VIRUS

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

VIRUS

Angelo Carere

Generalità. - Negli ultimi 30 anni la virologia ha avuto uno sviluppo enorme portando contributi fondamentali alla biologia e alla medicina; ciò è dimostrato anche dal fatto che diversi premi Nobel sono stati assegnati a scienziati impegnati in questa disciplina; tra questi R. Dulbecco. Durante tale periodo la virologia, che era iniziata come scienza applicata mirante essenzialmente allo studio dei v. come agenti di malattie infettive, ha esteso i suoi interessi a livello molecolare fornendo modelli per studi di fisiologia cellulare, di fenomeni ereditari e di oncogenesi virale. In tal modo il significato di v. come entità genetica ha assunto un'importanza uguale se non superiore al suo ruolo di agente eziologico di malattie infettive; si tratta d'altronde di due aspetti intimamente connessi perché è proprio attraverso le interazioni genetiche con la cellula ospite che il v. causa la malattia. Oggi sappiamo che le infezioni virali sono estremamente diffuse; in pratica sono state trovate in tutti i tipi di forme viventi e sono caratterizzate da una grande varietà di sintomi. Sono stati individuati e si continuano a individuare nuovi tipi di v. e di virosi corrispondenti nel regno sia animale che vegetale.

I progressi più importanti della virologia sono stati ottenuti da una parte col raffinamento delle tecniche per lo studio delle caratteristiche morfologiche e chimico-fisiche dei v., dall'altra con il ruolo assunto dai v. tumorali e altri v. nello studio della biochimica e genetica cellulare. Attualmente le ricerche sono concentrate soprattutto sulle interazioni, a livello molecolare, tra v. e cellula ospite, campo di studio della virologia molecolare.

Genetica dei virus. - Lo studio della genetica dei v., specialmente batterici, ha contribuito grandemente a chiarire problemi fondamentali della biologia come quelli della ricombinazione genetica, della duplicazione dell'acido nucleico, della struttura e funzione del gene, della mutazione, del controllo dell'espressione genica, della sintesi proteica e dei processi di assemblaggio delle strutture macromolecolari. Ciò è stato possibile perché i genomi virali sono molto piccoli e aploidi e perché si è riusciti a trovare tecniche che hanno permesso di produrne grandi quantità in laboratorio e tecniche selettive per l'isolamento di mutanti. Anche per i v., come per tutti gli organismi viventi, prerequisito indispensabile per l'analisi genetica è il riconoscimento di differenze in caratteri ereditabili che sorgono per mutazione spontanea o indotta e servono come marcatori genetici. Da un ceppo di v. di tipo normale (cosiddetto "selvatico", dall'inglese wild type) possono derivare vari tipi di mutanti utilizzabili per l'analisi genetica. Tra questi ricordiamo i principali:

a) mutanti morfologici: sono mutanti riconoscibili per il diverso aspetto delle placche (aree litiche) prodotte su un determinato tipo di ospite;

b) mutanti di ospite (in inglese host-range): sono quelli per cui è alterato (ristretto o allargato) il numero di ospiti su cui possono crescere;

c) letali condizionali: possono essere temperatura-sensibili o mutanti di tipo "non senso" (v. codice genetico); il nome deriva dal fatto che si tratta di mutanti letali solo in particolari condizioni, dette "non permissive", mentre si possono riprodurre normalmente in condizioni diverse o permissive. I mutanti temperatura-sensibili sono capaci di crescere a una certa temperatura (per es. 30 °C-35 °C) ma non a una temperatura superiore (per es: 41-42 °C) non permissiva; in genere questo tipo di mutazioni è dovuto a cambiamenti di singole basi dell'acido nucleico che comportano la sostituzione di singoli amminoacidi nelle proteine codificate dai geni alterati; tali sostituzioni riducono l'ambito di stabilità termica delle proteine.

I mutanti "non senso" possiedono nell'RNA messaggero una tripletta (codone) senza senso (UAA, UAG o UGA; v. codice genetico) che non è riconosciuta da alcun tRNA (v. sintesi proteica); tali mutanti possono però riprodursi su mutanti batterici dove si è avuta la sostituzione di una base in uno dei geni che codificano i tRNA. Il nuovo tRNA prodotto viene ancora riconosciuto dallo stesso enzima attivante e quindi caricato dallo stesso amminoacido; avendo però una base diversa nell'anticodone, questo tRNA è capace di riconoscere anche una delle triplette "non-senso" permettendo la replicazione del fago. I mutanti letali condizionali sono particolarmente utili perché permettono di studiare mutazioni di funzioni essenziali (per es. sintesi del DNA, trascrizione, assemblaggio, ecc.) che altrimenti sarebbe impossibile studiare data la loro letalità.

Infezione mista. - Si ottiene quando s'infetta contemporaneamente un unico ospite con due specie virali diverse o con due mutanti della stessa specie; il risultato varia a seconda del tipo d'infezione; per es., infettando il batterio E. coli con due tipi di fagi T2 e T4 che si differenziano per le proteine della coda e per il recettore che utilizzano sul batterio, si ottiene una progenie mista composta di 4 tipi di fagi: T2, T4, fagi con DNA di T4 e coda di T2 e fagi con DNA di T2 e coda di T4; i fagi "misti" sono dovuti a un fenomeno noto come "mescolamento fenotipico" per cui nel citoplasma del batterio infettato ci sono molecole di DNA di T2 e di T4, capsidi di T2 e T4 contemporaneamente; capsidi e DNA si associano a caso dando luogo ai 4 tipi di v. descritti; mescolamenti analoghi avvengono per coppie di v. animali e vegetali.

Ricombinazione. - Da un'infezione mista con due mutanti diversi, per es. un mutante morfologico e uno host-range, si ottiene una progenie composta per la maggior parte dei due tipi parentali ma anche di due tipi cosiddetti "ricombinanti", cioè uno che porta entrambe le mutazioni (doppio mutante) e l'altro nessuna delle due (tipo selvatico); tra i genomi dei due mutanti si è avuta ricombinazione, cioè uno scambio di frammenti di DNA (v. ricombinazione genetica); la frequenza di ricombinazione tra due mutanti è funzione della distanza tra i due loci mutanti sul cromosoma virale; l'analisi genetica mediante incroci di questo tipo permette di costruire mappe genetiche dei virus. Per quanto riguarda la localizzazione dei geni virali ci si è serviti essenzialmente dei metodi classici dell'analisi genetica formale, basata su esperimenti d'incrocio; in alcuni casi tuttavia è stato possibile mappare alcuni geni virali combinando la microscopia elettronica con tecniche d'ibridazione (Westmoreland, 1969); tale approccio è però possibile solo per i v. con DNA a doppia elica e quando sono disponibili ceppi mutanti; con tale tecnica Morrow e Berg nel 1972 sono riusciti a identificare piccoli segmenti del genoma del v. 40 della scimmia (SV40). Altri metodi sono basati su esperimenti di mutagenesi selettiva (C.I. Kado e C. Knight, 1966) o, quando è possibile come nel fago R17, sull'analisi della sequenza dei nucleotidi.

Complementazione. - Se s'infetta la cellula ospite con due fagi mutanti letali condizionali di uguale fenotipo in condizioni non permissive, si può avere moltiplicazione di entrambi i mutanti senza ricombinazione: la progenie sarà ancora costituita dai due tipi parentali; ciò è possibile a causa della complementazione; si ha cioè moltiplicazione virale perché ciascuno dei due mutanti fornisce la funzione difettiva dell'altro. Se invece due mutanti non dànno complementazione (cioè in questo caso non si ha ciclo litico normale) si dice che le due mutazioni appartengono allo stesso tipo di complementazione o cistrone; in tal modo è possibile, avendo un gran numero di mutanti, suddividerli in gruppi di complementazione (cistroni). Questo tipo di analisi funzionale è possibile con tutti i v. qualunque sia il loro acido nucleico (DNA o RNA); invece l'analisi genetica è possibile per i v. a DNA ma non per quelli a RNA, per i quali non si è ancora trovata evidenza di ricombinazione. Vi sono però alcune eccezioni importanti: si tratta dei mixovirus (agenti dell'influenza) e degli oncornavirus (agenti oncogeni); in entrambi i casi, in infezioni miste fra mutanti, si ottengono frequenze di ricombinazione molto alte (fino al 50%) per certe mutazioni mentre altre non presentano ricombinazione. L'analisi dell'RNA virale ha permesso di spiegare tale fenomeno; per entrambi i tipi di v. l'RNA genomico è composto da un insieme di molecole indipendenti (6-7 per i mixovirus, 4 per gli oncornavirus); in altre parole, i v. contengono più di un cromosoma. L'apparente ricombinazione è da attribuirsi all'assortimento indipendente delle molecole di RNA, equivalente alla ricombinazione intercromosomica degli organismi superiori, se le due mutazioni sono localizzate su due frammenti diversi. Se le due mutazioni stanno sullo stesso frammento non si ha ricombinazione. Si è dimostrato che questo tipo di ricombinazione è responsabile della comparsa dei ceppi nuovi del v. dell'influenza che si manifestano ogni dieci anni circa e che causano disastrose epidemie mondiali (pandemie). Tali ricombinazioni possono avvenire fra i v. dell'influenza umana e altri mixovirus che hanno come ospiti abituali altri animali.

