti: "Nella conca di Barolo, nel cuore della Langa prospera, i giovani che si dedicano professionalmente all'agricoltura si contano ormai sulle dita di una mano. Sono i vecchi gli ultimi credenti. I vecchi conoscono tutti i segreti della loro terra, i vecchi sanno prevenire, come combattere le malattie dei vitigni. Sono maestri nel potare, maestri senza eredi. I vecchi dicono che dal notaio si va soltanto per comprare! Se i vigneti della bassa Langa non sono ancora noccioleto lo dobbiamo ai contadini anziani e vecchi che resistono, che non si arrendono".

Oggi la situazione si è addirittura invertita. I giovani abbandonano l'industria - ahinoi, favoriti anche dalle crisi industriali e in particolare da quella della FIAT - e tornano nelle vigne dell'Albese. Il mondo contadino ha un domani proprio per il ritorno dei giovani. Rinasce nei loro cuori la pianta della speranza. Il rispetto di sé e degli altri, l'impegno costante e la pazienza hanno radici millenarie; si sono aggiunte la coscienza del valore individuale, l'assunzione di responsabilità e l'adeguatezza della remunerazione.

L'avvenire dell'enologia italiana

Molti giornalisti italiani dedicano grande spazio agli impianti viticoli, segnalati in ogni parte dell'orbe terracqueo. Fanno assaggio dei loro vini, li ritengono buoni e alcuni eccellenti. Esprimono, quindi, preoccupazioni per l'avvenire della nostra enologia.

Tutto ciò ch'io so della storia del vino - anzi dei vini - mi dimostra: per ottenere una vitivinicoltura capace di costanza qualitativa, occorrono secoli e secoli di continua applicazione. I vini 'nuovi', da terre del tutto negate, sino a oggi, al vino, sono copie del passato di altri (va da sé, escludo, con qualche orrore, i mostri, nati da modificazioni genetiche). La baronessa Josephine De Rothschild al giornalista che le chiede: "Non è preoccupata per gli impianti vitivinicoli, un po' ovunque nel mondo?". Ha sorriso e risposto: "Me ne preoccuperò tra duemila anni". Anch'io sono per il futuro. Voglio, a ogni assaggio, un racconto che mi sorprenda, in primis, per la freschezza delle proposte. Quei vini invece - grandi? In qualche misura sì - li ho già sentiti, risentiti e strasentiti. La qualità, il pregio addirittura, dei vini del terzo millennio sono preannunciati dalle due prime vendemmie: 2000 e 2001. Certo, il mutamento del clima, cui gli agronomi dovranno porre la massima attenzione, ha dimostrato l'assoluta obsolescenza di ogni pratica di zuccheraggio. E certo la riscoperta dei vitigni autoctoni, cui dà - in molti casi - autorevolezza e complessità, proprio il carato. Assaggio dieci e più vini al giorno. Quest'anno con gioie neppur troppo sottili, mi arrivano da ogni luogo, dal nord estremo, le Alpi; dal sud altrettanto estremo, le Isole - molte le bottiglie a base di aleatico, aglianico del Vulture, avanà, barbera, bianchetta genovese, blanc de Morgex, bonarda, bovale, cannonau, carignano, casavecchia, cesanese d'Affile, ciliegiolo, doux d'Henry, fiano di Lapìo, falanghina, freisa, groppello, inzolia, lagrein, magliocco, malvasia nera, malvoisie de Nus, marzemino, montepulciano, montonico, nasco, negroamaro, nero d'Avola, pallagrello bianco, pallagrello rosso, passerina, pelaverga, petit rouge, pignolo, prëmetta, prié blanc, prugnolo gentile, pugnitello, raboso veronese, refosco dal peduncolo rosso, rouché, sacrantino, sangioveto, schioppettino, semidano, syrah, teroldego, timorasso, tocai friulano, trebbiano di Lugana, uva di Troia, verdicchio, vermentino, vien de Nus, vitovska, wildbacker (ho cercato di rammentarmeli tutti; e tuttavia son certo: qualcuno dei vitigni 'nostri' l'ho dimenticato) - molte bottiglie, ripeto, che mi hanno impressionato per avventura, novità e - ancor più importante - complessità. Dovessi fare una stima grossolana, pochissimi gli esami positivi di cru nuovi che abbiano come base i cosiddetti vitigni internazionali. Ricordo l'affermazione con cui ho iniziato il mio lungo percorso, ormai più di cinquant'anni fa: "Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino d'industria" e mi dico: "Avevi proprio ragione…". Gli industriali - gli ex industriali, a onor del vero, perché tutti, ma proprio tutti, hanno appreso le mie lezioni, ab initio con l'acquisto delle vigne - si riconoscono, oggi, dal furore con cui impiantano cabernet sauvignon, merlot e chardonnay, convinti di poter ripetere le magie dei 'miei' Sassicaia. Sbagliano. Si imporranno, giorno dopo giorno - come ho detto sopra con quel lungo elenco - i vini che hanno base, 'le radici', nei vitigni del reale passato. Quelli che sino a ieri non avevano avuto successo perché prodotti con la volontà del 'molto' e non del 'meglio' (dovrò decidermi a scrivere il 'libro bianco' delle sopraffazioni commesse dalla Scuola enologica italiana nell'imporre ai nostri vignaioli vitigni di grande resa su portainnesti di vigorosa volgarità). Con le stesse cure che sono state riservate agli altri, ivi compreso il corretto uso del legno (scrivo di proposito legno e non carato o barrique) si ottiene tutta una serie sbalorditiva per diversità e provocazioni di cru. Davvero - come dicono alcuni giovani colleghi - si aprono le vie dei mercati italiani ai vini del nuovo mondo? Credo proprio di no. Se è una moda, è una pessima moda, destinata a passare presto. Quei vini - per l'uso oltrepassato di alcuni vitigni e di troppo legno - sanno di bara.

