ORSINI, Virginio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

ORSINI, Virginio

Irene Fosi

ORSINI, Virginio. – Figlio di Ferdinando, del ramo di Bracciano, e di Giustiniana di Giannantonio Orsini del ramo di Sangemini, nacque, forse a Roma nel palazzo di Montegiordano, il 17 gennaio 1615 e fu battezzato nella chiesa di S. Eustachio il 30 maggio dello stesso anno.

Lo zio Paolo Giordano II, duca di Bracciano, gli procurò, quando aveva otto anni, il titolo di abate dell’Ordine dei cavalieri di Malta, con il quale fu sempre indicato nella corrispondenza prima del cardinalato. Ricevette un’educazione letteraria e compose versi; molto amato dal nonno Giannantonio, intrattenne con lui un continuo scambio epistolare.

Errate sono le notizie biografiche riferite da Cardella (1793) e da Litta (1848) che gli attribuiscono imprese contro i turchi e altre azioni militari: si tratta di un palese caso di omonimia, in quanto fu suo zio Virginio Orsini, entrato nell’Ordine giovannita nel 1604, a intraprendere in seguito una carriera militare nelle truppe pontificie. Giannantonio, per rimpinguare le non floride finanze familiari, dal 1632 considerò la prospettiva del matrimonio fra il nipote e Anna Carafa, principessa di Conca e Stigliano, ma le trattative si infransero sul nascere per la debole posizione economica di Orsini. La famiglia avviò in seguito trattative per il matrimonio con Ippolita Ludovisi, vedova di Giorgio Aldobrandini, principe di Rossano, morto nel 1637, ma pure queste fallirono, anche per l’ostilità mostrata da Orsini, non particolarmente attratto dalla prospettiva di un legame con una donna non più giovane, con figli e nipoti. Il parentado con Ippolita fu concluso con il fratello Flavio.

Come si evince dalla corrispondenza con i familiari e in particolare con la nonna materna Costanza Savelli (Arch. Orsini, Serie I, 197, 1), Orsini si occupò in questi anni anche della gestione del feudo di Montelibretti, delle colture e dei commerci. La protezione barberiniana, in particolare di Taddeo, prefetto di Roma, del cardinale Antonio e dello stesso pontefice Urbano VIII, sembrò essere la garanzia per una rapida carriera ecclesiastica, che avrebbe contribuito a risollevare le finanze familiari. Urbano VIII lo creò cardinale diacono il 16 dicembre 1641 con il titolo di S. Maria in Portico (10 febbraio 1642), passato poi a quello di S. Maria in Cosmedin (14 marzo 1644), S. Eustachio (21 luglio 1653), S. Maria in Via Lata (6 marzo 1656), S. Maria degli Angeli (11 ottobre 1666), S. Prassede (14 novembre 1667), S. Lorenzo in Lucina (30 gennaio 1668). Con un breve del gennaio 1642, inoltre, il papa concesse a Flavio Orsini la facoltà di trasferire al fratello Virginio una pensione di 1100 ducati (Arch. segreto Vaticano, Segr. dei Brevi, 905, c. 749) e il mese successivo emanò a favore di Orsini un indulto, con il quale gli consentiva di prendere gli ordini diaconali e gli attribuiva voce attiva e passiva nei conclavi (ibid., 906, c. 19).

Con i Barberini Orsini mantenne sempre una fitta corrispondenza, non solo d’occasione, anche dopo il loro allontanamento da Roma in seguito alla guerra di Castro, dichiarandosi devoto servitore, congratulandosi, nel 1646, per il loro rientro a Roma e chiedendo, come di consueto, favori e grazie per servitori, vassalli, amici.

Fu cardinale protettore degli Indiani e Armeni, di Polonia e del Portogallo e coprotettore di Francia, ma a differenza di quanto riferito dalle rare e non sempre attendibili notizie biografiche, queste nomine non furono contestuali alla sua elevazione alla porpora. Attraverso questi incarichi di protettorato si trovò al centro di delicate questioni politiche che segnarono i rapporti fra il papato e le potenze europee nel corso del Seicento.

Filofrancese, amico di Mazzarino, con il quale intrattenne rapporti non solo epistolari, svolse di fatto, dal 31 gennaio 1656, una ‘supplenza’ nella comprotezione della Corona francese.