Ruolo delle colture cellulari nello studio dei virus animali. - Fino al 1950 lo studio dei v. animali era stimolato soprattutto dall'importanza di certe malattie virali dell'uomo e degli animali domestici; tuttavia allora il mezzo di propagazione dei v. era quasi sempre l'intero animale da laboratorio; le difficoltà nel trattare quantità di animali sufficientemente grandi per lavori quantitativi precisi ostacolavano il progresso delle ricerche; la coltivazione di alcuni v. nelle uova embrionate di pollo aveva ovviato solo in parte a tali difficoltà ma non si potevano ancora isolare cellule individuali infettate con virus. Nel 1949 J.F. Enders e coll. dimostrarono che i v. potevano essere propagati ad alto titolo in cellule espiantate o in frammenti di tessuto cresciuti in colture. Nel 1952 R. Dulbecco descrisse un test quantitativo (plaque assay) basato sull'uso di colture cellulari che permettevano il conteggio accurato delle particelle virali responsabili della poliomielite e della malattia equina dell'ovest. In tal modo si poterono isolare i prodotti dell'incontro di un singolo v. con una singola cellula e si poterono controllare, in cellule animali individuali, i concetti che erano stati sviluppati dagli studi sui batteriofagi. La diffusione dell'uso di tessuti espiantati per la propagazione virale e del plaque assay aprirono il campo alla virologia animale quantitativa. Le prime colture cellulari in vitro erano le cosiddette "colture primarie", isolate di fresco da tessuti tripsinizzati, di solito fibroblasti embrionali di pollo, e tessuti tritati di milza o testicoli di scimmia. Tali colture tuttavia non potevano crescere indefinitamente e occorreva ritornare continuamente ai tessuti primari, a scapito della riproducibilità degli esperimenti. Nel 1948 K. K. Sanford e coll. svilupparono per primi le tecniche per le colture continue di cellule adatte per lavorare con v.; verso la fine degli anni Quaranta furono sviluppati ceppi di cellule di topo che potevano crescere indefinitamente in coltura in vitro e inoltre fu ottenuta la crescita di una coltura di un singolo fibroblasto di topo (K. K. Sanford e altri, 1959). Da allora sono state stabilite colture continue di cellule di molti vertebrati e invertebrati (insetti, pesci, rane, roditori, maiali, cani, gatti, scimmie e uomo). Le tappe principali, nel rendere l'impiego delle colture cellulari più semplice e utile, furono le seguenti:1) l'uso di antibiotici che non danneggiavano le cellule animali ma al tempo stesso impedivano le contaminazioni batteriche; 2) l'isolamento di una linea di carcinoma umano (HeLa) che poteva crescere indefinitamente in coltura ed era suscettibile a un gran numero di v. umani (G. O. Gey e altri, 1952; W. F. Scherer e altri, 1955); 3) lo sviluppo, da parte di H. Eagle (1960), di un terreno colturale semplice e ben definito per la crescita di molte colture cellulari; 4) il raffinamento delle tecniche per la crescita di singole cellule di mammifero (T. J. Puck e altri, 1957). Due aspetti della virologia approfittarono subito e in modo uguale della diffusione delle colture cellulari e del saggio quantitativo di placca: le ricerche cliniche ed epidemiologiche portarono alla scoperta di centinaia di nuovi v., così tanti che alcuni restarono non correlati a malattie note (G.G. Jackson e R.I. Muldoon, 1975). La produzione su larga scala di v. permise la produzione di vaccini da colture cellulari; il vaccino antipolio poté essere somministrato a centinaia di milioni di persone all'inizio degli anni Sessanta e ora tale malattia è fortemente diminuita in tutto il mondo. Furono prodotti nuovi vaccini per altri v., come quello della rosolia (K. Naficy e R. Nategh, 1972). Anche il virologo di base approfittò della possibilità di produrre su larga scala i v. poiché nello stesso periodo si resero disponibili procedure per la loro purificazione; altro importante vantaggio fu la disponibilità di cellule che erano omogenee all'origine e potevano essere infettate simultaneamente in quantità sufficienti per permettere studi biochimici e genetici.

Patogenesi dell'infezione virale.

Molte delle maggiori infermità - vaiolo, poliomielite, febbre gialla, influenza - come anche le malattie, di solito più miti, dell'infanzia - rosolia, orecchioni, varicella - sono causate da infezioni con v. specifici; inoltre da lungo tempo si sospetta che un gran numero di malattie minori che compaiono nell'uomo in forma sia sporadica che quasi-epidemica possono essere causate da v.; oggi si ritiene anche che alcune malattie croniche neurologiche lentamente progressive possono avere un'origine virale. L'eziologia virale delle malattie umane è difficile da provare con l'inoculazione in animali poiché i soli risultati facilmente evidenziabili negli animali sono effetti drammatici come la paralisi o la morte. Con l'avvento delle moderne tecniche delle colture cellulari in vitro per la rivelazione degli effetti citopatici dei v., la pratica della virologia clinica è mutata profondamente. Non solo i virologi possono isolare facilmente v. noti, ma possono anche usare i nuovi metodi per cercare d'individuare gli agenti responsabili di malattie d'origine ignota. Ciò ha portano alla scoperta di diverse centinaia di nuovi agenti capaci d'infettare l'uomo e gli animali domestici.

Non esiste un solo metodo per raggruppare i v. responsabili di malattie in uno schema di classificazione semplice; infatti nessuno stato di malattia clinica è causato da un solo tipo di v. e nessun gruppo singolo di v. influenza un solo tessuto specifico. Per es. malattie solitamente miti dell'arco respiratorio superiore possono essere causate da picornavirus (i v. del comune raffreddore sono i rinovirus), adenovirus, mixovirus (influenza), paramixovirus (v. sinciziale respiratorio) e probabilmente da altri come i reovirus e i coronavirus, questi ultimi scoperti di recente. Infezioni del fegato sono causate da togavirus (febbre gialla) e v. dell'epatite; infezioni del sistema nervoso centrale che possono portare a paralisi e morte sono causate da togavirus (esistono dozzine di v. diversi dell'encefalite), picornavirus (v. della polio) e rabdovirus (rabbia) per citarne i più comuni. Malattie virali sistemiche che causano preminenti eruzioni della pelle includono una delle più temute infezioni virali, il vaiolo, come alcune delle infezioni più comuni e miti (rosolia, morbillo e chicken-pox). Il v. del vaiolo è un tipico membro del gruppo dei poxvirus; quello del morbillo è un paramixovirus; quello della rosolia è un togavirus; il chicken-pox o varicella è causato da un herpesvirus e non da un poxvirus come il nome potrebbe far pensare.

Malattie acute e infezioni subcliniche o inapparenti. - C'è un vasto spettro di severità nel corso delle infezioni umane con un v. particolare; per es. solo il 10% delle persone con infezione da poliovirus mostra coinvolgimento del sistema nervoso centrale che può portare anche a una paralisi temporanea (D. Bodian, 1955); quello degli orecchioni è un altro agente enormemente diffuso (circa il 90% della popolazione) come risulta dall'evidenza immunologica dell'infezione passata. L'infezione subclinica o inapparente è probabilmente frequente poiché solo una metà degli adulti con anticorpi specifici degli orecchioni nel loro sangue ricorda di aver avuto la malattia. Molti dei v. recentemente scoperti vengono spesso isolati da persone senza sintomi particolari; l'infezione inapparente sembra la regola. D'altra parte le infezioni con v. della rosolia producono invariabilmente i sintomi classici in ogni persona non immune; per questo l'epidemia di rosolia in popolazioni non immuni possono produrre risultati catastrofici; molti amerindi furono probabilmente uccisi dal v. della rosolia portato dagl'invasori europei e i nativi delle isole Färöer furono terribilmente afflitti dalla rosolia quando il v. fu introdotto accidentalmente dopo molti anni di assenza. Questa malattia resta ancora un'importante causa di morte in paesi in via di sviluppo (K. Naficy e R. Nategh, 1972).