Cenni storici

Il vino, il prodotto della fermentazione alcolica del mosto ottenuto mediante spremitura degli acini di Vitis vinifera, è una bevanda millenaria tipica della civiltà mediterranea. La vite è infatti originaria dell'Asia Minore e da lì si è diffusa in Medio Oriente, in Africa settentrionale, nella Penisola Balcanica, in Spagna e, soprattutto, in Italia.

L'importanza che il vino ha sempre avuto nella vita dei popoli mediterranei si evince dal fatto che fin dai tempi più remoti è stato rivestito di una potente valenza simbolica, configurandosi come espressione di civiltà superiore e trovando ampio spazio in riti e celebrazioni. Così in Grecia era un usuale elemento sacrificale e in virtù del suo potere inebriante aveva un ruolo speciale nei culti orgiastici, soprattutto in quello di Dioniso. Nell'antica Roma, dove due feste, segnate già nel calendario arcaico con il nome di Vinalia, celebravano la prima, in aprile, l'inizio della consumazione del vino nuovo e la seconda, in agosto, l'inaugurazione della stagione della vendemmia, esistevano norme religiose che regolavano tutto il ciclo produttivo del vino, dalla coltivazione della vigna alla potatura e alla vendemmia, fino al divieto di usare vini ottenuti dalla seconda pressione per i sacrifici. Altro popolo che attribuì al vino un forte valore di simbolo fu quello ebreo, che considerava proprio la presenza di vigneti rigogliosi uno dei tratti che caratterizzavano la terra promessa. Per un ebreo possedere una vigna era un segno di ricchezza e di potenza e la viticoltura costituiva una nobile e redditizia attività. Nell'ambito della economia ebraica il vino deteneva una posizione di tutto rispetto, tanto da essere citato spesso nella Bibbia e in altri testi sacri come un dono di Dio, la cui abbondanza era un segno di benedizione. Ne derivava un carattere di sacralità che venne trasferito poi dall'antica tradizione israelita alla nuova liturgia cristiana, in cui il vino assume il ruolo di rappresentazione emblematica del sangue di Gesù e viene sublimato nel mistero della transustanziazione. Le tecniche della viticoltura furono inizialmente sviluppate dagli egizi e dai greci e trasmesse poi ai romani che le migliorarono e razionalizzarono, arrivando a produrre vini di grande pregio che si trovano spesso celebrati nelle opere letterarie, come il Cecubo e il Falerno. Le tecniche tradizionali utilizzate dai romani rimasero in vigore per molti secoli, restando sostanzialmente immutate fino a circa metà dell'Ottocento, periodo in cui deve essere individuato l'inizio della viticoltura moderna, quando l'arrivo dall'America di Phylloxera vastatrix, un insetto che distrugge le radici di Vitis vinifera, costrinse a innestare tutti i vitigni europei su piede americano. Allo stesso torno di tempo risale un'altra importante innovazione, relativa alla conservazione: fu allora infatti che cominciò a essere diffuso l'uso dei contenitori di vetro al posto degli orci e delle anfore di terracotta e, soprattutto, quello dei turaccioli di sughero. Grazie a queste novità il vino, inevitabilmente destinato a diventare aceto nell'arco di breve tempo se mal conservato, diventò suscettibile di invecchiamento e quindi di affinamento delle qualità.

Vino e salute

Dal punto di vista sanitario, è necessario contrapporre il consumo di vino in quantità ragionevoli e l'abuso. Se naturalmente tutti concordano nel ritenere che l'assunzione eccessiva e prolungata nel tempo del vino come di ogni altra bevanda alcolica sia estremamente dannosa per l'organismo, determinando alcolismo e sindromi epatiche e neurologiche, più controversa è l'opinione di alcuni autori secondo i quali una dose moderata di vino non soltanto non è nociva, ma è anzi utile alla salute. Studi recenti hanno in effetti dimostrato che la vite può essere considerata pianta medicamentosa, in virtù del suo contenuto in determinati polifenoli dotati di un'azione antiarteriosclerotica e in altre sostanze decisamente benefiche. La definizione di 'dose moderata' è comunque delicata, poiché andrebbe personalizzata a seconda del sesso, dell'età, di fattori di tolleranza individuale, delle condizioni fisiologiche dell'individuo ecc. In ogni caso, in genere si ritiene che uno o due bicchieri di vino al giorno diminuiscano il rischio per le malattie cardiovascolari e quello per le arteriopatie periferiche: effetti che possono essere attribuiti all'azione sia dell'alcol sia di vari componenti non alcolici del vino (soprattutto alcune sostanze di tipo fenolico ad azione antiossidante) e sono ascrivibili particolarmente al consumo di vino rosso, in quanto le sostanze citate sono presenti in maggior misura sulla cuticola dei chicchi di uva nera. Le quantità di sostanze variano comunque molto a seconda della varietà di uva, della tecnica di vinificazione e dell'invecchiamento ed esistono in ogni caso parecchi vini bianchi con documentata azione antiossidante e di protezione cardiovascolare. In dosi moderate l'alcol ha anche un'azione vasodilatatrice, mentre l'equilibrio salino del vino, il suo potere tampone e il tenore in glicerina esercitano indubbiamente un'azione favorevole sulla digestione, sicché l'uso moderato di vino durante i pasti offre un contributo al miglioramento della digeribilità e assimilabilità dei cibi.