Nel 1642 non mancarono frizioni con la regina madre Maria de’ Medici e con il suo maggiordomo Luca Fabroni, come testimoniano le lettere del nunzio Fabio Chigi che, confessando la regina in punto di morte, l’aveva invitata a perdonare «il fresco rancore con il sig. card. Orsino» (Nuntiaturberichte, 2009, IX, 1, p. 607), al quale, tuttavia, la regina non aveva voluto lasciare nel testamento alcun segno di perdono.

Non partecipò al conclave del 1644 perché ammalato, come notava il cardinale Adalbert von Harrach che, proprio per l’assenza di Orsini e di altri cardinali barberiniani, vide sfumare la possibilità di un accordo sul proprio nome. Ma la malattia e l’assenza dal conclave potevano anche rispondere a una precisa scelta politica e infatti Francesco Nerli nella sua relazione al duca di Mantova afferma: «nel conclave passato non ha dato tutte le soddisfattioni alla corona di Francia, forse impegnato a non concorrere volontariamente nell’elettione del papa. E molto ne diede da dubitare la lettera, che uscì dalle stampe di Parigi, scritta dal signore di Lione [Lionne] al re, quale nominando in essa i cardinali di seguito francese, lasciò nella penna il cardinale Orsino» (in Seidler,1995, p. 310). Prese invece parte al conclave del 1655, schierato con la fazione dei Barberini e filofrancese. Dal conclave scriveva lettere a un suo anonimo interlocutore, invitandolo a non nutrire attese sull’elezione del cardinale Medici e rassicurandolo sulla posizione della fazione barberiniana, mentre smentiva false voci che lo volevano in opposizione a essa.

Il 29 maggio 1657, quattro giorni dopo la morte del cardinale Alessandro Bichi, coprotettore di Francia, chiese ad Antonio Barberini di sostenere, insieme con Mazzarino, la sua candidatura per ottenere l’ambita carica, alla quale avrebbe rinunciato solo nel caso che vi aspirasse lo stesso cardinale Antonio, e affermava di aver scritto a Luigi XIV di poter avere l’abbazia di Châlons-sur-Saône già detenuta da Bichi. La richiesta non andò subito in porto: Orsini rimase coprotettore di Francia fino al 1666, poi divenne sostituto protettore fino al 1672 e da questo anno fino alla morte (1676) finalmente fu dichiarato protettore del regno.

Il favore di Antonio Barberini, i legami con Mazzarino e la corte di Francia influirono nella scelta di Giovanni IV, re del Portogallo dal 1640, di indicare Orsini come protettore del regno lusitano in un momento molto critico nei rapporti con Roma.

Dopo la separazione dalla Spagna, rimaneva infatti aperta la delicata questione della designazione di vescovi e abati spettante, per padronato, al re. Per il papa, riconoscere questo diritto di nomina al re portoghese significava legittimarne l’autorità e porsi, di conseguenza, in aperto conflitto con la monarchia spagnola. La questione del patronato rischiò addirittura di provocare uno scisma e, comunque, indebolì fortemente la presenza vescovile nel territorio portoghese con gravi conseguenze pastorali. A Roma non c’era una rappresentanza diplomatica portoghese, nonostante una florida presenza lusitana ed era quindi ancor più opportuno designare un cardinale protettore del regno.

La trattativa si svolse alla corte di Francia, sotto gli auspici di Mazzarino, ma nell’aprile 1644 il re portoghese Giovanni IV decise di rinviare la designazione e solo il 16 aprile 1652, con un dispaccio, nominò Orsini protettore di Portogallo, invitando il papa a riceverlo e trattarlo come tale. Il cardinale ufficiosamente era già attivo per la corte portoghese perché dall’ottobre 1651 riceveva dal re una pensione di 6000 scudi. La sua missione si profilò assai difficile e, fin dall’inizio, poco chiara. Innocenzo X, informato dal cardinale Teodoro Trivulzio delle trattative che si svolgevano a Parigi già prima della designazione ufficiale di Orsini, rimase ostile inizialmente a qualsiasi concessione al Portogallo per timore della Spagna, la cui influenza a Roma era cresciuta dopo il pontificato barberiniano. In seguito, grazie anche ai tentativi di Orsini di trovare una pur provvisoria soluzione coinvolgendo soprattutto la corte francese nella trattativa con l’ambasciatore portoghese a Parigi Francisco de Sousa Coutinho, i rapporti migliorarono, senza tuttavia risolvere il problema. All’inizio del pontificato di Alessandro VII e con l’invio da parte di Giovanni IV di Sousa a Roma, la situazione si deteriorò nuovamente per l’incomprensione e l’ostilità fra l’ambasciatore e il protettore. Alla partenza da Genova, Orsini aveva sconsigliato Sousa di giungere a Roma, dove era scoppiata la peste, per timore che il papa non lo facesse entrare in città, né tanto meno lo ricevesse. L’ambasciatore portoghese partì comunque e arrivò a Civitavecchia il 18 novembre 1655. Non piacque poi a Orsini la sosta che Sousa fece a Palo, feudo di Paolo Giordano II, zio del cardinale, prima di arrivare a Roma, il 20 novembre, dove volle subito incontrare il protettore del regno portoghese per capire le sue intenzioni e cercare di ottenere un’udienza dal papa. Orsini si mostrò, in questa delicata circostanza, incerto e ambiguo, e addirittura fu accusato di inviare documenti riservati alla corte francese.