Infezioni virali persistenti. - La maggior parte delle infezioni virali menzionate causano i loro sintomi entro pochi giorni (2-3 settimane al massimo) e la malattia è acuta, con decorso rapido e fisso, di breve durata. Si va inoltre riconoscendo un sempre maggior numero d'interazioni a lungo termine sia nell'uomo che negli animali:

1) infezioni latenti: sono caratterizzate da lesioni intermittenti portanti il v. che poi scompare spontaneamente, divenendo "latente" e non più isolabile; tipica è l'infezione del labbro da herpesvirus, a tutti familiare; queste infezioni croniche virali esplodono in risposta a vari stimoli che includono l'eccesso di sole (probabilmente radiazione U.V.) e di febbre, donde, in ques'ultimo caso, il nome di "bolla della febbre". Infezioni latenti da herpes sono responsabili di un altro quadro clinico comune; la varicella è causata dallo stesso v. che può essere isolato molti anni più tardi dalle lesioni dell'Herpes Zoster, malattia caratterizzata da vescicole cutanee, molto dolorose, distribuite lungo il tratto di un nervo periferico; apparentemente il v. della varicella resta dormente nel ganglio dell'area affetta ed è attivato dal suo stato "latente" da vari insulti fisici o farmacologici;

2) infezioni croniche: da quando si sono resi disponibili i moderni metodi delle colture cellulari in vitro si è visto che l'uomo può essere portatore di molti v. per lunghi periodi senza manifestare sintomi di malattia. Il v. EB (Epstein-Barr) è un herpesvirus che può causare la mononucleosi infettiva e può anche essere associato a casi di cancro umano (linfoma di Burkitt e carcinoma-naso-faringeo); esso è portato in una forma cronica asintomatica da molti uomini (G. Henle e W. Henle, 1972). Un altro herpesvirus, il citomegalovirus, può essere acquisito per via congenita e portato senza incidenti anche se gl'individui posseggono anticorpi individuali (D. Rifkind e altri, 1967). Sono note anche infezioni croniche da adenovirus senza malattia. Il v. dell'epatite B è responsabile di una delle infezioni potenzialmente croniche più importanti dal punto di vista clinico (D. Denhardt, 1976). Questo v. è trasmesso soprattutto da portatori cronici asintomatici ad altre persone attraverso trasfusioni di sangue o iniezioni con aghi contaminati, anche se può essere diffuso pure per contatto; in alcuni casi, l'infezione può portare alla malattia cronica del fegato. La coriomeningite linfocitica dei topi è forse l'infezione cronica virale di animali più nota.

Infezioni virali lente. - Questo gruppo d'infezioni è un'affascinante collezione di condizioni umane e animali in cui dopo esposizione a un v. la persona o l'animale diventa malato gradualmente per molti anni. Un v. lento, il visna, è stato isolato dalle pecore e identificato come la causa di una malattia neurologica paralizzante lentamente; è un v. simile a quelli tumorali a RNA, nel senso che possiede trascrittasi inversa e può trasformare cellule in coltura.

Un caso drammatico, presumibilmente legato a un v. lento, è stato scoperto tra i mangiatori di teste della Nuova Guinea dove è stato praticato ritualmente il cannibalismo. Tutte le vittime di una malattia neurologica mortale chiamata Kuru avevano mangiato per 20 anni tessuti umani probabilmente contaminati. O. C. Gadjusek e coll. (1969) sono riusciti a trasmettere in scimmie (scimpanzè) un agente filtrabile da tessuto cerebrale umano infetto. La natura del v. è sconosciuta. Un caso simile di agente filtrabile non ancora caratterizzato, il v. scrapie, è stato isolato dalla pecora e si pensa che venga trasmesso direttamente dalla madre all'agnello; la malattia ha un periodo di latenza di anni, ma il v. scrapie può essere trasmesso ai topi dove l'encefalopatia diviene evidente in 4-6 mesi. Entrambi questi agenti non caratterizzati (Kuru e Scrapie) mostrano proprietà insolite: non si riesce a dimostrare alcun tipo d'immunità contro di essi e inoltre gli agenti denaturanti le proteine hanno scarso effetto sull'infettività che è anche resistente ai raggi U.V. È stato suggerito che un piccolo RNA intimamente associato a membrane può essere il responsabile di queste strane malattie (T.O. Diener, 1972).

Controllo dell'infezione Virale. - Oltre allo sradicamento dei vettori, due sono i principali approcci per controllare le infezioni virali: la vaccinazione, usata con successo da molti anni, e la chemioterapia, nuova e per ora utile solo in casi speciali.

Immunizzazione: vaccini vivi e morti. - Il primo esempio d'immunizzazione efficace contro un agente infettivo fu quello contro il vaiolo di E. Jenner; il successo di Jenner era basato sull'uso del v. vaccino, un v. immunologicamente correlato al v. del vaiolo, ma non virulento come questo. Per molti anni si è ritenuto che l'approccio di Jenner dovesse essere seguito per ottenere un'immunità veramente efficace e duratura. Così i ceppi del v. della rabbia venivano attenuati per passaggi successivi su cervello di coniglio; anche il vaccino contro la febbre gialla era fatto con un ceppo attenuato. L'approccio dei vaccini basati su v. uccisi ricevette un importante impulso dallo sviluppo di un vaccino antipolio trivalente (J.E. Salk, 1953). Si trattò di un trionfo non solo per la virologia clinica ma anche per le tecniche di colture di cellule animali in vitro. La preparazione di un efficace vaccino morto fu resa possibile dallo sviluppo di metodi per ottenere grandi quantità di virus. Il solo trattamento subito dal fluido della coltura di tessuto infetto fu l'inattivazione del v. con formalina. In uno dei più grandi esperimenti mai condotti sull'uomo si vide che il vaccino di Salk procurava un'effettiva immunità contro il poliovirus, così provando che se è disponibile sufficiente antigene virale, si può preparare un efficace vaccino ucciso. L'uso su larga scala di questo vaccino iniziò nella primavera del 1954; dal 1957 negli SUA si poté osservare una marcata riduzione dei casi di polio. In seguito furono sviluppati anche vaccini vivi attenuati antipolio (H. Koprowski e altri, 1952; A.B. Sabin, 1957), che risultarono ugualmente o ancor più efficaci nel ridurre l'incidenza della poliomielite. I vaccini vivi attenuati posseggono alcuni vantaggi pratici e teorici; anzitutto sono semplici da somministrare e penetrano attraverso la via normale; inoltre essi inducono livelli più alti di anticorpi circolanti e di anticorpi IgA da parte delle cellule esocrine locali. Infine, poiché i ceppi attenuati sono stati ottenuti per mutazioni successive, diventa molto improbabile un loro ritorno alla virulenza (J.L. Melnick, 1971). I vaccini umani attualmente disponibili sono i seguenti: vaccini vivi o attenuati: vaiolo, polio, rosolia, febbre gialla, rabbia, adenovirus tipi 3,4,7 (raramente usati salvo situazioni epidemiche perché sospettati di potenziali rischi oncogeni anche se finora non dimostrati), orecchioni; vaccini uccisi: polio, rosolia, rabbia, adenovirus 3,4,7, orecchioni, influenza, v. respiratorio sinciziale.

Esistono spesso notevoli difficoltà nello sviluppare adeguati programmi di vaccinazione; per es. i vaccini contro l'influenza basati su v. uccisi con formalina sono efficaci nel ridurre la frequenza di attacco dell'influenza (F.M. Davenport, 1971), ma questa immunità non è durevole e il vaccino è alquanto tossico, specialmente per l'infanzia. Gli anticorpi circolanti diminuiscono velocemente dopo la vaccinazione e la resistenza all'influenza si abbassa, specialmente con i ceppi di tipo A, finché è ridotta del tutto entro 6 mesi. I problemi della breve durata dell'immunità potrebbero essere superati dalle vaccinazioni annuali, ma la variabilità dei ceppi naturali di v. dell'influenza rende suscettibile all'attacco anche l'individuo vaccinato. Questa variabilità antigenica ha mostrato i suoi effetti nelle pandemie del 1889, 1918, 1957, 1968 e sul finire degli anni Settanta. La severità di tali epidemie può essere limitata dalla pronta produzione e somministrazione di vaccino contro un ceppo particolare di v. prima che si diffonda troppo. Se la capacità dei v. dell'influenza di variare antigenicamente non fosse senza limiti, si potrebbero includere i gruppi principali di v. in un vaccino polivalente.