Aspetti tecnici

La fermentazione

Il vino è il prodotto della fermentazione alcolica del mosto o dell'uva pigiata, operata da alcuni lieviti, organismi unicellulari sferoidali con diametro di circa 5 micron. Durante tale processo, il mosto acquisisce non soltanto il tenore alcolico, ma soprattutto il carattere vinoso, intendendo con questa locuzione l'insieme delle proprietà organolettiche conferitegli da svariate sostanze, soprattutto quelle volatili, che agiscono sui sensi del gusto e dell'odorato.

Le trasformazioni dell'intero processo di fermentazione sono accompagnate da sviluppo di calore, necessario alla vita dei microrganismi. Attraverso il loro complesso metabolismo i lieviti, di solito appartenenti alla specie Saccharomyces cerevisiae nei suoi diversi ceppi, quali bayanus, uvarum e chevalieri, trasformano il glucosio e il fruttosio (zuccheri a 6 atomi di carbonio presenti nell'uva e nel mosto) in alcol etilico (un prodotto a 2 atomi) e anidride carbonica secondo la reazione: C6H12O6 -> 2CH3CH2OH + 2CO2 + 40 kcal. Accanto ai prodotti principali della fermentazione degli zuccheri, vi sono i prodotti secondari che provengono dalla fermentazione gliceropiruvica (per es. glicerina, acido succinico, acido acetico, 2,3-butandiolo), dal metabolismo azotato del lievito e in parte da quello glucidico, come la serie degli alcoli superiori. Nel vino nuovo vi è inoltre un eccesso di acido malico, che lo rende acerbo al gusto. Questo acido viene degradato ad acido lattico, più debole, attraverso la fermentazione malolattica, che avviene a opera dei batteri lattici e conferisce al vino un gusto più morbido e ricco.

Il vino è caratterizzato non solo dalla varietà di uva da cui è stato ottenuto il fermentato, ma anche dai lieviti. Ogni ceppo, infatti, e addirittura ogni stipite di lievito, lascia la sua impronta particolare in funzione di un determinato substrato (qualità del mosto), tanto che lo stesso mosto fermentato da due lieviti diversi produce vini differenti. Uno dei compiti dell'enologia moderna è quello di realizzare l'accoppiamento più adatto per ogni mosto con un determinato lievito, così da migliorare la qualità del vino.

Le tecniche e la produzione industriale

Le operazioni enotecniche per la preparazione del vino iniziano con la vendemmia e proseguono con la preparazione del mosto e la fermentazione, la svinatura, i travasi e la conservazione del vino. Comprendono inoltre trattamenti correttivi dei mosti, della vinificazione e dei vini stessi. Innanzitutto i grappoli, raccolti e trasportati al locale di vinificazione, vengono pigiati. La pigiatura, eseguita in passato con i piedi e oggi a macchina, deve essere per quanto possibile completa, cioè non deve lasciare acini non schiacciati, e può essere più o meno spinta, in modo da estrarre parzialmente o totalmente le sostanze coloranti e tanniche dalle bucce. Nell'ammostamento a macchina, specie nel caso di vini bianchi, le pigiatrici possono essere accoppiate a diraspatrici; la pigiatura senza diraspatura porta a vini più ruvidi, più carichi di colore e di tannino. Un'importante innovazione è rappresentata dall'utilizzo di speciali torchi continui, le velocipresse, che esercitano sull'uva una pressione soffice e rapida, permettendo di separare il mosto dalle bucce e dai vinaccioli; questi torchi si possono impiegare per produrre sia vini bianchi sia vini rossi. La preparazione dei mosti è necessaria per apportare eventuali correzioni al tenore di zucchero, acidi e sostanze colorate. Una scarsità di tenore zuccherino si può correggere con il taglio di uve più ricche in zucchero oppure con aggiunta di mosti concentrati o di filtrati dolci oppure concentrando i mosti. Una deficienza di acidità si corregge con aggiunte di acido tartarico o citrico; l'eccesso di acidità si può ridurre aggiungendo mosti carenti di acidità o carbonato di calcio in polvere, che provoca la precipitazione di parte dell'acidità presente. Il colore si aumenta mediante aggiunta di mosti concentrati o di vinaccia fresca.