Il giudizio di Sousa su Orsini fu caustico: lo definì «buonissimo cavaliere, più conosciuto per essere di poco valore» (Antunes Borges, 1958, p. 139), incapace, per timore di rimproveri, di prendere decisioni che potessero scontentare il papa: un giudizio condiviso, pur con toni meno aspri, anche da Sforza Pallavicino (1839, V, cap. XIII).

L’ambasciatore, secondo cui la sola intenzione di Orsini sarebbe stata di non concedere una rappresentanza diplomatica portoghese a Roma per timore della Spagna, si risolse infine a chiedere al re di ritirare la protezione del Portogallo al cardinale, ritenendolo solo un ostacolo alle trattative. Negli anni successivi Orsini continuò però a svolgere compiti di rappresentanza diplomatica portoghese a Roma, informando il papa del deterioramento progressivo della presenza cattolica in Portogallo e delle trattative per il matrimonio fra Caterina di Braganza e Carlo II Stuart.

Il suo commento alle diverse proteste lusitane per l’indecisa politica pontificia fu, ancora una volta, segnato da prudenza e malcelato timore: nel preparare il suo voto «per le materie di Portogallo che richiedono matura riflessione» il cardinale si mostrò consapevole della drammatica situazione della Chiesa portoghese e dei problemi confessionali connessi al matrimonio dell’infanta, ma anche delle difficoltà per Roma di superare l’opposizione spagnola, che nel Sacro Collegio si esprimeva con la massiccia presenza di cardinali «vassalli o pensionarij de Spagnoli, onde i loro voti possono con raggione essere sospetti alli Portoghesi o per natura o per inclinatione» (Bibl. apostolica Vaticana, Chigiano, R.I.4, cc. 135r-136r). Infine, il 10 settembre 1661 Orsini presentò ad Alessandro VII un memoriale sulle questioni portoghesi (Ibid., Barb. Lat., 5551, cc. 1r-6r), in cui sottolineava che «il Regno di Portogallo non è mai stato membro di Castiglia» (c. 3r), che il «danno della Religione e delle anime è grandissimo», infondate erano invece le pretese castigliane «nel punto delle chiese» che dipendevano solo dal papa. Ribadiva inoltre l’esigenza di inviare un nunzio nel regno lusitano. La sua posizione prudente e incerta si rivelò anche nella lettera al papa con la quale accompagnava la traduzione della missiva di Pietro Fernando Monteiro «nel particolare delle missioni» (cc. 138r-139r, 1° aprile 1662).

Il 23 aprile 1662, attraverso il cardinale Flavio Chigi inviò una supplica al papa in cui patrocinava la candidatura di Ruij Telles Meneses «cavalier principalissimo» per l’arcidiaconato della cattedrale di Lisbona allora vacante. La candidatura, sostenuta dalla regina e da gran parte della corte e nobiltà, doveva compensare Telles Meneses per non aver ottenuto la tesoreria di Lamego, conferita al «Rocca antico ministro del Santo Offitio e raccomandato da tutto il corpo degli inquisitori» (Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Cardinali, 27, cc. 72r-73v). L’impegno di Orsini in questa vicenda si inscrive in un tentativo di arginare il potere e la presenza inquisitoriali nell’alta gerarchia ecclesiastica lusitana, criticate, pur cautamente, nella lettera stessa. Il cardinale svolse anche un ruolo decisivo fra il 1669 e il 1675 quando a Roma il gesuita António Vieira cercò di indurre Clemente X a limitare i poteri dell’inquisizione portoghese, a sostenere la sua posizione sul ruolo dei nuovi cristiani nel regno lusitano e a difendere gli indiani, di cui Orsini era protettore.