Ugualmente complessi sono i problemi quando si considerano i programmi di vaccinazione contro i v. respiratori; non esiste infatti un unico tipo di v. responsabile della maggior parte delle malattie respiratorie umane, sicché una vaccinazione efficace dovrebbe includere molti tipi di virus. Per i vaccini vivi si dovrebbero sviluppare ceppi attenuati di ogni tipo di v. che andrebbero poi somministrati sequenzialmente per evitare intenerenze capaci d'impedire l'immunità. Problemi possono insorgere anche in casi in cui un singolo tipo di v. causa una malattia significativa; per es. per la rosolia esistono vaccini sia attenuati che uccisi; i primi vaccini attenuati causavano malattie sistemiche severe con febbri alte nel 25% dei bambini; un ceppo meno virulento, il ceppo Edmonton, molto usato negli SUA, ha ridotto al 10-15% i casi di febbre e rosolia e non causa l'encefalite come può avvenire con il ceppo selvatico del v. della rosolia; di uso corrente è ora il ceppo Schwarz che induce sintomi ancora minori di febbre (S. Krugman, 1971). È stato prodotto anche un vaccino ucciso, ma oltre a indurre bassi livelli di anticorpi, in alcuni bambini provoca severe reazioni, forse di natura allergica. Uno dei problemi più critici, anche se potenziale, nell'impiego di vaccini vivi per il controllo di malattie minori, è la possibile contaminazione con v. tumorali. Sono noti molti v. che producono tumori in animali; alcuni di questi v. possono essere occasionalmente introdotti nelle uova di pollo e nelle colture di milza di scimmia che servono per produrre vaccini. La soluzione migliore del problema della vaccinazione contro le malattie meno serie dovrebbe trovarsi nella produzione di vaccini virali altamente purificati (H. Bachrach e S. S. Breese, 1968).

Interferenza virale. - Un altro tipo di resistenza all'infezione virale è l'interferenza; si tratta del fenomeno per cui in alcuni casi d'infezione mista di due tipi di v. nello stesso organismo o nella stessa cellula uno dei due v. può essere inibito e non riuscire a riprodursi. Grazie agli studi di A. Isaacs e I. Lindemann (1957) si è potuto stabilire che tale fenomeno è mediato da una sostanza prodotta e secreta dalle cellule infettate da v. e detta interfoon; si tratta di una proteina di P. M. diverso a seconda della specie cellulare infettata (nel pollo 38.000, nell'uomo 26.000 dalton rispettivamente); tale proteina, che agisce solo sulle cellule della stessa specie e non sui v., esplica la sua azione al di fuori delle cellule; essa interagisce con un recettore specifico e stimola la sintesi di una proteina capace d'inibire, a livello dei ribosomi, la traduzione di mRNA virali, mentre quelli cellulari possono essere tradotti (v. sintesi proteica). Attualmente una prospettiva molto promettente in medicina è basata sul trattamento profilattico con potenti induttori d'interferon non infettivi; in tal senso, gli RNA sintetici a doppia elica sono i migliori induttori, anche se, ad alte dosi, sono alquanto tossici; sarebbe importante trovare induttori non tossici. Un altro aspetto molto importante riguarda la via di somministrazione degl'induttori; è stato osservato infatti che nei topi trattati con preparazioni di RNA dette statoloni, ottenute dal fungo Penicillium stoloniferum, l'iniezione intraperitoneale induce una bassa protezione contro l'infezione con v. influenzale, anche se produce alti livelli ematici d'interferon; somministrato invece per via orale, prima dell'infezione, lo statolone conferisce protezione per alcuni giorni; ciò sembra dovuto al fatto che esistono delle barriere che impediscono all'interferon circolante di raggiungere le cellule delle vie respiratorie nelle quali inizia l'infezione influenzale; queste osservazioni, insieme con il fatto che la via intranasale è l'ingresso più frequente per i v. animali, suggeriscono che la somministrazione intranasale d'induttori d'interferon può costituire una tecnica conveniente ed efficace contro l'infezione respiratoria da virus. In conclusione, i tentativi di usare l'interferon nel trattamento di malattie umane si scontra anzitutto con la mancanza di materiale sufficiente e anche con il fatto che la somministrazione di proteine impure può produrre reazioni allergiche. Mentre il suo impiego pratico su larga scala resta questionabile, la ricerca di migliori induttori d'interferon sembra più promettente.

Chemioterapia dell'infezione virale. - Il rapido aumento delle nostre conoscenze sull'espressione genica a livello della trascrizione del DNA e della traduzione dell'RNA è stato possibile anche dalla parallela scoperta del modo di azione di alcuni inibitori specifici come la puromicina, l'actinomicina, la cicloesimide e la mitomicina. Putroppo tali agenti non hanno mostrato alcuna azione preferenziale sulle attività sintetiche controllate dal v. o dalla cellula ospite, per cui si sono rivelati inutili come possibili agenti antivirali. Invero, la correlazione tra attività sintetiche virali e quelle della cellula ospite è così intima che molti ricercatori ormai disperano di poter trovare farmaci capaci d'interrompere specificamente la sintesi virale senza danneggiare quella della cellula ospite. Eppure alcuni composti chimici efficaci sono stati trovati in un numero limitato d'infezioni virali e si continuano ricerche in questo campo. I tre principali punti possibili per bloccare la moltiplicazione virale sono i seguenti:1) attacco e/o penetrazione prima che il v. inizi a dettare la sintesi intracellulare; 2) interruzione delle funzioni dell'acido nucleico virale o delle proteine virali; 3) interruzione della maturazione virale e/o dell'uscita dalla cellula. Qualche successo è stato ottenuto con farmaci che agiscono a livello della sintesi dell'acido nucleico o delle proteine virali; inoltre, almeno un farmaco efficace è noto per ognuna delle altre due categorie.

Inibitori della penetrazione. - Se si potesse somministrare senza pericoli la neuroaminidasi per inalazione su larga scala prima del contatto con il v. dell'influenza, si potrebbe ottenere un'effettiva protezione contro questo v. distruggendone i recettori. Nel topo ciò avviene; anche gli anticorpi contro la neuroaminidasi virale purificata proteggono i topi dall'influenza (J. K. Schulman e coll., 1968); la penetrazione del v. dell'influenza sembra quindi una tappa vumerabile nella replicazione del virus. Un interesse considerevole ha suscitato la scoperta di un agente antivirale, la 1-adamantanamina cloridrato, che sembra impedire ai mixovirus la fusione con la membrana cellulare (G. E. Hoffman, 1973). Il composto ha un valore preventivo e forse anche un valore terapeutico se usato precocemente contro l'influenza.

Inibitori delle funzioni dell'acido nucleico o delle proteine virali. - Due agenti, la 2-(-idrossi-benzil)-benzimidazolo (HBB) e la guanidina bloccano lo sviluppo di alcuni enterovirus -polio, coxsackie, echo virus (L. Caliguiri e L. Tamm, 1973), - soprattutto in combinazione (H.J. Eggers, 1976). Un'altra classe di composti, i tiosemicarbazoni, specialmente l'isatin-β-tiosemicarbazione (IBT), hanno un effetto protettivo contro infezioni da pox virus nel topo; la prevenzione del vaiolo è stata chiaramente dimostrata con l'N-metil-isatin-β-tiosemicarbazone a Madras, in India (D. Bauer e altri, 1969). Un altro esempio di successo nella chemioterapia virale è l'uso della bromo- e iodo-deossiuridina (BUDR e IUDR) contro le infezioni da herpes dell'occhio (H. E. Kaufman, 1962). Diversi derivati della rifampicina, che inibiscono specificamente RNA polimerasi virali, sembrano almeno parzialmente efficaci contro l'azione in vitro della trascrittasi inversa di v. tumorali a RNA (B. Moss, 1973).