La fermentazione può essere naturale, cioè operata dai microrganismi presenti sulla superficie degli acini e che con la pigiatura vengono portati a contatto del mosto, o guidata, cioè eseguita con colture di fermenti selezionati, in sostituzione o a integrazione dei lieviti naturali. L'operazione si compie in tini di legno, di cemento armato, d'acciaio o di vetroresina, aperti per lasciar sfuggire l'anidride carbonica che si produce. I fattori che agiscono sulla fermentazione sono la temperatura, l'ossigeno, l'eliminazione dell'anidride carbonica e il tenore alcolico. Al mosto si può aggiungere anidride solforosa, che svolge un'azione antisettica e antiossidante. Poiché però l'anidride solforosa non è completamente innocua e, se ingerita in quantità superiori al potenziale metabolizzante dell'organismo, può provocare intossicazioni, esistono normative dell'Unione Europea che ne stabiliscono i limiti, a seconda del tipo di vino (rosso o bianco) e del suo contenuto in zuccheri; in Italia il limite massimo consentito è comunque di 200 mg/l. È noto che le tecniche di vinificazione cambiano in relazione alle differenti tipologie di vino. La vinificazione può essere quindi del tipo in rosso, con macerazione più o meno prolungata eseguita in presenza di bucce e vinacce; del tipo in bianco, quando il mosto fermenta in assenza di bucce e di raspi dell'uva, che può essere sia bianca sia nera; del tipo in rosato, quando il mosto resta a contatto con le vinacce per il tempo necessario ad assumere la tonalità e l'intensità di colore desiderate. Notevole importanza va assumendo infine la vinificazione con macerazione carbonica. Il ricorso a questa tecnica, originaria del Beaujolais e poi adottata in vari paesi per la produzione dei vini novelli, è in continua espansione. I grappoli interi di uva nera vengono posti in tini di acciaio chiusi e saturi di anidride carbonica; in un arco di tempo di circa 10 giorni, nell'uva si verifica una fermentazione intracellulare, che conferisce al mosto un gusto più morbido e un caratteristico profumo fruttato.

La fermentazione nei tini (fermentazione tumultuosa o principale) si arresta quando il vino contiene ancora il 2-3% di zuccheri, che si trasformano poi in alcol nella successiva fermentazione (lenta o secondaria) che ha luogo entro altri recipienti chiusi. In genere è meglio svinare presto quando si vogliono vini morbidi o amabili, cioè con vena dolce; con svinatura ritardata i vini acquistano sapore più ruvido.

La svinatura, che porta a separare dal vino nuovo (o vino fiore) le vinacce e le prime fecce, viene effettuata mediante pompe, facendo passare il vino attraverso setacci che trattengono le parti solide e avviandolo ai recipienti di conservazione. Durante questo passaggio il vino perde parte dell'anidride carbonica che contiene, mentre si arricchisce di ossigeno. La vinaccia, se presente, trattiene una quantità di vino pari al 10-20% del totale, che può essere recuperata per torchiatura. Si possono eseguire più torchiature successive; il vino della prima torchiatura è sempre nettamente migliore di quello delle successive. Da 100 kg di uva si ottengono mediamente 55-65 kg di vino fiore, 15-20 kg di vino torchiato e 10-15 kg di vinacce. Il vino, dopo la fermentazione primaria svolta nei tini, si raccoglie in botti, dove il processo di fermentazione procede ulteriormente in maniera lenta; contemporaneamente si svolgono diverse altre azioni che portano alla separazione della feccia e del tartaro e all'armonizzazione dei caratteri del vino. Le botti, un tempo prodotte anche in castagno, sono ormai quasi tutte in rovere; la loro capacità può variare da poco più di 2 a oltre 120 hl. A causa della microssigenazione, consentita dalla porosità delle pareti delle botti, e della cessione di numerose sostanze da parte del legno, il colore, il profumo e il sapore del vino cambiano in misura notevole durante questo periodo di maturazione. Poiché le modifiche dei caratteri organolettici sono tanto più intense quanto più elevata è la superficie di contatto tra vino e legno, negli ultimi anni si è molto diffuso l'impiego delle barriques (o carati), botticelle in rovere da 225 l, di origine bordolese, che cedono al vino intense note speziate.