Anche nel ruolo di protettore del regno di Polonia, che Innocenzo X aveva comunicato al re il 15 ottobre 1650 e che Orsini mantenne fino alla morte, egli si distinse per posizioni incerte e poco incisive. Prima di abdicare il re Giovanni Casimiro, in seguito alla difficile missione svolta in Polonia, per altro senza risultato, dal vescovo di Bezièrs Piero Bonsi «ministro della corte di Francia» nel tentativo di far eleggere dalla Dieta un candidato francese al trono polacco, esercitò su Orsini un’intensa pressione perché a Bonsi per ricompensa fosse conferita la sede vescovile di Tolosa e soprattutto la porpora cardinalizia. Nel 1664 Orsini presentò a tal proposito un memoriale ad Alessandro VII (Bibl. apostolica Vaticana, Barb. Lat., 5478, cc. 1r-14v).

Fra l’8 gennaio e il 6 marzo 1666 Orsini compì un viaggio in Francia e fu ricevuto alla corte con grande solennità: il viaggio fu intrapreso, ufficialmente, per scusarsi con Luigi XIV della sua incerta condotta nelcontrasto sorto fra il papa e il re di Francia in seguito all’aggressione dell’ambasciatore francese a Roma da parte dei soldati corsi. È probabile che fra le finalità ci fosse anche l’intenzione di trattare gli affari riguardanti la porpora per il candidato designato dal re di Polonia. La volontà di questo non fu però rispettata soprattutto per l’opposizione del cardinale Pietro Vidoni, e Giovanni Casimiro in una lettera del 5 aprile 1667 si lamentava con Orsini per «l’offesa fatta alla nostra regia dignità… per non essere noi dei più vicini et per trovarci in stato travaglioso» e chiedeva al protettore di impegnarsi per «farci riportare la giusta soddisfatione» (Arch. Orsini, Serie I, 64, n. 1, cc. n. n.). Anche negli anni successivi le lettere del re Michele e della regina Eleonora a Orsini confermano la scarsa incisività del cardinale nella difesa delle richieste avanzate dai sovrani polacchi – conferimento di benefici, giuspatronati vescovili e arcivescovili, anche nel caso dell’arcivescovado armeno di Leopoli – che, sostenevano, «non si devono proporre che dal Card. Protettore e non provedere senza la nostra nominatione» (ibid., lettera del 30 agosto 1671). Si adoperò per la canonizzazione di Stanislao Kostka.

Gli incarichi di protettorato misero in secondo piano i compiti pastorali di Orsini che, comunque, nella corte romana e nel Sacro Collegio, si era guadagnato «riputatione» perché «cessando li spiriti giovinili subentrano pensieri d’intiera prudenza» (Seidler, 1995, p. 310).Fu ordinato sacerdote solo nel marzo 1662.

In una lettera ad Antonio Barberini chiedeva che «ritrovandomi a Palo o a Cerveteri, venendo occasione di confessare qualcuno, si compiaccia darmene la facoltà e possa farlo et anche di assolvere li casi riservati e quello che parerà a V. E.», facoltà concessagli dal cardinale (Bibl. apostolica Vaticana, Barb. Lat., 8738, cc. 43r-44r).

Il 18 marzo 1671 fu chiamato alla diocesi di Albano e il 28 gennaio 1675 passò a quella Tuscolana (Frascati).

Già sofferente, morì a Roma il 21 agosto 1676 durante il conclave che avrebbe portato all’elezione di Innocenzo XI.

Fu il nipote prediletto di Paolo Giordano II e la loro corrispondenza mostra la condivisione di interessi artistici, letterari e musicali. Il mecenatismo di Orsini, che non disdegnava la vita mondana a Roma e nei suoi feudi, dove il 19 dicembre 1655 fu ricevuta con fastose cerimonie Cristina di Svezia, si espresse soprattutto nella committenza per il palazzo di Montegiordano e la sua vigna. Lavorarono per lui Carlo e Domenico Rainaldi e Giovanni Lanfranco, oltre a numerosi altri artisti. A Bracciano fondò il monastero delle monache agostiniane presso la chiesa di S. Maria Novella, dove poi fu sepolto, e a Palo dette inizio alla costruzione della chiesa di S. Michele e, insieme con il fratello Flavio, al restauro del castello, opere interrotte negli anni successivi per le difficoltà finanziarie della famiglia. Dopo la morte, probabilmente di peste, di Paolo Giordano II nel 1656, si mostrò munifico con la vedova Isabella Appiani, alla quale il 26 maggio 1656 prestò 250 scudi, forse per contribuire a pagare i debiti contratti dal marito. Fu ritratto in una caricatura da Bernini e in un disegno di Domenico Rainaldi, inciso da Giuseppe Maria Testana e stampato da Giovanni Giacomo De’ Rossi.