Inibizione dell'assemblaggio dei virus. - Un certo numero di agenti chimici che bloccano gli enzimi proteolitici (TPCK e TMCK, chetoni clorurati, la iodacetamide e alte concentrazioni di Zn++) possono interrompere infezioni da polio e rinovirus in colture cellulari, bloccando le scissioni proteiche virali.

Aggiornamento dei principali gruppi di virus. - Virus batterici o batteriofagi. - Gli unici batteri per i quali non sono stati ancora descritti batteriofagi sono quelli non ancora sufficientemente studiati come i mixobatteri, ferrobatteri, solfobatteri e batteri nitrificanti; per tutti gli altri sono stati riportati casi di v. batterici; tra questi vanno incluse le alghe blu-verdi (Cianoficee; R. S. Safferman e H. E. Morris, 1963) e i micoplasmi (R. N. Gourlay e altri, 1973). In generale si è visto che il range degli ospiti dei v. batterici non supera i confini tassonomici tra i diversi gruppi batterici; così i fagi attivi sui micrococchi non si moltiplicano sugli streptococchi e quelli degli enterobatteri non si moltiplicano nelle Pseudomonas; tuttavia la specificità fagica può essere più o meno larga; per es., un tipo di fago può moltiplicarsi solo su di un certo tipo di E. coli mentre un altro tipo si moltiplica oltre che su molti ceppi di E. coli anche sul genere Shigella, strettamente correlato. Inoltre, dato che i batteri possono acquistare la resistenza fagica attraverso varie tappe mutazionali, un ceppo sensibile a diversi fagi può produrre una serie di mutanti stabili resistenti a uno o più fagi.

Virus dei funghi (Micovirus). - Si tratta di un nuovo e interessante gruppo di v. che è stato scoperto solo dopo gli anni Sessanta. La tardiva scoperta dei micovirus è da collegare a due fattori principali: il preconcetto che i funghi fossero gli unici organismi immuni da infezioni virali in quanto produttori essi stessi di sostanze ad attività antibiotica e a volte anche antivirale e, inoltre, il fatto che i micovirus hanno la caratteristica di essere più lisogenici che litici, anche se la resistenza dei funghi alla lisi non è assoluta. E da tener presente che per la trasmissione dei v. fungini non è necessariamente indispensabile la lisi, poiché i funghi sono gli unici organismi che posseggono, accanto ai modi tradizionali di riproduzione sessuale e asessuale, la parasessualità (G. Pontecorvo). Il fenomeno in questione è caratterizzato dai seguenti eventi: plasmogamia, fusione dei due citoplasmi, eterocarion, appaiamento dei nuclei, cariogamia, fusione nucleare: i micovirus, presenti nel citoplasma dell'ospite, possono passare da un fungo infetto a uno sano senza bisogno di ricorrere alla lisi.

Durante gli anni Sessanta fu descritta per la prima volta una malattia endemica di natura virale che colpiva la crescita di un fungo coltivato, l'Agaricus bisporus. La malattia, nota come Die-back, comportava un calo della produzione e determinava alterazioni morfologiche del tessuto fungino. D.G. Gandy dimostrò che si poteva trasmettere la forma patogena da un fungo malato a uno sano semplicemente aggiungendo, alla coltura di quest'ultimo, un omogenato di fungo malato. Fu M. Hollings a rinvenire, per primo, tre tipi di particelle virali nel fungo affetto dalla malattia: due parasferiche (25 e 29 nm di diametro) e la terza bacilliforme (19 × 50 nm), dette v. 1, 2 e 3. Dopo questa scoperta l'interesse dei ricercatori si è esteso a molti altri funghi. Da allora sono stati identificati micovirus in più di 60 specie appartenenti a una cinquantina di generi diversi, ma i dati raccolti sono per lo più descrittivi, basati su osservazioni fatte al microscopio elettronico; solo alcuni v. fungini sono stati caratterizzati sotto il profilo biochimico e solo per pochissimi la definizione di v. si è dimostrata esatta nell'accezione comune del termine; è per questo che spesso per indicare i micovirus si usa più propriamente il termine "particelle similvirali", termine che sottolinea la somiglianza morfologica e strutturale di queste frazioni cellulari con i v., senza però implicare una delle funzioni virali principali: l'infettività. Infatti solo di rado si è riusciti a dimostrare un meccanismo di trasmissione diretta operato dai micovirus in condizioni sperimentali, se si esclude il caso dell'Agaricus e di pochi altri funghi mangerecci, dove si è potuto infettare un fungo sano iniettando estratti virali alla base del carpoforo.

Sebbene il primo micovirus sia stato scoperto nel fungo mangereccio A. bisporus, i sistemi più studiati sono quelli del Penicillium chrysogenum e del P. stoloniferum, due muffe utilizzate farmaceuticamente per la produzione di antibiotici. I risultati finora ottenuti suggeriscono che tutti i micovirus presentano notevoli affinità fra di loro; si tratta per lo più di piccole particelle poliedriche o sferiche, con diametri oscillanti dai 33 ai 44 nm. La forma esagonale, che risulta dalla colorazione negativa, suggerisce l'esistenza di una simmetria icosaedrica. Le particelle simil-virali contengono quasi sempre acido ribonucleico a doppia elica (ds-RNA); quello estratto dal v. purificato di P. chrysogenum ha una lunghezza media di o,86 micron, che corrisponde a un P.M. di 2 × 106.

Anche se sono necessari ulteriori studi per una classificazione formale, è stato proposto, per questo tipo di v., il termine Mycorna.

La difficoltà di misurare i titoli virali e la complessità cellulare dei funghi ospiti non hanno ancora permesso uno studio soddisfacente della replicazione dei v. fungini. Gli studi al microscopio elettronico hanno rivelato che con l'invecchiamento delle ife si ha un incremento nel titolo e nell'organizzazione dei micovirus. Nelle cellule più vecchie i v. si aggregano in estesi gruppi cristallini e, per ultimo, in vescicole molte delle quali sono derivate dalla membrana citoplasmatica. L'aggregazione dei v. fungini somiglia a quella vista per altri v. in diverse cellule eucariotiche (Herpesvirus, Adenovirus e i v. di certe piante, anch'essi aggregati e associati in strutture membranose). Una grande quantità di ds-RNA libero ed eterogeneo è stata isolata da specie di Penicillium e Aspergillus. Questo acido nucleico rappresenta probabilmente un insieme di stadi intermedi replicativi continui che si verificano nella sintesi del v. ma gli eventi genetici nel ciclo replicativo dei v. fungini restano ignoti. Recentemente è stata trovata un'attività RNA-polimerasica in preparati di v. purificati provenienti da P. chrysogenum e P. stoloniferum che farebbe pensare che i v. fungini si replichino nella cellula ospite come gli altri v. contenenti RNA.

L'interesse suscitato dalla scoperta dei micovirus è dovuto essenzialmente a tre fattori: il loro intervento sulla genetica dell'ospite che influenza molte caratteristiche del fungo, ereditate per via citoplasmatica; il loro probabile intervento sul metabolismo della cellula fungina, caratterizzato dalla produzione di metaboliti secondari tra cui alcuni antibiotici da parte del fungo; il loro rinvenimento in un certo numero di funghi patogeni per piante importanti dal punto di vista economico e quindi il loro possibile interesse nella fitopatologia.

Virus vegetali. - I fitovirus specifici finora segnalati sono più di 400, ma i più noti e chiaramente identificabili sono circa 200; i fitovirus sono soprattutto a RNA (a singola o doppia elica); solo una minoranza è a DNA (a doppia elica); il nome dei gruppi di v. vegetali di solito è ricavato per abbreviazione del nome del v. tipico di ogni gruppo; per es. Tobamovirus deriva da Tobacco mosaic virus, Potyvirus da Potato Y virus, ecc. Un elenco dei fitovirus si trova nel manuale di F. Fenner (1976). Tra i v. vegetali meglio noti ricordiamo: il v. del mosaico del tabacco, il v. X e il v. Y della patata, il v. del nanismo giallo della patata, il v. rattle e il v. Etch del tabacco, il v. della maculatura anulare del tabacco, il v. della necrosi del tabacco, il v. satellite della necrosi del tabacco, il v. mosaico della soia, il v. del giallume della barbabietola, il v. del nanismo cespuglioso del pomodoro, il v. del fagiolo del sud, il v. del mosaico giallo della rapa, il v. del mosaico alfalfa, il v. Gomphrena; si ricordano infine, per il loro grande interesse scientifico, i viroidi, entità virus-simili fatte di solo RNA e che sembrano funzionalmente molto diversi dai v. classici; i più noti sono il PSTV e il v. satellite del TNV, il più piccolo v. conosciuto.