I componenti del vino sono, oltre all'acqua (70-80%), l'alcol etilico (dal 7 al 18%, di solito 10-12%), piccole percentuali di altri alcol, alcuni acidi organici (tartarico, malico, lattico, succinico, citrico, acetico ecc.). Per quanto riguarda il contenuto di acido, si distingue fra acidità fissa (da 5 a 10 g/l) e acidità volatile (da 0,2 a 0,6 g/l). Nel vino sono presenti ancora tannini (meno di 1 g/l nei vini bianchi e da 1 a un massimo di 8 g/l in quelli rossi), sostanze colorate, sostanze pectiche (1-2 g/l), glicerina (5-12 g/l), aldeidi (meno di 0,1 g/l), eteri (meno di 0,01 g/l; sono i maggiori responsabili del bouquet presentato dal vino), sostanze minerali (2-4 g/l). Con il nome di sostanze estrattive, o estratto totale del vino, si indica il residuo che rimane dalla sua evaporazione a 100 °C; tale residuo comprende tutti i costituenti tranne acqua, alcol, acidi volatili, eteri e di solito è pari a 16-30 g/l. Non sempre i vini presentano i caratteri organolettici o la composizione chimica richiesti o desiderati dal consumatore. Per adeguarli a queste esigenze possono essere apportate alcune correzioni, come per es. la rifermentazione e la chiarificazione. Inoltre il vino può essere assoggettato ad altre pratiche, quali la carbonicazione, il taglio, l'invecchiamento. La rifermentazione può essere eseguita per conseguire scopi diversi: rendere asciutti vini dolci, togliere al vino sapori od odori acquisiti (spunto, agrodolce, odore di muffa), aumentare il grado alcolico; si può eseguire sul vino a contatto di vinaccia fresca, sana, non torchiata, oppure previa aggiunta di filtrati dolci, mosto concentrato, fermenti selezionati e sostanze nutritive. Oltre al nuovo apporto di alcol, si ha formazione di anidride carbonica. Quest'ultima rende più frizzante il vino e favorisce lo sviluppo di sostanze che conferiscono al prodotto un odore o un sapore particolari.

La chiarificazione, che ha lo scopo di rendere più limpido e chiaro il vino, si esegue aggiungendo sostanze che si disperdono nella massa e depositandosi trascinano sul fondo dei recipienti le particelle sospese. Come chiarificanti sono utilizzati albume d'uovo, colla di pesce o materiali argillosi. La carbonicazione consiste nel disciogliere nel vino quantità più o meno sensibili di anidride carbonica, la quale conferisce al vino sapore più fresco, frizzante, maggiore limpidezza e conservabilità.

Il taglio consiste nel mescolare al vino un altro vino di caratteristiche diverse, così che la deficienza di caratteristiche dell'uno possa essere compensata dalla marcata presenza delle stesse nel vino scelto per il taglio. Si può usare per correggere il grado alcolico, il colore, il tannino, l'acidità ecc.

Con l'invecchiamento naturale, consistente in lenti processi di ossidazione e di eterificazione, si migliorano e si affinano gusto e profumo del vino. Per accelerare il processo e intensificare gli effetti si può eseguire l'invecchiamento artificiale, mediante agenti fisici o chimici, quali il calore (pastorizzazione), il freddo, l'ossigeno, l'ozono ecc.

Il vino è soggetto ad alcune malattie che ne possono alterare lo stato, comprometterne i pregi o renderlo addirittura inutilizzabile. La fioretta, che si verifica quando la superficie del vino conservato in recipienti non ben colmi si copre di un velo biancastro, costituito da microrganismi aerobici, non costituisce di per sé malattia pericolosa, però può rappresentare il primo passo verso altre malattie. Lo spunto e l'acescenza sono due stadi successivi di un'alterazione che porta alla comparsa nel vino di odore e di sapore di aceto; per arrestare la malattia si può pastorizzare il vino oppure trattarlo con anidride solforosa; per liberare il vino dal sapore causato dalla malattia si può trattarlo con sostanze disacidificanti o sottoporlo a rifermentazione. Il girato è rappresentato da una particolare torbidezza per cui nel vino appaiono onde o nuvole che si muovono lentamente. L'agrodolce consiste in un intorbidimento, con odore sgradevole e sapore dolce nauseante, e colpisce specialmente i vini rossi in climi caldi. Altre malattie sono il filante (comparsa di vischiosità) e l'amaro. Il vino può inoltre presentare difetti come l'odore e il sapore di muffa, il sapore di legno, l'odore di zolfo, la comparsa di intorbidimenti ecc.

Tra le adulterazioni del vino più frequenti si hanno l'aggiunta di acqua, di alcol, di succhi di frutta fermentati, di coloranti diversi dall'enocianina, di saccarosio, glucosio o altri edulcoranti, ecc. Particolarmente grave è stato, in Italia, il caso del vino al metanolo (1986), che provocò oltre 20 decessi e centinaia di intossicazioni gravi. In tale circostanza alcuni produttori, sfruttando la diminuzione del prezzo del metanolo dovuta all'abolizione della tassa di fabbricazione e della soprattassa di confine per l'importazione, avevano aggiunto quantità elevate di questo alcol a vini scadenti per elevarne il titolo alcolometrico.

I diversi tipi di vino

La prima distinzione tra i vari tipi di vino è quella che viene fatta in base al colore, tra vini bianchi e vini rossi. I vini rossi devono la loro colorazione alle antocianine e sono caratterizzati da un rilevante contenuto in tannini, che conferiscono un certo potere astringente sul palato: per questo motivo è necessario un periodo di affinamento, durante il quale queste sostanze vengono in parte trasformate e il vino si ammorbidisce al gusto. Il processo di affinamento avviene normalmente in recipienti porosi all'aria, come le botti, dove una blanda penetrazione di ossigeno modifica il colore e la struttura polifenolica. Dopo un primo periodo di affinamento il vino deve essere posto al completo riparo dall'aria affinché possa acquisire il complesso aroma tipico di ogni varietà, che va sotto il nome di bouquet. Il bouquet viene facilmente alterato dall'esposizione del vino all'aria, tanto che il vino rosso richiede dopo l'imbottigliamento un periodo di riposo per riacquistare le sue caratteristiche organolettiche, influenzate dalle piccole quantità di ossigeno assorbite durante l'imbottigliamento. Alcuni vini rossi sopportano, anzi richiedono, un prolungato invecchiamento prima di raggiungere la massima espressione della qualità, ma anch'essi, come tutti i vini, dopo un certo tempo subiscono un declino qualitativo.