Fonti e Bibl.: La documentazione, straordinariamente ricca e per lo più inesplorata, riguardante Orsini, si conserva soprattutto a Roma, Arch. storico Capitolino, Arch. Orsini. Di essa si indicano qui solo le serie e i volumi principali: Serie I, 63, nn. 2-3; 64, nn. 1-3; 196, nn. 1-4; 197-294; 300, n. 2; 301, n. 2; 302, nn. 1-2; 306, nn. 1-2; 307, nn. 1-2; 317-320; 322-333; 367-372; 374, n. 1; 386, n. 2; 392, n. 2; 402; 413, n. 1; 414, n. 2; Serie II, Pergamene II, A.30.032; Serie II, Registri, voll. 230, 232, 632, 1094, 1096, 1145-1149, 1242, 1315, 1335, 1685, 1687A, 1698, 1719, 1755, 1836, 1842, 1849, 1857, 1863, 2270; Serie IV, 43, f. 56; B.44, ff. 16, 22; altri documenti nell’Archivio Orsini presso la University of California Los Angeles (http://oac.cdlib.org/findaid/ark:/13030/ kt0n39q6hv); Città del Vaticano, Arch. segreto Vaticano, Segreteria dei Brevi, 906, cc. 19r, 25r; Segreteria di Stato, Cardinali, 21, c. 130r; 25, c. 185r; 27, cc. 72r-73v; Bibl. apostolica Vaticana, Barb. Lat., 2538, cc. 87r-88v; B.5335, cc. 173r-181r; 5551, cc. 1r-7v; 5478, cc. 1r-14v; 8738; Chigiano, R.I.4; Roma, Arch. storico del Vicariato, Sant’Eustachio, Battesimi, 1565-1705, f. 217v; L. Cardella, Memorie storiche di cardinali della S.R.C., VII, Roma 1793, pp. 18 s.; S. Pallavicino, Della vita di Alessandro VII libri cinque, Prato 1839, pp. 240-250; P. Litta, Famiglie celebri italiane, Orsini di Bracciano, Milano 1848, tav. XVIII, p. 133; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV,1, Roma 1932, ad ind.; J. Wodka, Zur Geschichte der nationalen Protektorate der Kardinäle an der römische Kurie, Innsbruck-Leipzig 1938, pp. 107 s.; 113; 116; A. Antunes Borges, Provisão dos bispados e concílio nacional no reinado de D. João IV, in Lusitania Sacra, II (1957), pp. 111-219; III (1958), pp. 95-164; V. Celletti, Gli Orsini di Bracciano, Roma 1963, pp. 185-189; Sacrae Congregationis de Propaganda Fide memoria rerum, I, 1 (1622-1700), a cura di J. Metzler, Rom-Freiburg-Wien 1971, pp. 275, 408-412; I, 2, ibid. 1972, p. 254; G. Tomassetti, La Campagna romana antica, medievale e moderna, II, Roma 1976, p. 625; S.M. Seidler, Il teatro del mondo. Diplomatische und journalistische Relationen von römischen Hof aus dem 17. Jahrhundert, Frankfurt a M. 1995, p. 310; C. Costantini, Fazione urbana. Sbandamento e ricomposizione di una grande clientela a metà Seicento, Genova 1998, p. 129; C. Benocci, Paolo Giordano II Orsini nei ritratti di Bernini, Boselli, Leoni e Kormann, Roma 2006, ad ind.; Nuntiaturberichte aus Deutschland. Die Kölner Nuntiatur, IX, 1, Nuntius Fabio Chigi (1639 Juni-1644 März), a cura di M.T. Börner, Paderborn-München-Wien-Zürich 2009, ad ind.;O. Poncet, La politica dell’indulto. Diplomazia pontificia, rivoluzione portoghese e designazioni episcopali (1640-1668), in Gli archivi della Santa Sede come fonte per la storia del Portogallo in età moderna. Studi in memoria di Carmen Radulet, a cura di G. Pizzorusso et al., Viterbo 2012, pp. 63-87.

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