Le virosi possono provocare danni economici notevoli, come nel decennio 1936-46, in cui il v. della "tristezza degli agrumi" causò la perdita, non in Italia, di circa 7 milioni di piante di arancio; ogni anno le virosi vegetali sono la causa di perdite considerevoli sia per quanto riguarda piante erbacee (patata, pomodoro, barbabietola, canna da zucchero, colture ortive, ecc.) che per quanto concerne piante da frutta.

Contro le virosi vegetali non esistono mezzi efficaci diretti di lotta; quelli indiretti consistono nel cercare di distruggere i vettori, creare varietà e razze piú resistenti ai v. mediante incroci, bruciare le piante infette.

Virus animali. - Tra i vertebrati sono noti v. capaci di causare malattie nei pesci (variole della carpa, tumori infettivi) e negli anfibi (tumore renale della rana "leopardo"). Negli uccelli sono stati trovati v. responsabili di molte malattie virali, alcune delle quali molto importanti dal punto di vista economico, quali la malattia di Newcastle e la laringotracheite. È importante notare che le malattie virali neoplastiche dei volatili, compresi il sarcoma e la leucemia, oltre alla loro importanza pratica, sono materiale preferito nello studio dei rapporti tra v. e tumori. Nei mammiferi sono stati descritti numerosi v. che causano malattie in animali sia domestici che selvatici; nel primo caso le virosi rappresentano un problema di notevole importanza a causa della loro diffusibilità, dei danni economici che arrecano e anche del possibile pericolo per la salute umana. Oltre ai v. che provocano le malattie più comuni come afta epizootica, cimurro, epatite virale, rabbia, peste e vaiolo, sono da ricordare i seguenti: v. dell'anemia infettiva, frequente nel cavallo, rara nel mulo e nell'asino; v. della peste suina; v. della peste e della pseudopeste (m. di Newcastle) aviaria; il secondo sembra derivato dal primo per mutazione; v. dell'aborto equino; v. della iatromelia, malattia enzootica dei topi di laboratorio; v. dell'encefalomiocardite ed encefalomielite di topo; v. della peste bovina; v. della stomatite vescicolare contagiosa; v. della pleuropolmonite essudativa dei bovini; v. dell'influenza (mixovirus) dell'oca, del suino e del cavallo; v. dell'encefalomielite equina dell'ovest e dell'est (arborvirus); v. del vaiolo dei conigli (poxvirus); v. del fibroma e mixoma del coniglio (poxvirus); v. del papilloma di Shope, causa di malattie in conigli; v. del papilloma dei mammiferi; v. polioma, causa di tumori in topo e criceti.

Virus umani. - Le malattie da v. nell'uomo sono state oggetto di ricerche particolarmente intense e feconde in questi ultimi anni, anche se ancora molto resta da fare; senza entrare in dettagli particolari per i quali si rimanda il lettore ai testi specialistici, segue ora una rassegna dei gruppi di v. responsabili delle principali infezioni virali umane, cause di malattie più o meno gravi:

1) Adenovirus: sono responsabili di una varietà di manifestazioni cliniche molto comuni soprattutto nell'infanzia e che vanno dalla faringite alla bronchite, croup, polmonite; sempre tra i bambini possono provocare cistite emorragica, una malattia simile alla pertosse, ed eruzioni della pelle. Tra le sindromi tipiche riconosciute c'è la malattia respiratoria febbrile acuta, comune specialmente nei campi di reclute militari dove può essere epidemica, la febbre faringo-congiuntivale e la cherato-congiuntivite epidemica.

2) Arborvirus: questi v., che sono così chiamati perché trasmessi da Artropodi, provocano varie malattie tra cui la febbre gialla, una malattia tropicale febbrile chiamata "Dengue", la febbre emorragica della "Dengue", encefaliti, la stomatite vescicolare e la febbre emorragica della Crimea e del Congo.

3) Arenavirus: si tratta di v. tristemente famosi per l'alta incidenza di effetti mortali; la mortalità della malattia nota come febbre di Lassa è del 30-60% tra i colpiti; quella della febbre emorragica boliviana è del 5-30%; quella della febbre emorragica argentina è del 3-15%; rare sono le morti dovute a infezioni da parte del v. della coriomeningite linfocitica che è il prototipo di questo gruppo.

4) Coronavirus: provocano malattie respiratorie simili al raffreddore che sono difficilmente distinguibili da altre malattie indotte da diversi v.; esse non risultano mai gravi, neanche nella prima infanzia.

5) Citomegalovirus (CMV): le infezioni da parte di questi v. sono estremamente comuni e solo raramente, nel neonato (infezione neonatale congenita), provocano una grave malattia con danni al sistema nervoso centrale. In individui normali, sporadicamente, l'infezione da CMV causa un tipo di mononucleosi infettiva, epatite, encefalite, colite ulcerativa; di solito l'infezione è clinicamente inapparente, con decorso benigno, e può essere riconosciuta solo con studi di laboratorio.

6) Enterovirus: questo gruppo comprende i polio, i coxsackie e gli echo, tutti v. ospiti del tratto digerente umano e responsabili di malattie che vanno da forme gravi di paralisi permanente a malattie minori indifferenziate. La poliomielite è una malattia infettiva acuta che, nelle forme più severe, colpisce il sistema nervoso centrale; la distruzione dei neuroni motori della spina dorsale determina la paralisi flaccida. I coxsackie producono una varietà di malattie che includono la meningite asettica, l'erpangina, la mialgia epidemica (pleurodinia, m. di Bornholm), miocardite, pericardite, polmonite, eruzioni cutanee e comuni raffreddori; possono avere un ruolo anche nelle malformazioni congenite e, forse, in alcuni casi di diabete. La meningite asettica, le malattie febbrili con e senza tosse e i comuni raffreddori sono tra le malattie causate dagli echo virus. Tra i nuovi tipi di enterovirus il v. 68 è causa di malattie respiratorie minori; il 70 è l'agente eziologico di epidemie di congiuntivite emorragica acuta, mentre il 71 causa meningite asettica ed encefalite.

7) Virus Epstein-Barr (EBV): membro del gruppo degli Herpes, questo è la causa della mononucleosi infettiva eterofilla positiva, di alcuni casi di eterofilla negativi e di casi occasionali di tonsillite e faringite dell'infanzia; raramente produce effetti sul sistema nervoso centrale. Il v. EBV è fortemente implicato nell'eziologia del linfoma africano di Burkitt (raro tipo di tumore che colpisce i bambini, in media di 8 anni) e del cancro nasofaringeo.

8) Virus dell'epatite virale: infiammazioni acute del fegato possono essere associate a infezioni da parte di diversi tipi di v. (herpes, febbre gialla, coxsackie, orecchioni); tuttavia il termine di "epatite virale" è di solito riservato a quelle infezioni dovute a due tipi di v. denominati A e B, che causano rispettivamente l'epatite virale di tipo A e quella più grave di tipo B.

9) Virus Herpes simplex 1 e 2: tra le varie manifestazioni dell'infezione da parte di questi v. si possono distinguere i seguenti casi: infezioni genitali, infezioni orali, Herpes labialis, cheratite erpetica, Herpes della pelle, infezioni respiratorie, infezioni neurologiche, Herpes neonatale; la loro presenza è stata associata al carcinoma della cervice uterina; per mancanza di informazioni precise il loro reale rapporto con il cancro umano, aborti, difetti alla nascita e malattie neurologiche non è attualmente possibile.

10) Virus dell'influenza: responsabili, in passato, di tremende epidemie come la famosa pandemia del 1919, questi v. si possono raggruppare in due tipi principali, A e B; tuttavia all'interno di ognuno di questi due tipi esistono ulteriori famiglie e sottotipi antigenicamente diversi; vengono designati con nomi come A/swine/3, A2/Singapore1/57, A/HongKong/1/68, ecc.; le loro epidemie ricorrono purtroppo con frequenza monotona, ognuna con il suo contributo di morte.

11) Virus del morbillo: membro del gruppo paramixovirus, è responsabile della malattia esantematica tipica dell'infanzia, clinicamente ed eziologicamente distinta, che va sotto il nome di morbillo ed è caratterizzata dall'esantema maculare. La mortalità è bassa quando la salute è buona, ma può raggiungere il 10% in circostanze sfavorevoli. Forme cliniche insolite sono l'encefalite e la panencefalite sclerosa subacuta.