I vini bianchi sono normalmente caratterizzati da gusto fresco e profumo fruttato e delicato, anche se esistono vini bianchi da dessert ricchi di alcol e zuccheri e lungamente invecchiati, dall'aroma intenso e complesso, come il Marsala, il Porto, il Moscato di Pantelleria. Alcuni vini bianchi possiedono poi caratteristiche così peculiari che si differenziano nettamente da tutti gli altri, come nel caso dello Xeres o Sherry fino, il vino più secco del mondo. Normalmente i vini bianchi 'tranquilli' sono definiti vini da pesce, perché si adattano perfettamente a queste carni delicate.

In base alla destinazione si possono invece distinguere vini da taglio, vini da tavola e vini speciali. I vini da taglio, poco adatti al consumo diretto, sono ricchi in un determinato costituente (alcol, colore, acidità) e servono per essere mescolati a vini sprovvisti di quel dato costituente. I vini da tavola sono quelli che per caratteri organolettici e per composizione sono adatti a essere consumati durante i pasti; si distinguono in vini da pesce (generalmente bianchi), da arrosti (generalmente rossi) e da dessert; possono essere comuni, fini e superiori; i primi non hanno pregi speciali e sono di larga produzione e consumo; quelli fini presentano particolari caratteri di finezza, profumo e sapore, ma sono messi in commercio durante l'annata del raccolto; possono essere frizzanti, secchi, dolci, aromatici ecc.; quelli superiori, oltre ad avere in misura accentuata i caratteri dei precedenti, hanno di solito subito un invecchiamento di più anni prima di essere messi in commercio. Per i vini da tavola la legislazione in atto consente le indicazioni in etichetta dei colori principali: bianco, rosso e rosato, e le sottospecificazioni giallo, dorato, verdolino, platino, ambrato, paglierino e bianco da uve bianche per i vini bianchi, rubino e granato per i vini rossi, chiaretto, cerasuolo e rosa per i rosati.

Per l'indicazione del tipo del prodotto sono anche autorizzate le qualifiche di vino novello, vino fiore, vino giovane e vino vivace. Il vino novello, la cui produzione è andata rapidamente aumentando a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, ha una sua disciplina particolare riguardante il tipo di vinificazione, l'immissione al consumo (a partire dalla mezzanotte del 6 novembre dell'anno in corso), il tenore alcolico minimo di 11 gradi, il contenuto minimo in zuccheri non superiore a 10 g/l ecc. I novelli vanno consumati non oltre la primavera successiva alla vendemmia, perché tendono presto a perdere freschezza e fragranza. I vini speciali sono quei vini che, per i loro caratteri, più che durante i pasti vengono consumati o a fine o fuori pasto, quasi come liquori; comprendono gli spumanti (così detti per il caratteristico sviluppo di spuma), gli aromatici (derivanti da uve con sapore di moscato), gli aromatizzati (come il vermut), i passiti (preparati con uve più o meno appassite), i liquorosi, secchi o dolci. I vini liquorosi, provenienti da una sessantina di vitigni, possono subire l'arricchimento alcolico con alcol distillato di vino o con mosti concentrati e devono avere un titolo alcolometrico totale non inferiore al 15% e non superiore al 22%.

Il vino viene valutato con diverse qualifiche; rispetto al contenuto alcolico: debole, leggero, caldo, forte, generoso, bruciante; nei riguardi delle sostanze zuccherine: secco o asciutto (fino a 4 g/l), abboccato o semisecco (da 4 a 12 g/l), amabile (da 12 a 14 g/l), dolce (minimo 15 g/l); per il contenuto in acidi: fiacco, molle, piatto, fresco, vivace, acidulo, acido, acerbo, aggressivo o pungente; nei riguardi delle sostanze polifenoliche: liscio, morbido, rugoso, tannico, allappante, astringente; per le sostanze aromatiche vengono indicate le varie intensità delle sensazioni di fruttato, speziato, fiorito, legnoso, vegetale, caramellato, etereo, chimico ecc. Altre qualifiche dei vini derivano dalla valutazione dei diversi parametri attinenti l'esame visivo (intensità e tonalità del colore, limpidezza, fluidità, effervescenza e spuma) e l'esame congiunto gustativo e olfattivo (franchezza, intensità, corpo, armonia, persistenza e sensazione finale). A questi vari parametri corrispondono, rispettivamente, le qualifiche di vino rosso granato, rosso rubino, giallo paglierino ecc. per l'esame visivo; di vino vinoso, profumato, fruttato ecc. per l'esame olfattivo; di vino con retrogusto amarognolo, rotondo, neutro, armonico ecc. per l'esame gustativo e olfattivo; in particolare, si parla di vino che ha stoffa con riferimento a vini ben vinificati e atti all'invecchiamento. Si dicono vini cotti quelli preparati concentrando il mosto mediante ebollizione.