12) Virus degli orecchioni: si tratta di una malattia acuta infettiva dell'infanzia e della prima gioventù, causata da un singolo ceppo di mixovirus; oltre alla ben nota sindrome della parotite, questo v. è anche causa di meningoencefalite; manifestazioni addizionali sono l'orchite e la sterilità, la mastite, l'ooforite, la pancreatite, l'artrite, la miocardite; raramente coinvolge il sistema nervoso centrale con produzione di meningite asettica, meningo-encefalite ed encefalite.

13) Virus della parainfluenza: membri del gruppo paramixovirus sono superati solo dal v. sinciziale respiratorio come causa importante di malattie del tratto respiratorio inferiore in bambini. Esiste una grande diversità nelle manifestazioni epidemiologiche e cliniche delle infezioni dovute a questi v.; il tipo para I è la causa principale del croup (laringo-tracheobronchite) nei bambini, mentre il para 3 è secondo solo al v. RS come causa di polmonite e bronchite in bambini minori di 6 mesi; il tipo para 2 somiglia al tipo para I come manifestazioni cliniche ma è meno virulento; il para 4 è il piú benigno.

14) Virus della rabbia: questo v., che di solito penetra in seguito al morso di un animale malato di rabbia, provoca una malattia acuta del sistema nervoso centrale dell'uomo e di animali domestici e selvatici, che di solito culmina con la morte. Pur non esistendo cura, la prevenzione tramite pulizia della ferita, vaccinazione e immunoterapia è molto efficace.

15) Virus sinciziale respiratorio: si tratta di un v. riconosciuto come il maggiore patogeno del tratto respiratorio inferiore dell'infanzia e prima gioventù, in tutto il mondo; ovunque è causa principale di bronchite e polmonite. Ancora senza risposta certa sono molte questioni urgenti legate alla patogenesi di malattie fatali riguardanti il tratto respiratorio inferiore nel caso d'infezione della prima infanzia. Un vaccino sicuro ed efficace non esiste ancora su larga scala.

16) Rinovirus: membri della famiglia Picornavirus sono i v. più importanti come causa del comune raffreddore; la loro scoperta ha portato alla conclusione che il raffreddore è una sindrome enormemente complessa in quanto il numero di v. immunologicamente distinti è cosí grande che l'uomo può essere infettato ogni anno da un nuovo v.; questa consapevolezza ha scoraggiato la ricerca di vaccini efficaci stimolando invece quella sulla chemioprofilassi.

17) Virus della rosolia: questo v. provoca una malattia contagiosa con blandi sintomi costituzionali e un'eruzione generalizzata. Nell'infanz:a è una malattia senza conseguenze; se avviene durante la gravidanza c'è il rischio significativo di danni gravi al feto.

18) Virus del vaiolo: provoca una malattia sistemica che può uccidere fino al 40-50% degl'individui non protetti che vengono colpiti. La malattia ha un caratteristico esantema che disfigura e talvolta rende ciechi i sopravvissuti. Un v. strettamente correlato, causa del vaiolo minore o alastrim, provoca un esantema simile ma una malattia molto meno severa (è fatale nel 2% dei casi).

19) Virus della varicella e dell'Herpes Zoster: si tratta dell'agente eziologico di due malattie dell'uomo, la varicella e l'herpes zoster; la prima è una malattia esantematica generalizzata, contagiosa, ubiquitaria, di propensione stagionale, che segue all'esposizione primaria di un individuo suscettibile, in genere bambino; l'herpes zoster è invece una malattia endemica sporadica che colpisce soprattutto le persone anziane. 20) Virus del linfoma di Burkitt (virus Epstein-Barr): provoca un linfoma maligno che colpisce i bambini in alcune parti dell'Africa e della Nuova Guinea dove la malaria è iperendemica; è invece raro in altre parti del mondo, in aree non malariche.

Ricostruzione e sintesi dei virus in laboratorio. - Ricostruzione. - Molti v. possono essere ricostruiti del tutto o in parte come elementi infettivi mettendo insieme le loro proteine con gli acidi nucleici (W.N. Takahashi e M. Ishii, 1952; H. Fraenkel-Conrat e R.C. Williams, 1955). Un aspetto interessante della ricostruzione dei v. sta nella possibilità di ricostruzioni miste con proteine e acidi nucleici di ceppi diversi. Si è così visto, nel caso della ricostruzione del TMV (v. del mosaico del tabacco) che, paragonando i v. omologhi ed eterologhi, l'espressione dei sintomi nella pianta dipende solamente dall'acido nucleico. Inoltre, infettando le piante con v. eterologhi si ottiene progenie omologa con proteine del tipo cui appartiene l'acido nucleico infettante; questi risultati confermano la funzione genetica dell'acido nucleico e, sotto questo aspetto, la sua indipendenza dalle proteine. I sintomi nella pianta infetta e la progenie prodotta dipendono evidentemente dall'acido nucleico della specie infettante; l'infettività è però notevolmente alterata dalla natura della proteina dell'involucro. V. eterologhi, ricostruiti con la proteina dell'involucro del TMV di tipo comune, possono essere fino a 10 volte più infettivi dei v. omologhi intatti. L'aumentata infettività suggerisce l'ipotesi che con le infezioni miste, in natura, possa prodursi un notevole aumento di virulenza senza mutazioni, semplicemente come conseguenza dell'unione eterologa di proteine e acidi nucleici (mescolamento fenotipico).

Sintesi. - Il problema successivo nella ricostruzione dei v. è stata la sintesi di acido nucleico in un mezzo acellulare, a partire da composti di basso peso molecolare come i nucleotidi. Il primo successo in questo campo fu ottenuto nel 1965 da Sol Spiegelmann e collaboratori con l'RNA del colifago Qβ. Per la sintesi di RNA infettivo in laboratorio è necessario fornire RNA virale come stampo; la sintesi completa invece dovrebbe consistere nella produzione di polinucleotidi infettivi senza l'aiuto di uno stampo; non è detto che ciò in futuro non possa realizzarsi.

Anche la sintesi enzimatica del DNA del colifago Φ × 174 è stata ottenuta in laboratorio (H. Goulian e altri, 1967), nonostante la situazione sia molto più complessa di quella dell'RNA del fago Qβ. Il genoma del fago Φ × 174 è una molecola circolare di DNA a singola elica. Da questa molecola isolata (designata come elica +), messa in presenza dell'enzima DNA polimerasi purificata estratta dal batterio E. coli (enzima di Kornberg) e di nucleotidi trifosfati si è ottenuta la sintesi del filamento complementare (elica −) che però non è chiuso in una struttura circolare. Trattando questo prodotto con l'enzima polinucleotide-ligasi, si ottiene la chiusura dell'anello e la formazione di una molecola circolare a doppia elica. Questa molecola è stata trovata anche durante il ciclo infettivo del Φ × 174 e prende il nome di "forma replicativa" o "RF". L'anello di DNA a doppia elica, sottoposto a trattamento con deossiribonucleasi pancreatica, dà luogo a diverse strutture, tra le quali anelli in cui l'elica + è stata aperta mentre quella - è ancora intatta. Riscaldate in condizioni appropriate, queste strutture si separano e gli anelli intatti si possono isolare con centrifugazione in gradiente di densità. Le eliche − si possono poi usare come stampo per la DNA polimerasi, che sintetizza eliche complementari +; un nuovo trattamento con l'enzima ligasi provvede a chiudere gli anelli −. Alla fine di tutto questo processo si ottiene una struttura di DNA circolare a doppia elica interamente sintetizzato in vitro. Sia i cerchi sintetici che le RF sintetiche sono infettive su sferoplasti di E. coli. Le eliche + si possono isolare dalle RF sintetiche con lo stesso modo descritto per le eliche −. Anche queste ultime, come quelle estratte dalle particelle virali, sono infettive sugli sferoplasti.

Anche la sintesi in vitro del DNA Φ × 174, pur rappresentando uno dei maggiori successi tra le sintesi biochimiche, non rappresenta una sintesi completa, poiché non si può ottenere senza l'aggiunta dello stampo di DNA.