I vini a denominazione di origine

Il settore vinicolo comunitario è regolamentato dal reg. CEE nr. 822/87, emanato con lo scopo di stabilizzare i mercati. L'organizzazione comune dei mercati del settore prevede tutta una serie di norme relative alla produzione e al controllo del potenziale vinicolo, alla pratica e ai trattamenti enologici, un regime di prezzi e di scambi con i paesi terzi ecc. Le DOCG e le DOC sono le menzioni specifiche tradizionali utilizzate dall'Italia per designare i vini di qualità prodotti in regioni determinate (VQPRD) previsti dal regolamento comunitario. La denominazione di origine dei vini compete a nomi geografici o qualificazioni geografiche della corrispondente zona di produzione, accompagnata o meno da nomi di vitigni o altre indicazioni. Il d.p.r. 12 luglio 1963, nr. 930, che disciplinava la materia dei vini tipici in Italia, è stato modificato dalla legge 12 febbraio 1992 nr. 164, che suddivide le denominazioni di origine in Denominazione di origine controllata e garantita (DOCG), Denominazione di origine controllata (DOC), Indicazione geografica tipica (IGT). Per denominazione di origine controllata si intende il nome geografico di una zona vinicola, utilizzato per designare un prodotto di qualità rinomata, le cui caratteristiche sono connesse all'ambiente naturale e ai fattori umani della zona. Per indicazione geografica tipica si intende il nome geografico di una zona utilizzato per designare il prodotto che ne deriva. La DOCG è riservata a quei vini già DOC da almeno 5 anni, che siano di particolare pregio riconosciuto a livello nazionale e internazionale. La DOC e la IGT sono riservate alle produzioni che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti, per ciascuna di esse, dai relativi disciplinari di produzione, approvati, contestualmente al riconoscimento della denominazione, con apposito decreto ministeriale. Nel 2002 si annoveravano 303 vini DOC, 25 vini DOCG e 119 vini IGT.

Tabella 1

La produzione di vino

A livello planetario la vendemmia del 2001 ha fruttato 275 milioni di ettolitri di vino, di cui 166,5 milioni nei paesi dell'Unione Europea. Qui, tuttavia, rispetto alla produzione dell'anno precedente si è registrato un calo del 3,6% che ha riguardato in particolare Austria, Spagna, Francia e Italia. Al contrario, la produzione dei paesi a più recente viticoltura (America, Africa, Oceania) appare in aumento, essendo passata da circa 63 a circa 65 milioni di ettolitri. I dati del 2001 confermano, peraltro, una tendenza in atto ormai da diversi anni: la produzione mondiale di vino sta spostandosi progressivamente dall'Europa occidentale ad altri continenti. Attualmente la ripartizione continentale della produzione è la seguente: Europa 73% (comprendendo anche l'Europa dell'Est, con circa 39 milioni nel 2001), Americhe 18%, Oceania 3%, Africa 3%, Asia 3%. Le proiezioni al 2005, anno in cui si stima che la produzione mondiale si aggirerà sui 284 milioni, prevedono ulteriori decrementi nell'Europa dell'Ovest (-2,3%) e per contro incrementi nell'Europa dell'Est (+8,9%), ma soprattutto in America del Nord (+22,4%), America del Sud (+7%), Sudafrica (+33,9%), Oceania (+19,5%), Asia (+19,1%). In Italia il raccolto delle uve da vino nel 2001 è stato pari a 70,8 milioni di quintali, con un calo del 3,6% rispetto al 2000. Il 56,1% dell'uva raccolta si concen-tra in quattro regioni: Veneto (11,6 milioni), Emilia-Romagna (9,5 milioni), Puglia e Sicilia (entrambe 9,3 milioni). La Puglia ha fatto registrare il calo quantitativamente più significativo (-14,3%). Dell'uva raccolta 67,3 milioni di quintali sono stati utilizzati per la produzione di vino; 3,1 milioni sono stati destinati a mosti, impiegati per l'arricchimento del vino a bassa gradazione alcolica; il restante quantitativo è stato usato per il consumo diretto e la produzione di succhi d'uva. La produzione di vino con le uve da vino è stata nel 2001 pari a 49,8 milioni di ettolitri quasi equamente distribuiti tra vini bianchi (24,8 milioni) e rossi o rosati (25 milioni). Rispetto al 2000 la produzione di vino è diminuita del 3,2%, ma il calo ha riguardato solo il vino bianco (-6,5%) essendo rimasta pressoché invariata la produzione di vino rosso e rosato (+0,2%). La riduzione percentuale della produzione di vino è risultata inferiore a quella dell'uva da vino raccolta, in quanto l'andamento climatico secco di molte regioni ha migliorato la resa oltre che la qualità del prodotto.

La classifica di Wine Spectator

Ogni anno, a partire dal 1988, la rivista statunitense Wine Spectator stila una lista dei migliori 100 vini del mondo. Per procedere alla classifica del 2001 la redazione ha assaggiato più di 10.750 vini, giudicati in base a criteri di valutazione che hanno tenuto conto della qualità, del valore commerciale, della disponibilità e di un cosiddetto 'fattore X', riguardante il gradimento del vino. Per il secondo anno consecutivo, in cima alla classifica si trova un vino italiano, e più precisamente un rosso toscano. Del resto, tra i primi cento nel mondo, ben venti sono italiani.

Tabella 2
Tabella 3

Gli aggettivi del vino

abboccato - lievemente dolce, con un leggero residuo di zucchero

acerbo - non ancora affinato, con un eccesso di acidità

allappante - aspro e astringente, eccessivamente tannico

amabile - con una decisa nota dolce

ampio - che possiede profumi complessi, ricchi e variegati

armonico - giunto alla giusta maturazione, con tutti gli elementi gustativi in perfetto equilibrio tra di loro

aromatico - caratterizzato da profumi derivati da sostanze della serie aromatica

asciutto - che alla degustazione lascia la bocca ben pulita

astringente - con eccesso di tannino e di acidità, ruvido al gusto e che lega la bocca

austero - nel quale la pronunciata presenza di tannino è bilanciata dalle altre componenti del sapore

botritizzato - derivato da uve colpite dalla muffa nobile, Botrytis cinerea

brillante - di colore estremamente luminoso caldo - ricco di alcol e glicerina

caratteristico - detto delle componenti di odore e/o di sapore che caratterizzano e distinguono un vino, rendendolo diverso da un altro corposo - di buona struttura generale

corto - poco persistente, cioè che lascia scarso sapore in bocca

delicato - che ha caratteristiche di armonia, finezza e pregio

disarmonico - con gli elementi gustativi in rapporto scorretto tra di loro; può riguardare un eccesso di acidità, di tannicità o di alcolicità

dolce - con un contenuto zuccherino elevato, superiore ad abboccato e amabile

elegante - equilibrato, raffinato, di razza

equilibrato - con gli elementi gustativi in buon rapporto tra di loro

erbaceo - caratterizzato da una vena acidula che ricorda, nell'odore e nel sapore, l'erba fresca appena colta

etereo - con elevata presenza di eteri, dovuti a un lungo periodo di invecchiamento

fine - che si presenta con profumo e sapore gradevoli e ben equilibrati

floreale - con profumo di fiori

fragrante - con profumo di pane appena sfornato; è usato generalmente per gli spumanti fresco - caratterizzato da profumo con sentore fruttato e gusto gradevolmente acido

frizzante - con discreta presenza di anidride carbonica, che pizzica gradevolmente la lingua

fruttato - con profumo e sapore di frutta fresca, generalmente giovane

giovane - non ancora invecchiato grasso - particolarmente ricco di glicerina

leggero - di bassa gradazione alcolica, ma equilibrato e piacevole al gusto

limpido - privo di sospensioni e di velature

liquoroso - caratterizzato da gradazione, struttura e dolcezza simili a quelle di un liquore

maderizzato - alterato da un processo di ossidazione che ne muta colore e sapore fino a ricordare i vini di Madera

magro - povero di corpo e di struttura mandorlato - che ha un lieve sapore di mandorla

maturo - pronto da bere, ha raggiunto il momento oltre il quale comincia a perdere il meglio di sé

molle - di scarsa acidità, stucchevole

morbido - che presenta un giusto equilibrio tra alcol, acidità e tannini; vi prevale una sensazione di dolcezza

nervoso - molto ricco di nerbo, cioè di un giusto grado di acidità, tale da rivelarsi aggressivo all'assaggio

netto - con profumo semplice ma gradevole, senza retrogusto

neutro - privo di una personalità specifica

ossidato - che ha perso la freschezza a causa del contatto con l'aria, per cui presenta un colore più scuro del normale e tende a maderizzarsi

paglierino - con colore giallo che ricorda la paglia

passito - ottenuto da uve appassite, con elevato contenuto alcolico e zuccherino

pastoso - molto dolce, ricco di zuccheri e glicerina

penetrante - con profumo aggressivo, quasi sgradevole

pesante - troppo alcolico

piatto - privo di corposità, in genere a causa della carenza di acidità

pieno - perfetto dal punto di vista del sapore, di ottimo equilibrio

ridotto - che ha sentore tipico di vino lungamente invecchiato in un ambiente povero di ossigeno robusto - ricco di alcol e di struttura

rotondo - morbido, di moderata acidità e di corpo pieno

ruvido - caratterizzato dalla presenza di asperità, frequente nei vini giovani

sapido - fresco, equilibrato, di buon corpo, molto gradevole e gustoso

secco - privo di zuccheri

speziato - caratterizzato da profumi che ricordano quelli delle spezie

svanito - piatto a causa di un'eccessiva esposizione all'aria

tannico - caratterizzato da sapore astringente determinato da una notevole componente di tannini; di solito un vino è tannico quando lascia la bocca asciutta

tenue - con colore e profumo leggeri e sfumati

tranquillo - che ha terminato la fermentazione e non presenta tracce di anidride carbonica

velato - non limpido

vellutato - armonico e morbido, che scivola gradevolmente durante l'assaggio

vinoso - con profumo che ricorda quello del vino nuovo; è normale nei vini rossi giovani e nei novelli in generale

vivace - ricco di acidità fissa e di freschezza, spesso anche lievemente frizzante

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