Virus oncogeni. - Si tratta di alcuni tipi di v. a DNA (doppia elica) o RNA (singola elica) aventi la caratteristica peculiare d'infettare alcuni tipi di cellule senza ucciderle e di "trasformarle" in modo tale da renderle simili, per quanto riguarda alcune caratteristiche di crescita e di composizione, alle cellule tumorali delle colture in vitro; più precisamente un v. oncogeno è capace di trasformare una linea cellulare primaria (come quelle che derivano da espianti di tessuti normali e che sono capaci di dividersi in vitro solo per poche generazioni prima di morire) in una linea cellulare stabilizzata (come quelle che si ottengono da espianti di tessuti tumorali e che sono capaci di riprodursi indefinitamente in vitro).

Le linee cellulari rese permanenti dai v. oncogeni, se trapiantate in un animale, inducono la formazione di tumori, in genere solidi (sarcomi indifferenziati), talvolta circolanti (leucosi, leucemie). I v. oncogeni a DNA possono essere suddivisi in tre gruppi principali, Papova, Adeno e Herpes virus. Diversamente dai v. oncogeni a RNA quelli a DNA non sono capaci (o per lo meno è discutibile che lo siano) d'indurre tumori negli animali in condizioni naturali; accertata invece è la loro capacità di trasformare colture cellulari in vitro.

L'infezione con un v. oncogeno a DNA può dar luogo a due processi diversi, un normale ciclo litico con produzione di v., oppure una trasformazione oncogena, a seconda del tipo di cellule infettate, permissive (che permettono la moltiplicazione cellulare) o non permissive; si ritiene che nelle cellule non permissive manchi un prodotto cellulare necessario per la moltiplicazione virale o che sia presente un inibitore. Nel caso del v. SV40 sono permissive le cellule di scimmia ma non quelle di criceto, cavia o topo; nel caso del polioma sono permissive le cellule di topo ma non quelle di ratto, criceto, vitello, ecc. Il ciclo litico di un v. oncogeno tipico come l'SV40 può essere così schematizzato: la penetrazione del v. nella cellula permissiva avviene per fagocitosi; il v. diviene intracellulare in un vacuolo che coalesce con la membrana nucleare e libera il virione nel nucleo; in questa sede il capside virale si disgrega e ha inizio il processo di trascrizione precoce del DNA virale e che riguarda funzioni come l'antigene T nucleare, l'antigene TSTA sulla membrana cellulare, e l'induzione di enzimi cellulari necessari per la sintesi del DNA virale; in una seconda fase ha inizio la trascrizione tardiva con la comparsa delle funzioni tardive come, per es., la sintesi delle proteine dei capsomeri; il citoplasma si vacuolizza, il nucleo è ricco di particelle virali complete che invadono il citoplasma; dopo 72-96 ore c'è la lisi cellulare con liberazione dei virioni. In monostrati di cellule permissive l'effetto citopatico è visibile sotto forma di lisi (placche) analoghe a quelle prodotte dai batteriofagi su strati di crescita batterica; anche in questo caso è possibile una titolazione della sospensione virale. Nel caso delle cellule non permissive avviene la trasformazione; tale processo è identico a quello litico per quanto riguarda la fase della trascrizione precoce; la cellula subisce induzione di enzimi coinvolti nel metabolismo del DNA ed è stimolata a sintetizzare il proprio DNA; compaiono gli antigeni precoci T e TSTA e la cellula subisce alterazioni nelle proprietà di superficie (per es. l'aumento di agglutinabilità con concanavalina A) e nelle caratteristiche di crescita (perdita dell'inibizione da contatto); sui monostrati di cellule non permissive si ha la comparsa caratteristica di rilievi pluristratificati di crescita cellulare (foci di trasformazione) che si possono titolare. Esistono le seguenti prove a dimostrazione del fatto che la trasformazione oncogena è causata dal DNA virale:1) è possibile ottenere trasformazione anche con DNA purificato di v. come l'SV40 e polioma; 2) le cellule trasformate producono RNA ibridabile con il DNA virale; 3) esistono mutanti ts (temperatura sensibili) di polioma che hanno perduto contemporaneamente le attività infettante e trasformante; 4) se si fonde una cellula permissiva con una trasformata, la cellula ibrida prodotta lisa producendo virus.

I virus oncogeni a RNA costituiscono un unico gruppo virale, quello degli oncornavirus o leucovirus; sono di notevole importanza anche nel campo della ricerca perché capaci di causare tumori negli animali. I virioni hanno forma sferica, diametro di 100 nm e sono provvisti di membrana; il nucleocapside nudo ha simmetria icosaedrica e contiene una seconda membrana tra capside e nucleoide. Gli oncornavirus non lisano le cellule permissive e i v. prodotti sono rilasciati per gemmazione. I virioni sono costituiti per il 60% di proteine, per il 35% di lipidi e per il 2-3% di RNA oltre a tracce di carboidrati. La replicazione degli oncornavirus, diversamente dalla trasformazione oncogena, richiede sintesi di DNA e trascrizione DNA → RNA; tali caratteristiche avevano suggerito a Temin l'ipotesi che nella replicazione di questi v. a RNA esistesse un intermediario formato da DNA; tale ipotesi fu poi confermata dalla scoperta che dalle cellule trasformate con i v. dei sarcomi aviari e murini si poteva estrarre DNA infettivo capace di riprodurre il tumore trasformando cellule suscettibili e d'indurre produzione di v. in cellule permissive. Nel 1970 H.M. Temin e D. Baltimore riuscirono a dimostrare, indipendentemente, come avviene la conversione dell'RNA virale in DNA a doppia elica; ciò era possibile per la presenza, nei virioni, di un enzima particolare, che fu poi chiamato "trascrittasi inversa"; tale enzima svolge sequenzialmente le seguehti tre attività catalitiche: a) DNA polimerasi RNA-dipendente, producendo un ibrido RNA-DNA; b) ribonucleasi H, che degrada l'elica di RNA dell'ibrido; c) DNA polimerasi DNA-dipendente che sintetizza l'elica complementare a quella derivata dall'ibrido.

La trascrittasi inversa si attiva durante l'infezione; il DNA a doppia elica virale prodotto viene integrato nel DNA cellulare; se la cellula infettata è permissiva, la trascrizione del DNA produce RNA virale che viene poi tradotto in proteine da montare in virioni maturi; se invece la cellula infettata non è permissiva, il genoma virale di DNA, integrato, provoca la trasformazione oncogena analoga a quella descritta per i v. oncogeni a DNA; nel caso degli oncornavirus esiste anche una terza possibilità, e cioè la trasformazione oncogena insieme con produzione di virus. La validità di tale modello è stata poi confermata anche dalla dimostrazione, mediante studi d'ibridazione, che nelle cellule trasformate esistono sequenze di DNA omologhe a quelle dell'RNA virale. Si è anche dimostrato che la trascrittasi inversa è necessaria per l'infezione virale, sia per il ciclo produttivo che per quello trasformante; tale prova è stata ottenuta con l'isolamento di mutanti del v. del sarcoma di Rous (RSV) privi di trascrittasi inversa; tali mutanti non sono infettivi e possono propagarsi solo per infezione mista con un altro oncornavirus. Per quanto riguarda la trasformazione oncogena da parte degli oncornavirus, questa è molto diversa dalla trasformazione dovuta a v. a DNA; gli oncornavirus non lisano le cellule permissive e la progenie virale viene secreta per gemmazione; talvolta anche le cellule trasformate producono v.; esistono linee cellulari trasformate che non producono v. sia perché il v. trasformante è difettivo sia perché l'ospite permette l'espressione dei geni per la trasformazione oncogena (oncogèni) ma non quella dei geni per la replicazione virale (virogèni); la seconda situazione ripete quella delle cellule non permissive trasformate da v. oncogeni a DNA.

La presenza di DNA ibridabile con RNA degli oncornavirus in quasi tutte le linee cellulari stabilizzate in vitro ha portato all'ipotesi che geni virali derivati da oncornavirus siano presenti allo stato represso nel genoma cellulare di tutte le specie animali; la grande varietà di tumori dovuti agli oncornavirus (carcinomi, sarcomi, linfomi, leucemie) lascia ipotizzare che l'attivazione di genomi virali repressi possa causare neoplasie di tutti i tipi negli animali; il DNA virale integrato nel DNA dell'ospite è stato chiamato provirus in analogia con il profago. Oggi tuttavia la teoria del provirus è quasi del tutto ipotetica mentre ha acquistato più credito la teoria mutazionale del cancro (Th. Boveri, 1914) a causa di agenti mutageni chimici e fisici.

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